Saggio
Misure protettive negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza alternativi alla liquidazione giudiziale e procedure esecutive individuali*
Pasquale Russolillo, Giudice delegato nel Tribunale di Avellino
6 Giugno 2023
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Sommario:
Considerazioni diverse valevano per il socio illimitatamente responsabile, il quale, salvo patto contrario, fruisce degli effetti esdebitativi derivanti dall’omologa dello strumento di regolazione della crisi[29] e dunque non può considerarsi in posizione di terzietà rispetto alla società ammessa alla tutela protettiva del patrimonio.
Non mancavano nella opinioni contrarie fondate su argomenti sistematici egualmente incisivi, ed in particolare, ancora una volta, sulla necessità di preservare il patrimonio dell’imprenditore da ogni iniziativa esecutiva durante la fase anteriore all’omologa al fine di non vanificare il piano volto alla soluzione della crisi e dell’insolvenza, da cui si faceva derivare che i creditori posteriori avrebbero potuto reagire alla non regolare soddisfazione del credito solo dimostrando che essa palesasse in modo manifesto l’inattuabilità della proposta, proponendo, quali interessati, opposizione all’omologa ovvero, nel caso del concordato preventivo, sollecitando il commissario giudiziale a riferire al tribunale per l’apertura del procedimento di revoca ex art. 173 L. fall.
Alla luce della nuova formulazione dell’art. 54, comma 2, CCII, con la scomparsa di ogni riferimento all’anteriorità del titolo o della causa del credito, viene meno il principale argomento letterale speso dai sostenitori della tesi più restrittiva, dal che potrebbe desumersi che in linea generale la tutela protettiva negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza si estende ante omologa a tutti i creditori, compresi quelli il cui diritto è sorto successivamente alla pubblicazione della domanda giudiziale[35].
In senso contrario tuttavia, e riterrei con valore dirimente rispetto ad ogni altro argomento, deve considerarsi quanto previsto dall’art. 98 CCII con riferimento ai crediti prededucibili, la cui soddisfazione deve essere garantita in ogni tempo nel corso della procedura nel rispetto delle scadenze previste dalla legge o dal contratto.
Residuerebbe forse, ove ammessa e sempre che l’iniziativa dei creditori posteriori possa pregiudicare gli effetti dell’omologazione privando l’imprenditore di risorse essenziali per l’esecuzione della proposta e del piano, la tutela cautelare atipica, e tuttavia essa non può avere portata generalizzata sicché richiede, caso per caso, la verifica delle finalità e dell’opportunità della misura in contraddittorio con il creditore interessato.
Va da ultimo precisato che distinzione fra crediti anteriori e posteriori all’avvio delle trattative non ha rilevanza nella composizione negoziata, non assumendo l’istituto i caratteri della procedura concorsuale, sicché la tutela protettiva deve ritenersi ivi rivolta senza dubbio alla generalità dei creditori, anche nell’ipotesi in cui agli stessi sia riconosciuto il beneficio della prededucibilità.
Come già anticipato, dunque, la domanda ex art. 40 CCII determina l’apertura dell’ombrello protettivo a condizione che l’imprenditore ne abbia fatto espressa richiesta.
Non è peraltro escluso che il ricorrente differisca il momento della presentazione dell’istanza inibitoria ad un momento successivo, nel corso del procedimento unitario, facoltà che non sembra essergli affatto preclusa, come già evidenziato nel primo paragrafo di questo scritto.[36]
Non essendo prevista peraltro la retroattività degli effetti della protezione concessa successivamente, essi si produrranno solo dalla data del provvedimento confermativo, la cui emissione, mancando un’espressa autonoma forma di pubblicità camerale, sarà verosimilmente conoscibile dal G.E. solo con la sua acquisizione agli atti dell’esecuzione individuale.
Una volta scattato lo stay gli effetti sulle azioni esecutive sono disciplinati allo stesso modo di quanto prevedeva l’art. 168 L. fall.[37]
La tutela protettiva ha la finalità di assicurare che il patrimonio del debitore destinato alla soddisfazione dei creditori nelle modalità previste dalla proposta e dal piano sia conservato integro e al contempo che non si verifichi per effetto delle iniziative individuali dei creditori la violazione delle regole della par condicio. Ne consegue, secondo la tesi più accreditata e confermata da pronunce di legittimità divenute di riferimento[38], che il diritto dei creditori di agire in via esecutiva subisce una temporanea stasi incidendo non già sull’esigibilità del credito, bensì più esattamente sulla facoltà di proseguire le iniziative già intraprese o avviarne di nuove.
Ne consegue che il processo esecutivo pendente, sia esso mobiliare, immobiliare o presso terzi, entra una situazione di quiescenza dovuta alla diversa destinazione diremmo “collettiva” che l’imprenditore protetto intende attribuire ai beni o diritti pignorati.
Si ritiene che, anche d’ufficio ed indipendentemente dalla proposizione di un’opposizione esecutiva, il giudice dell’esecuzione è tenuto a dichiarare la temporanea improseguibilità dell’espropriazione con un provvedimento c.d. «di presa d’atto», sussumibile nel paradigma della sospensione ex art. 623 c.p.c.[39]
Trattandosi di atto meramente ricognitivo esso è non reclamabile, non presupponendo l’apprezzamento dei gravi motivi di cui all’art. 624 c.p.c., ed è altresì, per le medesime ragioni, inidoneo ad evolvere in estinzione secondo il meccanismo previsto dal terzo comma di quest’ultima disposizione.
Il carattere meramente temporaneo e non definitivo della protezione che assiste l’imprenditore, vieppiù alla luce della previsione di un termine di durata massima sancito dal Codice della Crisi, consente di ritenere ormai superata la diversa tesi, pure in passato divisata, secondo cui le procedure pendenti avrebbero dovuto, per effetto stay, essere dichiarate improcedibili, analogamente a quanto previsto, in caso di mancato subentro del curatore, nell’ipotesi di apertura del fallimento.
L’opzione interpretativa illustrata e condivisa comporta alcune importanti conseguenze sul piano operativo:
1) il G.E. non deve ordinare la cancellazione del pignoramento, come previsto invece per il caso di estinzione della procedura esecutiva dall’art. 632 c.p.c.;
2) laddove sia nelle more già intervenuta l’assegnazione o l’aggiudicazione del bene pignorato, deve essere emesso il decreto di trasferimento ai sensi dell’art. 187 bis disp. att. c.p.c. essendo salvi, a beneficio del terzo aggiudicatario o assegnatario, gli effetti degli atti esecutivi compiuti; ne consegue che l’acquirente avrà diritto ad ottenere il rilascio o la consegna della res, mentre resterà precluso il compimento delle successive attività distributive del prezzo incassato, da ritenersi destinabile alle finalità del concordato;
3) restano salvi gli effetti conservativi sostanziali del pignoramento, fra cui quello di rendere inopponibili al procedente e ai creditori intervenuti gli atti di disposizione o che limitano la disponibilità del bene pignorato compiuti dopo il pignoramento ma anteriormente alla pubblicazione della domanda di accesso al concordato[40], nonché, in caso di pignoramento presso terzi, quello di rendere indisponibile l’importo precettato aumentato della metà, che non andrà pertanto restituito al debitore pignorato;[41]
4) non viene meno la custodia del compendio pignorato, con che la procedura esecutiva continua a percepire gli eventuali frutti civili a cui il pignoramento si estende a norma dell’art. 2912 c.c., senza che essi possano essere restituiti al debitore, benché anche in tal caso destinabili in caso di omologa alle finalità della proposta e del piano[42];
5) al venir meno degli effetti della misure protettiva il procedimento potrà essere riassunto dal creditore procedente o di un creditore intervenuto munito di titolo entro un termine che non potrà essere quello perentorio assegnato ai sensi dell’art. 624 c.p.c. in caso di sospensione della procedura esecutiva per gravi motivi, ma che, in assenza di diversa previsione normativa, si ritiene debba essere quello generale di tre mesi previsto dall’art. 297 c.p.c., decorrente dalla data in cui è cessata la causa sospensiva.
A tale ultimo riguardo va sempre ricordato che il dies ad quem della tutela protettiva non coincide più necessariamente, come in passato, con le sorti della procedura concorsuale sia essa positiva (definitiva omologazione) o negativa (definitivo diniego, inammissibilità, revoca), ma dipende dalle quelle del sub procedimento di cui all’art. 55 CCII, che può condurre all’autonoma cessazione delle misure, per decorrenza del termine di durata, per omessa proroga, per revoca anticipata, ovvero comunque per decorrenza del periodo massimo di efficacia stabilito dall’art. 8 CCII.
Di particolare interesse è la questione della sindacabilità dei limiti della tutela protettiva da parte del giudice dell’esecuzione a cui sia richiesta la sospensione delle azioni esecutive pendenti.
Se è pacifico che l’autorità giudiziaria adìta non è competente a verificare la sussistenza dei presupposti intrinseci della tutela protettiva, essendo tale valutazione riservata in via funzionale al giudice investito del subprocedimento di conferma, è tuttavia del tutto evidente che riconoscere nella sede dell’esecuzione la possibilità di vagliare i limiti estrinseci della tutela, sia in senso oggettivo o temporale che in senso soggettivo, consentirebbe di preservare le attività processuali svolte nell’esecuzione individuali e di consentire, con il rigetto immediato dell’istanza sospensiva, la celebrazione di aste di prossima celebrazione che sarebbero viceversa vanificate[43].
Va tuttavia considerato che una cosa è valutare la decorrenza di un termine, fatto oggettivo rispetto al quale non residua alcun margine discrezionale di sindacato da parte del giudice della tutela protettiva, altro verificare in via preventiva l’estensione della protezione a determinati creditori o a determinati beni del debitore, sicché ogni contestazione al riguardo dovrà essere riservata alla sede giudiziale a ciò deputata funzionalmente, quella della conferma delle misure protettive da parte del giudice designato ai sensi dell’art. 55 CCII.
Per altro verso, una volta che tale sia stato adottato il provvedimento di conferma, spetterà senz’altro al giudice dell’esecuzione valutarne la portata soggettiva ed oggettiva adottando le conseguenti statuizioni.
Laddove il giudice dell’esecuzione non abbia provveduto alla sospensione e siano stati compiuti atti dell’esecuzione, ovvero il procedimento esecutivo sia avviato (con la notifica del pignoramento) nonostante gli effetti dell’inibitoria, il rimedio esperibile è quello dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. atteso che viene fatta valere la non suscettibilità dei beni ad essere assoggettati ad esecuzione forzata in quanto assoggettati ad un vincolo di destinazione[44] o comunque la temporanea inidoneità del titolo esecutivo a dar corso alla procedura esecutiva[45], sicché il rimedio esperibile è sottratto al termine decadenziale di cui all’art. 617 c.p.c.
La legittimazione a proporre l’opposizione spetta esclusivamente al debitore, in quanto soggetto che rimane, pure in caso di accesso alla procedura di concordato preventivo, nella titolarità del patrimonio e della piena capacità di agire e resistere in giudizio[46].
E’ evidente peraltro che la tutela inibitoria può essere eccepita solo finché l’esecuzione sia ancora pendente, ragion per cui una volta che essa sia definitivamente conclusa si consolidano gli effetti degli atti esecutivi compiuti.
La questione ha assunto rilevanza concreta con riferimento alla procedura di pignoramento presso terzi, caratterizzata da una maggiore concentrazione temporale e che notoriamente si conclude con l’ordinanza di assegnazione.
E’ pacifico che quando l’ordinanza di assegnazione (e a fortiori il pignoramento) siano anteriori alla pubblicazione del ricorso per l’accesso alla procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza, il creditore potrà esigere le somme dal debitor debitoris con effetti liberatori per quest’ultimo e senza possibilità di recupero delle stesse alla procedura concorsuale, e ciò anche se il pagamento sia eseguito successivamente alla sua apertura[47].
Ne deriva che non opera nel concordato preventivo la possibilità per l’imprenditore di provvedere alla ristrutturazione del debito quando il creditore pignorante sia stato “soddisfatto” con assegnazione di un credito anteriormente all’apertura della procedura.
I pagamenti eseguiti post apertura della procedura concorsuale non potranno dirsi, infatti, inefficaci, atteso che l’art. 96 CCII, nel richiamare le disposizioni della liquidazione giudiziale non fa anche rinvio all’art. 144 CCII, sull’inefficacia dei pagamenti eseguiti con denaro o risorse del debitore, né è consentito all’imprenditore che accede allo strumento di regolazione della crisi l’eccezionale facoltà di falcidiare crediti anteriormente assistiti da meccanismi autoliquidanti, fra cui rientra anche l’assegnazione forzosa del credito[48].
Analoga conseguenza trae la giurisprudenza di legittimità, per le ragioni sopra esposte, anche nel caso in cui, essendo l’assegnazione intervenuta successivamente all’apertura del concorso, il debitore ammesso alla procedura non abbia chiesto la sospensione della procedura esecutiva provocando la definitività del provvedimento reso dal giudice dell’esecuzione, sicché in tal caso il pagamento eseguito dal debitor debitoris non potrà essere da quest’ultimo ripetuto[49].
E veniamo ora al tema probabilmente più controverso e meno esplorato dalla giurisprudenza in epoca anteriore alla riforma, ovvero quello della prosecuzione degli effetti della tutela contro le azioni esecutive individuali nel periodo posteriore all’omologa.
La questione ha fatto sorgere un vivace dibattito nella materia del concordato preventivo, essendo per contro lo strumento degli accordi di ristrutturazione foriero di minori dubbi interpretativi, posto che mentre i creditori aderenti restano vincolati agli obblighi derivanti dall’accordo omologato (così come quelli non aderenti negli a.d.r. ad efficacia estesa alle condizioni ivi stabilite), i creditori estranei restano soggetti ad una moratoria forzosa per un tempo limitato, ritornando, invece, decorsi centoventi giorni dall’omologa, pienamente legittimati all’esercizio delle azioni esecutive.
Quanto al concordato preventivo, dalla lettera dell’art. 168 L. fall. molti interpreti ricavavano un argomento decisamente contrario al protrarsi della tutela protettiva alla fase esecutiva, in quanto la norma espressamente limitava la durata dell’inibitoria al momento (coincidente con la chiusura della procedura ex art. 181 L. fall.) in cui il decreto di omologazione diviene definitivo, desumendone quindi la possibilità per ciascun creditore, indipendentemente dalla natura e dalla data di formazione del titolo del credito, di avviare successivamente o proseguire, se già pendenti, le azioni esecutive individuali.
Si riteneva, a fondamento di questa tesi, che gli effetti obbligatori dell’omologa, previsti dall’art. 184 L. fall. per ogni credito anteriore alla pubblicazione del ricorso, fossero unicamente quelli remissori (falcidia) o modificativi dei rapporti obbligatori (prestazione in luogo di adempimento) previsti nel piano, ma non quelli dilatori relativi alla tempistica dei pagamenti o alle modalità di realizzazione del credito (riparto in luogo dell’esecuzione diretta della prestazione pecuniaria), con la conseguenza che il creditore non avrebbe dovuto attendere le scadenze del piano omologato per avviare o riassumere l’esecuzione forzata[50].
L’adesione a questo orientamento portava a ritenere che il giudice dell’esecuzione non debba dichiarare l’estinzione delle procedure esecutive pendenti una volta intervenuto il provvedimento di omologazione, onde non pregiudicare le possibilità di realizzazione del credito da parte degli aventi diritto, disponendo questi ultimi, pure in caso di concordato con cessione di beni, dell’alternativa fra la realizzazione del credito in forma individuale, ovvero l’esecuzione del mandato a vendere da parte del liquidatore e l’esecuzione del riparto concorsuale[51].
Per le medesime ragioni l’eventuale opposizione dell’imprenditore ex art. 615 c.p.c. alle procedure di nuova introduzione nella fase esecutiva dovrebbe essere ogni caso disattesa[52].
In tal senso è parso ad alcuni interpreti essere indirizzata anche la giurisprudenza di legittimità quando ha affermato, con orientamento protrattosi fino in tempi recenti, che nella fase esecutiva del concordato ciascun creditore può legittimamente costituire in mora il debitore in concordato, non essendovi impedimenti di diritto all’esercizio della pretesa creditoria, con la conseguenza che il termine di prescrizione, non subisce né un effetto interruttivo (mancando una previsione analoga a quella dell’art. 94 L. fall.) né sospensivo[53].
Di diverso avviso altra parte della dottrina e della giurisprudenza che evidenziava come l’effetto protettivo di cui all’art. 168 L. fall. non ha ragione di protrarsi nella fase post omologa, in quanto tutti i creditori anteriori restano vincolati ex lege, anche se pretermessi e non convocati in sede di adunanza, agli effetti dell’omologa, con la conseguenza che la pretesa di ciascuno subisce una modifica non solo sul piano del quantum e dell’oggetto della prestazione, ma altresì sul piano dei tempi e delle modalità di esecuzione del pagamento, se del caso previsto mediante cessione dei beni e ripartizione del ricavato da parte del liquidatore giudiziale.[54]
La conseguenza di tale impostazione teorica è che, fino alla risoluzione del concordato preventivo ed il ripristino delle condizioni originarie del credito, i creditori anteriori non potranno né avviare nuove azioni esecutive, né proseguire quelle pendenti, posto che il titolo deve intendersi non più idoneo a sorreggere l’azione esecutiva avviata (nota Tosi p. 521), con la conseguenza che le procedure pendenti dovranno essere dichiarate definitivamente improcedibili.
L’impostazione da ultimo suggerita risulta anche condivisa dalla recentissima Cass., 7 dicembre 2022, n. 35960, che, disattendendo il precedente indirizzo, individua nell’omologa del concordato preventivo un impedimento di diritto alla libera esazione del credito e dunque alla valida costituzione in mora del debitore con effetti interruttivi, argomentando al riguardo che “il silenzio del legislatore quanto al blocco delle azioni esecutive e cautelari nel periodo successivo al momento in cui diviene definitivo il decreto di omologa si spiega, a ben vedere, in quanto in tale segmento di tempo l'eventuale improponibilità delle azioni esecutive e cautelari trova il proprio autonomo fondamento nel disposto dell'art. 184, comma 1, I. fall.”, con la conseguenza che i crediti concorsuali per i quali sia previsto il pagamento mediante riparto dovranno sottostare a tale modalità e tempistica di soddisfazione e le procedure esecutive pendenti andranno estinte.
Venendo al Codice della Crisi, la scomparsa di ogni riferimento, nell’art. 54, comma 2, CCII, all’omologa quale momento di cessazione degli effetti della tutela inibitoria non pare potersi spiegare nel senso che il legislatore abbia voluto prendere posizione sulla questione sopra tratteggiata, ma solo in considerazione della naturale temporaneità delle misure protettive, destinate ad esaurire i loro effetti alla scadenza anche anteriore alla sentenza di omologazione.
Ne consegue che le problematiche interpretative segnalate saranno destinate a riproporsi in futuro in termini sostanzialmente analoghi.
Con riferimento alla fase post omologa restano poi insolute altre due questioni di assoluto rilievo, non agevolmente risolvibili indipendentemente da quale degli orientamenti sopra esposti si voglia preferire.
La prima riguarda il trattamento dei crediti posteriori, dovendo includersi in questa nozione, tanto quelli c.d. intermedi, sorti dopo il deposito del ricorso e fino alla data dell’omologa, quanto quelli successivi, il cui momento genetico si colloca nella fase esecutiva del concordato preventivo.
Per questa categoria di creditori il riferimento all’obbligatorietà del provvedimento di omologa quale motivo di divieto all’agire in via esecutiva non pare utile né appagante, atteso che essi non subiscono gli effetti vincolanti della proposta né possono in alcun modo partecipare al voto per la sua approvazione.
Ne consegue, secondo un primo orientamento, che i creditori posteriori non vanno incontro a limitazioni di sorta all’esercizio delle azioni esecutive individuali in fase post omologa[55].
E’ stato d’altro canto ravvisato che una simile opzione interpretativa rischia di sacrificare in modo eccessivo i creditori concorsuali, i quali, se ritenuti soggetti alle limitazioni derivanti dal vincolo dell’omologa, si vedrebbero esposti al rischio della sottrazione, a vantaggio dei creditori posteriori, delle stesse risorse destinate dall’imprenditore alla realizzazione degli scopi della procedura.
Una simile conseguenza appare infatti giustificata quando il credito successivo abbia anche rango prededucibile perché sorto in funzione della proposta e del piano (ad esempio per atti compiuti dagli organi della procedura o dallo stesso imprenditore per realizzare le finalità della proposta attraverso, come nel caso di nomina di professionisti per resistere alle azioni giudiziali promosse da creditori contestati), ma molto meno se sorto per scopi estranei (si pensi ai crediti derivanti dalla gestione corrente nel caso di continuità diretta) o addirittura contrari alle finalità dello strumento di regolazione della crisi.
Si è dunque sostenuto che l’omologazione del concordato preventivo dovrebbe dar luogo ad un fenomeno di segregazione patrimoniale[56], imprimendo ad alcuni beni (quelli ceduti ai creditori anteriori) un vincolo di destinazione che li sottrae all’aggressione dei creditori posteriori, salvo che questi ultimi non godano del beneficio della prededuzione in quanto titolari di pretese funzionali agli scopi della procedura o sorti in occasione della stessa.
Vi sarebbero dunque due patrimoni separati, uno ceduto ai soli creditori concorsuali e vincolato alla loro esclusiva soddisfazione ed un altro, quello formato dai beni aziendali non soggetti alla liquidazione o prodotto ex novo con i proventi della continuità aziendale diretta, suscettibile di rispondere nei confronti della generalità dei creditori, anteriori e successivi, ma con la differenza che i primi, diversamente dai secondi, al fine di promuovere azioni esecutive, sono onerati di richiedere la previa risoluzione del concordato[57].
L’ulteriore questione irrisolta è quella relativa alla cancellazione dei pignoramenti trascritti sui beni dell’imprenditore la cui proposta è stata omologata.
Aderendo alla tesi secondo cui, per effetto dell’omologa, il titolo esecutivo azionato dal creditore anteriore non è più idoneo a reggere l’iniziativa espropriativa[58], non dovrebbero esservi ostacoli all’emissione dell’ordine di cancellazione.
Quanto al giudice che deve provvedersi è possibile sostenere che, se il piano di concordato prevede la vendita competitiva del bene mobile registrato o dell’immobile - anche ante omologa in caso di offerte concorrenti - il potere di cancellazione spetterà giudice delegato al momento del trasferimento, così come previsto espressamente per il caso di concordato con cessione di beni dall’art. 182 L. fall. (per effetto del rinvio all’art. 108 L. fall.) ed oggi dall’art. 114, comma 4, CCII.
Per contro, in caso di beni che l’imprenditore intende preservare nell’ottica della continuità aziendale o trasferire ai creditori in virtù di negozi di diritto privato, se in precedenza pignorati, la cancellazione non potrà che essere disposta dal giudice dell’esecuzione in conseguenza dell’improcedibilità definitiva delle azioni esecutive, conseguente alla definitività dell’omologa[59].
Ne deriva che, una volta intervenuta la cancellazione del pignoramento, l’inadempimento degli obblighi concordatari imporrà ai creditori anteriori di agire per la risoluzione del concordato al fine di rimuovere l’ostacolo alla possibilità di agire in executivis e quindi promuovere un nuovo pignoramento sulla base del titolo originario, salva la facoltà di chiedere l’apertura della liquidazione giudiziale.
Note: