Se tutto è andato per il verso giusto, “il tribunale, entro dieci giorni dal deposito del ricorso fissa, con decreto, l’udienza, da tenersi preferibilmente con sistemi di videoconferenza. Tuttavia è bene notare che l’ultimo periodo del terzo comma dell’art. 3 prevede che “gli effetti protettivi cessano “altresì se non nel termine di cui al primo periodo il giudice non provvede alla fissazione dell’udienza”.
E’ bene escludere subito, per manifesta fantasiosità, qualunque ipotesi di assimilazione del mancato decreto ad un silenzio processualmente rilevante del giudice e allo stesso modo qualunque ipotesi di reclamabilità di tale atto, per così dire, tacito. Va poi sempre ricordato che il ricorso del debitore può reggere anche un’istanza cautelare che, di per sé, non è attinta da nessuna ipotesi di inefficacia/inammissibilità tra quelle enunciate fino ad ora, sicchè in questo caso occorrerebbe fissare comunque l’udienza.
Ciò detto, analogamente a quanto avverrà per l’art. 55, 3° comma, c.c.i.i., è l’atto del giudice che deve intervenire nel termine previsto per legge e il suo ritardo nuoce al debitore indipendentemente dalla diligenza del suo comportamento. In mancanza di disposizioni esplicite sembra poi piuttosto avventuroso attribuire al giudice ritardatario il potere di rimettere in termini il debitore ai sensi dell’art. 153, 2° comma, c.p.c.: questi, fino a prova contraria, non è colpevole dei ritardi del giudice sicché questa soluzione si risolverebbe in un’elusione del precetto normativo.
Si pone poi questione sul concreto meccanismo attraverso il quale deve operare l’inefficacia comminata dalla norma per il caso di ritardo del giudice: infatti, in questo caso non è prevista né un’esplicita declaratoria di inefficacia da parte del tribunale né è espressamente disposta la cancellazione della iscrizione sul registro delle imprese come invece avviene per il caso di omesso o ritardato deposito del ricorso. Tuttavia, è facile osservare che l’inefficacia imposta per legge comporta necessariamente anche la cancellazione della relativa pubblicità e che, una volta instaurato il procedimento giurisdizionale, spetta al giudice dichiarare l’inefficacia ed ordinare la cancellazione, eventualmente su istanza della parte interessata.
A questo punto andrebbe esplorata, quale estrema possibilità per evitare un ingiusto pregiudizio per il debitore in conseguenza del ritardo del giudice, l’opzione per cui la protezione, divenuta inefficace per la ragione da ultimo specificata, possa essere sollecitata nuovamente quando le parti compaiono innanzi al giudice.
In realtà, tutto il procedimento articolato con il primo comma dell’art. 6 e le altre disposizioni che seguono prevedono che la protezione sia richiesta, e divenga immediatamente efficace (salva la successiva conferma del giudice), con la pubblicazione dell’istanza e dell’accettazione dell’esperto. Nessun dubbio che questa sia l’ipotesi che il legislatore prevede come normale, ma a questo punto bisogna verificare fino in fondo che questo schema sia sempre vincolante, e l’unico possibile, per il debitore, nel senso che ogni richiesta diversamente instaurata sia di per sé inammissibile.
L’interpretazione letterale porta alla soluzione più restrittiva, posto che nella normativa è ben marcata la differenza tra concessione di misure cautelari (che si richiedono anche da sole ed ex novo al giudice con un ricorso giurisdizionale) e protettive: queste ultime hanno un’efficacia immediata legata al verificarsi di certi adempimenti amministrativi ma richiedono poi che il tribunale “confermi, modifichi o revochi” (art. 7, 4° comma) le misure. Non si parla, in nessun modo di “concessione” delle misure protettive da parte del giudice, laddove è chiaro che questa possibilità è legata solo alla domanda cautelare. Al dato letterale si aggiunge poi che la struttura dei due subprocedimenti è sostanzialmente diversa.
Tuttavia altri argomenti potrebbero condurre a opzioni diverse.
Intanto le misure cautelari sono soggette al principio dispositivo, tant’è che potrebbero non essere richieste affatto: se è così, non si vede perché il debitore non potrebbe rinunciare temporaneamente all’efficacia immediata delle misure di protezione e provocare una discussione unitaria dei profili protettivi e cautelari una volta che si è comparsi innanzi al giudice (ritardatario) previo ricorso, guadagnando di nuovo la protezione in un momento più avanzato e magari dopo aver sondato in contraddittorio le intenzioni dei creditori, senza il clamore di una precedente pubblicazione. Vero è che la legge commina l’inefficacia della protezione se il ricorso al giudice non è proposto tempestivamente, ma non mi pare si possa escludere in modo assoluto che, almeno nel caso di tardiva fissazione dell’udienza e di conseguente inefficacia della protezione inizialmente incassata dal debitore, si possa, da parte del giudice, disporre, ex novo e su richiesta, la misura protettiva e procedere a nuova pubblicazione. Infatti, le sanzioni previste per le ipotesi di cui al primo e terzo comma dell’art. 7 hanno uno scopo acceleratorio e di disincentivo di comportamenti lassisti del debitore, ma, mi sembra, senza costituire regole assolute a presidio della protezione in sé.
La soluzione alternativa in esame, sarebbe, infatti, più aderente non solo al favore accordato all’imprenditore da tutta la disciplina in discorso, ma anche alla necessità di conciliare la diligenza del debitore con i problemi organizzativi e la diligenza del giudice, con una più evidente compatibilità con le regole di cui agli artt. 24 e 111 cost..
In pratica, dunque, il giudice investito del ricorso, se il termine di legge di dieci giorni è trascorso, potrebbe convocare comunque l’udienza e, se il ricorrente insiste per ottenere protezione, valutarne la concessione come se fosse una domanda proposta ex novo innanzi a lui: oltre tutto, non si vede perché, se i creditori comparsi non si oppongono, non si dovrebbero concedere le inibitorie almeno nei loro confronti, trattandosi di materia disponibile.
Resta tuttavia la necessità, se di aderisce a questa opzione, di governare i meccanismi di pubblicità e le conseguenze relative all’efficacia verso i terzi: infatti il giudice, constatato il decorso del termine di dieci giorni, non potrebbe esimersi dal dichiarare l’inefficacia e, specie si vi è richiesta dei creditori, disporre la cancellazione dal registro delle imprese. Tale cancellazione mi sembra, è dovere del giudice almeno tutte le volte in cui la causa di inefficacia della protezione si è consumata in un contesto in cui vi è già un ricorso giurisdizionale, compresa l’’ipotesi in cui il ricorso è tardivo.. Si avrebbe pertanto una situazione in cui una pubblicazione cancellata dovrebbe poi essere ripristinata su ordine di quello stesso giudice nel caso in cui dovesse concedere la protezione in seconda battuta secondo l’opzione ermeneutica in esame: situazione poco elegante e non priva di problemi rispetto alle azioni che nel frattempo dovessero iniziare o proseguire nell’intervallo. Tuttavia alla resa dei conti il giudice risponderebbe comunque del suo ritardo in sede disciplinare ma il pregiudizio del debitore si ridurrebbe ad una finestra temporale in cui la protezione verrebbe a decadere per poi essere recuperata in secondo tempo dopo la comparizione delle parti innanzi al giudice.