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Saggio

Misure protettive negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza alternativi alla liquidazione giudiziale e procedure esecutive individuali*

Pasquale Russolillo, Giudice delegato nel Tribunale di Avellino

6 Giugno 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il presente lavoro è dedicato all’analisi delle interferenze fra la nuova disciplina delle misure protettive negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza alternativi alla liquidazione giudiziale e le esecuzioni forzate individuali.
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1 . Dal principio di esclusività della tutela concorsuale del credito a quello di relatività
In linea di principio le procedure esecutive individuali sono destinate ad arrestarsi in presenza di uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza d’impresa, in quanto quest’ultimo è finalizzato a coinvolgere indistintamente tutte le attività del debitore ed a garantire, tramite la ristrutturazione del complessivo indebitamento, la soddisfazione della collettività dei creditori.
Quando la condizione di difficoltà finanziaria dell’imprenditore si manifesta, i creditori sono portati naturalmente ad assumere una condotta egoistica volta a conseguite posizioni di vantaggio rispetto agli altri concorrenti, dimostrandosi al contempo poco propensi, a fronte del rischio di vedersi scavalcati da questi ultimi, a sedersi al tavolo delle trattative per l’individuazione di una soluzione utile all’intera massa.
La tutela inibitoria contro le azioni esecutive e cautelari è dunque il fondamentale strumento che il legislatore mette a disposizione dell’imprenditore per poter fronteggiare precocemente la propria crisi ed evitare che essa si tramuti in insolvenza irreversibile[1].
Si tratta di un vero e proprio “ombrello protettivo” che mira ad un duplice obiettivo:
- cristallizzare il patrimonio del debitore in modo che possa essere destinato in via diretta (tramite la sua liquidazione) o indiretta (tramite la conservazione della capacità di produrre ricchezza) alla soddisfazione di ciascun creditore in misura almeno pari (“non inferiore”) alla soluzione liquidatoria[2], obiettivo che sarebbe ovviamente vanificato laddove si consentisse al singolo avente diritto di realizzare individualmente la garanzia patrimoniale;
- attuare anticipatamente rispetto all’omologa giudiziale ed all’esecuzione del piano la par condicio creditorum, così da favorire, già nella fase delle trattative, la collettivizzazione dell’interesse ad una soluzione della crisi alternativa alla procedura di insolvenza.
Prima dell’entrata in vigore del Codice della Crisi si riteneva che la piena funzionalità del meccanismo di tutela protettiva sopra descritto dovesse essere assicurata da due congegni fondamentali:
- l’automaticità dello stay, i cui effetti si producevano in conseguenza della mera pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso per l’apertura della procedura concorsuale alternativa al fallimento, senza alcun preliminare vaglio giudiziale, né possibilità di contestazione da parte dei creditori, costretti a subire in via immediata e per l’intero corso della procedimento dichiarativo, ovvero fino all’omologa o alla reiezione della domanda, l’effetto sospensivo/inibitorio delle azioni esecutive[3];
- l’esclusività e priorità della tutela concorsuale del credito, nel senso che l’avvio della procedura concorsuale impediva il concorrente svolgimento di quella individuale, quand’anche già pendente, senza eccezioni di sorta[4].
L’affievolimento della tutela esecutiva individuale trovava dunque attuazione quale effetto immediato ed automatico dell’iniziativa dell’imprenditore assunta nella separata sede concorsuale, attraverso la “temporanea negazione del diritto della parte creditrice ad agire in via esecutiva”[5]; ne scaturiva la nullità degli atti esecutivi posti in essere in violazione dell’inibitoria, nonché la sospensione delle procedure esecutive immobiliari e mobiliari già pendenti fino alla definizione di quella concorsuale da disporre anche d’ufficio.
Con successive modifiche normative il legislatore aveva finanche anticipato l’operatività dell’ombrello protettivo accordandolo all’imprenditore nella fase prodromica di preparazione della proposta e del piano, onde concedergli “respiro” per una più serena e proficua conduzione delle trattative.
L’automatic stay pertanto:
- poteva già scattare con la presentazione della domanda prenotativa ex art. 161, comma 6 L. fall., per l’intera durata del termine concesso dal tribunale ai fini della presentazione della proposta e del piano di concordato preventivo o, in alternativa, degli accordi di ristrutturazione[6], determinando tuttavia in questo caso anche l’anticipato spossessamento attenuato dell’imprenditore;
- poteva essere persino accordato all’imprenditore nella piena e libera disponibilità del patrimonio e prima della formalizzazione degli accordi di ristrutturazione (c.d. preaccordo) - a condizione che avesse intrapreso trattative con i creditori che rappresentassero la maggioranza necessaria all’omologa ed avesse dimostrato, con attestazione resa da un professionista indipendente, di poter soddisfare quelli rimasti estranei - ma in tale ipotesi con effetti automatici solo provvisori, essendo la cautela, ex art. 182 bis, comma 6, L. fall., soggetta al vaglio giudiziale di conferma.
Un’estensione siffatta delle tutele protettive contro le azioni esecutive si prestava inevitabilmente ad abusi[7] rispetto ai quali i singoli creditori non potevano tutelarsi né in sede esecutiva, né con ricorsi individuali ad hoc, ma solo con quelli “concorsuali” della revoca, del voto contrario, dell’opposizione, i cui tempi processuali erano tali da non impedire una stasi duratura delle procedure esecutive individuali ed in molti casi la vanificazione di esperimenti di vendita già avviati.
All’esigenza di un migliore bilanciamento dei contrapposti interessi risponde il criterio direttivo espresso all’art. 6 lett. b) del D.Lgs. n. 155/2017 (legge delega per la riforma della disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza), così formulato “procedere alla  revisione  della  disciplina  delle   misure protettive,  specialmente  quanto  alla  durata   e   agli   effetti, prevedendone la revocabilità, su ricorso degli interessati, ove  non arrechino beneficio al buon esito della procedura”, da cui si desume l’avvertita esigenza di garantire ai creditori la possibilità di una reazione immediata rispetto ad iniziative abusive o inutilmente pregiudizievoli, poiché manifestamente inidonee a realizzare il risanamento aziendale e/o la ristrutturazione dei debiti.
Al contempo il legislatore delegante all’art. 4 lett. g) affermava ancora con forza la necessità di una tutela protettiva anticipata alla fase delle trattative, purché nell’ambito di un percorso di composizione in cui l’imprenditore fosse assistito, nel negoziato con i creditori, da soggetti indipendenti dotati di specifiche professionalità e che fosse garantito ai creditori il controllo giudiziale sulla perdurante idoneità delle misure concesse a favorire il superamento della crisi tramite una soluzione concordata.
Analoghe esigenze di protezione anticipata dell’imprenditore e di bilanciamento della stessa con gli interessi dei creditori sono state avvertite dalla Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione (c.d. Direttiva Insolvency), che, nei considerando 32-35, pone quelli che possono essere ritenuti i capisaldi della rinnovata disciplina delle misure protettive come recepita dal Codice della Crisi:
- la rimessione della tutela protettiva all’iniziativa del debitore (facoltatività)
- la necessaria soggezione dello stay al controllo dell’autorità giudiziaria, la quale potrà rifiutarne la concessione qualora “tale sospensione non sia necessaria o non soddisfi l'obiettivo di agevolare le trattative” e conseguentemente la revocabilità su istanza dei creditori quando le misure non soddisfino più il buon esito delle trattative o la maggioranza dei creditori si opponga alla loro prosecuzione (soggezione al sindacato giudiziale);
- la potenziale selettività della sospensione delle azioni esecutive individuali, dovendo ritenersi consentita l’esclusione di singoli creditori o categorie di essi dall’ambito di applicazione della stessa in circostanze ben definite, come “i crediti che sono garantiti da attività la cui eliminazione non pregiudicherebbe la ristrutturazione dell'impresa”, o come i crediti “nei cui confronti una sospensione causerebbe un ingiusto pregiudizio nella forma, ad esempio, di perdite non compensate o di un deprezzamento della garanzia reale” (potenziale selettività);
- la necessaria temporaneità dell’effetto inibitorio/sospensivo delle azioni esecutive individuali, la cui durata, inizialmente non eccedente i quattro mesi, prorogabili fino ad un massimo di dodici mesi, va stabilita dal giudice caso per caso al fine di garantire “il giusto equilibrio tra i diritti del debitore e quelli dei creditori” (temporaneità)
L’enunciazione dei principi espressi dalla Direttiva Insolvency rende evidente il radicale mutamento di prospettiva rispetto al passato, essendo superate in un colpo solo sia la regola dell’automaticità della tutela protettiva – ora soggetta ad un vaglio giudiziale necessario tanto nella fase genetica quanto ai fini della conservazione dei suoi effetti - sia quella della priorità assoluta della procedura concorsuale rispetto alle procedure esecutive individuali, potendo queste ultime senz’altro concorrere con la prima se gli interessi individuali del singolo creditore o di una categoria di creditori siano ritenuti non sacrificabili o ingiustamente sacrificati[8].
Il Codice della Crisi ha inteso recepire i criteri della Direttiva Insolvency attraverso la procedimentalizzazione dell’accesso alle misure protettive, sia quando accessorie ad uno strumento di regolazione della crisi, sia quando attivate nel percorso anteriore di composizione negoziata, subordinandole in entrambi i casi alla domanda giudiziale dell’imprenditore, da proporsi nelle forme del rito cautelare uniforme in quanto compatibili, ed assoggettandole al sindacato del tribunale in composizione monocratica, chiamato a decidere in tempi rapidi, e con provvedimento reclamabile dinanzi al collegio, al duplice fine di verificare le condizioni processuali e i presupposti sostanziali per riconoscimento della tutela e stabilirne la durata.
E tuttavia, onde contemperare l’esigenza della necessaria verifica giudiziale con quella di una protezione immediata dell’imprenditore sin dall’avvio del percorso di ristrutturazione, il legislatore ha consentito, nella maggior parte dei casi[9], che gli effetti delle misure protettive continuino a prodursi in via automatica con la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, sebbene solo provvisoriamente e per un arco temporale limitato, entro il quale, a pena di sopravvenuta inefficacia, dovrà essere indispensabilmente assunta dal giudice adìto una decisione di conferma o revoca (da qui la definizione in uso di misure semiautomatiche).
Ne scaturisce una dinamica dei rapporti fra le misure protettive e le procedure esecutive individuali assai più articolata e complessa rispetto al passato, nel senso di:
- richiedere al giudice dell’esecuzione una verifica degli esiti dei sub procedimenti di conferma/proroga/revoca delle tutele richieste dall’imprenditore al fine di inibire o sospendere le azioni esecutive;
- consentire, a certe condizioni, il possibile concorso fra le procedure concorsuali e quelle individuali, come accade non solo quando il meccanismo di protezione sia stato limitato (su domanda del debitore o per decisione giudiziale) ad alcuni soltanto dei creditori, ma anche quando le misure abbiano subito un arresto anticipato per revoca o scadenza dei termini anteriormente all’omologa dello strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza.
2 . Il principio della domanda e la selettività (potenziale) delle misure protettive
L’art. 54, comma 2, CCII recita “se il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda di cui all’articolo 40, dalla data della pubblicazione della medesima domanda nel registro delle imprese i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa”.
L’aver previsto come eventuale l’accesso dell’imprenditore alle misure protettive costituisce la prima rilevante novità introdotta nel testo normativo del codice della crisi rispetto alla previgente regolamentazione dell’istituto dettata dall’art. 168 L. fall.
L’istanza è contenuta nel medesimo ricorso giudiziale che introduce il procedimento unitario per l’accesso allo strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza, viene pubblicata unitamente ad esso nel registro delle imprese su comunicazione fatta dalla cancelleria entro il giorno successivo (art. 40, comma 3, CCII), ed è subito dopo esaminata da un organo giudicante in diversa composizione (non il Collegio, ma il tribunale in composizione monocratica), nell’ambito di apposito subprocedimento.
Si ritiene peraltro che la richiesta di misure protettive possa essere proposta anche con istanza successiva, nel qual caso, benché non espressamente previsto, essa deve ritenersi soggetta ad autonoma pubblicità[10]; tale facoltà pare agevolmente desumibile sia dal terzo periodo del comma secondo dell’art. 54 CCII, nella parte in cui consente di formulare anche nel prosieguo la richiesta di misure temporanee, sia dall’art. 55, comma 3, CCII laddove è ammessa la riproposizione del ricorso in caso di mancata decisione del giudice nel termine di trenta giorni.
Il codice della crisi ammette l’efficacia automatica della tutela protettiva, dalla data della pubblicazione, ma, anche in questo caso innovando rispetto al passato, prevede che gli effetti così prodotti possano essere conservati solo per un arco temporale limitato, dovendo il giudice provvedere con decreto alla conferma o alla revoca entro il termine di trenta giorni. La previsione di un termine per l’adozione del provvedimento giudiziale non assume peraltro valenza meramente acceleratoria, essendo stabilito che l’inutile sua decorrenza comporti la sopravvenuta perdita di efficacia delle misure, salva la possibilità per l’imprenditore di chiederle nuovamente.
Prima ed indipendentemente dalla decisione giudiziale confermativa possono dunque verificarsi le seguenti circostanze idonee ad incidere sulla produzione degli effetti sospensivi/inibitori delle esecuzioni individuali:
a) l’imprenditore non formula la domanda di conferma delle misure protettive;
b) l’imprenditore formula la domanda di conferma delle misure protettive, ma successivamente vi rinuncia;
c) nel termine di trenta giorni il tribunale non adotta il provvedimento confermativo/revocatorio;
d) l’imprenditore limita la domanda di conferma delle misure protettive ad alcuni soltanto dei creditori.
Nei casi sub a) e sub b) è del tutto evidente che l’effetto protettivo, rispettivamente, non si produce affatto, ovvero cessa prima che il giudice sia chiamato a pronunciarsi.
Ne consegue che i creditori potranno avviare azioni esecutive individuali o proseguire quelle già pendenti nonostante la pendenza del procedimento unitario, generando un concorso fra le procedure (quella individuale e quella concorsuale) che non dovrebbe generare particolari ragioni di contestazione dinanzi al giudice dell’esecuzione, derivando da una libera scelta dell’imprenditore estesa all’intera massa dei creditori.
Diversamente è a dirsi per i casi sub c) e sub d).
L’ipotesi della mancata adozione del provvedimento nei trenta giorni dovrebbe per vero costituire un’eccezione, verosimilmente sanata dalla possibilità per il debitore di riproporre senza ostacoli di sorta la domanda, senza soluzione di continuità, fino alla auspicata decisione giudiziale, ma  è evidente che impone al giudice dell’esecuzione, ove chiamato ad adottare il provvedimento sospensivo prima che la misura semiautomatica sia stata confermata, di accertare subito dopo (anche con fissazione di apposita udienza successiva alla scadenza dei trenta giorni) se, nel termine di legge, ne sia infine intervenuta la conferma, dovendo viceversa l’esecuzione individuale proseguire il suo corso.
Di maggiore interesse pratico è senza dubbio l’ipotesi di selezione dei destinatari della misura protettiva.
Come già detto il meccanismo di protezione invalso prima del codice della crisi era basato sul principio di universalità della procedura concorsuale, che escludeva in quanto tale il possibile concorso con qualsivoglia procedimento esecutivo individuale in qualunque forma azionato.
Laddove fosse ammessa, dunque, la possibilità, per l’imprenditore o per il giudice in sede di conferma, di limitare la tutela ad alcuni soltanto dei creditori si porrebbe dunque un evidente, ed inedito, problema di coordinamento fra la tutela concorsuale e quella individuale del credito.
Non risulta ad oggi alcuna pronuncia che affronti la questione della potenziale selettività delle misure di cui all’art. 54 CCII e dunque della loro efficacia ad personam e non erga omnes, apparendo per contro i provvedimenti noti tutti nel senso della efficacia universale della tutela senza distinzioni di sorta[11].
Il problema della potenziale tutela selettiva dell’imprenditore si è posto invece con forza, e direi in senso diametralmente opposto, nel caso delle misure protettive nella composizione negoziata, alla luce del tenore letterale dell’art. 18 CCII, che al comma terzo espressamente sancisce “l’imprenditore può chiedere che l’applicazione delle misure protettive sia limitata a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori”, aggiungendo anche l’espressa esclusione dei diritti di credito dei lavoratori.
Secondo una parte della giurisprudenza l’intrinseca natura selettiva delle misure protettive nella composizione negoziata impone al ricorrente di indicare specificamente i destinatari delle stesse, anche nel caso in cui la misura di cui è chiesta la conferma consiste nell’inibitoria all’avvio e prosecuzione di azioni esecutive e cautelari ed all’acquisto di diritti di prelazione non concordati con il debitore, giungendo a sostenere che l’individuazione delle parti interessate è elemento costitutivo della domanda e che l’assenza di tale specificazione la rende indeterminata ed impedisce al tribunale di svolgere il vaglio di proporzionalità delle misure rispetto all’interesse contrapposto di creditori e terzi.[12].
Il novero dei soggetti incisi dalle misure richieste dall’imprenditore “deve” a pena di inammissibilità trarsi dalla domanda, nel senso che la stessa non può essere indeterminata, ovvero rivolta indistintamente alla massa dei creditori indipendentemente dalle iniziative che essi abbiano assunto e che sia valutate pregiudizievoli per la prosecuzione delle trattative. Non acquisterebbero dunque la qualità di parte processuale i creditori che abbiano già manifestato disponibilità a trattare e che volontariamente si siano astenuti da porre in essere atti di aggressione del patrimonio del debitore o anche solo dal diffidare l’adempimento di debiti scaduti.
Secondo altro opposto orientamento è sempre ammissibile una richiesta generalizzata di tutela dell’imprenditore da iniziative esecutive e cautelari, tenuto conto che la protezione prevista dall’art. 18, comma 1, CCII. si attua in via automatica ed anticipata nei confronti dell’intero ceto creditorio già prima dell’adozione del provvedimento di conferma giudiziale, ragion per cui solo in via posticipata ed alla luce delle contestazioni mosse dai creditori sarà consentito al giudice valutare la strumentalità ed adeguatezza della misura richiesta ed il pregiudizio non sproporzionato subito dai destinatari della stessa[13].
Il secondo degli orientamenti richiamati, da ritenersi prevalente, non è univoco, però, quanto alle regole di instaurazione del contraddittorio in caso di richiesta generalizzata dello stay
Secondo alcuni giudici, infatti, occorrerebbe in tal caso che la notifica del ricorso e del decreto di fissazione udienza sia rivolta a tutti i soggetti potenzialmente incisi (quelli indicati nell’elenco depositato dal ricorrente a corredo della domanda) in modo da consentirne la costituzione e difesa in giudizio già in fase di conferma delle misure protettive. Secondo altro orientamento, per contro, le misure protettive del patrimonio possono essere confermate in via d’urgenza anche in assenza di notifica del ricorso a tutti i creditori interessati, essendo il contraddittorio posticipato all’instaurazione dei sub-procedimenti volti alla modifica o revoca delle misure.
Deve peraltro osservarsi che nella composizione negoziata la prosecuzione di alcune iniziative esecutive individuali e la sospensione di altre - sempre che ex art. 21 CCII appaia giustificata dall’andamento delle trattative e dalla prospettiva del risanamento (in caso di impresa in crisi) o del miglior soddisfacimento dei creditori (in caso di impresa in stato di insolvenza) - non genera particolari problemi in quanto l’imprenditore non subisce alcuna limitazione nella gestione del patrimonio e non è tenuto all’osservanza delle regole della par condicio nel trattamento dei creditori.
E’ naturale dunque chiedersi se ad analoghe conclusioni possa giungersi nel caso delle misure protettive accessorie agli strumenti di regolazione della crisi, ed in particolare nel concordato preventivo, procedura nella quale per contro l’imprenditore subisce uno spossessamento attenuato e deve impostare la proposta distribuendo la ricchezza nel rispetto dell’ordine delle prelazioni.
Una parte della dottrina pare orientata nel senso dell’esclusione di ogni possibilità selettiva da parte dell’imprenditore[14] sulla scorta dei seguenti argomenti:
a) l’art. 54, comma 2, CCII nell’individuare i destinatari delle misure non parla di “creditori interessati”, come invece fa l’art. 18 CCII per la composizione negoziata, ma genericamente di “creditori”;
b) l’art. 55, comma 3, CCII nel disciplinare, assai sinteticamente, il rito per la conferma delle misure esclude la necessità di instaurazione del contraddittorio (diversamente da quanto previsto per le misure cautelari al comma 2), essendo consentita l’adozione del provvedimento giudiziale (decreto e non ordinanza) de plano, assunte solo “ove necessario” sommarie informazioni, il che parrebbe giustificarsi proprio in considerazione dell’assenza di ogni valutazione sull’estensione soggettiva della protezione[15];
c) l’art. 55, comma 3, CCII, diversamente da quanto stabilisce l’art. 19, comma 4, CCII per le misure protettive, non consente al giudice di “modificare” le misure protettive richieste, così limitandone la portata, ma solo di confermarle o di revocarle.
Depongono in senso opposto altri argomenti di carattere sistematico e letterale:
a) se l’accesso alla tutela protettiva è rimesso ad una scelta facoltativa dell’imprenditore, dovrebbe, anche in coerenza con il principio della domanda di cui all’art. 112 c.p.c., e per la regola del più che contiene il meno, essere consentita anche una limitazione delle tutele ad una parte del patrimonio (limitazione oggettiva) o ad alcuni soltanto dei creditori (limitazione soggettiva);
b) l’art. 2 lett. p) CCII fornisce una definizione unitaria di misure protettive ammettendo che la loro portata possa essere in linea generale limitata a “determinate azioni dei creditori” quando idonee a pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, le iniziative assunte dall’imprenditore per la regolazione della crisi o dell’insolvenza;
c) l’art. 54, comma 3, CCII non esclude in senso assoluto il contraddittorio, ma prevede solo un meccanismo di conferma giudiziale rapida, giustificata dalla provvisoria efficacia delle misure protettive, secondo un modello bifasico in cui il diritto di difesa dei creditori destinatari della misura (art. 101 c.p.c.) è assicurato dal reclamo successivo al Collegio entro quindici giorni;[16] 
d) benché l’art. 55, comma 3, CCII non preveda la modifica delle misure fra i possibili contenuti del dispositivo giudiziale, deve però osservarsi che un siffatto potere pare esercitabile quantomeno in un momento successivo, avendolo previsto il comma quinto su richiesta del debitore o del commissario giudiziale per ragioni non meglio specificate (verosimilmente per sopravvenuta carenza dei presupposti per l’ammissione o l’omologa dello strumento di regolazione), su richiesta dei creditori e del pubblico ministero in caso di “atti in frode”, nonché in ogni caso (e dunque parrebbe su richiesta di ciascuna delle parti sopra menzionate senza distinzione) quando “le misure protettive concesse non soddisfano più l’obiettivo di agevolare le trattative”.
Il tema della selezione delle tutele protettive si pone poi indubbiamente nel caso dell’inibitoria accordata all’imprenditore ai sensi dell’art. 54, comma 3, CCII, durante le trattative per l’accesso agli accordi di ristrutturazione, trattandosi di misura protettiva eccezionalmente consentita anche al di fuori del percorso di composizione negoziata[17] secondo un peculiare meccanismo procedurale, diverso da quello fin qui descritto. Essa infatti: a) va richiesta con ricorso separato (ed evidentemente anteriore) rispetto alla domanda ex art. 40 CCII; b) non produce effetti anticipati automatici generalizzati ma viene concessa dal giudice con ordinanza, previa instaurazione del contraddittorio con i creditori.
Ad avviso dello scrivente, e pur in assenza di un formante giurisprudenziale sul tema, la tutela protettiva dovrebbe poter assumere in linea generale, in accordo con la Direttiva Insolvency e con la definizione unica fornita dall’art. 2 lett. p) CCII, carattere selettivo[18], occorrendo semmai interrogarsi sui limiti della selezione dei destinatari quando si acceda ad uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza.
Difatti, diversamente da quanto accade per la composizione negoziata e per gli accordi di ristrutturazione in cui non è prevista l’osservanza delle regole della par condicio nel trattamento dei creditori e non è stabilita alcuna limitazione dei poteri di disposizione del patrimonio da parte dell’imprenditore, nel caso del concordato preventivo la prosecuzione delle azioni esecutive individuali potrebbe sovvertire le regole vincolanti sul trattamento della massa, ad esempio consentendo al creditore chirografario che abbia in corso un  pignoramento presso terzi di ottenere un pagamento anticipato e superiore rispetto alla percentuale che gli può essere riconosciuta nella proposta.
Ne consegue che la libertà dell’imprenditore di disporre del suo patrimonio attraverso la selezione delle iniziative esecutive da inibire, pur non potendo essere esclusa, deve ritenersi limitata e suscettibile di un controllo giudiziale sulla corretta applicazione dei criteri di selezione, essendo la scelta giustificata e dunque perseguibile alla duplice condizione che il bene oggetto dell’esecuzione forzata non sia indispensabile all’attuazione del piano ed abbia un valore di mercato non eccedente l’entità del credito che dovrà essere soddisfatta in base alla proposta.
In questo senso la selezione opererà sia in termini oggettivi mediante individuazione dei beni da ritenersi estranei alle finalità del concordato che soggettivi non potendo la scelta del creditore esonerato provocare l’alterazione dell’ordine delle prelazioni[19].
Del pari il tribunale investito del reclamo potrà limitare la portata erga omnes dell’inibitoria a condizione che la prosecuzione dell’iniziativa esecutiva individuale in corso non vanifichi la ristrutturazione dell’impresa ovvero non attribuisca al soggetto che chiede di essere esentato un trattamento migliore di quello dei creditori di rango poziore.
Laddove si condivida la tesi di una priorità ormai solo relativa delle procedure concorsuali, occorrerà dunque seriamente affrontare la problematica del loro coordinamento con le procedure individuali eventualmente proseguite.
Il piano concordatario potrebbe ad esempio prevedere la prosecuzione di un’azione esecutiva in corso, se del caso per ragioni di economia processuale prevedendone la rapida conclusione, ma al contempo stabilire che una parte del ricavato della liquidazione, eventualmente eccedente il grado di soddisfazione del creditore procedente, sia destinato in favore della massa.
Al riguardo deve escludersi che il necessario coordinamento sia possibile tramite il subentro del commissario giudiziale nella procedura esecutiva, trattandosi di organo al quale restano estranei i poteri di liquidazione del patrimonio, sicché deve piuttosto ritenersi, anche in virtù della conservazione in capo al debitore dei pieni poteri di stare in giudizio, che l’esecuzione prosegua nei suoi confronti senza alterazione delle regole procedurali che la connotano, con attribuzione dell’intero ricavato al creditore a cui sia stata accordata la facoltà di continuare ad avvalersi degli effetti il pignoramento. 
Sarà quindi il debitore a regolare nel piano le modalità di restituzione dell’eventuale eccedenza a condizione che si producano gli effetti remissori dell’omologa, azionando il relativo credito nella fase di esecuzione del concordato o affidando la relativa iniziativa al liquidatore giudiziale.
Fin qui si è ipotizzato il caso di una selezione oggettiva delle procedure esecutive individuali da far proseguire, sul presupposto dell’ammissibilità di una liquidazione separata di singoli beni e salve le regole del concorso.
Sembra assai più difficile ipotizzare, invece, soprattutto in caso di concordato preventivo in continuità, una selezione solo soggettiva, consistente nel riconoscere ad un creditore o ad una categoria di creditori la possibilità di agire indiscriminatamente su tutti i beni dell’imprenditore, anche avviando nuove iniziative esecutive anteriormente all’omologa, essendo in questo caso concreto il rischio che si attribuisca al beneficiario un vantaggio eccessivo tale da mettere a rischio il buon esito della procedura. 
Una volta ipotizzata la potenziale selettività delle misure protettive nel concordato preventivo e negli altri strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, dovrebbe andare da sé che ogni contestazione sull’estensione soggettiva ed oggettiva della tutela protettiva dovrà essere valutata nell’unica sede a ciò deputata, il procedimento di conferma, rimanendone dunque del tutto estraneo il giudice dell’esecuzione.
3 . I limiti oggettivi e soggettivi della tutela protettiva e il sindacato estrinseco del giudice dell’esecuzione
Altro aspetto di novità introdotto dal Codice della Crisi riguarda l’estensione oggettiva della tutela protettiva dell’imprenditore contro le azioni esecutive individuali, come pare agevolmente desumibile dal mero confronto letterale fra l’art. 168 L. fall. e l’art. 54,  comma 2, CCII.
L’art. 168 L. fall. è così formulato “dalla data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire le azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore”.
L’art. 54, comma 2, CCII recita invece “se il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda di cui all’art. 40, dalla data di pubblicazione della medesima domanda nel registro delle imprese, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa”.
Balza subito agli occhi che si è inteso ricomprendere nel perimetro della tutela protettiva non solo il patrimonio in sé, secondo la definizione ricavabile dall’art. 2740 c.c., ma anche un quid pluris, costituito dai “diritti con i quali viene esercitata l’attività di impresa”, indipendentemente dalla loro appartenenza soggettiva all’imprenditore e per la sola ragione della loro inclusione nel complesso aziendale.
La dottrina ha inteso questa estensione idonea ad incidere anzitutto sulle azioni esecutive in forma specifica aventi ad oggetto rilascio o consegna di beni di beni aziendali, dei quali l’imprenditore gode per l’esercizio dell’attività di impresa pur non essendone proprietario, così come accade nell’ipotesi di beni acquistati in leasing o con riserva di proprietà ovvero di immobili oggetto di contratti di locazione.
Ove si condividesse questa tesi sarebbe risolto con un tratto di penna un annoso contrasto giurisprudenziale fra coloro che ritenevano estranee alla tutela protettiva di cui all’art. 168 L. fall. le azioni di consegna e rilascio di beni non di proprietà dell’imprenditore e coloro che le ritenevano invece ricomprese, proprio allo scopo di evitare, soprattutto nel caso di concordati di continuità, che il debitore potesse vedersi privato di beni essenziali per la prosecuzione dell’attività aziendale[20].
I sostenitori della tesi estensiva basavano le loro conclusioni su una interpretazione innovativa del concetto di patrimonio, basata su una visione “dinamica”, riferita ad ogni bene o diritto anche di proprietà di terzi che fosse destinato a produrre utilità per la massa in quanto legato da un vincolo funzionale con l’esercizio dell’impresa.
Si evidenziava al riguardo che la nuova disciplina del concordato preventivo non era finalizzata esclusivamente a garantire la par condicio creditorum, obiettivo a cui mira la cristallizzazione del patrimonio dell’imprenditore attraverso il divieto di azioni esecutive, ma altresì a consentire all’imprenditore la tutela dell’integrità aziendale, soprattutto nella prospettiva della continuità diretta, onde conservarne la capacità produttiva nella prospettiva di un efficace risanamento. Al riguardo non apparirebbe dirimente in senso contrario alla conservazione di beni di proprietà aliena in capo all’imprenditore in concordato la circostanza che l’art. 168 L. fall. inibisca le sole azioni esperibili dai “creditori”, essendo tali non solo gli aventi diritto ad una prestazione pecuniaria, ma anche chi ha diritto ad una prestazione specifica di dare o di fare, la cui realizzazione coattiva o tutela cautelare pregiudicherebbe il sereno svolgimento delle trattative[21]
Ad opposte conclusioni si giungeva invece, pressoché unanimemente, con riferimento ai beni, pur facenti parte del patrimonio e dell’azienda dell’imprenditore, quando costituiti in garanzia di debiti altrui (concordato del terzo datore di pegno o di ipoteca), ma in questo caso in ragione del fatto che la tutela protettiva, pur riferita all’intero patrimonio del debitore, inibisce tuttavia le sole azioni dei creditori dell’imprenditore e non già quelle dei soggetti non creditori verso i quali egli risponda quale datore di una garanzia reale[22].
L’effetto disgregativo del patrimonio derivante dall’azione esecutiva promossa dal soggetto garantito, nelle forme previste dagli artt. 602 e 604 c.p.c. (espropriazione contro il terzo proprietario) era in tal caso giustificato dalla considerazione che il divieto di azioni esecutive previsto dall’art. 168 L. fall., benché assoluto in termini oggettivi, non lo era invece in termini soggettivi, essendo rivolto solo ai “creditori”, unici potenziali destinatari degli effetti remissivi e dilatori dell’omologa del concordato ex art. 184 L. fall., senza possibilità alcuna di farvi rientrare i “non creditori”, sol perché titolari di garanzia reale nei confronti dell’imprenditore in concordato.
La conclusione così rigorosa, benché in linea con il dato letterale, era per contro criticata da quanti ravvisavano il rischio di sacrificare la soluzione della crisi d’impresa sull’altare di un’intangibile esecuzione individuale promossa dal non creditore sui beni dell’imprenditore terzo datore.
Si avvertivano del resto le conseguenze ingiuste di una simile impostazione qualora avesse consentito a quel terzo garantito di soddisfarsi in via anticipata e prededucibile rispetto ai creditori concorsuali, soprattutto quando questi ultimi potessero vantare una garanzia di rango poziore (ad esempio un’ipoteca di primo grado a fronte di quella di secondo grado del terzo garantito), ma si vedessero al contempo impossibilitati ad esperire ogni forma di tutela nella medesima sede esecutiva (mediante opposizione o intervento) perché soggetti all’inibitoria di cui all’art. 168 L. fall.[23].
Verosimilmente entrambe le fattispecie sopra richiamate - quella dell’azione esecutiva in forma specifica del terzo proprietario su beni detenuti dall’imprenditore e quella dell’azione esecutiva del soggetto titolare di garanzia reale su beni dell’imprenditore terzo datore - andranno oggi riesaminate alla luce della nuova estensione oggettiva della tutela inibitoria, dettata al fine di preservare non solo la garanzia patrimoniale dei creditori, ma anche e forse soprattutto l’azienda intesa in senso oggettivo.
Deve tuttavia dissentirsi dalla tesi che ritiene definitivamente risolta la questione dell’estensione dell’inibitoria alle azioni di rilascio o consegna di beni.
In presenza di contratti ancora pendenti, infatti, pur a fronte di inadempimenti pregressi da parte dell’imprenditore ed a condizione che egli sia in grado di adempiere quelle successive, la protezione contro le azioni in discorso deve ritenersi senz’altro assorbita da quella più ampia offerta dall’art. 18, comma 5, CCII (nella composizione negoziata) e dagli artt. 64, comma 3 e 94 bis CCII (rispettivamente negli a.d.r., nel concordato preventivo, nonché per effetto del rinvio ex art. 64 bis CCI nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione), norme che prevedono misure protettive per la conservazione dei contratti in corso di esecuzione, finalizzate ad impedire ai contraenti in bonis forme di autotutela negoziale per la risoluzione del rapporto o la sospensione delle prestazioni dovute[24].
E tuttavia non sembra che l’imprenditore possa, a fronte di titoli giudiziali già conseguiti (si pensi al caso di un’ordinanza di convalida di sfratto), opporre il divieto di azioni esecutive in forma specifica all’iniziativa del proprietario che chieda la restituzione di beni indebitamente detenuti.
Una siffatta limitazione del diritto di azione, benché temporanea, finirebbe con il sacrificare eccessivamente l’interesse del creditore, costringendolo all’esecuzione di nuove prestazioni in assenza di adeguato indennizzo[25].
A diversa conclusione pare doversi pervenire per l’illustrato caso dell’imprenditore terzo datore di pegno ed ipoteca, atteso che in tal caso l’ampliamento della protezione parrebbe giustificato dall’esigenza preponderante di tutelare l’integrità dell’azienda, tanto più nelle procedure di continuità, e fatta ovviamente salva la necessità di prevedere la soddisfazione del titolare della garanzia non creditore in altra forma egualmente satisfattiva e senza possibilità di falcidia.
La “concorsualizzazione” del trattamento del titolare della garanzia non creditore è del resto uno dei tratti innovativi dell’istituto della liquidazione giudiziale in cui è previsto che anche il diritto di partecipazione al riparto deve essere accertato nelle forme della verifica del passivo anche ai fini della determinazione del quantum dell’altrui credito garantito (art. 201, comma 1 e comma 3, lett. b), CCII)[26].
A circoscrivere innovativamente sul piano oggettivo la tutela inibitoria è invece senz’altro la previsione di un limite temporale, come già accennato nel precedente paragrafo, essendo previsto che il divieto di azioni esecutive non può avere una durata in prima battuta eccedente i quattro mesi, e che la stessa può essere prorogata per un arco temporale comunque non eccedente i dodici mesi complessivi (art. 8 CCII).
Nel caso della misure accordate nel percorso di composizione negoziata, poi, la durata massima della tutela è più breve, pari a duecentoquaranta giorni, con l’ulteriore precisazione che il tempo già fruito dall’imprenditore che vi abbia avuto accesso va dedotto, in caso di accesso consecutivo ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, da quello massimo di dodici mesi.
Ne deriva che, una volta decorsi i termini sopra indicati, le azioni esecutive individuali nelle more sospese potranno essere riavviate ed i creditori potranno validamente introdurne di nuove, pur quando sia ancora pendente la procedura concorsuale.
Secondo alcuni autori il rischio di un pregiudizio per l’imprenditore che vada incontro alla possibile vanificazione delle finalità della procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza andrebbe in tal caso tutelato con il diverso strumento delle misure cautelari concesse dal giudice, sempre che l’ulteriore tutela richiesta, necessariamente destinata ad operare nei confronti di singoli creditori e non erga omnes, possa considerarsi funzionale alla conservazione degli effetti della procedura in vista della successiva omologa[27]. 
La soluzione appare ragionevole almeno nelle ipotesi in cui la scadenza del termine della misura protettiva non sia da imputarsi all’inerzia dell’imprenditore, ma alla durata del procedimento unitario, posto che per principio generale i tempi del processo non possono tradursi in danno dell’avente diritto.
Passando al piano dell’estensione soggettiva della tutela protettiva, una riflessione va fatta con riferimento alla possibilità di includere nel quadro della stessa anche azioni esecutive individuali promosse nei confronti di fideiussori o altri coobbligati e dei soci illimitatamente responsabili.
Nel vigore della legge fallimentare si era osservato che i fideiussori e i coobbligati dovessero essere pacificamente considerati estranei alla procedura concorsuale, in quanto nei loro confronti non poteva prodursi alcun effetto esdebitatorio, come espressamente previsto dall’art. 184 L. fall. in deroga al principio di necessaria limitazione dell’obbligazione fideiussoria sancito dall’art.  1941 c.c.
Si intendevano dunque sottratte al divieto di azioni esecutive quelle promosse nei confronti del terzo fideiussore o datore di pegno/ipoteca dell’imprenditore in concordato, persino quando egli avesse posto il proprio patrimonio a garanzia dell’esecuzione della proposta (concordato con garanzia) o ceduto singoli beni per l’esecuzione degli obblighi concordatari, e tanto indipendentemente dalla circostanza che l’azione esecutiva fosse promossa da un suo creditore individuale o da un creditore concorsuale per una garanzia anteriormente costituita in proprio favore.
Si osservava infatti che i creditori del terzo garante non sono soggetti alla falcidia concordataria e che egli non è il debitore insolvente o in crisi che beneficia degli effetti esdebitatori del concordato, tenuto conto che “il divieto di cui alla l.f. art. 168  è volto ad evitare la disgregazione del patrimonio del debitore che ha chiesto di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo, dunque non investe le azioni esecutive rivolte contro beni di terzi, i quali siano stati concessi a garanzia del credito del debitore poi ammesso al concordato”[28].
Considerazioni diverse valevano per il socio illimitatamente responsabile, il quale, salvo patto contrario, fruisce degli effetti esdebitativi derivanti dall’omologa dello strumento di regolazione della crisi[29] e dunque non può considerarsi in posizione di terzietà rispetto alla società ammessa alla tutela protettiva del patrimonio.
Ne consegue che il socio di società di persone, anche se in precedenza costituitosi fideiussore (Cass. SS.UU., 24 agosto 1989, n. 3748), ovvero terzo datore di pegno o ipoteca (Cass. SS.UU., 16 febbraio 2015, n. 3022) gode della tutela protettiva rispetto alle azioni esecutive promosse dai creditori sociali, restando in definitiva esposto esclusivamente alle iniziative individuali dei propri creditori particolari[30].
Le conclusioni sopra riportate non appaiono scalfite dall’attuale disciplina delle misure protettive restando anch’essa riferita esclusivamente al patrimonio (e all’azienda) dell’imprenditore, e questo nonostante sia fuor di dubbio che la garanzia della continuità aziendale, in presenza di società sottocapitalizzate e fortemente assistite da garanzie di terzi, passi anche attraverso la ristrutturazione dei debiti di questi ultimi.
Va evidenziato, al riguardo, che la Direttiva Insolvency lascia al legislatore nazionale la facoltà di ammettere al beneficio della sospensione delle azioni esecutive individuali anche i terzi garanti, fra cui fideiussori e prestatori di garanzie reali (considerando n. 32), e tuttavia non pare che questa opzione sia stata esercitata dallo Stato italiano, essendo dunque rimessa la soluzione della crisi da sovraindebitamento del fideiussore o del terzo garante ad altri strumenti, quali il concordato minore ove l’entità dell’indebitamento lo consenta.
In un precedente in materia di composizione negoziata, la tutela al patrimonio dei fideiussori è stata negata sulla scorta della motivazione che “esulano dunque dal perimetro applicativo delle misure protettive i patrimoni dei terzi fideiussori, non potendo la garanzia personale essere equiparata ad un bene strumentale al complesso produttivo aziendale”, ed inoltre che “non vi è dubbio che la composizione negoziata possa consentire anche al fideiussore una riduzione della propria esposizione all’esito delle trattative, ma ciò avviene, per scelta del legislatore, al di fuori di un meccanismo di protezione interno alla procedura de qua, essendo questo invece riservato, nel caso di situazioni di sovraindebitamento personale, a strumenti di regolazione differenti”[31].
In linea di continuità con la giurisprudenza sopra illustrata è anche un’altra pronuncia[32] che, sempre in tema di composizione negoziata, ha ammesso l’estensione della tutela protettiva al patrimonio dei fideiussori, ma solo in quanto essi rivestivano anche la qualità di soci illimitatamente responsabili.
Di particolare interesse è poi la questione della riferibilità soggettiva della tutela protettiva ai crediti che abbiano titolo o causa successiva alla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese (anche se nelle forme della domanda con riserva ex art. 161, comma 6 L. fall.) o al del deposito e pubblicazione degli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis L. fall.)[33].
Per espressa previsione normativa il divieto di azioni esecutive e cautelari nel regime della vecchia legge fallimentare riguardava solo i creditori anteriori, dal che si poteva desumere, a contrario, argomento favorevole a consentire ai creditori posteriori, purché muniti di titolo già esecutivo, di agire coattivamente sui beni dell’imprenditore, compresi quelli destinati a garantire, tramite cessione o tramite gestione in continuità aziendale, la soddisfazione del fabbisogno concordatario
I sostenitori della tesi esposta spendevano, oltre all’argomento letterale tratto dall’art. 168 L. fall., anche quello sistematico, evidenziando quando il legislatore ha voluto coinvolgere anche i creditori posteriori lo ha fatto espressamente, ad esempio nel fallimento (ex art. 51 L. fall.) e nella crisi da sovraindebitamento delle imprese minori (art. 12, comma 3, 12 ter comma 2 e 14 duodecies, comma 1, L. n. 3/2012)[34].
Non mancavano nella opinioni contrarie fondate su argomenti sistematici egualmente incisivi, ed in particolare, ancora una volta, sulla necessità di preservare il patrimonio dell’imprenditore da ogni iniziativa esecutiva durante la fase anteriore all’omologa al fine di non vanificare il piano volto alla soluzione della crisi e dell’insolvenza, da cui si faceva derivare che i creditori posteriori avrebbero potuto reagire alla non regolare soddisfazione del credito solo dimostrando che essa palesasse in modo manifesto l’inattuabilità della proposta, proponendo, quali interessati, opposizione all’omologa ovvero, nel caso del concordato preventivo, sollecitando il commissario giudiziale a riferire al tribunale per l’apertura del procedimento di revoca ex art. 173 L. fall.
Alla luce della nuova formulazione dell’art. 54, comma 2, CCII, con la scomparsa di ogni riferimento all’anteriorità del titolo o della causa del credito, viene meno il principale argomento letterale speso dai sostenitori della tesi più restrittiva, dal che potrebbe desumersi che in linea generale la tutela protettiva negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza si estende ante omologa a tutti i creditori, compresi quelli il cui diritto è sorto successivamente alla pubblicazione della domanda giudiziale[35].
In senso contrario tuttavia, e riterrei con valore dirimente rispetto ad ogni altro argomento, deve considerarsi quanto previsto dall’art. 98 CCII con riferimento ai crediti prededucibili, la cui soddisfazione deve essere garantita in ogni tempo nel corso della procedura nel rispetto delle scadenze previste dalla legge o dal contratto.
Residuerebbe forse, ove ammessa e sempre che l’iniziativa dei creditori posteriori possa pregiudicare gli effetti dell’omologazione privando l’imprenditore di risorse essenziali per l’esecuzione della proposta e del piano, la tutela cautelare atipica, e tuttavia essa non può avere portata generalizzata sicché richiede, caso per caso, la verifica delle finalità e dell’opportunità della misura in contraddittorio con il creditore interessato. 
Va da ultimo precisato che distinzione fra crediti anteriori e posteriori all’avvio delle trattative non ha rilevanza nella composizione negoziata, non assumendo l’istituto i caratteri della procedura concorsuale, sicché la tutela protettiva deve ritenersi ivi rivolta senza dubbio alla generalità dei creditori, anche nell’ipotesi in cui agli stessi sia riconosciuto il beneficio della prededucibilità.
4 . Gli effetti dell’inibitoria sulle esecuzioni individuali dei creditori ante e post omologa
E’ ora il momento di esaminare quali sono gli effetti che la tutela protettiva produce sulle procedure esecutive pendenti, sugli atti di esecuzione compiuti in violazione dell’inibitoria, nonché su precetti e pignoramenti notificati dopo l’apertura del concorso.
L’art. 55, comma 2, CCII contiene, come si è già detto, elementi di novità rispetto all’art. 168 L. fall., non prevedendo più il divieto di azioni esecutive quale effetto automatico e necessario della pubblicazione della domanda di accesso allo strumento di regolazione della crisi, nonché svincolando la durata temporale della protezione da quello della procedura concorsuale.
Come già anticipato, dunque, la domanda ex art. 40 CCII determina l’apertura dell’ombrello protettivo a condizione che l’imprenditore ne abbia fatto espressa richiesta.
Ne deriva che il giudice dell’esecuzione, a fronte della contestazione relativa alla pendenza di un procedimento unitario per l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza, dovrà compiere verifiche più articolate che in passato, essendo tenuto ad esaminare la domanda dell’imprenditore al fine di verificarne il contenuto (l’imprenditore ha chiesto la misura protettiva? lo ha fatto erga omnes o limitandone la portata in senso oggettivo o soggettivo), nonché ad accertare se la misura sia stata confermata nel termine di efficacia provvisoria (trenta giorni) e se il termine di durata stabilito sia o meno decorso.
Non è peraltro escluso che il ricorrente differisca il momento della presentazione dell’istanza inibitoria ad un momento successivo, nel corso del procedimento unitario, facoltà che non sembra essergli affatto preclusa, come già evidenziato nel primo paragrafo di questo scritto.[36]
Non essendo prevista peraltro la retroattività degli effetti della protezione concessa successivamente, essi si produrranno solo dalla data del provvedimento confermativo, la cui emissione, mancando un’espressa autonoma forma di pubblicità camerale, sarà verosimilmente conoscibile dal G.E. solo con la sua acquisizione agli atti dell’esecuzione individuale.
Una volta scattato lo stay gli effetti sulle azioni esecutive sono disciplinati allo stesso modo di quanto prevedeva l’art. 168 L. fall.[37]
La tutela protettiva ha la finalità di assicurare che il patrimonio del debitore destinato alla soddisfazione dei creditori nelle modalità previste dalla proposta e dal piano sia conservato integro e al contempo che non si verifichi per effetto delle iniziative individuali dei creditori la violazione delle regole della par condicio. Ne consegue, secondo la tesi più accreditata e confermata da pronunce di legittimità divenute di riferimento[38], che il diritto dei creditori di agire in via esecutiva subisce una temporanea stasi incidendo non già sull’esigibilità del credito, bensì più esattamente sulla facoltà di proseguire le iniziative già intraprese o avviarne di nuove.
Ne consegue che il processo esecutivo pendente, sia esso mobiliare, immobiliare o presso terzi, entra una situazione di quiescenza dovuta alla diversa destinazione diremmo “collettiva” che l’imprenditore protetto intende attribuire ai beni o diritti pignorati.
Si ritiene che, anche d’ufficio ed indipendentemente dalla proposizione di un’opposizione esecutiva, il giudice dell’esecuzione è tenuto a dichiarare la temporanea improseguibilità dell’espropriazione con un provvedimento c.d. «di presa d’atto», sussumibile nel paradigma della sospensione ex art. 623 c.p.c.[39]
Trattandosi di atto meramente ricognitivo esso è non reclamabile, non presupponendo l’apprezzamento dei gravi motivi di cui all’art. 624 c.p.c., ed è altresì, per le medesime ragioni, inidoneo ad evolvere in estinzione secondo il meccanismo previsto dal terzo comma di quest’ultima disposizione.
Il carattere meramente temporaneo e non definitivo della protezione che assiste l’imprenditore, vieppiù alla luce della previsione di un termine di durata massima sancito dal Codice della Crisi, consente di ritenere ormai superata la diversa tesi, pure in passato divisata, secondo cui le procedure pendenti avrebbero dovuto, per effetto stay, essere dichiarate improcedibili, analogamente a quanto previsto, in caso di mancato subentro del curatore, nell’ipotesi di apertura del fallimento.
L’opzione interpretativa illustrata e condivisa comporta alcune importanti conseguenze sul piano operativo:
1) il G.E. non deve ordinare la cancellazione del pignoramento, come previsto invece per il caso di estinzione della procedura esecutiva dall’art. 632 c.p.c.;
2) laddove sia nelle more già intervenuta l’assegnazione o l’aggiudicazione del bene pignorato, deve essere emesso il decreto di trasferimento ai sensi dell’art. 187 bis disp. att. c.p.c. essendo salvi, a beneficio del terzo aggiudicatario o assegnatario, gli effetti degli atti esecutivi compiuti; ne consegue che l’acquirente avrà diritto ad ottenere il rilascio o la consegna della res, mentre resterà precluso il compimento delle successive attività distributive del prezzo incassato, da ritenersi destinabile alle finalità del concordato;
3) restano salvi gli effetti conservativi sostanziali del pignoramento, fra cui quello di rendere inopponibili al procedente e ai creditori intervenuti gli atti di disposizione o che limitano la disponibilità del bene pignorato compiuti dopo il pignoramento ma anteriormente alla pubblicazione della domanda di accesso al concordato[40], nonché, in caso di pignoramento presso terzi, quello di rendere indisponibile l’importo precettato aumentato della metà, che non andrà pertanto restituito al debitore pignorato;[41]
4) non viene meno la custodia del compendio pignorato, con che la procedura esecutiva continua a percepire gli eventuali frutti civili a cui il pignoramento si estende a norma dell’art. 2912 c.c., senza che essi possano essere restituiti al debitore, benché anche in tal caso destinabili in caso di omologa alle finalità della proposta e del piano[42];
5) al venir meno degli effetti della misure protettiva il procedimento potrà essere riassunto dal creditore procedente o di un creditore intervenuto munito di titolo entro un termine che non potrà essere quello perentorio assegnato ai sensi dell’art. 624 c.p.c. in caso di sospensione della procedura esecutiva per gravi motivi, ma che, in assenza di diversa previsione normativa, si ritiene debba essere quello generale di tre mesi previsto dall’art. 297 c.p.c., decorrente dalla data in cui è cessata la causa sospensiva.
A tale ultimo riguardo va sempre ricordato che il dies ad quem della tutela protettiva non coincide più necessariamente, come in passato, con le sorti della procedura concorsuale sia essa positiva (definitiva omologazione) o negativa (definitivo diniego, inammissibilità, revoca), ma dipende dalle quelle del sub procedimento di cui all’art. 55 CCII, che può condurre all’autonoma cessazione delle misure, per decorrenza del termine di durata, per omessa proroga, per revoca anticipata, ovvero comunque per decorrenza del periodo massimo di efficacia stabilito dall’art. 8 CCII.
Di particolare interesse è la questione della sindacabilità dei limiti della tutela protettiva da parte del giudice dell’esecuzione a cui sia richiesta la sospensione delle azioni esecutive pendenti.
Se è pacifico che l’autorità giudiziaria adìta non è competente a verificare la sussistenza dei presupposti intrinseci della tutela protettiva, essendo tale valutazione riservata in via funzionale al giudice investito del subprocedimento di conferma, è tuttavia del tutto evidente che riconoscere nella sede dell’esecuzione la possibilità di vagliare i limiti estrinseci della tutela, sia in senso oggettivo o temporale che in senso soggettivo, consentirebbe di preservare le attività processuali svolte nell’esecuzione individuali e di consentire, con il rigetto immediato dell’istanza sospensiva, la celebrazione di aste di prossima celebrazione che sarebbero viceversa vanificate[43].
Va tuttavia considerato che una cosa è valutare la decorrenza di un termine, fatto oggettivo rispetto al quale non residua alcun margine discrezionale di sindacato da parte del giudice della tutela protettiva, altro verificare in via preventiva l’estensione della protezione a determinati creditori o a determinati beni del debitore, sicché ogni contestazione al riguardo dovrà essere riservata alla sede giudiziale a ciò deputata funzionalmente, quella della conferma delle misure protettive da parte del giudice designato ai sensi dell’art. 55 CCII.
Per altro verso, una volta che tale sia stato adottato il provvedimento di conferma, spetterà senz’altro al giudice dell’esecuzione valutarne la portata soggettiva ed oggettiva adottando le conseguenti statuizioni.
Laddove il giudice dell’esecuzione non abbia provveduto alla sospensione e siano stati compiuti atti dell’esecuzione, ovvero il procedimento esecutivo sia avviato (con la notifica del pignoramento) nonostante gli effetti dell’inibitoria, il rimedio esperibile è quello dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. atteso che viene fatta valere la non suscettibilità dei beni ad essere assoggettati ad esecuzione forzata in quanto assoggettati ad un vincolo di destinazione[44] o comunque la temporanea inidoneità del titolo esecutivo a dar corso alla procedura esecutiva[45], sicché il rimedio esperibile è sottratto al termine decadenziale di cui all’art. 617 c.p.c.
La legittimazione a proporre l’opposizione spetta esclusivamente al debitore, in quanto soggetto che rimane, pure in caso di accesso alla procedura di concordato preventivo, nella titolarità del patrimonio e della piena capacità di agire e resistere in giudizio[46].
E’ evidente peraltro che la tutela inibitoria può essere eccepita solo finché l’esecuzione sia ancora pendente, ragion per cui una volta che essa sia definitivamente conclusa si consolidano gli effetti degli atti esecutivi compiuti.
La questione ha assunto rilevanza concreta con riferimento alla procedura di pignoramento presso terzi, caratterizzata da una maggiore concentrazione temporale e che notoriamente si conclude con l’ordinanza di assegnazione.
E’ pacifico che quando l’ordinanza di assegnazione (e a fortiori il pignoramento) siano anteriori alla pubblicazione del ricorso per l’accesso alla procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza, il creditore potrà esigere le somme dal debitor debitoris con effetti liberatori per quest’ultimo e senza possibilità di recupero delle stesse alla procedura concorsuale, e ciò anche se il pagamento sia eseguito successivamente alla sua apertura[47].
Ne deriva che non opera nel concordato preventivo la possibilità per l’imprenditore di provvedere alla ristrutturazione del debito quando il creditore pignorante sia stato “soddisfatto” con assegnazione di un credito anteriormente all’apertura della procedura.
I pagamenti eseguiti post apertura della procedura concorsuale non potranno dirsi, infatti, inefficaci, atteso che l’art. 96 CCII, nel richiamare le disposizioni della liquidazione giudiziale non fa anche rinvio all’art. 144 CCII, sull’inefficacia dei pagamenti eseguiti con denaro o risorse del debitore, né è consentito all’imprenditore che accede allo strumento di regolazione della crisi l’eccezionale facoltà di falcidiare crediti anteriormente assistiti da meccanismi autoliquidanti, fra cui rientra anche l’assegnazione forzosa del credito[48].
Analoga conseguenza trae la giurisprudenza di legittimità, per le ragioni sopra esposte, anche nel caso in cui, essendo l’assegnazione intervenuta successivamente all’apertura del concorso, il debitore ammesso alla procedura non abbia chiesto la sospensione della procedura esecutiva provocando la definitività del provvedimento reso dal giudice dell’esecuzione, sicché in tal caso il pagamento eseguito dal debitor debitoris non potrà essere da quest’ultimo ripetuto[49].
E veniamo ora al tema probabilmente più controverso e meno esplorato dalla giurisprudenza in epoca anteriore alla riforma, ovvero quello della prosecuzione degli effetti della tutela contro le azioni esecutive individuali nel periodo posteriore all’omologa.
La questione ha fatto sorgere un vivace dibattito nella materia del concordato preventivo, essendo per contro lo strumento degli accordi di ristrutturazione foriero di minori dubbi interpretativi, posto che mentre i creditori aderenti restano vincolati agli obblighi derivanti dall’accordo omologato (così come quelli non aderenti negli a.d.r. ad efficacia estesa alle condizioni ivi stabilite), i creditori estranei restano soggetti ad una moratoria forzosa per un tempo limitato, ritornando, invece, decorsi centoventi giorni dall’omologa, pienamente legittimati all’esercizio delle azioni esecutive.
Quanto al concordato preventivo, dalla lettera dell’art. 168 L. fall. molti interpreti ricavavano un argomento decisamente contrario al protrarsi della tutela protettiva alla fase esecutiva, in quanto la norma espressamente limitava la durata dell’inibitoria al momento (coincidente con la chiusura della procedura ex art. 181 L. fall.) in cui il decreto di omologazione diviene definitivo, desumendone quindi la possibilità per ciascun creditore, indipendentemente dalla natura e dalla data di formazione del titolo del credito, di avviare successivamente o proseguire, se già pendenti, le azioni esecutive individuali.
Si riteneva, a fondamento di questa tesi, che gli effetti obbligatori dell’omologa, previsti dall’art. 184 L. fall. per ogni credito anteriore alla pubblicazione del ricorso, fossero unicamente quelli remissori (falcidia) o modificativi dei rapporti obbligatori (prestazione in luogo di adempimento) previsti nel piano, ma non quelli dilatori relativi alla tempistica dei pagamenti o alle modalità di realizzazione del credito (riparto in luogo dell’esecuzione diretta della prestazione pecuniaria), con la conseguenza che il creditore non avrebbe dovuto attendere le scadenze del piano omologato per avviare o riassumere l’esecuzione forzata[50].
L’adesione a questo orientamento portava a ritenere che il giudice dell’esecuzione non debba dichiarare l’estinzione delle procedure esecutive pendenti una volta intervenuto il provvedimento di omologazione, onde non pregiudicare le possibilità di realizzazione del credito da parte degli aventi diritto, disponendo questi ultimi, pure in caso di concordato con cessione di beni, dell’alternativa fra la realizzazione del credito in forma individuale, ovvero l’esecuzione del mandato a vendere da parte del liquidatore e l’esecuzione del riparto concorsuale[51].
Per le medesime ragioni l’eventuale opposizione dell’imprenditore ex art. 615 c.p.c. alle procedure di nuova introduzione nella fase esecutiva dovrebbe essere ogni caso disattesa[52].
In tal senso è parso ad alcuni interpreti essere indirizzata anche la giurisprudenza di legittimità quando ha affermato, con orientamento protrattosi fino in tempi recenti, che nella fase esecutiva del concordato ciascun creditore può legittimamente costituire in mora il debitore in concordato, non essendovi impedimenti di diritto all’esercizio della pretesa creditoria, con la conseguenza che il termine di prescrizione, non subisce né un effetto interruttivo (mancando una previsione analoga a quella dell’art. 94 L. fall.) né sospensivo[53].
Di diverso avviso altra parte della dottrina e della giurisprudenza che evidenziava come l’effetto protettivo di cui all’art. 168 L. fall. non ha ragione di protrarsi nella fase post omologa, in quanto tutti i creditori anteriori restano vincolati ex lege, anche se pretermessi e non convocati in sede di adunanza, agli effetti dell’omologa, con la conseguenza che la pretesa di ciascuno subisce una modifica non solo sul piano del quantum e dell’oggetto della prestazione, ma altresì sul piano dei tempi e delle modalità di esecuzione del pagamento, se del caso previsto mediante cessione dei beni e ripartizione del ricavato da parte del liquidatore giudiziale.[54]
La conseguenza di tale impostazione teorica è che, fino alla risoluzione del concordato preventivo ed il ripristino delle condizioni originarie del credito, i creditori anteriori non potranno né avviare nuove azioni esecutive, né proseguire quelle pendenti, posto che il titolo deve intendersi non più idoneo a sorreggere l’azione esecutiva avviata (nota Tosi p. 521), con la conseguenza che le procedure pendenti dovranno essere dichiarate definitivamente improcedibili.
L’impostazione da ultimo suggerita risulta anche condivisa dalla recentissima Cass., 7 dicembre 2022, n. 35960, che, disattendendo il precedente indirizzo, individua nell’omologa del concordato preventivo un impedimento di diritto alla libera esazione del credito e dunque alla valida costituzione in mora del debitore con effetti interruttivi, argomentando al riguardo che “il silenzio del legislatore quanto al blocco delle azioni esecutive e cautelari nel periodo successivo al momento in cui diviene definitivo il decreto di omologa si spiega, a ben vedere, in quanto in tale segmento di tempo l'eventuale improponibilità delle azioni esecutive e cautelari trova il proprio autonomo fondamento nel disposto dell'art. 184, comma 1, I. fall.”, con la conseguenza che i crediti concorsuali per i quali sia previsto il pagamento mediante riparto dovranno sottostare a tale modalità e tempistica di soddisfazione e le procedure esecutive pendenti andranno estinte.
Venendo al Codice della Crisi, la scomparsa di ogni riferimento, nell’art. 54, comma 2, CCII, all’omologa quale momento di cessazione degli effetti della tutela inibitoria non pare potersi spiegare nel senso che il legislatore abbia voluto prendere posizione sulla questione sopra tratteggiata, ma solo in considerazione della naturale temporaneità delle misure protettive, destinate ad esaurire i loro effetti alla scadenza anche anteriore alla sentenza di omologazione.
Ne consegue che le problematiche interpretative segnalate saranno destinate a riproporsi in futuro in termini sostanzialmente analoghi.
Con riferimento alla fase post omologa restano poi insolute altre due questioni di assoluto rilievo, non agevolmente risolvibili indipendentemente da quale degli orientamenti sopra esposti si voglia preferire.
La prima riguarda il trattamento dei crediti posteriori, dovendo includersi in questa nozione, tanto quelli c.d. intermedi, sorti dopo il deposito del ricorso e fino alla data dell’omologa, quanto quelli successivi, il cui momento genetico si colloca nella fase esecutiva del concordato preventivo.
Per questa categoria di creditori il riferimento all’obbligatorietà del provvedimento di omologa quale motivo di divieto all’agire in via esecutiva non pare utile né appagante, atteso che essi non subiscono gli effetti vincolanti della proposta né possono in alcun modo partecipare al voto per la sua approvazione.
Ne consegue, secondo un primo orientamento, che i creditori posteriori non vanno incontro a limitazioni di sorta all’esercizio delle azioni esecutive individuali in fase post omologa[55].
E’ stato d’altro canto ravvisato che una simile opzione interpretativa rischia di sacrificare in modo eccessivo i creditori concorsuali, i quali, se ritenuti soggetti alle limitazioni derivanti dal vincolo dell’omologa, si vedrebbero esposti al rischio della sottrazione, a vantaggio dei creditori posteriori, delle stesse risorse destinate dall’imprenditore alla realizzazione degli scopi della procedura.
Una simile conseguenza appare infatti giustificata quando il credito successivo abbia anche rango prededucibile perché sorto in funzione della proposta e del piano (ad esempio per atti compiuti dagli organi della procedura o dallo stesso imprenditore per realizzare le finalità della proposta attraverso, come nel caso di nomina di professionisti per resistere alle azioni giudiziali promosse da creditori contestati), ma molto meno se sorto per scopi estranei (si  pensi ai crediti derivanti dalla gestione corrente nel caso di continuità diretta) o addirittura contrari alle finalità dello strumento di  regolazione della crisi.
Si è dunque sostenuto che l’omologazione del concordato preventivo dovrebbe dar luogo ad un fenomeno di segregazione patrimoniale[56], imprimendo ad alcuni beni (quelli ceduti ai creditori anteriori) un vincolo di destinazione che li sottrae all’aggressione dei creditori posteriori, salvo che questi ultimi non godano del beneficio della prededuzione in quanto titolari di pretese funzionali agli scopi della procedura o sorti in occasione della stessa.
Vi sarebbero dunque due patrimoni separati, uno ceduto ai soli creditori concorsuali e vincolato alla loro esclusiva soddisfazione ed un altro, quello formato dai beni aziendali non soggetti alla liquidazione o prodotto ex novo con i proventi della continuità aziendale diretta, suscettibile di rispondere nei confronti della generalità dei creditori, anteriori e successivi, ma con la differenza che i primi, diversamente dai secondi, al fine di promuovere azioni esecutive, sono onerati di richiedere la previa risoluzione del concordato[57].
L’ulteriore questione irrisolta è quella relativa alla cancellazione dei pignoramenti trascritti sui beni dell’imprenditore la cui proposta è stata omologata.
Aderendo alla tesi secondo cui, per effetto dell’omologa, il titolo esecutivo azionato dal creditore anteriore non è più idoneo a reggere l’iniziativa espropriativa[58], non dovrebbero esservi ostacoli all’emissione dell’ordine di cancellazione.
Quanto al giudice che deve provvedersi è possibile sostenere che, se il piano di concordato prevede la vendita competitiva del bene mobile registrato o dell’immobile - anche ante omologa in caso di offerte concorrenti - il potere di cancellazione spetterà giudice delegato al momento del trasferimento, così come previsto espressamente per il caso di concordato con cessione di beni dall’art. 182 L. fall. (per effetto del rinvio all’art. 108 L. fall.) ed oggi dall’art. 114, comma 4, CCII.
Per contro, in caso di beni che l’imprenditore intende preservare nell’ottica della continuità aziendale o trasferire ai creditori in virtù di negozi di diritto privato, se in precedenza pignorati, la cancellazione non potrà che essere disposta dal giudice dell’esecuzione in conseguenza dell’improcedibilità definitiva delle azioni esecutive, conseguente alla definitività dell’omologa[59].
Ne deriva che, una volta intervenuta la cancellazione del pignoramento, l’inadempimento degli obblighi concordatari imporrà ai creditori anteriori di agire per la risoluzione del concordato al fine di rimuovere l’ostacolo alla possibilità di agire in executivis e quindi promuovere un nuovo pignoramento sulla base del titolo originario, salva la facoltà di chiedere l’apertura della liquidazione giudiziale.

Note:

[1] 
Si tratta all’evidenza di uno strumento eccezionale, atteso che comporta la negazione, ancorché temporanea, del diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata. La limitazione si giustifica in quanto la tutela del credito si realizza sempre con mezzi giudiziari, anche se integrantisi con attività negoziali, in modo più conveniente e spedito che non attraverso la procedura fallimentare, ragion per cui deve ritenersi manifestamente infondate la questione di legittimità costituzionale dell’art. 168 L. fall. in relazione all’art. 24 Cost. (così Cass., 24 gennaio 1981, n. 567).
[2] 
Nel caso del concordato con liquidazione del patrimonio la soddisfazione assicurata ai creditori deve essere addirittura necessariamente migliorativa rispetto all’alternativa liquidatoria, essendo previsto che l’imprenditore assicuri un apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il dieci per cento l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda e assicuri il soddisfacimento dei creditori chirografari e dei creditori privilegiati degradati per incapienza in misura non inferiore al venti per cento del loro ammontare complessivo (art. 84, comma 4, CCII).
[3] 
P. Farina, Tutela esecutiva individuale, misure protettive e procedure negoziali di composizione della crisi: un (complesso) ménage à trois in evoluzione, in Riv. Es. Forzata 2/2019, p. 274, parla giustamente di una preclusione temporanea, assoluta e automatica.
[4] 
E’ noto che l’art. 168 L. fall. non prevede, diversamente dall’art. 51 L. fall., deroghe al divieto di azioni esecutive, che, pertanto, nel concordato preventivo deve ritenersi esteso anche al creditore fondiario (Cass. 19/03/1998, n. 2922).
[5] 
Secondo Cass., 22 dicembre 2015, n. 25802 la proposizione di una domanda di concordato preventivo determina, ai sensi dell'art. 168, comma 1, L. fall., non già l'estinzione ma l'improseguibilità del processo esecutivo, che entra in una situazione di quiescenza perché i beni che ne costituiscono l'oggetto materiale perdono de iure e provvisoriamente la destinazione liquidatoria così come progettata con il pignoramento, con la conseguenza che il giudice dell'esecuzione correttamente provvede, ex artt. 486 e 487 c.p.c., a sospendere la vendita eventualmente fissata.
[6] 
L’art. 161, comma 6, L. fall. si occupava anche di contenere la tutela anticipata dell’imprenditore in un arco temporale limitato stabilendo che il termine per il deposito della proposta e del piano non poteva eccedere i centoventi giorni prorogabili per una sola volta di ulteriore sessanta giorni in presenza di giustificati motivi. Allo scopo di ulteriormente contenere la durata dell’inibitoria nella fase c.d. in bianco il D.L. n. 83/2012, conv. con mod. in L. n. 134/2012 aveva aggiunto alla norma il comma 10, stabilendo che in pendenza di ricorso per la dichiarazione di fallimento il primo termine concedibile non poteva eccedere i sessanta giorni, prorogabili, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.
[7] 
Segnala il possibile abuso dello strumento sospensivo, R. D’Alonzo, La composizione negoziata della crisi e l’interferenza delle misure protettive nelle procedure esecutive individuali, in Riv. Es. Forzata, 4/2021, pp. 880 e ss., evidenziando come neppure il controllo giudiziale sulle misure protettive, previsto a valle della loro provvisoria efficacia, come previsto dalla normativa di nuovo conio, appare sufficiente a prevenire l’accesso abusivo allo strumento al solo fine di impedire la celebrazione di un esperimento di vendita nella sede dell’esecuzione individuale.
[8] 
Emerge inoltre con forza che la Direttiva Insolvency sancisce un nesso di strumentalità necessaria la tutela protettiva e lo svolgimento delle trattative in modo proficuo e secondo regole di buona fede, principio dal quale dovrebbe desumersi la loro inscindibile connessione, e dunque la regola secondo cui non può esservi tutela senza trattative (simul stabunt simul cadent). Il tema non può essere qui affrontato considerato il diverso oggetto della trattazione, ma pone senza dubbio un problema di compatibilità fra le misure protettive e le procedure in cui non vi è alcun negoziato con i creditori, né nelle forme della contrattazione fra privati (come negli a.d.r.), né nelle forme della “trattativa giudiziale” mediante esercizio del voto (come nel concordato preventivo o nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. E’ oggetto di ampio dibattito anche per tale ragione la possibilità di ricorrere alle misure protettive nel concordato semplificato, strumento che non prevede alcun voto dei creditori ed anzi presuppone, ai sensi dell’art. 25 sexies CCII, la conclusione e l’esito non positivo delle trattative. Sull’ammissibilità della tutela protettiva nel concordato semplificato si vedano gli opposti orientamenti di Trib. Torino, 25 novembre 2022 (sfavorevole) e Trib. Milano, 16 settembre 2022 (favorevole), nonché il precedente inedito del Trib. Avellino, 23 marzo 2023, allegato al materiale del presente contributo, che ammette il ricorso alternativo alle misure cautelari con analoga finalità inibitoria delle esecuzioni forzate individuali.
[9] 
Nel caso delle trattative per la conclusione di accordi di ristrutturazione è previsto che l’effetto della protezione sia semiautomatico solo a condizione che l’imprenditore acceda al percorso di composizione negoziata o formuli domanda con riserva ex art. 44 CCII, subendo in tal caso lo spossessamento attenuato, potendo in alternativa solo ricorrere allo strumento dell’art. 54, comma 3, CCII che fa scattare l’ombrello protettivo solo a seguito di un provvedimento giudiziale (art. 55, comma 2, CCII), previa instaurazione del contraddittorio con i creditori.
[10] 
Così Trib. Roma, 4 novembre 2022.
[11] 
Trib. Lecco, 1 marzo 2023, pur ammettendo che il giudice adìto per la conferma del divieto di azioni esecutive individuali possa respingere l’istanza, esclude che tanto possa avvenire almeno nella maggior parte dei casi, potendo una siffatta decisione di revoca degli effetti protettivi anticipati delle misure protettive intervenire solo quando lo stay non sia necessario o non soddisfi l’obiettivo di agevolare le trattative e purché tale rifiuto non sia suscettibile di compromettere la ristrutturazione dell’impresa.
[12] 
Secondo Trib. Roma, 3 febbraio 2022 è inammissibile la richiesta di imporre genericamente a tutti i creditori il divieto di acquisire diritti di prelazione e di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio della società in pendenza della procedura di composizione negoziata della crisi. In senso analogo Trib. Milano, 24 febbraio 2022, secondo cui in materia di composizione negoziata della crisi d’impresa i soggetti attinti dalle misure di protezione devono essere individuati esclusivamente fra coloro che abbiano posto o siano prossimi a dar corso iniziative esecutive, assumendo una posizione antagonista rispetto all’imprenditore che conduce le trattative, così come specificato nel ricorso giudiziale, posto che il concetto di parte non può che essere desunto dall’art. 101 c.p.c. e che l’individuazione del bene della vita in ragione del quale il procedimento ex art. 7 D.L. n. 118/2021 è introdotto, ossia garantire la prosecuzione e buona riuscita delle trattative paralizzando le iniziative avverse, non può andare esente dall’onere di instaurare il contraddittorio nei confronti dei destinatari della richiesta tutela.
[13] 
Secondo il Trib. Bergamo, 5 aprile 2022 deve ritenersi consentito all’imprenditore, il quale intende realizzare il percorso di risanamento in continuità indiretta mediante cessione dell’intero complesso aziendale, richiedere una tutela generalizzata erga omnes senza dover specificare nella domanda quali misure siano funzionali all’attuazione del piano e al buon esito delle trattative, dovendo in tal caso notifica dell’istanza essere estesa a tutti i soggetti inseriti nell’elenco e dovendo essere semmai i singoli creditori nel costituirsi a rappresentare le ragioni ostative all’applicazione della tutela nei loro confronti. In senso analogo Trib. Parma, 10 luglio 2022 e Trib. Padova, 25 febbraio 2022 che ha richiesto in caso di misure protettive erga omnes la notifica estesa all’intero ceto creditorio, così come Trib. Ivrea, 7 settembre 2022.
[14] 
Secondo L. Baccaglini, Composizione negoziata della crisi e misure protettive: presupposti, conseguenze ed effetti della loro selettività sulle azioni esecutive individuali, Il Fall. 8-9/2021, p. 1109, va sottolineata la diversa disciplina del meccanismo di selezione dei destinatari delle misure protettive nella composizione negoziata rispetto agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, atteso che in questi ultimi il giudice potrà solo confermare o revocare l’istanza dell’imprenditore ma non modificarla, selezionando quali misure protettive far operare o limitandone i destinatari.
[15] 
Esclude la necessità di previa instaurazione del contraddittorio alla luce del chiaro tenore letterale della norma, Trib. Roma, 4 novembre 2022.
[16] 
Si pone in tutta evidenza un problema di decorrenza del termine per l’impugnazione del decreto di conferma delle misure protettive, non essendone prevista la notifica ai destinatari, di tal che questi ultimi ne saranno informati unicamente con la pubblicazione nel registro delle imprese. Pare dunque questo il dies a quo a partire dal quale va calcolato il termine perentorio di quindici giorni per proporre il reclamo collegiale ex art. 669 terdecies c.p.c. Divenuto irrevocabile il decreto per mancata proposizione tempestiva del reclamo, il creditore che subisce il divieto di azioni esecutive non potrà eccepire al giudice dell’esecuzione l’inefficacia della misura protettiva per il solo motivo di non essere stato previamente convocato in sede di conferma. Molte delle ragioni di contestazione potranno peraltro essere recuperate successivamente sul presupposto che la misura non soddisfa più l’obiettivo di agevolare le trattative, essendo tale rimedio proponibile ex art. 55, comma 5, CCII su istanza di ogni creditore.
[17] 
Che quello ex art. 54, comma 3, CCII sia un autonomo procedimento cautelare proponibile ante causam, al di fuori del procedimento unitario, si trae agevolmente dalla lettera della norma che non fa rinvio né all’art. 40, né all’art. 44 CCII. Del resto l’art. 25 quinquies CCII nell’individuare i possibili procedimenti la cui pendenza preclude l’accesso alla composizione negoziata indica separatamente quello regolato dall’art. 54, comma 3, CCII, dimostrando che ad esso è possibile accedere prima di introdurre il procedimento unitario e senza necessità di presentare domanda in bianco ai sensi dell’art. 44 CCII.
[18] 
Così sembra concludere anche G. Finocchiaro, I riflessi del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza sull’esecuzione forzata, in Riv. Es. Forzata 3/2022, p. 830 e ss., giungendo a parlare di “principio di eccezionalità della sospensione delle azioni esecutive individuali” nella nuova disciplina delle misure protettive. Emblematica è la conclusione a cui giunge Trib. Milano, 17 gennaio 2022, sia pure con riferimento alla materia della composizione negoziata, affermando che “l’automatic stay tendenzialmente stabile nel tempo e senza coinvolgimento partecipativo dei creditori, nella prospettiva di cui all’art. 161 comma 6 l.f., in forza di quanto previsto dalla Direttiva 1023/1029, appare ormai un modello destinato ad essere superato”.
[19] 
La possibilità che un creditore si avvantaggi rispetto ad altri in pendenza di concordato non era peraltro esclusa in senso assoluto nella vigenza della legge fallimentare, atteso che la giurisprudenza propendeva per riconoscere l’irretrattabilità degli effetti dell’assegnazione di un credito in sede di esecuzione presso terzi non solo quando il provvedimento conclusivo della procedura esecutiva fosse stato adottato ante concordato, ma anche quando esso fosse successivo all’apertura del concorso, ma l’imprenditore avesse omesso di proporre opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. Cfr. al riguardo Cass., 15 febbraio 2021, n. 3859. Sulla questione si ritornerà più avanti nel testo.
[20] 
Sul tema, ampiamente, M. Ratti, L’escussione coattiva di beni del terzo garante da parte del creditore pignoratizio, Il Fall. 1/2018, 47 e ss.; nonché M. Spadaro, La protezione del patrimonio del debitore in concordato preventivo, tra interpretazione estensiva dell’art. 168 L. fall. e nuove misure protettive e cautelari previste dal codice della crisi, Il Fall. 4/2019, 521 e ss.
[21] 
Nei termini riportati nel testo Trib. di Frosinone, 24 ottobre 2014 e Trib. Roma, 13 agosto 2018.
[22] 
In questi termini Trib. Roma, 14 aprile 2021, in Il Fall. 11/2021, 1421, cui segue nota critica di C. Trentini, Terzo datore d’ipoteca ammesso al concordato preventivo e divieto di azioni esecutive, il quale evidenzia che “è ben difficile sottrarsi alla constatazione che la regola dell’inammissibilità di azioni esecutive individuali non possa non valere indifferentemente a presidio di tutti i beni del debitore, siano le pretese esecutive provenienti dai suoi creditori, siano esse riferibili a titolari di diritti di garanzia reale sui suoi beni, per debiti altrui (ovvero nel caso in cui il terzo abbia ottenuto sentenza di revocatoria ordinaria relativa ad un bene acquistato dal debitore, in tal caso essendo, egli, d’ordinario, legittimato ad espropriare il bene, del terzo, a soddisfazione di un credito ch’egli vanta verso un terzo, il dante causa del negozio traslativo impugnato)”.
[23] 
C. Trentini, op. cit., p. 1427.
[24] 
Deve segnalarsi Trib. Padova, 20 luglio 2022, secondo cui rientra fra le misure protettive ottenibili dall’imprenditore nella composizione negoziata della crisi l’inibitoria, rivolta al locatore dell’immobile in cui è esercitata l’attività di impresa, a non proseguire l’iniziativa giudiziale già intrapresa consistita nella notifica dell’intimazione di sfratto per morosità, trattandosi di conseguenza derivante dal divieto per i creditori interessati dalle misure di provocare la risoluzione dei contratti pendenti.
[25] 
Anche coloro che propendono per l’estensione della tutela all’inibizione di azioni per consegna e rilascio evidenziano che essa è destinata a venir meno dopo l’omologa, con ovvia inammissibilità di soluzioni concordatarie che pretermettano il diritto dell’avente diritto alla restituzione del bene o si fondino sulla prosecuzione dell’utilizzo di beni oramai detenuti senza titolo per la mancanza di un accordo con il titolare.
[26] 
Sul carattere innovativo del trattamento del terzo titolare di garanzia sui beni del debitore in liquidazione giudiziale, rispetto alla previgente disciplina della legge fallimentare, vedasi la recentissima Cass. SS.UU., 27 marzo 2023, n. 8557.
[27] 
Per questa soluzione M. Fabiani, Le misure cautelari e protettive nel codice della crisi d’impresa, in Riv. dir. proc., 2019, 865.
[28] 
Cfr. sul tema Cass., 31 luglio 2017, n. 19007, con nota adesiva di M. Ratti, L’escussione coattiva di beni del terzo garante, cit., p. 47 e ss.
[29] 
Oggi, ex art. 59 CCII, per espressa previsione di legge tale beneficio si estende al socio illimitatamente responsabile anche nel caso degli accordi di ristrutturazione e salvo non abbia prestato garanzia per l’esecuzione del piano.
[30] 
Fra i rimedi esperibili dal socio illimitatamente responsabile al fine di evitare che l’iniziativa dei creditori individuali possa pregiudicare la destinazione dei beni personali alle finalità del concordato vi è quella della costituzione di un trust o di un patrimonio destinato ai sensi dell’art. 2645 ter c.c.
[31] 
Ci si riferisce all’ordinanza del Trib. Avellino, 5 dicembre 2022.
[32] 
Trib. Venezia, 6 febbraio 2023.
[33] 
Le regole esposte per i creditori posteriori sono valide anche nel caso degli accordi di ristrutturazione, atteso che nella categoria dei crediti estranei, soggetti all’operatività delle misure protettive e alla moratoria di centoventi giorni post omologa, devono ritenersi compresi solo i creditori anteriori non aderenti all’accordo, i quali diversamente dai creditori posteriori sono computati ai fini del calcolo delle maggioranze di legge.
[34] 
La definizione di credito posteriore è più precisa e pertinente rispetto a quella di credito prededucibile, atteso che la prededucibilità è riconosciuta dalla legge a determinate condizioni, sicché deve prendersi atto dell’esistenza di debito posteriori al deposito del ricorso per l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi che non rivestono carattere prededucibile, e come tali non possono precedere nelle modalità di soddisfazione i creditori concorsuali. A tale riguardo nel caso del concordato preventivo, in presenza del fenomeno dello spossessamento attenuato, un autore opera una distinzione fra i crediti posteriori sorti in virtù di atti legalmente compiuti dal debitore, ovvero per atti di ordinaria amministrazione e di straordinaria autorizzazione debitamente autorizzati, o in virtù di atti compiuti dagli organi della procedura, ai quali non sarebbe stata preclusa la possibilità di aggredire il patrimonio dell’imprenditore in via esecutiva,  e quelli sorti in virtù di atti non opponibili alla massa (non legalmente compiuti) che non potrebbero trovare alcuna soddisfazione sul patrimonio posto a servizio della massa. Il riferimento è a G. D’Attorre, Creditori posteriori e doveri degli amministratori nell’esecuzione del concordato preventivo, in Rivista delle società, n. 2-3, 2018, 526 e ss.
[35] 
Così L. Baccaglini e L. Calcagno, Le misure protettive e cautelari nel CCII, in Dirittodellacrisi.it.
[36] 
Laddove si ritenga che la facoltà di richiedere successivamente la tutela protettiva debba essere esercitata sotto forma di istanza di “ulteriori misure temporanee”, ai sensi dell’art. 54, comma 2, CCII, terzo periodo, la protezione dovrebbe dispiegarsi, stando alla lettera della norma, non già con la pubblicazione dell’istanza nel registro delle imprese (formalità peraltro non espressamente prevista), ma con l’accoglimento del ricorso da parte del giudice monocratico, il quale in questa ipotesi non conferma, ma concede la protezione, se del caso in via d’urgenza inaudita altera parte, in tal caso disponendo la notifica del decreto agli interessati entro il termine perentorio di otto giorni. In senso contrario Trib. Roma, 4 novembre 2022, cit., secondo cui “le misure protettive possono essere richieste anche successivamente al deposito della iniziale domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi, mediante il deposito di una domanda integrativa che possa essere anch’essa – al pari del primo atto – iscritta nel registro delle imprese e contenente la richiesta di concessione delle misure ritenute necessarie, e dalla cui iscrizione possa determinarsi, ex lege, l’effetto protettivo destinato ad essere confermato o revocato dal Tribunale ex art. 55 co.3 del CCII”.
[37] 
Si è fatto notare che la norma contiene un elemento di novità anche sotto il profilo degli effetti dell’inibitoria, non essendo più specificato che la sanzione derivante dall’avvio o prosecuzione delle azioni esecutive è quella della “nullità”. Non sembra tuttavia potersi affermare che la nuova formulazione della norma sia nel senso di escludere la comminatoria di una siffatta sanzione, parimenti ricavabile dalla locuzione “i creditori non possono iniziare o proseguire”. In ogni caso l’atto esecutivo sarebbe posto in essere sulla base di un titolo provvisoriamente inidoneo a reggere l’iniziativa del creditore e dunque nullo per mancato raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156, comma 2, c.p.c.
[38] 
Cass., 2 dicembre 2015, n. 25802, chiarisce al riguardo che la natura del provvedimento con il quale il G.E. dispone la non prosecuzione dell’espropriazione “non può dirsi invero propria di una pronuncia di estinzione esecutiva (ex art. 632 cod. proc. civ.), né risulta anche solo dedotta alcuna avvenuta cancellazione della trascrizione del pignoramento, avendo in realtà essa all’evidenza svolto un diverso, e minore, ruolo: descrittivo da un lato dell’operatività di una ragione normativa concordatizia di preclusione a protrarre le operazioni di vendita, e ciò in applicazione della stretta dell’instaurato blocco alla prosecuzione delle relative azioni sul patrimonio del debitore (art. 168 co. 1 l. fall.) e, dall’altro, riflettente lo stato processuale che, dal quel momento, si andava ad instaurare nel processo espropriativo, il quale per ciò stesso (ed in base a quella medesima regola) entrava in una situazione di quiescenza, per sua natura provvisoria, perché i beni che ne erano l’oggetto materiale perdevano de jure e per intanto la destinazione liquidatoria così come progettata con il pignoramento”.
[39] 
P. Farina, Tutela esecutiva individuale, misure protettive e procedure negoziali di composizione della crisi, op. cit., p. 275, evidenzia che “si tratta, a ben guardare, di una sospensione disposta dalla legge che ricorre quando il legislatore, prescindendo da apprezzamenti di tipo discrezionale del giudice (sia della procedura concorsuale, sia dell’esecuzione forzata), impone l’arresto del processo esecutivo sino alla definizione del giudizio di omologa del concordato, giudizio al quale viene di fatto riconosciuto carattere pregiudiziale rispetto all’esecuzione in corso”.
[40] 
La questione rileva anche in caso di consecuzione nella successiva procedura di insolvenza, come evidenziato da Cass., n. 25802/2015, con nota di G. P. Macagno, Conservazione degli effetti del pignoramento nella sequenza esecuzione forzata, concordato preventivo e fallimento: la risposta affermativa della S.C., in Il Fall. 6/2016, 680 e ss.
[41] 
Trib. Milano, 26 gennaio 2022, secondo cui il provvedimento sospensivo del tribunale in sede di pignoramento prezzo terzi conseguente ad una misura inibitoria disposta nella procedura di composizione negoziata “giammai potrebbe avere quale effetto quelli di privare di efficacia un pignoramento già perfettamente compiuto dal creditore e, conseguentemente, la richiesta di parte debitrice di ottenere la liberazione delle somme già oggetto di pignoramento non può trovare alcun seguito, posto che in ogni caso, contrariamente agli asserti della debitrice, in alcun luogo il D.L. n. 118/2021 prevede che l’esperto nominato possa avere la disponibilità dei fondi “per soddisfare equamente tutti i creditori” non essendo assimilabile tale figura né al commissario giudiziale, né ad un liquidatore giudiziale nell’ambito di un concordato, né tantomeno ad un curatore fallimentare”. La conclusione è pienamente condivisibile ed estensibile alle misure protettive negli strumenti di regolazione della crisi, posto che analoghi sono gli effetti che esse producono. La pronuncia del Tribunale di Milano è commentata tra gli altri, da L. Baccaglini, Composizione negoziata della crisi e misure protettive, op. cit., 1105 e ss.
[42] 
Così R. D’Alonzo, La composizione negoziata e l’interferenza delle misure protettive nelle procedure esecutive individuali, op. cit., 889.
[43] 
In tal senso si veda sempre R. D’Alonzo, op. cit., p. 887.
[44] 
Determinandosi viceversa “la sottrazione del creditore alle rigorose discipline del concorso con gli altri, non consentita al di fuori di specifiche disposizioni di legge” (così Cass., 4 ottobre 2011, n. 20294).
[45] 
Cass. n. 25802/2015 cit.
[46] 
Così Cass. 15/02/2021, n. 3850, secondo cui va superato l’orientamento espresso isolatamente da Cass., 26 giugno 2017, n. 14738, che attribuiva al debitor debitoris nella procedura di pignoramento presso terzi l’onere di proporre opposizione ex art. 615 c.p.c. quando informato della pendenza di una procedura di concordato preventivo, allegando il venir meno dell’obbligo di pagare.
[47] 
Cfr. Cass., 29 ottobre 2003, n. 16232, secondo cui l’ordinanza di assegnazione del credito, emessa ai sensi dell’art. 553 c.p.c. in presenza di dichiarazione positiva del terzo, per la sua natura liquidativa e satisfattiva, segna, col trasferimento coattivo del credito dal debitore esecutato (assegnante) al creditore pignorante (assegnatario), il momento finale e l’atto giurisdizionale conclusivo del processo di espropriazione presso terzi.
[48] 
Tale possibilità è ammessa nel solo caso del sovraindebitamento del consumatore dall’art. 67, comma 3, CCII (e già in precedenza dall’art. 8, comma 1 bis, L. n. 3/2012), ma non dell’imprenditore minore. La Corte Costituzionale con sentenza 10 marzo 2022, n. 65, nel ritenere infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1 bis, L. n. 3/2012, nella parte in cui non estendeva all’ipotesi di assegnazione di quota parte dello stipendio la speciale facoltà di ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione di quinto dello stipendio, del t.f.r. o della pensione, caratterizzati dal medesimo meccanismo satisfattivo per il creditore, ha ritenuto la medesima disciplina applicabile in via interpretativa all’effetto traslativo derivante dall’assegnazione forzosa del credito in sede di pignoramento presso terzi. Nella pronuncia in questione è precisato peraltro che finché il piano del consumatore non viene omologato si deve ritenere che i pagamenti eseguiti dal debitore ceduto risultino efficaci in quanto non risulta applicabile a quella procedura il disposto dell'art. 44 L. fall. che rende inefficaci tutti i pagamenti eseguiti a partire dalla dichiarazione di fallimento.
[49] 
Così la già più volte citata Cass. n. 3850/2021. Va peraltro chiarito che l’opposizione all’esecuzione non è più proponibile una volta intervenuta l’ordinanza di assegnazione come precisato da Cass., 21 aprile 2022, n. 12690, sicché occorre che l’istanza sospensiva sia formulata anteriormente, nel qual caso l’esito dell’assegnazione, eventualmente disposta dal G.E. per rigetto della sospensiva, potrà essere travolto dall’accoglimento della domanda proposta dall’imprenditore nella fase di merito.
[50] 
Cass., 17 aprile 2003 n. 6166, la quale è riferita tuttavia alla validità ed efficacia non di un’azione esecutiva, ma di un’ipoteca giudiziale iscritta successivamente all’omologa a garanzia di un credito anteriore; il venir meno dell’ombrello protettivo si spiega secondo la Suprema Corte con la necessità di assicurare la soddisfazione dei creditori i quali sarebbero sufficientemente tutelati dalle iniziative concorrenti degli altri aventi diritto dai poteri di sorveglianza che il commissario giudiziale esercita sul regolare adempimento da parte del debitore; la soluzione appare non appagante ad A. Falconi, L’introduzione delle azioni esecutive individuali dopo l’omologazione del concordato preventivo, in Il Fall., 1 agosto 2013, nota a Trib. Milano, 17 dicembre 2012.
[51] 
L’ossequio a questa impostazione pone inevitabilmente il problema di stabilire quale sia il dies a quo del termine di riassunzione quando la procedura esecutiva pendente sia sospesa, ma evidentemente la scelta del creditore di riavviarla, coerentemente con quanto sopra evidenziato circa gli effetti sospensivi provvisori dell’inibitoria ante omologa, dovrebbe avvenire entro il termine di tre mesi, ex art. 295 c.p.c. dall’omologa del concordato preventivo.
[52] 
Si richiama sul punto Trib. Milano, 17 dicembre 2012, sul Ilfallimentarista.it, 1 agosto 2013, nella quale si dà atto che, quando il piano prevede la soddisfazione del credito fuori riparto, il creditore anteriore è legittimato a proporre un pignoramento presso terzi nella fase esecutiva post omologa; il giudice milanese evidenzia che mancando una particolare modalità di soddisfazione del credito in questione, la cui prelazione ipotecaria era stata cancellata per effetto dell’omologa, il creditore non avrebbe avuto limiti particolari al compimento di iniziative esecutive individuali; nel senso della possibilità di riassumere o proporre iniziative esecutive individuali dopo l’omologa del concordato v.si anche Trib. Nola, 17 marzo 2016 su il Fall 8-9/2017, p. 973, secondo cui “l’effetto dell’omologazione, vincolante per tutti i creditori, riguarda la modificazione dell’obbligazione a carico della società secondo le percentuali concordatarie: in queste percentuali la società debitrice è obbligata e, una volta che non vi sia adempimento delle obbligazioni concordatarie, si riespande il diritto di ciascun creditore di agire giudizialmente ed anche esecutivamente nei confronti della società non trovando più applicazione il divieto di azioni esecutive e cautelari di cui all’art. 168 l.f.”, non occorrendo a tal fine proporre azione di risoluzione del concordato, salvo non si intenda far venir meno anche l’effetto parzialmente esdebitativo ed agire per l’intero ammontare della pretesa anteriore, con nota critica di F. Casa, “Per la contraddizion che nol consente”: una critica ad una lettura anti-sistemica degli artt. 168 e 186 L. fall., Il Fall. 8-9/2017, p. 975 e ss.
[53] 
Così Cass., 31 luglio 2019, n. 20642, ma di recente in senso contrario Cass. n. 35960/2022, citata nel testo.
[54] 
Trib. Reggio Emilia, 6 febbario 2013, propone al riguardo una lettura unitaria dell’art. 168 e dell’art. 184 L. fall.
[55] 
Sul tema, ampiamente, G. D’Attorre, op. cit., p. 539 e ss.. Non sempre peraltro è agevole stabilire se un credito abbia titolo in atto o fatto anteriore alla pubblicazione del ricorso per concordato preventivo; ne dà una dimostrazione la decisione inedita del Trib. Benevento, 24 ottobre 2022, con riferimento al tema delle spese di lite nei giudizi pendenti alla data di apertura del concorso, secondo cui “il credito riconosciuto nel capo di sentenza relativo alla condanna alle spese di giudizio non può essere ritenuto autonomo e diverso rispetto a quello oggetto della domanda principale, risultando allo stesso legato da un rapporto di interdipendenza, posto che la valutazione di soccombenza, che lo ha generato, trova il suo fondamento nella valutazione di fondatezza (parziale nel caso di specie, tenuto conto del dictum della Corte d’Appello) della domanda principale, e dunque nell’accertamento della sussistenza, nei limiti di cui alla sentenza di primo grado, del credito fatto valere in giudizio con il ricorso monitorio, pacificamente anteriore alla presentazione della domanda di concordato”, soggiungendo che “le spese di lite sono accessori di un diritto di credito che deve essere soddisfatto in sede concorsuale, e pertanto, in virtù del principio accessorium sequitur principale anche il credito per le spese dovrà essere soddisfatto in quella sede”.
[56] 
F. Casa, Per la contraddizion che nol consente, op cit., p. 977.
[57] 
G. D’Attorre, op. cit., p. 558.
[58] 
Cass. n. 35960/2022 cit.
[59] 
Così E. Bertolotto e E. Tosi, Il giudice dell’esecuzione alle prese con le procedure concorsuali: punti fermi e proposte per nuove prassi operative, in Riv. Es. Forz. 2/2020, p. 530, dove è posta peraltro l’alternativa tra la cancellazione del pignoramento già al momento della definitività dell’omologa ovvero al momento dell’avvenuta esecuzione del concordato, ove si aderisca alla tesi che ritiene operante il divieto di cui all’art. 168 L. fall. anche nella fase esecutiva.

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