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Saggio

Le misure protettive e cautelari nel CCII*

Laura Baccaglini, Associato di diritto processuale civile nell'Università di Trento
Lorenza Calcagno, Componente comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura

11 Ottobre 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
*Lo scritto è destinato, con eventuali variazioni, allo Speciale di Diritto della crisi, di prossima pubblicazione, dal titolo “Studi sull’avvio del Codice della crisi” a cura di Laura De Simone, Massimo Fabiani e Salvo Leuzzi.
Il contributo si propone di fornire una prima lettura della disciplina generale e unitaria dedicata alle misure protettive e cautelari contenuta nel CCII, in una prospettiva che, ricordando i principi generali presenti nella legge delega come trasfusi nel D.Lgs. n.14/2019, si concentra in particolare sulle modifiche intervenute con il D.Lgs. n. 83/2022. Lo scritto si propone di fornire un primo contributo all’esame delle disposizioni contenute negli artt. 54 e 55 CCII: dapprima ci si concentra sul contenuto di quelle misure, tanto di quelle protettive dal contenuto tipico, solo in parte mutuate dalla legge fallimentare, quanto di quelle protettive dal contenuto atipico e di quelle cautelari. La seconda parte del lavoro è dedicata alla specificità dei procedimenti di concessione, conferma, modifica e revoca delle misure protettive e cautelari; si evidenziano le differenze ed il diverso ambito di valutazione richiesto al Giudice monocratico ed al Tribunale.
Riproduzione riservata
1 . Le misure protettive e cautelari: dal D.Lgs. n. 14/2019 al D.Lgs. n. 83/2022
Tra le novità contenute nel CCII, già nella versione restituita dal D.Lgs. n. 14/2019, spiccano le modifiche in tema di misure protettive e cautelari, rese oggetto di uno statuto organico, rivisitato nei contenuti ma soprattutto unitario.
La scelta compiuta dal legislatore delegato di destinare una disciplina congiunta alle misure protettive e cautelari trova ragione anzitutto nella finalità comune a questi istituti: in entrambi i casi, si tratta di misure provvisorie, funzionali ad evitare la dispersione dei valori dell’impresa nel tempo necessario a dichiarare aperta una procedura concorsuale.
Di là da questo aspetto comune, i profili che distinguono le misure protettive da quelle cautelari, quanto meno quando esse operano nell’ambito dei procedimenti di apertura degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza o della liquidazione giudiziale, sono più d’uno: sono diversi l’ambito elettivo di applicazione, l’individuazione dei soggetti legittimati a richiederle, la disciplina cui rispondono.
Le misure protettive possono accompagnarsi solo ad una domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza (concordato, accordi o piano di ristrutturazione soggetto ad omologa), sono appannaggio del solo debitore e mirano ad impedire che iniziative individuali dei creditori sul patrimonio e sull’impresa ostacolino il buon esito delle trattative. Le misure cautelari, invece, possono essere domandate solo in pendenza del procedimento di apertura di uno strumento di regolazione della crisi o di una liquidazione giudiziale e soltanto da chi ne è parte: dunque, anche dai creditori, dal P.M. e dagli organi di controllo o di vigilanza, se hanno proposto ricorso ex art. 40 CCII, qualora intendano evitare atti di disposizione del patrimonio o di esercizio dell’impresa da parte del debitore che possano pregiudicare la soddisfazione dei creditori.
Proprio l’eventualità di una incrociata proposizione di una domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e di una (incompatibile) apertura della liquidazione giudiziale ha indotto il legislatore ad immaginare, oltre al procedimento unitario destinato alla loro contestuale trattazione (art. 7 e, oggi, art. 40, commi 9-10 CCII), anche un procedimento unico per la trattazione delle istanze di protezione, lato sensu intese, del patrimonio, posto che esse sono contestuali o possono seguire la proposizione di quelle domande di merito. Al giudice, perciò, deve consentirsi il vaglio della verosimile fondatezza delle due contrapposte istanze di cautela del patrimonio, perché, pur trattandosi in ogni caso di preservare il patrimonio dell’impresa, spetterà al giudice cogliere in che termini ciò possa accadere, se limitando i poteri e le facoltà dei creditori ovvero del debitore[1].
Del tema si occupavano gli artt. 54-55 del D.Lgs. n. 14/2019, il primo dei quali dedicato ai contenuti, al tempo e al modo della proposizione delle istanze protettive e cautelari, il secondo al procedimento.
Rispetto alle misure protettive, la legge delega chiedeva al Governo di immaginarne un catalogo comune, del quale il debitore potesse avvalersi in caso di proposizione tanto di una domanda di concordato preventivo, quanto di una di omologa di accordi di ristrutturazione (art. 5, lett. c), L. n. 155/2017). Ciò spiega l’introduzione dell’art. 54, comma 2, CCII, che, nel D.Lgs. n. 14/2019, riprendeva grosso modo il contenuto dell’art. 168 L. fall.
Dando poi attuazione al criterio indicato nell’art. 6 lett. b) della legge delega, il D.Lgs. n. 14/2019 aveva abolito il regime di automaticità delle misure protettive, previsto dagli artt. 168 e 182, comma 6, L. fall. e aveva stabilito che fosse il debitore, con apposita istanza formulata già con il ricorso ex art. 40 CCII, a dichiarare di volersi avvalere delle misure protettive; infine, il D.Lgs. n. 14/2019 aveva attribuito a quelle misure un’efficacia immediata, ancorché subordinata ad una conferma da parte del giudice, ma anche ad una successiva revoca ove risultassero non funzionali alle trattative in corso. Il che spiega, da un lato, l’incipit dell’art. 54, comma 2, CCII e, dall’altro, l’introduzione dell’art. 55 CCII, dedicato al procedimento di conferma (o di revoca) da parte del giudice.
Sempre rispetto alle misure protettive, l’indicazione proveniente dalla Raccomandazione 2014/135 della Commissione UE (confermata dalla Dir. 1023/2019, in seguito promulgata), secondo cui la protezione del patrimonio avrebbe dovuto avere durata limitata nel tempo, ha spinto il legislatore delegato ad introdurre, tra i principi di natura processuale, l’art. 8: norma, questa, che, dando attuazione all’art. 6, comma 8, Dir. Insolvency, circoscrive a dodici mesi, anche non continuativi, la durata massima delle misure protettive.
Quanto alle misure cautelari, l’art. 2, comma 1, lett. d) L. n. 155/2017, nell’invitare il governo ad adottare un modello unico processuale per l’accertamento della crisi o dell’insolvenza del debitore, chiedeva di specificare la disciplina delle misure cautelari, con attribuzione della relativa competenza anche alla corte d’appello: ciò che è stato puntualmente riprodotto negli art. 54, comma 1, e art. 55, comma 5, D.Lgs. n. 14/2019.
In quel D.Lgs., il quadro normativo relativo alla protezione del patrimonio si completava con le definizioni di misure protettive e cautelari, contenute nell’art. 2, lett. p) e q) CCII, e con l’introduzione di una disciplina ad hoc, pensata per la composizione assistita della crisi (art. 20).
Il CCII, entrato in vigore il 15 luglio 2022, non stravolge l’assetto delle misure protettive e cautelari introdotto nel 2019: lo modifica in alcuni tratti, ne puntualizza la disciplina e lo arricchisce di nuovi contenuti.
Per un verso, il D.Lgs. n. 83/2022 tiene conto dell’introduzione di istituti e di strumenti di regolazione della crisi non contemplati nel D.Lgs. n. 14/2019. Per la precisione, la sostituzione della composizione assistita della crisi con la composizione negoziata, già vigente in forza del D.L. n. 118/2021 (poi convertito in L. n. 147/2021) ha comportato l’abrogazione dell’art. 20 CCII e l’inserimento degli attuali artt. 18-19. Questi ultimi si occupano delle misure protettive e cautelari di cui il debitore può avvalersi nel percorso negoziale: individuano il contenuto delle prime, delineano nello specifico il procedimento destinato alla loro conferma o rilascio, costruendolo sulla falsariga del procedimento cautelare uniforme (art. 669 bis ss. c.p.c., cui è fatto rinvio), individuano il giudice competente in base all’art. 27 CCII. Nella definizione di misure protettive (art. 2, lett. p), oggi sono espressamente ricomprese anche quelle concesse ai sensi degli artt. 18-19 CCII, la cui durata va computata nel termine dei dodici mesi previsto dall’art. 8. Muta anche il lessico impiegato dagli artt. 54-55 CCII, perché il D.Lgs. n. 83/2022, da un lato, sostituisce l’espressione “procedure di regolazione della crisi” con quella di “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”, dall’altro lato, considera l’introduzione di uno nuovo strumento: il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (art. 64 bis CCII).
Ancora, il D.Lgs. n. 83/2022, dando seguito ad alcune istanze che erano state avanzate dagli interpreti all’indomani della promulgazione del D.Lgs. n. 14/2019, incide sul contenuto delle misure protettive: amplia la portata oggettiva e soggettiva di quelle già note nella legge fallimentare; legittima il debitore a domandarne di nuove ed ulteriori, in pendenza del procedimento di accesso allo strumento di regolazione della crisi; modifica la norma sulla durata delle misure protettive, stabilendo espressamente fino a che punto esse possono operare.
Rimane, invece, inalterato lo statuto delle misure cautelari disegnato nel 2019, mentre opportuni ritocchi e qualche novità si leggono nell’art. 55 CCII, dedicato al procedimento di conferma o revoca delle misure protettive o al rilascio dei provvedimenti cautelari o delle misure protettive atipiche.
2 . La definizione di misura protettiva e la sua durata
Nell’art. 2, lett. p), CCII il legislatore definisce le misure protettive come quelle “misure temporanee, richieste dal debitore, per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare fin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza, anche prima dell’accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza”.
Rispetto all’art. 2 lett. p) D.Lgs. n. 14/2019, sono due le novità che meritano di essere segnalate.
Anzitutto, si riconosce che la misura protettiva può operare anche prima del deposito del ricorso con cui il debitore propone domanda di concordato, anche in bianco, o di omologa di accordi o piano di ristrutturazione: chiaro riferimento, questo, alla composizione negoziata della crisi (art. 18-19 CCII).
Inoltre, sempre in sede di definizione, si esplicita che le misure protettive vanno richieste dal debitore (dunque solo confermate dal giudice, non già disposte[2]), fugando ogni dubbio sul regime di semi-automaticità cui esse rispondono, in piena sintonia con quanto già previsto dal D.L. n. 118/2021 (oggi confermato dall’art. 18 CCII), in tema di misure protettive operanti nella composizione negoziata della crisi.
Sia nel percorso negoziale, sia nel contesto di una procedura di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza, l’effetto delle misure protettive decorre a partire da quando il debitore dichiara di volersene avvalere (art. 17, comma 1, secondo periodo; art. 54, comma 1, CCII): il dies a quo coincide con il momento della pubblicazione nel registro delle imprese dell’accettazione dell’esperto, nel primo caso, e del ricorso ex artt. 37-40 CCII, nel secondo. L’efficacia di quelle misure è comunque provvisoria, perché soggetta a successiva conferma da parte del giudice, a valle dei procedimenti descritti rispettivamente dagli artt. 19 e 55 CCII[3].
A questo regime di semi-automaticità fa eccezione il caso disciplinato dall’art. 54, comma 3, CCII: quando è proposta una domanda di pre-accordo di ristrutturazione, l’effetto delle misure protettive di cui il debitore intende avvalersi non decorre dalla pubblicazione del ricorso ex artt. 37-40 CCII, ma è subordinato ad una decisione del giudice, a valle del procedimento ex art. 55, comma 2, CCII.
Quale che sia il loro contenuto, delle misure protettive andrà sempre stabilita la durata. Il D.Lgs. n. 83/2022 incide anche su questo profilo, prevedendo che il giudice, in prima battuta – quando cioè conferma o, nei casi stabiliti dalla legge, dispone le misure protettive – attribuisca loro una durata che si estende da trenta a centoventi giorni, nel caso della composizione negoziata (art. 19, comma 4, CCII), ovvero fino a centoventi giorni (senza prevedere un termine minimo), nel caso degli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza (art. 55, comma 3, CCII).
Si tratta comunque di un termine prorogabile. Lo si evince già dall’art. 2 lett. p), e lo esplicitano gli artt. 19, comma 5, e 55, comma 4, CCII (introdotti dal D.Lgs. n. 83/2022), che si preoccupano di definire quando la durata delle misure protettive possa essere estesa: si richiede che siano stati compiuti significativi progressi nelle trattative e che la proroga non arrechi eccessivo pregiudizio in capo ai creditori, presupposti, questi, che andranno soppesati dal giudice in maniera diversa, secondo che l’istanza di proroga sia calata o meno in un contesto negoziale (v. infra, § 8).
Il tema della durata delle misure protettive è centrale nell’economia del codice, posto che, come anticipato, l’art. 8 ne circoscrive gli effetti per un tempo non superiore a dodici mesi, anche non consecutivi, tenuto conto di eventuali rinnovi o proroghe.
Nella versione che si leggeva nel D.Lgs. n. 14/2019, la norma non prevedeva alcun termine finale, né chiariva cosa accadesse se l’efficacia delle misure protettive venisse meno prima dell’omologa del concordato o dell’accordo, a durata massima delle misure protettive già esaurita. La lacuna è stata in parte colmata dal D.Lgs. n. 83/2022, che ha stabilito che la durata complessiva delle misure protettive va calcolata fino all’omologa dello strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza (concordato; accordi o piano di ristrutturazione) ovvero fino all’apertura della procedura di insolvenza. Oltre quel momento, se la liquidazione giudiziale è stata aperta, la necessità per il debitore di beneficiare delle misure protettive (richieste con domanda di concordato preventivo) viene meno per rigetto di quella istanza, ma il patrimonio resta protetto per effetto dell’operare dell’art. 150 CCII, che inibisce senza tempo ai creditori l’esercizio di azioni esecutive e cautelari. Anche là dove sia stata disposta l’omologa di un concordato, di un accordo o di un piano di ristrutturazione, l’esigenza di protezione del patrimonio verrebbe comunque meno, da un lato, perché l’obiettivo di trattare con i creditori può considerarsi raggiunto, dall’altro lato, perché l’esecuzione del concordato, o del piano o dell’accordo di ristrutturazione assoggetterebbe comunque alla regola del concorso i creditori interessati, sì che il divieto di azioni esecutive e cautelari continuerebbe ad operare[4].
Infine, in piena coerenza con la modifica intervenuta nell’art. 2 lett. p), che ricomprende nella definizione di misure protettive anche quelle concesse nella composizione negoziata della crisi, l’art. 8, come modificato dal D.Lgs. n. 83/2022, stabilisce (lo si è accennato) che nel termine massimo di durata di quelle misure, va computato anche il tempo della protezione che abbia operato prima dell’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi.
3 . L’art. 54, comma 2, primo e secondo periodo: le misure protettive tipiche
All’individuazione del contenuto delle misure protettive è dedicato l’art. 54, comma secondo, CCII: si tratta di una norma fortemente incisa dal D.Lgs. n. 83/2022: accanto alla previsione di misure protettive dal contenuto predeterminato dalla legge (quelle cui si riferiva l’art. 168 L. fall. e che oggi il CCII in parte riprende) il debitore che acceda ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza è legittimato ad avvalersi anche di misure protettive dal contenuto innominato.
L’ammissibilità di misure protettive atipiche è circoscritta al solo contesto propriamente concorsuale: nella composizione negoziata le misure protettive sono solo quelle indicate dall’art. 18 CCII[5], sebbene la buona riuscita delle trattative, cui esse sono strumentali, possa perseguirsi anche altrimenti: dove la disgregazione del patrimonio non possa essere evitata per il tramite delle misure protettive, soccorrono i provvedimenti cautelari che il giudice, su istanza del debitore, può concedere (art. 19 CCII)[6].
Quanto agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, le misure protettive cd. tipiche sono descritte dall’art. 54, comma 2, primo e secondo periodo, che esce modificato rispetto a quanto si leggeva nel D.Lgs. n. 14/2019. La norma entrata in vigore riprende solo in parte il contenuto dell’art. 168 L. fall., perché stabilisce che, qualora il debitore ne faccia richiesta con il ricorso ex artt. 37-40 CCII, è fatto divieto ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore e sui beni e sui diritti attraverso i quali il debitore esercita la propria attività di impresa; si precisa poi che sono sospese le prescrizioni e non maturano le decadenze.
Diversamente dall’art. 168 L. fall., l’art. 54, comma 2, CCII non fa espresso richiamo all’inopponibilità, rispetto ai creditori anteriori, delle ipoteche iscritte nei novanta giorni antecedenti la pubblicazione della domanda di accesso allo strumento di regolazione della crisi; né si legge più in quella disposizione del divieto di acquisire diritti di prelazione se non previa autorizzazione del tribunale. La collocazione di questi effetti in altra norma (art. 46, ultimo comma, CCII) si giustifica probabilmente perché si ha a che fare con una misura che, oltre ad una finalità protettiva, mira soprattutto ad evitare l’acquisto da parte dei creditori di posizioni di vantaggio, a ridosso dell’apertura della procedura. Il che spiegherebbe perché si tratti di effetti che si producono automaticamente, a partire dalla pubblicazione della domanda nel registro delle imprese[7]. 
Resta invece confermato lo stay esecutivo e cautelare, sebbene il D.Lgs. n. 83/2022 abbia inciso sul perimetro applicativo di questa misura. 
Muta infatti la portata oggettiva dell’inibitoria delle azioni esecutive e cautelari: diversamente dall’art. 168 L. fall., lo stay colpisce tutti quei procedimenti che abbiano ad oggetto non solo beni che appartengono al patrimonio del debitore ma anche beni e diritti tramite i quali si esercita l’attività di impresa. Il CCII riprende la formula già impiegata dall’art. 6 D.L. n. 118/2021, in tema di protezione del patrimonio nella composizione negoziata della crisi (oggi trasfusa nell’art. 18), e mostra così di avallare la conclusione cui era giunta una parte della giurisprudenza di merito[8] che, nell’occuparsi della portata oggettiva dello stay esecutivo in sede di concordato preventivo, ha interpretato in senso dinamico il concetto di patrimonio del debitore, comprendendovi non solo i beni di proprietà del debitore, ma anche l’insieme di rapporti giuridici facenti capo a quest’ultimo (dunque, anche beni concessi in leasing o in locazione).
La norma tace – come taceva la legge fallimentare – quanto alle conseguenze che il divieto comporta sulle azioni esecutive pendenti: oggi, come in passato, v’è da ritenere ch'esse siano sospese ex art. 623 c.p.c., come da tempo si orienta la giurisprudenza.
La seconda modifica che si registra quanto alla portata dello stay esecutivo e cautelare attiene all’ambito dei destinatari di questa misura: viene meno il riferimento ai creditori, con titolo o causa anteriore alla pubblicazione della domanda ex art. 40 CCII nel registro delle imprese (che si leggeva nel D.Lgs. n. 14/2019 e già nell’art. 168 L. fall.). L’attuale art. 54, comma 2, primo e secondo periodo, CCII si riferisce genericamente a qualsiasi creditore, dunque anche a quelli prededucibili, che la norma espressamente non esclude. Peraltro, poiché l’art. 98 CCII prevede la soddisfazione di costoro, in pendenza di procedura, secondo la scadenza prevista dalla legge o dal contratto, se ne deduce che, in caso di inadempimento del debitore, essi possano domandare la risoluzione del concordato.
4 . L’art. 54, comma 2, terzo periodo: l’ammissibilità di misure protettive atipiche
Come anticipato, la vera novità in tema di misure protettive emerge però dalla lettura dell’art. 54, comma 2, terzo periodo: il D.Lgs. n. 83/2022, dando seguito ad istanze formulate dagli interpreti all’indomani del D.Lgs. n. 14/2019, legittima il debitore, nel corso del procedimento di apertura, a richiedere misure temporanee ulteriori, per evitare che determinate azioni di uno o più creditori possano pregiudicare, già nella fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi e dell’insolvenza[9].
L’inciso che si legge nell’art. 54, comma 2, terzo periodo (in cui si fa espresso richiamo ad un’istanza successiva alla proposizione del ricorso di apertura di uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza), dimostra che le misure protettive atipiche non beneficiano di un regime di semi-automaticità, non accompagnano il ricorso ex artt. 37-40 CCII, ma possono essere richieste durante il procedimento di apertura dello strumento.
L’individuazione del loro contenuto, così come dei loro destinatari, è lasciata al debitore che, nel ricorso con cui ne fa istanza, è tenuto ad indicare quali iniziative dei creditori, che siano espressione dell’esercizio legittimo di un loro diritto, possano compromettere l’omologa dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza e dunque debbano essere inibite. Tenuto conto che la proposizione o la prosecuzione di azioni esecutive e cautelari è già sterilizzata per effetto delle misure protettive tipiche e che nessun danno per contro potrebbe derivare dalla prosecuzione di un’azione di cognizione promossa da un creditore, le nuove misure protettive potrebbero riguardare l’inibitoria dei poteri di autotutela negoziale. Ai soli fini esemplificativi, può immaginarsi una richiesta volta ad impedire temporaneamente al creditore la risoluzione di un contratto, l’anticipazione della scadenza del termine o la modifica unilaterale di quel contratto, tutte le volte in cui queste iniziative possano pregiudicare l’esito dell’iniziativa volta all’apertura dello strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza: e ciò perché si tratta di un contratto essenziale alla prosecuzione dell’attività di impresa, là dove il debitore abbia immaginato l’omologa di un concordato in continuità.
Il fatto che l’art. 54, comma 2, terzo periodo, discorra di inibitoria di un’azione nei confronti di determinati creditori aiuta l’interprete a tracciare il confine tra queste misure e quelle cautelari, che il debitore oggi può chiedere nel corso del procedimento di concordato, o di omologa di accordi o piano di ristrutturazione, ogni qual volta la misura si renda necessaria ad attuare provvisoriamente la sentenza di omologazione (art. 54, comma 1): in questo secondo caso, è possibile immaginare una misura con un contenuto positivo (v. infra, § 5), diretta oppure no nei confronti di singoli creditori, mentre rispetto alle misure protettive atipiche il contenuto può essere solo quello di un pati, l’imposizione di un obbligo di non fare in capo al debitore.
Ad ogni buon conto, l’esigenza di stabilire a priori se la misura che il debitore intenda richiedere sia qualificabile come misura protettiva atipica, ovvero come misura cautelare, assume un significato quasi teorico, posto che – come a breve si dirà – il regime cui sono assoggettate le misure protettive atipiche è il medesimo delle misure cautelari. In entrambi i casi, l’istanza può essere presentata solo se il procedimento di apertura di una procedura di concordato, di omologa di accordi o piano di ristrutturazione è già pendente: il che esclude che la richiesta della misura di cui all’art. 54, comma 2, terzo periodo, pur definita protettiva dal legislatore, possa essere contenuta già nel ricorso ex art. 40 CCII. Non solo. Diversamente dalle protettive cd. tipiche, che prendono effetto fin da quando il debitore dichiara di volersene avvalere (salvo successiva conferma da parte del giudice), le misure protettive atipiche sono efficaci solo se il giudice (come accade per le misure cautelari) abbia ritenuto di accogliere la relativa domanda a valle del procedimento tracciato dall’art. 55 CCII, e quindi in seguito all’instaurazione del contraddittorio con le parti interessate (v. infra § 8).
5 . La definizione, il profilo della legittimazione attiva e i contenuti delle misure cautelari
Nell’art. 2 lett. q), le misure cautelari sono definite come quei provvedimenti emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio o dell’impresa del debitore, che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative e gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza e delle procedure di insolvenza.
L’ambito applicativo delle misure cautelari è dunque più ampio rispetto a quello previsto dal regime della legge fallimentare: se in quel contesto le misure cautelari potevano essere domandate solo dai creditori o dal P.M., e solo in pendenza dell’istruttoria prefallimentare, oggi invece esse possono essere richieste anche dal debitore, quando abbia fatto accesso alla composizione negoziata, o abbia proposto domanda di concordato, accordo o piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione o domanda di autoliquidazione giudiziale.
L’art. 54, comma 1, CCII in piena aderenza al principio dispositivo, subordina il rilascio di una misura cautelare alla proposizione di una domanda di “parte”[10]. 
Parte è da intendersi come sinonimo di chi abbia proposto ricorso ex art. 40 CCII, quale ne sia il contenuto.
Pertanto, se pende domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi, solo il debitore potrà chiedere misure cautelari, qualora dimostri la necessità di assicurare provvisoriamente l’attuazione della sentenza di omologa dello strumento, tramite provvedimenti diversi da quelli protettivi, anche atipici, e non già i creditori, che non possono considerarsi parte[11]. Per contro, se pende un procedimento di apertura della liquidazione giudiziale, legittimato a domandare provvedimenti cautelari sarà chi ha proposto ricorso (i creditori, il P.M. e i sindaci, anche quando intervenuti, ma lo stesso debitore se abbia formulato istanza di autoliquidazione). Quando la misura cautelare è calata nel procedimento prodromico alla liquidazione giudiziale, posto che la strumentalità della misura va letta rispetto alla necessità di dare attuazione alla sentenza, si tratterà di provvedimenti volti ad evitare il compimento di atti da parte del debitore che comporti la dispersione del patrimonio o dei valori dell’impresa.
L’incipit dell’art. 54, comma 1, CCII, che rimane inalterato nel passaggio dal D.Lgs. n. 14/2019 al D.Lgs. n. 83/2022, marca la diversità di disciplina tra le misure protettive tipiche e quelle cautelari: la concessione di quest’ultime presuppone la pendenza del procedimento di apertura dello strumento di regolazione della crisi, il deposito di un ricorso e – in linea con quanto accade nel processo civile – l’accoglimento della relativa domanda da parte del giudice, previo contraddittorio con le parti.
Quanto al contenuto delle misure cautelari, l’art. 54, comma 1, CCII, nella versione ritoccata dal D.Lgs. n. 83/2022, impiega una formula in cui ridonda l’art. 700 c.p.c.: si conferma il carattere innominato di quelle misure, ma si precisa che esse possano essere concesse se risultino idonee “ad assicurare provvisoriamente l’attuazione della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, o di omologa di concordato, piano ed accordi di ristrutturazione”.
L’uso di questa formulazione (in luogo di quella che si legge nell’art. 700 c.p.c., dove è prescritto che il provvedimento d’urgenza può assicurare gli effetti della futura decisione di merito) non è casuale: la modifica intervenuta con il D.Lgs. n. 83/2022, che riprende l’originaria bozza Rordorf, sta a significare che è esclusa, per il tramite un provvedimento cautelare, l’anticipazione di un effetto conseguibile con la pronuncia di merito. Tanto meno, trattandosi pur sempre di un provvedimento cautelare, è possibile conseguire un effetto che nemmeno la sentenza di apertura può comportare.
Rispetto alle misure cautelari concedibili in sede di apertura della liquidazione giudiziale, escono confermate le impressioni che gli interpreti avevano tratto già all’indomani del D.Lgs. n. 14/2019 e gli esiti cui in parte la giurisprudenza era pervenuta applicando l’art. 15, comma 8, L. fall. La duttilità dello strumento cautelare, ieri come oggi, potrà permettere il rilascio di provvedimenti conservativi tout court del patrimonio, come la pronuncia di un sequestro giudiziario, su documenti o sull’azienda stessa, o di un sequestro conservativo[12]. Ma non solo. Saranno concedibili misure provvisorie, di carattere innominato, che le circostanze del caso concreto individuino come le più idonee ad assicurare l’attuazione della sentenza di liquidazione giudiziale (o di omologa dello strumento di regolazione della crisi, se domandate dal debitore). Ad es., saranno pronunciabili, se richiesti dalla parte, provvedimenti volti ad impedire al debitore pagamenti che solo dopo la pronuncia della sentenza d'apertura della liquidazione risulteranno inefficaci ai sensi degli artt. 163-166 CCII, ovvero a sospendere temporaneamente le vendite coattive di beni che appartengono al patrimonio del debitore[13].
L’art. 54, comma 1, a titolo esemplificativo, menziona la possibilità di nominare un custode dell’azienda o del patrimonio, a rimarcare come prima dell’apertura della procedura (quale che essa sia) ciò che è permesso è solo conservare i valori dell’azienda, senza poter immaginare, ancorché in via provvisoria, una sostituzione degli organi gestori dell’impresa, come invece si avrebbe se fosse consentita, ancorché per il tempo limitato alla pronuncia della sentenza, la sostituzione degli amministratori con la nomina di un terzo (analogamente a quanto prevede l’art. 2409 c.c.)[14], se si considera che l’effetto che provocherebbe una siffatta misura (ove in thesi ammissibile) non potrebbe essere conseguito nemmeno con il provvedimento con cui si dichiara aperta la liquidazione giudiziale[15]. Altro è immaginare – come da tempo osservato – che al custode dell’azienda siano attribuiti poteri non solo conservativi ma anche di controllo sulla gestione degli amministratori, che spetta in ogni caso al giudice individuare nel concedere quella misura[16].
Il D.Lgs. n. 83/2022 affronta poi il problema dei rapporti tra le misure cautelari nel procedimento di apertura della liquidazione giudiziale e di quelle protettive che operano nella composizione negoziata della crisi, chiarendo così una questione che si era posta all’indomani dell’entrata in vigore del D.L. n. 118/2021.
Come noto, l’accesso alla composizione negoziata non preclude l’eventuale proposizione di una domanda di liquidazione giudiziale, ma inibisce soltanto la pronuncia della relativa sentenza di apertura, oltre che precludere ai creditori di domandare misure cautelari o di promuovere o proseguire procedimenti esecutivi e cautelari sul patrimonio o sui beni attraverso i quali viene esercitata l’attività di impresa. Di qui, in astratto, la questione se il tribunale possa concedere misure cautelari, nel contesto della liquidazione giudiziale e quale sia la sorte di quelle eventualmente già concesse prima della pubblicazione dell’accettazione dell’esperto nel registro delle imprese.
All’interrogativo dà risposta l’art. 54, comma 1, penultimo periodo, stabilendo che “Le misure cautelari possono essere concesse anche dopo la pubblicazione dell’istanza di cui all’art. 18, comma 1, tenuto conto dello stato delle trattative e delle misure già concesse o confermate ai sensi dell’art. 19”. Si chiarisce, quindi, che non è precluso l’accoglimento di un provvedimento cautelare, che sia funzionale all’attuazione della sentenza di liquidazione giudiziale, anche se il debitore stia trattando con i creditori in sede di composizione negoziata della crisi. Ovviamente, l'accoglimento della misura cautelare richiederà al giudice un attento vaglio dei presupposti per la sua concessione, tenuto conto del fatto che quel provvedimento cautelare potrebbe verosimilmente compromettere l’esito delle trattative. Analoga, ma opposta, riflessione è richiesta al giudice della composizione negoziata della crisi: l’art. 19, comma 4, CCII, prevede che il giudice chiamato a confermare le misure protettive e cautelari richieste dal debitore nell’ambito della composizione negoziata della crisi deve tener conto delle eventuali cautele, già disposte in sede di procedimento prodromico alla liquidazione giudiziale, su istanza dei creditori. A conferma, dunque, del fatto che le misure cautelari già concesse in sede di procedimento prodromico alla liquidazione giudiziale, non perdono effetto se il debitore dovesse accedere alla composizione negoziata[17].
6 . Il procedimento ex art. 55 CCII. La competenza e la fase introduttiva
Rispetto al D.Lgs. n. 14/2019, l’art. 55 CCII disciplina il provvedimento volto alla conferma o revoca delle misure protettive ovvero al rilascio, alla modifica o alla revoca di quelle cautelari. La norma entrata in vigore è stata riscritta in più punti, per tenere conto delle novità introdotte in tema di misure protettive, colmare qualche lacuna, e ritoccare alcuni passaggi sui quali si era appuntata l’attenzione degli interpreti all’indomani del D.Lgs. n. 14/2019.
Resta in parte inalterata l’attribuzione di competenza, quanto meno rispetto alla decisione di conferma delle misure protettive o di rilascio dei provvedimenti cautelari, che è affidata ad un giudice monocratico: quello indicato dal presidente del tribunale, o della sezione cui è assegnata la trattazione dello strumento di regolazione della crisi o del procedimento di apertura della liquidazione giudiziale. Soluzione analoga a quella introdotta dall’art. 19 CCII, nell’ambito della composizione negoziata della crisi[18].
Spetta invece al tribunale in composizione collegiale, la competenza a decidere della proroga delle misure protettive (oggi disciplinata anche nei presupposti dall’art. 55, comma 4), e della revoca delle stesse, quando già operanti (art. 55, comma 5): scelta che si spiega se si considera che, per un verso e per l’altro, la decisione sulla sorte delle misure protettive è indice di come il tribunale si pronuncerà sulla sorte della domanda di apertura dello strumento.
L’atto introduttivo assume la forma del ricorso: si tratterà di quello depositato ex art. art. 40 CCII, quando si chieda di confermare le misure protettive cd. tipiche (art. 54, comma 2, primo e secondo periodo), ovvero di un autonomo ricorso, se il debitore voglia domandare ulteriori misure protettive (cd. atipiche) ovvero la concessione di provvedimenti cautelari, visto che in entrambi i casi si tratta di misure che operano a procedimento pendente. L’onere di proporre un apposito ricorso, distinto da quello depositato ex art. 40 CCII, vale anche per i creditori (o per il p.m. o i sindaci) che intendano richiedere la pronuncia di misure cautelari, in funzione della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. In ogni caso, quale che sia la misura richiesta e a prescindere da chi la chieda, la parte dovrà farsi assistere da un difensore, giusta la previsione di cui dall’art. 9, comma 2, CCII.
7 . Segue. Lo svolgimento del procedimento e il suo iter differenziato. La conferma delle misure protettive tipiche
Il procedimento per la conferma delle misure protettive e la concessione delle misure cautelari si sviluppa attraverso iter differenziati, seconda il petitum della domanda: se ne occupano rispettivamente i commi 2 e 3 dell’art. 55 CCII.
In particolare, deve distinguersi secondo che: 
a) il debitore si sia avvalso di misure protettive cd. tipiche, nel ricorso ex art. 40 CCII; 
b) il debitore abbia fatto istanza di misure tipiche, in pendenza delle trattative funzionali all’omologazione di un accordo di ristrutturazione. A questa seconda ipotesi, va parificato il caso in cui: b1) il debitore chieda misure protettive atipiche ovvero b2) chi abbia proposto domanda ex art. 40 CCII (si tratti di istanza di liquidazione giudiziale o di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi) chieda il rilascio di provvedimenti cautelari.
Al caso indicato sub a) è dedicato l’art. 55, comma 3, CCII. Quando si tratta di confermare l’efficacia delle misure protettive tipiche, il giudice non è tenuto a fissare udienza: lo norma non lo prevede, né si riferisce alla necessità di instaurare il contraddittorio con la generalità dei creditori. Non è un caso che il legislatore abbia previsto che il giudice si pronunci con decreto, che, nel processo civile, è la forma che assume il provvedimento del giudice quando emesso in assenza di contraddittorio.
L’art. 55, comma 3, stabilisce che il decreto sia depositato entro trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese, sia in caso di conferma sia in caso di revoca delle misure protettive. Avverso quel provvedimento (che, a sua volta, va iscritto nel registro delle imprese) il d.lgs. 83/2022, innovando rispetto al D.Lgs. n. 14/2019, ammette reclamo ex art. 669 terdercies c.p.c., anziché ai sensi dell’art. 124 CCII, dando in questo modo uniformità con quanto previsto in caso di impugnazione avverso l’ordinanza con cui il giudice decide delle eventuali istanze cautelari.
Sempre l’art. 55, comma 3, CCII prevede poi che in caso di mancata pronuncia del decreto di conferma entro il termine di 30 giorni, l’efficacia delle misure protettive venga meno, senza peraltro precludere al debitore la facoltà di depositare una nuova istanza. Il senso di questa previsione – già contenuta nel D.Lgs. n. 14/2019 – è stato ricondotto alla necessità di evitare il rischio che un tardivo intervento del tribunale possa pregiudicare eccessivamente i creditori (di qui, dunque, la cessazione della protezione e la facoltà, per la parte, di riproporre l’istanza)[19]. È, dunque, da escludersi che si legittimi una forma di silenzio-rigetto (fugandosi ogni perplessità di ordine costituzionale, che in astratto potrebbe sorgere).
Nel confermare le misure protettive, il giudice è tenuto a stabilirne la durata, che può estendersi fino ad un massimo di quattro mesi (come impone l’art. 6, comma 6, Dir. 1023/2019) salvo proroghe e impregiudicata l’eventualità di una revoca.
Mentre, però, rispetto alla proroga e alla revoca di misure protettive già confermate il legislatore chiarisce i presupposti in forza dei quali il tribunale è chiamato ad esprimersi (art. 55, commi 4-5, CCII), la legge nulla dice quanto al tipo di vaglio che il giudice monocratico è chiamato a compiere in fase di conferma.
8 . Segue. Il vaglio del giudice in sede di conferma delle misure protettive tipiche
Come sopra ricordato, il raggio delle misure protettive, disciplinate dal CCII, diverge in parte dalla disciplina presente nella legge fallimentare, vuoi perché, sotto un profilo soggettivo, coinvolge la generalità dei creditori, e non soltanto coloro che hanno titolo o causa anteriore al momento della domanda di apertura dello strumento, vuoi perché l’inibitoria delle azioni esecutive e cautelari colpisce non solo il patrimonio del debitore, ma anche beni e diritti con i quali esercita l’attività di impresa.
Per proporre, almeno in via di prima lettura, una ricostruzione sul contenuto della valutazione che il giudice monocratico è chiamato a compiere in sede di revoca o conferma, statuendo sulla durata delle misure protettive tipiche indicata dal legislatore in un periodo non superiore a quattro mesi, occorre chiedersi quale sia l’oggetto di questo giudizio e poi considerare lo specifico contenuto del ricorso depositato ai sensi dell’art. 40 al quale fa riferimento l’art. 54 comma 2 primo e secondo periodo.
Gli interpreti si sono interrogati sulla natura delle misure protettive[20], alcuni individuando quale elemento caratterizzante il nesso eziologico tra la disapplicazione della norma di legge e la regolazione della crisi e quindi escludendo la necessità di un giudizio in termini di fumus boni iuris e di periculum in mora,[21] altri proponendo una lettura dei presupposti tipici del procedimento cautelare modificati in funzione della protezione del patrimonio necessaria alla realizzazione dello strumento di regolazione prescelto[22]. Al di là della ricostruzione sistematica che si voglia prediligere, la norma prevede che entro trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese il giudice emetta un decreto di revoca o conferma delle misure protettive e, in quest’ultimo caso, ne determini la durata.
Fondamentale appare il contenuto proprio di queste misure, dirette a non pregiudicare “il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi e dell’insolvenza”. Dunque, il primo aspetto attiene alla strumentalità della sospensione delle azioni esecutive e cautelari rispetto all’esito dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza prescelto. Questo profilo deve essere oggetto di specifica indicazione da parte del debitore, e trova un riscontro nella disposizione contenuta nell’art. 40, comma 2, CCII, là dove è previsto che il ricorso debba indicare l’oggetto - dunque lo strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza prescelto-, le ragioni della domanda - quindi perché quello strumento - e le conclusioni.
Nel caso di società, il giudice dovrà inoltre verificare il rispetto dell’art. 120 bis CCII: la domanda di accesso deve risultare da un verbale redatto da un notaio, deve essere depositata e iscritta nel registro delle imprese e sottoscritta da coloro che rappresentano la società. L’art. 39 CCII contiene una disposizione fondamentale ai fini della valutazione della strumentalità effettiva della protezione richiesta: rubricata “obblighi del debitore che chiede l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza o di una procedura di insolvenza”, la norma elenca una serie di documenti che, valutati nel loro complesso, sono in grado di fornire una indicazione sullo stato dell’impresa. Tali documenti devono essere collegati al contenuto del ricorso, nel senso che lo strumento di regolazione prescelto deve far riferimento allo stato rappresentato dalla documentazione, soprattutto con riguardo alla situazione economico-patrimoniale e finanziaria ed allo stato “particolareggiato ed estimativo” dell’attività, nonché all’elenco dei creditori e delle cause di prelazione. La norma richiede anche l’indicazione degli atti di straordinaria amministrazione compiuti negli ultimi cinque anni. 
La rilevanza della documentazione e la sua idoneità a fornire un quadro “dinamico” dell’impresa, strumentalmente collegato alle misure richieste in quanto finalizzate a permettere la realizzazione dello strumento di regolazione prescelto per il superamento della crisi, emerge anche dalla modifica normativa introdotta dal D.Lgs. n. 83/2022 che all’art. 18 lett. d), onera il debitore che nella composizione negoziata chiede conferma delle misure protettive di depositare un “progetto di piano di risanamento redatto secondo la lista di controllo dell’art. 13”. 
La novità introdotta nell’art. 18 evidenzia la centralità di un documento che esponga come si vorrebbe realizzare il recupero dalla crisi che ha coinvolto la realtà imprenditoriale, in una fase che si pone prima dell’accesso agli strumenti di regolazione della crisi, in un momento squisitamente negoziale ma si tratta di un elemento che può aiutare l’interprete in una lettura coordinata di sistema. Non solo: anche l’art. 19 prevede, se pure con ordinanza ed all’esito di un procedimento in contraddittorio caratterizzato da istruttoria, ancorché sommaria, l’individuazione della durata delle misure protettive tipiche; in questo caso il legislatore ha previsto un periodo minimo fissato in trenta giorni, da ritenersi collegato al termine di iscrizione del numero di ruolo del procedimento, oltre ad un massimo coincidente con quello del comma 3 dell’art. 55. Insieme alle altre risultanze emergenti dal procedimento, deve ritenersi che l’analisi dei documenti, in particolare proprio del progetto di piano di risanamento, sia fondamentale ai fini della decisione. Nel caso di domanda di apertura della liquidazione giudiziale o di concordato preventivo il giudice potrà trarre altri dati di conoscenza dall’istruttoria prevista dall’art. 42 CCII, riguardante l’accesso alla situazione debitoria risultante da banche dati pubbliche. I tempi contratti della decisione rendono necessaria la effettiva realizzazione del collegamento telematico alle banche dati previsto dalla disciplina contenuta nella disposizione. 
Il controllo della documentazione richiesta dalla legge pone un altro quesito. Poiché il comma in esame fa riferimento, sul modello cautelare della decisione caratterizzata da un periculum specifico e ricordata nel comma 4 del medesimo art. 55, alla possibilità di assunzione di sommarie informazioni, è possibile domandarsi se il giudice, verificata una carenza rispetto al contenuto precettivo – ad esempio l’assenza della certificazione sui debiti fiscali o previdenziali-, possa chiedere alla parte una integrazione. A ciò potrebbe ostare il dettato della norma, che nel riferimento all’assunzione di informazioni potrebbe leggersi come riferita a chiarimenti piuttosto che a richieste di integrazione, costituenti una sorta di “salvataggio” rispetto alla opzione che indicherebbe la via della revoca; tuttavia, anche alla luce delle posizioni assunte dalle prime decisioni di merito in tema di composizione negoziata, e pur nella diversità del procedimento, pare più opportuno concludere per la possibilità di richiedere anche una integrazione documentale nell’ambito dell’istruttoria, naturalmente nel rispetto dei termini previsti[23]. Poiché il decreto di conferma o revoca dovrà essere pronunciato nei trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese, il termine concesso per l’integrazione dovrà porsi naturalmente all’interno del breve arco temporale. Le informazioni, se pure sommarie, saranno fondamentali in funzione della decisione sulla durata. A questo fine dovranno essere valutate eventuali misure protettive già concesse ai sensi degli artt. 18 e 19 CCII, con particolare attenzione al termine massimo di durata delle misure previsto dall’art. 8 CCII, attesa la fondamentale disposizione sulla cessazione degli effetti conseguente all’intervento della sentenza di omologazione dello strumento di regolazione prescelto o della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. La legge prevede la decisione con decreto. Secondo una lettura proposta da alcuni interpreti tale forma si ricollega al contenuto dell’art. 23 L. fall. ed alla previsione della forma degli atti del giudice delegato[24]. Tuttavia, anche alla luce della modifica dell’art. 55, intervenuta con il D.Lgs. n. 83/2022, che ha richiamato le norme del procedimento cautelare uniforme, pare preferibile la ricostruzione, già proposta, del decreto in quanto atto funzionalmente deputato a decisioni prive di contraddittorio o a contraddittorio differito. 
Nel caso di specie il reclamo previsto ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. può quindi essere ricostruito come forma di contraddittorio successivo[25]. 
L’applicazione della disposizione in esame richiede al giudice una specializzazione non soltanto tecnico giuridico ma anche economico aziendale, in quanto la verifica della strumentalità della protezione rispetto al percorso di regolazione della crisi prescelto impone una lettura dei dati economici forniti dal debitore. Questa considerazione apre ad un problema di natura organizzativa, al quale successivamente si farà cenno, legato all’opportunità della trattazione dei procedimenti instaurati anche in tempi successivi da un solo giudice, persona fisica, all’interno della sezione. Da quanto esposto segue che la revoca delle misure protettive potrà intervenire, nell’ipotesi disciplinata dall’art. 55, comma 3, c.p.c., soltanto quando emerga evidente una incongruenza tra il contenuto del ricorso ed i dati economici introdotti in causa, o una richiesta di strumento di regolazione non idoneo rispetto alla situazione rappresentata: sarà onere del giudice indicarne i motivi in modo da permettere un ampio contraddittorio in sede di reclamo. Questa soluzione si pone in linea con il diverso procedimento disegnato per le misure cautelari e per quelle protettive previste nei commi 1, 2 terzo periodo, e 3 dell’art. 54 CCII. 
9 . Segue. Le ipotesi ricondotte nell’art. 55, comma 2, CCII
Un iter diverso è previsto invece per il caso in cui: b) il debitore abbia dichiarato di volersi avvalere di misure protettive tipiche, all’atto di deposito del ricorso ex art. 44 CCII, con cui si sia riservato di depositare domanda di omologa di accordi di ristrutturazione. Se ne occupa l’art. 55, comma 2, che traccia un procedimento applicabile anche quando b1) il debitore, nell’ambito di un procedimento di apertura di uno strumento di regolazione della crisi, abbia domandato la concessione di misure protettive ad hoc, destinate ad operare nei confronti di specifici creditori; b2); le parti legittimate (il debitore, quale che sia il contenuto del ricorso ex art. 40 CCII, e/o i soggetti legittimati a domandare l’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale) abbiano proposto ricorso per la concessione di misure cautelari. 
L’art. 55, comma 2, è costruito sulla falsariga dell’art. 669 sexies c.p.c., anche in ragione del fatto che qui, diversamente da quanto previsto dal comma 3, il contraddittorio va instaurato, tant’è vero che nel ricorso il debitore dovrà domandare al giudice di fissare udienza. 
L’individuazione dei resistenti sarà diversa secondo il petitum: si tratterà dei singoli creditori, destinatari delle misure protettive atipiche, quando richieste in pendenza di uno strumento di regolazione della crisi; se è richiesta una misura cautelare nel corso del procedimento di apertura della liquidazione giudiziale, il contraddittorio dovrà essere instaurato con chi è parte del giudizio di merito: se a richiederla sia il P.M., contraddittori saranno i creditori e/o i sindaci, eventualmente intervenuti e il debitore. E viceversa. Se la misura cautelare è diretta ad un terzo, anche con costui il contraddittorio dovrà essere instaurato. Nel caso di misure protettive, che si accompagnino ad una domanda di pre-accordo di ristrutturazione, legittimati a contraddire nel procedimento ex art. 55 saranno i creditori coinvolti nelle trattative. 
La convocazione delle parti avverrà tramite notifica del ricorso, unito al decreto di fissazione dell’udienza. La notifica avverrà con modalità telematica, come prescrive l’art. 10 CCII. L’art. 55, comma 2, diversamente dall’art. 19 CCII, dettato per la composizione negoziata della crisi, non assegna al giudice un termine entro il quale fissare udienza. La norma non precisa entro quando ma v’è da credere che possa invocarsi in via analogica l’art. 669 sexies c.p.c.
L’art. 55, comma 2, contiene poi un inciso in virtù del quale il giudice può concedere il provvedimento richiesto con decreto inaudita altera parte, se la convocazione dell’udienza rischia di pregiudicare l’attuazione del provvedimento, impregiudicata la conferma, revoca o modifica del decreto, dopo l’instaurazione del contraddittorio. La norma si riferisce genericamente al provvedimento, ma non chiarisce se questo iter trovi applicazione per le sole misure cautelari, ovvero anche per quelle protettive atipiche e per quelle tipiche, che si accompagnano ad una domanda di pre-accordo di ristrutturazione. 
V’è da credere che la possibilità di procedere inaudita altera parte riguardi solo le misure cautelari e quelle protettive atipiche, per le quali, del resto, sarebbe possibile anche la modifica. Diverso discorso meritano, invece, le misure protettive tipiche che seguono alla proposizione di una domanda di pre-accordo di ristrutturazione. In questo caso, da un lato, si fatica ad immaginare quell’urgenza che non tollera la celebrazione dell’udienza; dall’altro lato, proprio perché le misure protettive che sono richieste sono quelle tipiche, non si vede perché ne sarebbe possibile una modifica, a valle dell’udienza, quando invece, nel caso di protezione del patrimonio che si accompagna ad una domanda di concordato o di omologa di accordo o piano di ristrutturazione, l’alternativa è secca tra revoca e conferma.
10 . Il procedimento di proroga o revoca delle misure protettive già efficaci
Innovando rispetto al dettato del D.Lgs. n. 14/2019, il D.Lgs. n. 83/2022 meglio precisa il procedimento e i presupposti per la proroga della durata delle misure protettive, o per la loro revoca, una volta che siano state confermate. Se ne occupano i commi 4 e 5 dell’art. 55. 
La proroga, che può essere selettiva (ossia riguardare in tutto o in parte le misure protettive concesse, e dunque, verosimilmente anche alcuni soltanto creditori), è accordata se “risultano significativi progressi nelle trattative sul piano di ristrutturazione e sempre che non sia arrecato eccessivo pregiudizio ai diritti e agli interessi delle parti interessate”. Al di là dello specifico riferimento al piano di ristrutturazione, la norma appare pensata in relazione a qualsiasi strumento di regolazione della crisi, di cui sia stata chiesta l’apertura, e sembra indirizzarsi tanto alle misure protettive tipiche quanto a quelle concesse nei confronti di singoli creditori. Legittimati alla richiesta di proroga sono il debitore ma anche il creditore. Di seguito verrà analizzato più da vicino il contenuto della decisione.
La revoca o modifica delle misure protettive, invece, può essere disposta in caso di accertato compimento di atti in frode, salva una precisazione che pare emergere dalla lettera del comma, ovvero in tutti quei casi in cui le misure concesse non soddisfano più l’obiettivo di agevolare le trattative. L’istanza può essere proposta dal debitore o dallo stesso commissario giudiziale, ma anche dai creditori e dal P.M.
Solo nel caso di revoca (ma non di proroga) il legislatore prevede la fissazione di un’apposita udienza, che va celebrata davanti al tribunale, questa volta in composizione collegiale, lo stesso che poi è chiamato a decidere nel merito della domanda di accesso allo strumento di regolazione della crisi.
Quanto alla competenza, il riferimento del legislatore al tribunale non può che essere letto nel senso indicato, in forza di una lettura congiunta dell’art. 40, comma 1, CCII che indica espressamente la competenza del tribunale in composizione collegiale e dell’art. 55, comma 1, CCII il quale, nel prevedere la nomina di un giudice relatore, il medesimo delegato all’audizione delle parti se già individuato, fa riferimento al contenuto dell’art. 54 CCII, disposizione che disciplina la sola fase di concessione delle misure cautelari e protettive atipiche o richieste prima del deposito della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione e di conferma delle protettive tipiche.
Il comma 4, introdotto ex novo dal D.Lgs. n. 83/2022, disciplina il procedimento di proroga delle misure protettive già concesse: non è prevista la fissazione di udienza ma occorre fermare l’attenzione sul contenuto del giudizio richiesto. La proroga, dispone la norma, può essere concessa “se sono stati compiuti significativi progressi nelle trattative sul piano di ristrutturazione” e se essa “non arreca ingiusto pregiudizio ai diritti ed agli interessi delle parti interessate”.
Il collegio dovrà acquisire, dai soggetti legittimati a proporre la relativa domanda, elementi conoscitivi sufficienti a concludere per l’esistenza di significativi progressi nelle trattative e per procedere ad una analisi della gravità del pregiudizio “ai diritti ed agli interessi” delle parti interessate. In questa indagine, emerge la natura specifica delle misure protettive, che prevedono la sospensione dell’esercizio dei diritti dei creditori in funzione della realizzazione del risanamento dell’impresa. Qui il collegio deve valutare la posizione non solo dei diritti ma anche degli “interessi” delle parti interessate. Dovrà effettuare quindi un bilanciamento tra l’incidenza sui diritti dei singoli delle misure protettive, oggetto del ricorso, ed il beneficio che dalla realizzazione del piano di ristrutturazione deriverà non solo all’imprenditore ma soprattutto alla sua impresa, quindi all’insieme dei creditori. Non solo, il richiamo agli interessi porta a ritenere che l’attenzione debba riguardare in generale gli stakehoders. Nell’oggetto di questo bilanciamento, che sarà certamente reso più semplice nel caso di intervenuta nomina del commissario giudiziale, di cui all’art. 40, comma 4, CCII e quindi dall’acquisizione del suo parere, emerge l’indicazione di preferenza per una via che permetta il recupero della realtà economica, quindi la ristrutturazione, piuttosto che la liquidazione. La necessità di acquisire informazioni complete, anche in funzione della quantificazione del tempo della proroga, prevista anche in termini selettivi, induce a ritenere che il collegio possa chiedere precisazioni sul contenuto del ricorso, anche rispetto ad eventuali documenti allegati.
L’art. 55, comma 4, nulla dice sul procedimento, ponendosi dunque una questione definitoria, rilevante soprattutto con riguardo ai poteri in capo al tribunale ai fini della decisione, ferma la necessità dell’istanza – del debitore ma anche di un creditore – che richiama la necessaria osservanza del principio dispositivo, dunque dei principi di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c. Ai fini del bilanciamento dei contrapposti diritti e interessi, dovrà ancora una volta trovare considerazione l’elemento temporale, che potrebbe intrecciarsi alla difficoltà determinata dalla contemporanea pendenza di altre procedure. Quest’ultimo profilo potrà essere affrontato alla luce del generale principio contenuto nell’art. 7 CCII. La decisione del tribunale, come sopra osservato, fornirà indicazioni sulle prospettive delle trattative in corso.
L’art. 55, comma 5, CCII, dedicato alla revoca o alla modifica delle misure protettive, anch’esse di competenza del tribunale, ha mutato in parte contenuto nel passaggio dal D.lgs. n. 14/2019 al D.Lgs. n. 83/2022. Risulta cambiata significativamente la platea dei legittimati, essendo ora prevista anche la richiesta del debitore, mentre quella dei creditori e del Pubblico ministero è limitata ai casi di presenza di atti di frode. La norma prevede l’instaurazione del contraddittorio, se pure lasciato alle forme ritenute più opportune. Leggendo la disposizione pare potersi ritenere che il debitore e il commissario giudiziale possano formulare richieste di modifica o revoca, anche se non in presenza di atti di frode. La seconda parte, modificata in funzione dell’inserimento nel Codice del nuovo strumento della composizione negoziata e delle novità inserite nell’art. 54, prevede che la disposizione di cui alla prima parte si applichi anche quando il tribunale accerti che le misure protettive concesse non soddisfano più l’obiettivo di agevolare le trattative. Il riferimento contenuto nella seconda parte richiama l’ipotesi in cui venga a mancare quella strumentalità rispetto al raggiungimento della ristrutturazione economica che è condizione essenziale per la sospensione dei diritti in cui le misure di protezione trovano la loro ragion d’essere. La norma, benché indichi un accertamento da parte del tribunale, richiama la prima parte e quindi deve ritenersi sia sempre necessaria una istanza di parte, non potendosi configurare un potere di iniziativa officioso.
Tuttavia, pare opportuno interrogarsi sulle conseguenze qualora, in una fase di revoca introdotta da una istanza che alleghi la presenza di atti in frode, il tribunale ritenga non provata l’allegazione, ma verifichi la sopravvenuta venuta meno della idoneità delle misure protettive ad agevolare le trattative. V’è da ritenere che, analogamente a quanto accade nel processo civile (arg. ex artt. 101, comma 2, e 183, comma 4, c.p.c.) il tribunale possa segnalare alle parti la rilevata situazione, provvedendo solo in presenza di una specifica richiesta che, all’esito della discussione, uno dei soggetti legittimati potrebbe formulare. Questa soluzione, oltre ad essere rispettosa al principio della domanda, appare conforme non solo alla logica della celerità del procedimento, che costituiva uno dei principi generali contenuto nell’art. 2 della legge delega[26], ma anche alla necessaria salvaguardia del sistema complessivo, che coinvolge un numero elevato di soggetti che vedono incisi i loro diritti in funzione del raggiungimento di una ristrutturazione nei termini prospettati con lo strumento di regolazione della crisi.
Benché il legislatore abbia espressamente previsto il reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. solo avverso il decreto di conferma o revoca delle misure protettive tipiche ovvero contro l’ordinanza con cui vengono concesse o rigettate delle misure cautelari o quelle protettive atipiche, non v’è ragione per negare che anche i provvedimenti pronunciati ex art. 55, commi 4 e 5, c.p.c., siano impugnabili con lo stesso mezzo. 
11 . Misure protettive e cautelari e competenza della corte d’appello
Merita un cenno la competenza in tema di misure protettive e cautelari riconosciuta alla corte di appello. L’art. 55, comma 6, CCII riprende il contenuto del comma 5 D.Lgs. n. 14/2019, come modificato dal decreto correttivo n. 276/2020, che già nella versione originaria dava attuazione al principio espresso dall’art. 2, lett. d) Legge n. 155/2017, con il quale si chiedeva al Governo di prevedere la competenza della Corte di appello ad adottare misure cautelari. 
L’art. 55, comma 6, attribuisce alla corte d’appello il potere di emettere i provvedimenti di cui all’art. 54, commi 1 e 2, CCII: dunque sia le misure cautelari, sia le misure protettive, quelle tipiche di cui al comma 2, primo e secondo periodo, e quelle atipiche, di cui al comma 2, terzo periodo. 
Il potere attribuito alla corte d’appello è collegato alla fase di reclamo contro il decreto di inammissibilità della proposta di concordato preventivo (art. 47, comma 5, CCII) e contro il provvedimento che rigetta la domanda di apertura della liquidazione giudiziale (art. 50 CCII). 
La norma non chiarisce quale sia il procedimento attraverso cui concedere queste misure, limitandosi a specificare solo il tipo di provvedimenti che possono essere concessi. Anche se, in astratto, potrebbe considerarsi applicabile la disciplina dei procedimenti in camera di consiglio (artt. 737-738 c.p.c., previsti dalle norme sulle impugnazioni richiamate), v’è da credere che, trattandosi pur sempre di misure protettive e cautelari, trovi applicazione la disciplina tracciata dall’art. 55 CCII. 
Un problema più rilevante può porsi con riferimento alla reclamabilità dei provvedimenti di concessione di misure cautelari o protettive atipiche e di conferma di misure protettive tipiche, disposti dalla corte di appello in sede di reclamo. Se si ritiene che esista un principio di reclamabilità generale di tali provvedimenti – per altro una opinione contraria creerebbe una situazione discriminatoria tra coloro che vedessero accolte le istanze di protezione e cautela solo in sede di reclamo e coloro che al contrario le vedessero accolte dal Tribunale –, dovrebbe concludersi per la possibilità di proporre reclamo dinanzi ad altra sezione della stessa corte o, in mancanza alla corte d’appello più vicina, secondo il disposto dell’art. 669 terdecies, pur non richiamato espressamente dal comma 6 dell’art. 55[27].
12 . Misure protettive e cautelari e concordato semplificato
Volendo concludere il quadro generale relativo alle misure protettive, non può non segnalarsi come il D.Lgs. n. 83/2022 non le abbia richiamate nella disciplina dedicata al concordato semplificato (artt. artt. 25 sexies e 25 septies CCII). Nel testo risultante dal D.L. n. 118/2021 conv., l’art. 18 comma 2 ultima parte conteneva un espresso richiamo, tra gli altri, all’art. 168 l. fall. (e all’allora operante automatic stay). Nel Codice non è contenuta alcuna norma di raccordo: viene meno il riferimento all’art. 168 L. fall. ma manca qualsiasi menzione alle misure protettive, sicché chi accede al concordato semplificato pare, quanto meno in astratto, non avere alcuna protezione, nel paradigma delle misure protettive sopra esaminate. Si potrebbe ritenere applicabile in via analogica il procedimento previsto negli artt. 54 e 55 CCII anche al concordato semplificato, ma il passaggio richiederebbe o una ricostruzione in termini di strumento di regolazione della crisi, interpretazione non facile attesa la specificità dell’istituto, oppure una lettura degli artt. 54 e 55 CCII in termini di procedura generale applicabile a tutti i percorsi di ristrutturazione. Rimane comunque un problema di coordinamento al quale si occorrerà dedicare attenzione[28].
Ancora in termini generali pare utile un breve cenno ai problemi di natura organizzativa legati alla novità del procedimento unitario previsto dagli artt. 54 e 55 CCII. Ai fini della funzionalità, prima ancora dell’efficienza del sistema previsto dal legislatore, appare necessario sottolineare da un lato la necessità di un collegamento continuo tra il Registro delle Imprese e la sezione competente alla trattazione della materia della crisi d’impresa, e dall’altro la necessità che sia individuato un giudice persona fisica al quale assegnare le procedure collegate alle diverse possibili istanze di concessione delle misure, istanze che potranno intervenire in momenti diversi e introdotte da parti diverse. La previsione contenuta nell’articolo 55, comma 1, CCII là dove si legge che il magistrato designato per la trattazione sia quello eventualmente già delegato per l’audizione delle parti indica come questa esigenza fosse presente e condivisa dal legislatore. La conoscenza che il magistrato designato abbia acquisito nella decisione sulle istanze di cui all’art. 54, commi 1, 2 e 3, CCII sarà di rilevo centrale laddove fosse presentata una nuova istanza di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o depositato un ricorso per l’apertura del procedimento di liquidazione giudiziale accompagnato da istanze di misure.
13 . La cessazione degli effetti delle misure cautelari e le conseguenze in caso di revoca o cessazione delle misure protettive
Proprio perché la strumentalità delle misure cautelari si misura sulla pronuncia della sentenza di liquidazione o di omologa dello strumento di regolazione della crisi, gli effetti dei provvedimenti cautelari cesseranno in ogni caso quando il procedimento di apertura giunga al suo epilogo (art. 55, comma 2, ultimo periodo, CCII), quale che esso sia. Il che giustifica anche quell’inciso, introdotto dal D.Lgs. n. 83/2022, per il quale non trovano applicazione gli artt. 669 octies, commi 1, 2, 3 e l’art. 669 novies c.p.c.: non v’è qui alcun bisogno di instaurare una causa di merito[29]. Nulla è previsto per l’ipotesi in cui si voglia domandare la revoca di quelle misure: peraltro la natura cautelare di quei provvedimenti, unita al fatto che la loro disciplina, all’interno del CCII è mutuata dal codice di rito, legittima il ricorso in via analogica all’art. 669 duodecies
Il D.Lgs. n. 83/2022 prende posizione in ordine alle conseguenze in caso di revoca o cessazione delle misure protettive e chiarisce se il loro venir meno, perché revocate o scadute, abbia effetto ex nunc, oppure ex tunc. La questione è destinata a porsi in tutti quei casi in cui, in spregio all’art. 54, comma 2, primo e secondo periodo, CCII un creditore abbia promosso un’azione esecutiva, domandando il pignoramento, quando l’iniziativa doveva essergli inibita, ovvero quando, in violazione dell’art. 46 CCII, abbia iscritto ipoteca sui beni del debitore. 
L’art. 55, comma 7, CCII si occupa espressamente di questa seconda ipotesi, stabilendo che il divieto di acquisire diritti di prelazione viene meno a far data dalla revoca o dalla cessazione delle misure protettive. L’efficacia della protezione in questo caso cessa ex nunc, condannando all’illegittimità l’iscrizione ipotecaria che sia stata medio tempore effettuata.
Il fatto che non sia stato espressamente previsto che quell’illegittimità sia dichiarata dal tribunale, con il provvedimento con cui dichiara cessati o revocati gli effetti delle misure protettiva, lascia aperta la questione, quale sia l’impatto di quella iscrizione (che, pur illegittima, non sia stata cancellata) sulla successiva circolazione dell’immobile[30]. A ben vedere, però, il problema è destinato a porsi soltanto in caso di cessazione delle misure protettive, senza che sia data esecuzione ad un concordato omologato. Se infatti il tribunale avesse disposto la revoca delle misure protettive, rigettato la domanda di concordato e accolto quella di liquidazione giudiziale, la presenza di quell’ipoteca, proprio perché illegittimamente iscritta, dovrebbe condurre il giudice delegato ad ammettere al chirografo il creditore che abbia formulato istanza di insinuazione, sicché quell’ipoteca, iscritta sul bene, finirà per essere travolta dall’effetto purgativo della vendita disposta in sede concorsuale. In termini analoghi, può concludersi quando alla cessazione delle misure protettive, per scadenza del termine concesso dal giudice o per decorso dei dodici mesi, segua l’omologa e poi l’esecuzione del concordato, con conseguente liquidazione del bene. Anche in questo caso, l’ipoteca illegittimamente trascritta andrà purgata. 
Per contro, sarà necessario che il debitore si faccia carico di provvedere alla cancellazione dell’ipoteca in tutti quei casi in cui le misure protettive cessino, non sia accolta la domanda di accesso allo strumento di regolazione della crisi cui si accompagnavano, ma non segua l’apertura della liquidazione giudiziale (ipotesi, probabilmente, di scuola). 
Il problema sarà destinato a porsi anche nell’ambito della composizione negoziata della crisi, posto che l’art. 19, comma 7, CCII riproduce identicamente la previsione dell’art. 55, comma 7, CCII. Se dunque alla composizione negoziata non segue l’apertura di un concordato semplificato, sarà necessario promuovere un apposito giudizio per provvedere alla cancellazione dell’ipoteca, come prevede l’art. 2884 c.c. 
L’art. 55, comma 7, CCII prende posizione solo sulla sorte dell’ipoteca iscritta nonostante il divieto ex art. 46 CCII e traccia, solo per questa precisa ipotesi, la cessazione degli effetti protettivi con efficacia irretroattiva. Se ne ricava che per le altre misure protettive (lo stay esecutivo e cautelare), il venir meno della protezione salva gli atti esecutivi compiuti medio tempore. Ciò significa che eventuali pignoramenti disposti, durante il periodo in cui era efficace la misura protettiva, debbono considerarsi legittimamente compiuti, una volta che essa sia venuta meno. 



*Benché il contributo sia frutto di una riflessione condivisa delle due Autrici, i paragrafi 1-7, 9, 13 sono da attribuirsi a Laura Baccaglini; i paragrafi 8,10,11, 12 a Lorenza Calcagno.

Note:

[1] 
I. Pagni, Le misure protettive e le misure cautelari nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Le società, 2019, 438; M. Fabiani, Le misure cautelari e protettive nel codice della crisi di impresa, in Riv. dir. proc., 2019, 849 ss.; G. Scarselli, Le misure cautelari e protettive del nuovo codice della crisi, in Judicium.it, 8 aprile 2019.
[2] 
V’era stato chi, infatti, aveva osservato un contrasto tra la norma definitoria di cui all’art. 2, lett. p) (che presa alla lettera sembrava presupporre un provvedimento del giudice ai fini della decorrenza degli effetti delle misure protettive) e l’art. 54, comma 2, chiaro nel prevedere che la protezione del patrimonio avrebbe prodotto effetti dal momento della pubblicazione della domanda nel registro delle imprese, G. Bozza, Protezione del patrimonio negli accordi e nei concordati, in Ilcaso.it, 18 marzo 2019, 25. In verità, il contrasto era più apparente che reale, alla luce del principio espresso dalla legge delega e dell’inequivoco esordio dall’art. 54, comma 2, D.Lgs. n. 14/2019 (“se il debitore ne ha fatto istanza”). Infatti, non era mancato chi aveva puntualizzato che l’espressione “misure disposte dal giudice”, che si leggeva nell’art. 2 lett. p), dovesse interpretarsi nel senso di misure richieste dal debitore e confermate dal giudice: I. Pagni, Le misure protettive e le misure cautelari, cit., 440.
[3] 
Tuttavia, solo il procedimento ex art. 19 CCII va introdotto con apposito ricorso, da depositarsi il giorno successivo alla pubblicazione dell’accettazione dell’esperto nel registro delle imprese. Nel caso degli strumenti di regolazione della crisi, la volontà del debitore di avvalersi di misure protettive è già espressa all’interno della domanda presentata ai sensi degli artt. 37-40 CCII o 44 CCII, sicché non v’è bisogno di introdurre il procedimento ex art. 55 che si considera già pendente.
[4] 
Si conferma, in questo modo, la lettura dell’art. 8 D.Lgs. n. 14/2019 che parte della dottrina aveva proposto: “se si ritiene, come sembra preferibile, che la ratio della previsione dell’art. 8 sia quella di contenere la durata delle misure, quando ancora il debitore sta trattando con i creditori, per una sistemazione della propria posizione debitoria (e che in questo senso siano anche le indicazioni provenienti dalla raccomandazione e dalla Direttiva), e se si considera, per converso, che l’esigenza della intangibilità del patrimonio da parte del singolo, una volta omologati il concordato o gli accordi, è identica per questi e per la liquidazione giudiziale, dove non è previsto un termine finale, si potrà sostenere, anche con riferimento alle disposizioni del Codice della crisi, che la protezione del patrimonio si estenda oltre l’omologazione, permettendo che la fase esecutiva del concordato e degli accordi sia retta dalle regole del concorso”. I Pagni, Le misure protettive e le misure cautelari, cit., 444.
In senso contrario, G. Bozza, Le misure protettive e cautelari nel codice della crisi e dell’insolvenza, cit., 13 secondo cui la durata massima di dodici mesi delle misure protettive, unita al fatto che il legislatore non specifica che la protezione del patrimonio continua ad operare anche dopo l’omologa del concordato, non legittima de plano a ritenere che lo stay esecutivo e cautelare opera anche in fase di esecuzione del concordato (tant’è che l’A. suggeriva di introdurre anche rispetto a questo strumento una norma analoga all’art. 150 CCII).
Residua peraltro il problema cosa accade se le misure protettive perdono effetto, per decorrenza dei dodici mesi, a ridosso dell’omologazione dello strumento. Fattispecie, questa, destinata a verificarsi non di rado se si considera che nella durata stabilita dall’art. 8 CCII vanno computate anche le misure protettive confermate in sede di composizione negoziata, che a loro volta possono essere prorogate. Potrebbe perciò accadere che il tempo necessario per omologare lo strumento di regolazione della crisi – quale esito della composizione negoziata – richieda un tempo superiore a quello che ancora residua per l’operare delle misure protettive. In questo caso, come era già stato suggerito all’indomani del D.Lgs. n. 14/2019, il debitore potrebbe fare ricorso alle misure cautelari, che non hanno una scadenza predeterminata e per le quali è richiesto al giudice solo un vaglio legato alla strumentalità delle stesse rispetto all’attuazione della sentenza di apertura dello strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza richiesto (M. Fabiani, Le misure cautelari e protettive nel codice della crisi di impresa, cit., 864-865).
[5] 
Che sono diverse da quelle chiamate ad operare nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, non essendosi qui in presenza di una procedura concorsuale, nemmeno vicaria, tant’è vero che nella composizione negoziata, il debitore non subisce alcuno spossessamento, nemmeno attenuato. Su questi aspetti, si v. se si vuole L. Baccaglini, Composizione negoziata della crisi e misure protettive: presupposti, conseguenze ed effetti della loro selettività sulle azioni esecutive individuali, in Il Fall., 2022, di prossima pubblicazione.
[6] 
Il D.Lgs. n. 83/2022 ha così confermato, anche rispetto a questo profilo, l’impianto del D.L. 118/2021, in pendenza del quale a favore della tassatività delle misure protettive si era espressa la maggioranza degli A. Tra i molti, M. Montanari, Il procedimento relativo alle misure protettive e cautelari nel sistema della composizione negoziata della crisi d’impresa: brevi notazioni, in Ilcaso.it, 24 dicembre 2021, 3; L. Baccaglini - F. De Santis, Misure protettive e provvedimenti cautelari, in Diritto della crisi, speciale riforma, in www.dirittodellacrisi.it, 2021, 59; A. Tedoldi, Le misure protettive (e cautelari) nella composizione negoziata della crisi, in (diretto da) M. Irrera - A. Cerrato, La crisi d’impresa e le nuove misure di risanamento, Torino, 2022, 360; F. Lamanna, Composizione negoziata e nuove misure per la crisi di impresa, Milano, 2022, 25; contra, F. Platania, Composizione negoziata: misure protettive e cautelari e sospensione degli obblighi ex artt. 2446 e 2447 c.c., in Ilfallimentarista.it, 7 ottobre 2021, 5; S. Leuzzi, Una rapida lettura dello schema del D.L. recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, in www.dirittodellacrisi.it, 5 agosto 2021, 5.
[7] 
M. Fabiani, Le misure cautelari e protettive nel codice della crisi d’impresa, cit., 860-861; G. Bozza, Le misure protettive e cautelari, cit., 55.
[8] 
Trib. Frosinone 19 giugno 2020, in DeJure; Trib. Roma 13 agosto 2018, ivi; Trib. Udine 24 settembre 2017, in Unijuiris.it; Trib. Milano 19 agosto 2015, in Dir. fall., 2016, II, 539; Trib. Milano 17 luglio 2015, in Ilcaso.it, con nota favorevole di N. Traverso, Concordato preventivo, divieto di esecuzioni e nozione di “patrimonio del debitore” ai sensi dell’art. 168 l.f.: commento alle ordinanze del tribunale di Milano, del 17 luglio 2015 e 19 agosto 2015; Trib. Frosinone 24 ottobre 2014, in questa Rivista, 2015, 835. In senso contrario, Trib. Venezia 22 dicembre 2016, in Ilfallimentarista.it; Trib. Bari 6 ottobre 2016, in Ilprocessocivile.it; Trib. Bergamo 28 dicembre 2016, in Ilcaso.it; Trib. Aosta 20 febbraio 2014, ivi; Trib. Bolzano 22 marzo 2013, ivi; Trib. Terni 16 ottobre 2012, in questa Rivista, 2013, 499; Trib. Milano 18 marzo 1985, in Riv. it. leasing, 1988, 496.
Per una sintesi delle diverse posizioni assunte dagli A. quanto all’interpretazione del concetto di patrimonio ex art. 168 L. fall., M. Spadaro, La protezione del patrimonio del debitore in concordato preventivo, tra interpretazione estensiva dell’art. 168 L. fall. e nuove misure protettive e cautelari previste dal codice della crisi, in Il Fall., 2017, 521.
[9] 
Lo riteneva possibile, pur nel silenzio dell’art. 54, comma 2, D.Lgs. n. 14/2019 M. Fabiani, Le misure cautelari, cit., 861; riteneva invece che, per come formulata nel 2019, la norma consentisse l’operare solo delle misure protettive tipiche (ma criticava la scelta compiuta dal legislatore di consentire la protezione del patrimonio solo ricorrendo agli istituti tipici, indicati già dall’art. 168 L. fall.), M. Spadaro, La protezione del patrimonio del debitore, cit., 527; L.M. del Majno, Le misure protettive del patrimonio del debitore in concordato preventivo: verso il CCII, in Il Fall., 2020, 1062.
[10] 
A chiarire, in questo modo, la centralità del principio della domanda di parte e il rispetto del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, non sempre rispettato in passato. Trib. Vibo Valentia, 19 marzo 2010, in Ilcaso.it; ma anche Trib. Milano, 25 marzo 2010 in Il Fall., 2010, 1179-1180, con nota di P. Marzocchi, I provvedimenti cautelari nell’istruttoria prefallimentare: i limiti agli effetti anticipatori. V. anche P. De Cesari, G. Montella, Le misure cautelari e conservative nell’istruttoria prefallimentare, in Riv. dir. proc., 2011, spec. 807-808.
[11] 
In questo senso, I. Pagni, Le misure protettive e le misure cautelari, cit., nt. 4, 441, in replica ad una contraria osservazione di S. Ambrosini, La riforma del codice della crisi e dell’insolvenza, motus in fine velocior, in Ilcaso.it, 17 settembre 2018, 10.
[12] 
Sarebbe sterile chiedersi se ciò sia possibile visto che oggi la norma discorre genericamente di provvedimenti cautelari e non più di provvedimenti conservativi, che invece si leggeva nell’art. 15, comma 8, L. fall. visto che la conservazione dello status quo (che può riguardare tanto il patrimonio quanto l’impresa) nell’attesa della pronuncia di merito costituisce uno dei possibili contenuti che il provvedimento cautelare può rivestire, accanto a quello più propriamente anticipatorio, entro quanto possibile, tenuto conto dei limiti immanenti della tutela cautelare e dei suoi rapporti con quella di merito, specie là dove si tratti di anticipazione di effetti propriamente costitutivi, che si riannodano solo ad un provvedimento suscettibile di passare in giudicato. M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Torino, 2009, 59.
[13] 
Per una casistica sulle misure cautelari concesse in fase di istruttoria prefallimentare, si v. F. De Santis, La dichiarazione di fallimento, in (a cura di) Buonocore e A. Bassi, Trattato di diritto fallimentare, I, Padova, 2010, 405; R. Bellè, I provvedimenti cautelari e conservativi a tutela del patrimonio e dell’impresa, in Il Fall., 2011, 7; R. Tiscini, L’istruttoria prefallimentare, in A. Jorio, B. Sassani (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, I, Milano, 2016, 522-524. S. Leuzzi, Cautela e protezione dell’impresa nelle procedure concorsuali, in Ilcaso.it, 11 maggio 2019, 28 ss.
[14] 
Come invece disposto da Trib. Brescia, 19 maggio 2022; Trib. Vicenza, 15 gennaio 2018, in Giur. Comm., 2018, II, 758; Trib. Napoli, 30 marzo 2012 (in obiter); Trib. Prato, 16 giugno 2011, in Dejure; Trib. Terni, 13 aprile 2011, ivi (in un caso in cui, peraltro, gli amministratori erano stati colpiti da misure interdittive); App. Napoli, 16 aprile 2010, ivi; Trib. Novara, 24 febbraio 2010, in Il Fall., 2010, 1180; Trib. Napoli, 23 giugno 2009, in Dejure; Trib. Monza, 11 febbraio 2009, in Il Fall., 2009, 854; Trib. Latina, 10 dicembre 2009, in Dejure; Trib. Udine, 11 luglio 2008, ivi.
[15] 
Trib. Terni, 3 marzo 2011, in Il Fall., 2011, 852, con nota di I. Pagni, Nuovi spazi per le misure cautelari nel procedimento per la dichiarazione di fallimento.
[16] 
I. Pagni, Nuovi spazi per le misure cautelari, cit., 862 ma anche Id., I Provvedimenti cautelari a tutela del patrimonio e dell’impresa nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, in (a cura di) A. Caiafa, Le procedure concorsuali, I, Padova, 2011, 224-225; M. Fabiani, Le misure cautelari, cit., 856 ma già Id., Tutela cautelare e amministrazione dell’impresa nel processo di fallimento, in Riv. dir. proc., 2012, 951-952. Scrive l’A. “La misura andrebbe, invece, calibrata sulla (mera) gestione dell’attività – visto che l’impresa “è” attività – da assegnare all’amministratore nominato dal tribunale nel contesto di un ventaglio di poteri che possono limitarsi all’ordinaria amministrazione, ma anche estendersi alla straordinaria amministrazione (eventualmente con la cautela di un intervento autorizzatorio integrativo del giudice) se questa ha ad oggetto l’impresa e non l’organizzazione della società”.
[17] 
Soluzione che, già nella vigenza del D.L. n. 118/2021, era stata avanzata da I. Pagni, M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in www.dirittodellacrisi.it, speciale riforma.
[18] 
Che opportunamente ha attribuito il compito di trattare, conoscere e disporre le misure cautelari (o confermare quelle protettive) al tribunale competente ex art. 27 CCII, abbandonando la criticabile e criticata soluzione, approntata nel D.Lgs. n. 14/2019 per la composizione assistita della crisi, di attribuire la competenza alla Sezione specializzata in materia di impresa (art. 20 CCII).
[19] 
I. Pagni, Le misure protettive e le misure cautelari, cit., 443.
[20] 
Cass., 19 giugno 2018, n. 16161, Foro.it, Rep. 2018, Concordato preventivo, n. 38, qualifica come cautelari le misure protettive di cui all’art. 182 bis, comma 6 L. fall.
[21] 
In questi termini, G. Scarselli, Le misure cautelari e protettive del nuovo codice della crisi, cit. 
[22] 
Così in tema di composizione negoziata, con decisioni afferenti il contenuto dei presupposti non perfettamente coincidenti, Trib. Milano, 17 gennaio 2022 in L. Baccaglini, Il Fall., 2022 in corso di pubblicazione, Trib. Avellino, 16 maggio 2022 in www.dirittodellacrisi.it.
[23] 
Pone la questione, evidenziando le diverse opzioni interpretative, G. Rana, Questioni pratiche sul procedimento relativo alle misure protettive nel D.L. n. 118/2021, in www.dirittodellacrisi.it, 23 febbraio 2022; favorevole alla richiesta di integrazione documentale Trib. Brescia 2 dicembre 2021, ivi; Trib. Milano, 28 dicembre 2021, in Dejure; Trib. Avellino, 27 gennaio 2022, ivi.
[24] 
Così G. Scarselli, Le misure cautelari e protettive del nuovo codice della crisi, cit.
[25] 
Diversa è stata invece la soluzione adottata dal legislatore (sia nel D.L. n. 118/2021, sia oggi nel CCII), quanto all’instaurazione del contraddittorio con i creditori, nel procedimento di conferma delle misure protettive. E ciò, per la semplice ragione che nella composizione negoziata, diversamente da quanto accade negli strumenti di regolazione della crisi, al debitore è data la possibilità di selezionare i destinatari delle misure, che dunque saranno i legittimi contraddittori del procedimento di conferma delle misure protettive. Il debitore come può scegliere chi invitare al tavolo delle trattative, del pari può stabilire verso chi proteggere il proprio patrimonio (impregiudicato il fatto che se il debitore, che accede al percorso negoziale, dichiara di volersi avvalere di uno stay esecutivo e cautelare erga omnes, il contraddittorio, nel procedimento previsto dall’art. 19 CCII, andrà instaurato nei confronti di tutti. Per una lettura in questi termini, tra i molti, Trib. Brescia, 19 gennaio 2022, in www.dirittodellacrisi.it; Trib. Milano, 24 febbraio 2022, in www.dirittodellacrisi.it; Trib. Pescara, 9 maggio 2022, in www.dirittodellacrisi.it. In arg. se si vuole, L. Baccaglini, Composizione negoziata della crisi e misure protettive: presupposti, conseguenze ed effetti della loro selettività sulle azioni esecutive individuali, cit.
[26] 
La L. n. 155/2017 prevedeva, all’art. 2, fra i principi generali, il seguente criterio cui avrebbe dovuto uniformarsi il legislatore delegato: «d) adottare un unico modello processuale per l’accertamento dello stato di crisi o di insolvenza del debitore, in conformità all’articolo 15 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e con caratteristiche di particolare celerità”.
[27] 
Sulla questione della irreclamabilità come sostenuta in sede di rimessione alla Corte Costituzionale per non essere previsto espressamente il giudice del reclamo in un caso di cautelare collegiale è intervenuta la Corte Costituzionale con pronuncia 27 dicembre 1996 n. 421, in Giur. it., 1997, I, 358 con una decisione che fa propendere per una lettura costituzionalmente orientata nel senso dell’applicazione dell’art. 669 terdecies c.p.c.
[28] 
Sul punto, S. Sanzo, Concordato semplificato e misure protettive: un vuoto normativo nel codice della crisi?, in Ilfallimentarista, 20 luglio 2022.
[29] 
Precisazione, questa, che si legge anche nell’art. 19 CCII, rispetto alle misure cautelari concesse in sede di composizione negoziata della crisi. 
[30] 
Gli artt. 2881 e 2884 c.c. subordinano infatti la cancellazione dell’ipoteca alla pronuncia di un provvedimento passato in giudicato o in alternativa alla sussistenza di un atto con il quale il creditore manifesti in consenso alla cancellazione.

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