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Saggio

Sostenibilità e responsabilità sociale nella crisi d’impresa*

Giacomo D’Attorre, Ordinario di diritto commerciale nell'Università del Molise

13 Aprile 2021

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Lo scritto si propone di affrontare le tematiche della sostenibilità sociale e ambientale e della responsabilità sociale dell’impresa nello specifico campo del diritto della crisi e dell’insolvenza, delineandone i possibili riflessi interpretativi ed applicativi e prospettando le potenziali prospettive di indagine.
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1 . Premessa
I temi della sostenibilità e della responsabilità sociale dell’impresa sono ormai da tempo al centro del dibattitto scientifico nel campo del diritto dell’impresa e del diritto societario[1] e stanno ottenendo un progressivo riconoscimento, non solo a livello di codici di autodisciplina[2], ma anche sul piano normativo, sia in ambito eurounitario[3], sia nell’ordinamento italiano[4], sia in altri ordinamenti europei[5].
Questi temi non possono rimanere ancora estranei al diritto della crisi e dell’insolvenza. 
Se la normativa della crisi e dell’insolvenza è oggi nient’altro che la disciplina di una fase, sia pure delicata, della vita imprenditoriale del debitore e se il quadro di valori operante per l’impresa in condizioni di normale esercizio e solvibile non può essere arbitrariamente alterato quando entra in crisi o diviene insolvente[6], è inevitabile che la spinta ad una maggiore responsabilità delle imprese nella riduzione degli impatti negativi della loro attività sul contesto ambientale e sociale si riflette anche nella disciplina della crisi e dell’insolvenza. Sostenibilità e responsabilità sociale sono temi che attengono all’attività dell’impresa tout court, non solo dell’impresa societaria, e quindi coinvolgono anche l’impresa in crisi o insolvente[7].
In questa sede, ovviamente, non si ha l’ambizione di affrontare in modo compiuto un argomento tanto vasto, quanto complesso, che investe temi di vertice e di politica legislativa. Si intende solo delineare a grandi linee le possibili coordinate entro le quali il dibattitto su sostenibilità e responsabilità sociale può avviarsi anche con riferimento al diritto della crisi e dell’insolvenza, cercando nel contempo di fugare l’impressione che accompagna chi si avvicina a questi temi. L’impressione è quella che si tratti di aspetti tanto fascinosi da un punto di vista culturale, quanto vuoti e, in definitiva, inutili, da un punto di vista interpretativo ed operativo. Diffusa è la considerazione, peraltro a tratti giustificata da una certa letteratura non solo italiana, che il richiamo alla sostenibilità o alla responsabilità sociale abbia solo carattere promozionale, ma che non sia idonea a modificare le concrete regole di esercizio della condotta delle parti interessate. A fronte di questi rischi, che non possono essere negati o trascurati, si cercherà, a titolo di esempio, di verificare se, nel campo del diritto della crisi e dell’insolvenza, la sostenibilità o la responsabilità sociale possano, ed in che termini e limiti, tradursi anche in un criterio, giuridicamente rilevante, a cui tutti i soggetti coinvolti si devono attenere nell’esercizio delle proprie funzioni e dei propri poteri.
Rifuggendo da tentazioni di generalizzazioni che inevitabilmente conducono ad approdi vaghi e di fatto privi di utilità, il discorso deve procedere attraverso successive specificazioni. Si deve distinguere, anzitutto, tra procedure amministrative e procedure giudiziarie, essendo ben diverso nelle due categorie l’assetto normativo del rapporto tra interesse dei creditori e interessi-altri. Ancora, si deve differenziare, nell’ambito delle procedure giudiziarie, tra fallimento/liquidazione giudiziale e concordato preventivo, perché la diversa struttura delle due procedure conduce ad un diverso rilievo delle questioni in oggetto. Inoltre, l’esame andrebbe operato sia con riferimento al diritto vigente, cercando di verificare l’esistenza di indici normativi che consentano già oggi in via interpretativa di dare rilievo normativo autonomo alle regole (o, forse, ai principi) della sostenibilità e della responsabilità sociale dell’impresa, sia in un’ottica de jure condendo e di politica legislativa.
Di seguito, accantonando le procedure amministrative, saranno dedicati pochi cenni alle sole procedure giudiziarie.
2 . La massima o la migliore soddisfazione dei creditori nel fallimento e nella liquidazione giudiziale?
L’affermazione della possibile rilevanza nelle procedure concorsuali anche di interessi diversi rispetto a quelli dei creditori non è un’acquisizione recente[8]. E’, infatti, opinione pacifica, e da tempo condivisa, che diversi e non omogenei siano gli interessi coinvolti nelle procedure concorsuali[9], dovendosi comprendere negli stessi tanto l’interesse dei creditori, quanto altri diversi ed eterogenei interessi (l’interesse dei lavoratori, quello all’integrità dei complessi produttivi, alla stabilità del mercato, gli interessi dei clienti, quelli dei fornitori, ecc.)[10]. Il tema, pertanto, non risiede nella constatazione che tra gli interessi da tutelare vi siano non solo quelli dei creditori, precisazione in sé alquanto ovvia e scontata, ma di stabilire quale sia, in caso di contrasto tra interessi, il criterio di scelta, che individui l’interesse e, quindi, l’obiettivo prevalente, rispetto al quale gli altri interessi ed obiettivi devono cedere per il caso di conflitto, o, in alternativa, quale sia il possibile criterio di bilanciamento tra i vari interessi. 
Al riguardo, gli ordinamenti giuridici offrono soluzioni differenziate ed anche nell’ordinamento italiano si ritrova un’analoga pluralità di soluzioni in riferimento alle differenti procedure concorsuali, così da rendere vano ogni tentativo sia di individuare una nozione unitaria di “interesse dei creditori”, sia di identificare un unico criterio di priorità o di bilanciamento tra lo stesso e gli altri interessi rilevanti. 
Con riferimento alla procedura di fallimento/liquidazione giudiziale, è opinione prevalente, basata su plurimi indici normativi, che la procedura possa consentire anche il perseguimento di interessi diversi rispetto a quello dei creditori, individuati di volta in volta negli interessi dei lavoratori, dei fornitori, di particolari categorie di soggetti diversi dai creditori, dell’integrità dei complessi produttivi, ma che questi interessi, laddove rilevanti, sarebbero comunque subordinati rispetto all’interesse dei creditori, che, in caso di conflitto, deve prevalere[11]. 
Il discorso non può, tuttavia, considerarsi chiuso, perché rimane ancora in ombra la risposta alla domanda in ordine al concreto contenuto della formula “interesse dei creditori”, che può essere intesa, secondo tonalità diverse, tanto come massimizzazione sempre e comunque di questo interesse, quanto come mera esigenza di rispetto dell’interesse dei creditori. 
L’affermazione per cui la procedura di fallimento/liquidazione giudiziale deve tendere alla migliore soddisfazione dei creditori trova salde conferme normative. Di contro, il passaggio successivo, che identifica la “migliore” soddisfazione nella “massima” soddisfazione possibile dei creditori, non trova analoga conferma sul piano del diritto positivo, soprattutto nella fase della liquidazione dell’attivo, dove si rinvengono indici normativi neutri (la competitività ex 107 L. fall. e art. 216 ccii) o suscettibili di diverse interpretazioni (i parametri di scelta dell’affittuario ex art. 104 bis, comma 2; 212 ccii; presupposti e limiti per l’esercizio provvisorio dell’impresa) o, addirittura, di senso contrario (le norme in tema di contratti pubblici, di contratti di lavoro e di contratti preliminari di immobili ad uso abitativo destinati ad abitazione principale; la disciplina della concorrenza; la disciplina del golden power) [12]. 
L’affermazione dell’assolutezza dell’interesse dei creditori, che imporrebbe agli organi della procedura nella fase della liquidazione dell’attivo di avere quale unico parametro di valutazione il massimo realizzo dell’attivo nel minor tempo possibile sembra più una petizione di principio che il portato di un compiuto esame del dato positivo. 
Più conforme alla complessità del dato normativo appare, invece, la considerazione per cui l’interesse dei creditori rappresenta il fine della procedura di fallimento/liquidazione giudiziale ed il criterio che deve orientare le scelte degli organi della procedura, ma che questo non giustifica sempre e comunque la compromissione di altri interessi ritenuti meritevoli di tutela dal legislatore. Vi sono plurimi esempi normativi, sopra indicati, nei quali l’obiettivo della massimizzazione dell’attivo e, quindi, della massima soddisfazione dei creditori incontra un limite e soccombe, o deve contemperarsi, in ragione della tutela di altri interessi tutelati. E’ questo il caso del diritto all’abitazione principale ed al luogo di esercizio dell’attività produttiva, che prevale rispetto all’interesse ad acquisire il bene immobile alla procedura; dei diritti dei lavoratori, che riducono le facoltà di scelta del curatore nella gestione del contratto pendente; dell’interesse della parte pubblica alla qualità delle prestazioni ed allo svolgimento del contratto nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, rispetto al quale soccombe, salvo eccezioni, l’interesse della procedura ad acquisire nuovi contratti o proseguire nei contratti pendenti; dell’interesse al corretto funzionamento del mercato concorrenziale, che prevale rispetto all’interesse dei creditori alla massimizzazione del risultato finanziario della vendita dell’azienda; dell’interesse alla tutela della difesa e della sicurezza nazionale, rispetto al quale cede l’interesse dei creditori a garantire la massima partecipazione possibile alle procedure competitive di vendita.
Queste previsioni normative, viste in modo unitario, possono assumere un rilievo sistematico, concorrendo a definire un principio generale del sistema concorsuale, operante già nell’attuale tessuto normativo. Si tratta di un principio generale inespresso, costruito in via interpretativa attraverso un procedimento di generalizzazione da norme di dettaglio, contenute tanto nella disciplina concorsuale, quanto in testi normativi diversi.
Il principio generale si concreta nel riconoscimento che l’interesse dei creditori, obiettivo primario della procedura di fallimento/liquidazione giudiziale, deve contemperarsi con altri interessi di pari rilevanza costituzionale e che, di conseguenza, le concrete modalità di liquidazione dell’attivo, per quanto tendenzialmente modellate sul fine del miglior soddisfacimento dei creditori, non possono sempre prescindere da una considerazione di questi interessi. La concomitante presenza di plurimi interessi rilevanti impone, quindi, la ricerca di un punto di equilibrio che non risolve i conflitti nella meccanica affermazione dell’uno e nella negazione dell’altro, ma nella doverosa ponderazione, attuata secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità, secondo una tecnica interpretativa da tempo utilizzata dalla nostra Corte Costituzionale[13].
In questa valutazione, la circostanza che il terreno di confronto sia una procedura concorsuale, avente l’obiettivo primario di preservare il “nucleo essenziale” dell’interesse dei creditori, impone l’individuazione di un possibile criterio di bilanciamento. Il punto di equilibrio va rinvenuto nell’esigenza di assicurare il più ampio soddisfacimento dei creditori che sia consentito nel rispetto degli altri interessi e diritti rilevanti, il che significa che lo stesso può essere limitato solo nello stretto limite necessario per non arrecare un irragionevole pregiudizio agli altri interessi di pari rilievo costituzionale. Il sacrificio dell’interesse dei creditori deve servire ed essere indispensabile per la migliore realizzazione di un altro interesse rilevante, pena l’irragionevolezza della limitazione[14].
La possibilità di un limite alla massimizzazione dell’attivo da destinare ai creditori per garantire la tutela di interessi-altri trova un fondamento costituzionale nell’art. 41 Cost., che, nel riconoscere che “l’iniziativa economica privata è libera” (comma 1)[15], dispone che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”[16]. Altre conferme dell’esistenza di un principio che impone il bilanciamento tra interessi dei creditori e interessi-altri nella procedura di fallimento/liquidazione giudiziale si traggono dalla Direttiva (Ue) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 2019 sulla ristrutturazione e sull’insolvenza (consideranda 2, 3 e 10; art. 4)[17]. 
Per garantire la coerenza dell’approdo raggiunto con i vincoli costituzionali ed eurounitari posti in relazione alle possibili limitazioni al soddisfacimento del diritto di credito, in quanto ricompreso nel concetto di proprietà[18], è necessario però individuare il contenuto minimo garantito del diritto dei creditori che non può essere intaccato dal perseguimento di interessi-altri. Pur nella inevitabile variabilità in concreto delle possibili soluzioni che possono derivare dalla ponderazione di interessi diversi secondo il canone della ragionevolezza, è possibile tracciare una linea di riferimento e, allo stesso tempo, rispondere alla domanda sul concreto contenuto della formula “migliore interesse dei creditori”, che deve sostituire la diversa formula “massima soddisfazione dei creditori”. Se la procedura di fallimento/liquidazione è funzionale al soddisfacimento dei creditori, essa deve complessivamente offrire ai creditori una soddisfazione almeno pari a quella che si avrebbe al di fuori ed in mancanza della stessa, perché, nel caso contrario, la procedura non sarebbe nell’interesse, ma contro l’interesse dei creditori. Il fallimento/liquidazione giudiziale può consentire la tutela anche di interessi collettivi diversi da quelli dei creditori, ma in ogni caso non può essere piegata fino ad attribuire ai creditori un soddisfacimento inferiore rispetto a quello che otterrebbero nel caso di liquidazione o esecuzione individuale, al di fuori del concorso collettivo. Il contenuto minimo garantito del diritto dei creditori, che non può essere sacrificato dal perseguimento di interessi diversi, si misura con il livello del presumibile soddisfacimento che i creditori collettivamente avrebbero potuto conseguire in mancanza della procedura.
3 . Sostenibilità e responsabilità sociale quali canoni di comportamento
Acquisito il risultato del riconoscimento di un principio generale inespresso nell’attuale sistema concorsuale nazionale che, nel rispetto delle previsioni costituzionali ed in coerenza con le indicazioni eurounitarie, si deduce in via interpretativa a partire dalle norme di dettaglio collocate sia nella disciplina concorsuale, sia all’esterno di essa, lo stesso può orientare l’interpretazione delle norme in tema di liquidazione dell’attivo che si prestano a diverse possibili letture, in ragione del carattere aperto della loro formulazione letterale. Gli esempi, sui quali non ci si può soffermare in questa sede[19], sono quelli delle norme sull’abbandono dei beni da parte del curatore (art. 104 ter, comma 7, L. fall. e art. 213, comma 2, ccii), sulla selezione degli acquirenti (art. 107, comma 1, L. fall.  art. 216 ccii), sull’affitto dell’azienda (art. 104-bis, comma 2, L. fall. e art. 212 ccii), sull’esercizio provvisorio (art. 104 L. fall. e 211 ccii).
Particolarmente denso di implicazioni operative è il riconoscimento di questo principio con riferimento alle vendite di aziende o rami di azienda. Esso legittima, nella predisposizione dei criteri di selezione dell’aggiudicatario, l’inserimento anche di parametri diversi rispetto al prezzo (es: impegno ad adeguare la produzione secondo standard più rispettosi dell’ambiente; impegno alla prosecuzione attività per un periodo minimo di tempo; impegno alla conservazione dei livelli occupazionali; impegno a mantenere la sede operativa nel territorio italiano per un dato periodo di tempo), che consentano di limitare l’effetto negativo della prosecuzione dell’attività d’impresa sul contesto ambientale e sociale o, addirittura, di apportare un contributo positivo rispetto agli stessi. Tali parametri devono, però, essere funzionali al perseguimento di interessi di pari rango costituzionale, non pregiudicare la possibilità di effettiva comparazione tra le diverse offerte e non essere così gravosi da mortificare irragionevolmente il nucleo essenziale del diritto di credito, privando i creditori del contenuto minimo garantito[20].
Non sono ignote le difficoltà applicative derivanti dal possibile allargamento dei criteri di valutazione delle offerte nel caso di vendita di aziende o rami di azienda, con il conseguente rischio di incremento del contenzioso giudiziario, né tantomeno il rischio che, attribuendo agli organi della procedura il compito di mediare nei conflitti tra l’interesse dei creditori e gli interessi-altri, si determini la sostanziale insindacabilità delle loro scelte[21]. Si tratta, però, di preoccupazioni che, per quanto legittime e fondate, non sembrano idonee a mettere in discussione i risultati raggiunti, in quanto, da un lato, vi sono altri esempi di procedure competitive svolte sulla base di criteri di aggiudicazione basati non solo sul prezzo (si pensi al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nei contratti pubblici) e, dall’altro lato, la ponderazione, secondo valutazioni dinamiche e non predeterminate in astratto, tra interessi potenzialmente confliggenti è una caratteristica propria del giudizio di comparazione tra interessi costituzionalmente garantiti, da svolgersi secondo ragionevolezza.
4 . Strumenti di enforcement
La identificazione di un principio di possibile bilanciamento tra interesse dei creditori ed altri interessi, con il vincolo di limitare il pregiudizio dei creditori nella misura strettamente necessaria al soddisfacimento degli altri interessi e sempre nel rispetto di un contenuto minimo non tangibile, si identifica in un criterio giuridicamente rilevante che diventa canone di comportamento a cui gli organi della procedura si devono attenere nella liquidazione dell’attivo.
Passo successivo è quello di individuare le tecniche di enforcement di questi ridefiniti doveri degli organi della procedura. Passaggio non facile alla luce dell’attuale assetto dei poteri e delle competenze degli organi nella procedura di fallimento/liquidazione giudiziale, che sembra frapporre un ostacolo insuperabile alla concreta operatività di un principio come quello delineato. Il programma di liquidazione è predisposto dal curatore, ma sottoposto all’approvazione del comitato dei creditori, ossia dell’organo rappresentativo dei creditori (art. 104-ter L. fall.; 213 ccii). Sembra, quindi, immediata l’osservazione per cui proprio l’attribuzione al comitato dei creditori del potere di approvazione del programma di liquidazione smentisce la tesi della possibile rilevanza di interessi diversi dai creditori nella fase di liquidazione dell’attivo, non essendo ragionevole che l’organo rappresentativo dei creditori possa approvare un programma che preveda modalità di liquidazione che si discostino dall’obiettivo della massima realizzazione dell’attivo[22].
L’obiezione è seria, ma non insuperabile. 
L’assetto di interessi nella procedura di fallimento/liquidazione giudiziale si trae dalla complessiva trama delle norme che governano la procedura, e segnatamente da quelle in tema di liquidazione, non solo e non tanto dalle norme in tema di competenze degli organi. Queste ultime indicano a quali organi sono attribuiti determinati compiti e funzioni, ma non anche quali siano i canoni di legittimità delle decisioni da assumere, che vanno individuati altrove. 
A ciò si aggiunga, e l’osservazione pare dirimente, che al comitato dei creditori è attribuito un “potere”, che per sua natura è funzionale, ossia esercitabile non nel proprio esclusivo interesse, ma nel rispetto delle regole di esercizio che ne identificano gli obiettivi, non un “diritto”, che può essere invece esercitato per realizzare un proprio esclusivo, soggettivo ed anche egoistico interesse[23].
Conferma di ciò si trae da due considerazioni. In primo luogo, il programma approvato è poi sottoposto al giudice delegato che autorizza l’esecuzione degli atti conformi (art. 104-ter, comma 9, L. fall.); anzi nel codice della crisi, previsto che il giudice delegato svolga un controllo sia preventivo, autorizzando la trasmissione del programma al comitato dei creditori, sia successivo, autorizzando l’esecuzione degli atti conformi (art. 213, comma 7, cccii). Il potere del comitato dei creditori di approvazione del programma di liquidazione si colloca, quindi, in una sequenza procedimentale, che parte dall’atto di impulso del curatore, il quale si assume la responsabilità di predisposizione dello stesso, e si conclude con il controllo di legittimità del giudice delegato, così dovendosi inserire in modo armonico e non distonico nella dialettica con gli altri organi della procedura. In secondo luogo, in caso di inerzia, di impossibilità di costituzione o di funzionamento del comitato o di urgenza, provvede in via sostitutiva il giudice delegato (art. 41, comma 4 L. fall.; art. 140, comma 3 ccii). Non sarebbe possibile che i criteri che devono guidare la predisposizione del programma di liquidazione possano mutare a seconda della costituzione o meno del comitato dei creditori, orientandosi in un senso o nell’altro in base all’organo che, in concreto, sarà tenuto a decidere sull’approvazione del programma di liquidazione. 
Lo strumento per limitare forme di esercizio del potere dei creditori che si risolvano in un pregiudizio degli altri interessi giuridicamente rilevanti, nello specifico caso in cui tale potere si sia manifestato attraverso la non approvazione da parte del comitato dei creditori del programma di liquidazione presentato dal curatore, va individuato nel reclamo ex art. 36 L. fall. e 141 ccii contro il diniego di autorizzazione del comitato dei creditori, proponibile da qualunque interessato, e quindi anche dal curatore, innanzi al giudice delegato censurando la “violazione di legge”. Se e nella misura in cui si condivida l’esistenza di un principio che, entro confini ben tracciati, consente di dare rilievo ad interessi diversi da quelli dei creditori, attraverso un criterio di bilanciamento, giuridicamente vincolante, a cui gli organi della procedura si devono attenere nella liquidazione dell’attivo, il diniego opposto dal comitato dei creditori all’approvazione del programma di liquidazione per il mancato perseguimento dell’obiettivo del massimo realizzo dell’attivo costituisce una “violazione di legge”, in quanto espressione di un esercizio illegittimo del potere, che è sindacabile anche negli stretti limiti del mero sindacato di legittimità degli atti del comitato dei creditori e che impone l’accoglimento del reclamo. Il reclamo ex art. 36 L. fall. e 141 ccii rappresenta, inoltre, lo strumento elettivo di tutela giuridica degli interessi-altri anche rispetto a condotte del curatore non rispettose di questa esigenza di ponderazione tra interessi: pertanto, nel caso in cui il curatore predisponga ed il comitato dei creditori approvi un programma di liquidazione che contempli la vendita di azienda in esercizio sulla base del criterio unicamente del maggior prezzo, sarà consentito a qualunque interessato che dimostri di essere portatore di un concreto interesse (es: lavoratori, organizzazioni sindacali, enti territoriali) proporre reclamo, facendo valere la “violazione di legge” del mancato rispetto della regola di esercizio del potere attribuito agli organi della procedura basata sulla ponderazione, beninteso nei limiti in cui tale violazione effettivamente esista.
5 . La sostenibilità nel concordato preventivo
Discorso diverso va svolto, invece, nel concordato preventivo, dove differente è l’assetto normativo e dove l’esame della definizione degli interessi e dei diritti dei creditori si arricchisce di una maggiore complessità in ragione degli immanenti problemi distributivi che coinvolgono ogni riflessione sulla distribuzione e sull’utilizzo del patrimonio del debitore nel concordato. 
Senza che sia qui possibile entrare nel complesso tema delle finalità del concordato preventivo e del rapporto tra l’interesse dei creditori (a loro volta differenziati), del debitore, dei soci, dei lavoratori e della continuità aziendale, vi è un dato centrale che fa argine rispetto all’ingresso di considerazioni attinenti alla sostenibilità sociale e ambientale dell’impresa in concordato. Si tratta della regola che sottopone l’omologazione della proposta al previo consenso (a maggioranza) espresso dai creditori mediante il voto (art. 177 L. fall.; 109 cciii). Se i creditori non esprimono, secondo le regole dettate dal legislatore, il proprio voto favorevole alla proposta di concordato, all’esito evidentemente di una delibazione positiva circa la convenienza per essi della proposta, il procedimento si interrompe in via definitiva, senza la possibilità che la stessa autorità giudiziaria possa sostituirsi alla volontà collettiva dei creditori (salvo la deroga prevista per il cram down dell’amministrazione finanziaria ex art. 180, comma 4 L. fall. e art. 48, comma 5, ccii). E’, quindi, difficile sostenere in via interpretativa che sia giuridicamente possibile imporre una soddisfazione sub-ottimale dei creditori per ridurre l’impatto sociale e ambientale dell’attività d’impresa in concordato, perché la scelta è rimessa comunque al voto dei creditori. Ciò a meno di voler “funzionalizzare” il diritto di voto dei creditori, giungendo ad affermare l’invalidità del voto espresso in violazione di questi principi, con la conseguenza di escludere lo stesso dal computo e, quindi, di considerare approvata la proposta che sia stata “bocciata” dal voto contrario e determinante espresso in modo illegittimo, secondo una tecnica ben nota in ambito societario per le azioni di annullamento delle c.d. deliberazioni negative. Soluzione che si presenta non praticabile (nemmeno attraverso il richiamo al principio di buona fede ex art. 4 ccii) e nemmeno auspicabile.
Anche se entro margini più ristretti, una possibile rilevanza normativa dei temi della sostenibilità e della responsabilità sociale può comunque potenzialmente apprezzarsi anche nel concordato preventivo, quantomeno sotto tre profili.
In primo luogo, atteso che il soddisfacimento che i creditori potrebbero conseguire nel fallimento/liquidazione giudiziale è spesso identificato come il parametro di riferimento per l’operare del giudizio di convenienza nel concordato preventivo (art. 180, comma 4, L. fall.; artt. 48, comma 5; 112, comma 1 e 285, comma 4, ccii), la sostituzione del criterio della “massima soddisfazione dei creditori” con quello della “migliore soddisfazione dei creditori” nell’ambito del fallimento/liquidazione giudiziale si riflette, sia pure indirettamente, sulla disciplina del concordato preventivo, abbassando la soglia del parametro di valutazione e del trattamento minimo garantito ai creditori in questa procedura[24]. Il che, si riconosce, potrebbe anche essere considerato un argomento a contrario rispetto a quanto esposto sopra in materia di fallimento/liquidazione giudiziale, perché, introducendo criteri di valutazione ulteriori, rende più difficile e opinabile la valutazione dell’assenza di pregiudizio nel concordato preventivo.
In secondo luogo, si potrebbe riflettere sulla possibilità di includere anche la sostenibilità sociale e ambientale nell’ambito del giudizio di fattibilità del piano di concordato preventivo che il tribunale è chiamato a compiere, allargandolo dal profilo meramente economico anche a quello dell’impatto sugli stakeholders. Possibilità questa che appare, però, di difficile attuazione nell’attuale quadro normativo, ma che apre scenari inediti e tali da ridefinire alla base alcune delle caratteristiche fondanti della procedura.
Infine, la progressiva ridefinizione degli obblighi di comportamento degli amministratori, con l’inclusione del dovere di considerare i profili di sostenibilità, rende ancora più complesso il quadro dei doveri degli amministratori della società nella fase di esecuzione del concordato in continuità aziendale[25], dove al dovere di adempiere gli obblighi concordatari ed all’obbligo di attuare lo scopo sociale si aggiungono adesso anche questi ulteriori doveri comportamentali.
6 . Nuove prospettive di indagine
Il sintetico esame che precede ha consentito di delineare i primi possibili risultati.
Con riferimento al fallimento/liquidazione giudiziale, già nell’attuale assetto normativo può esservi spazio per riconoscere la rilevanza del principio di sostenibilità e responsabilità sociale, attraverso un doveroso bilanciamento tra l’interesse dei creditori e gli interessi-altri, e che si esprime in un criterio giuridicamente rilevante ed in un canone vincolante di comportamento a cui tutti gli organi si devono attenere nell’esercizio delle proprie funzioni e dei propri poteri nella fase della liquidazione dell’attivo. Non si nascondono certo le problematiche di un approccio di questo tipo, soprattutto in tema di rischio di eccessiva dilatazione degli spazi di discrezionalità degli organi della procedura, ma questo non pare argomento di per sé decisivo per continuare ad escludere ogni considerazione sugli impatti che le scelte nella liquidazione dell’attivo producono sulla pluralità di interessi coinvolti.
Molto più ristretti sono, invece, i margini nell’attuale contesto normativo del concordato preventivo, dove il rilievo di questi temi opera principalmente in via indiretta o appare ancora tutto da costruire.
Sembra ormai arrivato il tempo che, in parallelo a quanto sta avvenendo con riferimento al diritto societario[26], si cominci a riflettere su un intervento normativo che esplicitamente includa la considerazione della sostenibilità sociale e ambientale nel diritto della crisi e dell’insolvenza. Quale sia il ragionevole punto di equilibrio e quali i più efficaci strumenti di enforcement non lo si può certo indicare ora, perché risulterà solo all’esito del doveroso dibattito della comunità scientifica, al quale questo lavoro intende fornire solo un iniziale, parziale e provvisorio contributo.

Note:

[1] 
La letteratura in argomento è molto (forse troppo) vasta. A solo titolo di esempio, in Italia, dopo il fondamentale lavoro di V. Buonocore, Impresa (Diritto privato), in Enciclopedia del diritto. Annali I, Milano, 2007, 765, vedi, di recente e tra i molti: U. Tombari, “Potere” e “interessi” nella grande impresa azionaria, Milano, 2019, 36 ss.; il seminario contenuto nella Rivista ODC 3/2019: A. Perrone (a cura di), Lo statement della Business Roundtable. II. Sugli scopi della società. Un dialogo a più voci, in ivi, 589 ss.; La responsabilità sociale d’impresa tra diritto societario e diritto internazionale, a cura di M. Castellaneta e F. Vessia, Napoli, 2019.
[2] 
Il Principio 1 del Codice italiano di Corporate Governance, approvato nel gennaio 2020 (sul quale vedi P. Marchetti, Il nuovo Codice di Autodisciplina delle società quotate, in Riv. soc., 2020, 269 ss.), dispone che “L’organo di amministrazione guida la società perseguendone il successo sostenibile” e definisce il “successo sostenibile” come l’“obiettivo che guida l’azione dell’organo di amministrazione e che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società”.
In Germania, vedi il Principio 4.1.1. del Codice di Autodisciplina delle società quotate (Deutscher Corporate Governance Kodex). Sui termini del dibattito nella dottrina tedesca, vedi G.B. Portale, Diritto societario tedesco e diritto societario italiano in dialogo, in Banca, borsa, tit. cred., 2018, I, 602 ss; K. J. Hopt-R. Veil, Gli stakeholders nel diritto azionario tedesco: il concetto e l’applicazione. Spunti comparatistici di diritto europeo e statunitense, in R. soc., 2020, p. 921 ss.
[3] 
Direttiva 2014/95/UE sull’informazione non societaria; Direttiva 2017/828/UE sui diritti degli azionisti (art. 9-bis). 
[4] 
Vedi la disciplina delle società benefit (art. 1, comma 376, L. 28 dicembre 2015, n. 208) e l’obbligo per le società di grandi dimensioni di pubblicare una dichiarazione sulle informazioni a carattere non finanziarie (art. D.Lgs. 254/2016).
[5] 
In Francia la “Loi no 2019-486 du 22 mai 2019 ha modificato l’art. 1833 del code civil, stabilendo che gli amministratori, nel gestire la società, devono perseguire l’interesse sociale e, allo stesso tempo, tenere in considerazione le implicazioni sociali e ambientali dell’attività svolta. In Inghilterra vedi la Section 172 del Companies Act del 2006. 
[6] 
L. Stanghellini, Le crisi d’impresa fra dritto ed economia, Bologna, 2007, 50 ss. 
[7] 
Sull’argomento, sia consentito il rinvio a G. D’Attorre, La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, in Riv. dir. civ., 2021, 60 ss. 
[8] 
Per una limpida sintesi del dibattitto sulle funzioni delle procedure concorsuali, vedi A. Jorio, Introduzione, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da A. Jorio, B. Sassani, I, Milano, 2014, 30 ss.
[9] 
Cfr., tra i molti, Fabiani, La tutela dei diritti nelle procedure concorsuali, in Trattato delle procedure concorsuali, cit., IV, Milano, 2016, 671; F. Di Marzio, Obbligazione, insolvenza, impresa, Milano, 2019, 19 ss. 
[10] 
Vedi, ad esempio, il dibattito sul cd. “uso alternativo” delle procedure concorsuali che si sviluppò nel corso degli anni ’70 con accenti di grande attualità ancora oggi e che si può leggere in L’uso alternativo delle procedure concorsuali, in Giur. comm., 1979, I, 222 ss. 
[11] 
In questi termini vedi, tra i molti; A. Bassi, Lezioni di diritto fallimentare, Bologna, 2011, 19 ss.; Nigro, La disciplina delle crisi patrimoniali delle imprese. Lineamenti generali, in Trattato di diritto privato diretto da M. Bessone, XXV, Torino, 2012, 289; M. Fabiani, La tutela dei diritti nelle procedure concorsuali, cit., 466 ss. 
[12] 
Per una più compiuta e analitica argomentazione, vedi G. D’Attorre, La responsabilità sociale, cit., 73 ss.
[13] 
Vedi, ad esempio, Corte Cost., 28 novembre 2012, 264; Corte Cost., 9 maggio 2013, n. 85; In dottrina, vedi R. Bin, Diritti e argomenti: il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, 1992; A. Morrone, l bilanciamento nello stato costituzionale. Teoria e prassi delle tecniche di giudizio nei conflitti tra diritti e interessi costituzionali, Torino, 2014; Id., Bilanciamento (giustizia costituzionale), in Enciclopedia del diritto, Annali, vol. II, tomo II, Milano, 2008, 185 ss.
[14] 
E’ questo il cd. criterio della “massima espansione delle tutele” di tutti i diritti coinvolti, utilizzato nella giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., 20 giugno 2013, n. 143). 
[15] 
Sulla “libertà economica”, vedi, di recente, M. Libertini, Sulla nozione di libertà economica, in Moneta e Credito, 72, 2019, 301 ss. 
[16] 
Sul nesso tra limite dell’utilità sociale ex art. 41 Cost. e responsabilità sociale d’impresa, vedi ancora V. Buonocore, L’art. 41 della Costituzione: libertà e limiti dell’iniziativa economica privata, in Iniziativa economica e impresa nella giurisprudenza costituzionale, a cura di V. Buonocore, Napoli, 2007, 3 ss.. Nel senso della impossibilità di assimilare la responsabilità sociale d’impresa al modello normativo sancito dall'art. 41 Cost. vedi, però, M. Libertini, Impresa e finalità sociali. Riflessioni sulla teoria della responsabilità sociale d’impresa, in Riv. soc., 2009, 20.
[17] 
Per la cd. “visione sociale” dell’impresa in crisi che caratterizzerebbe la Direttiva, vedi P. Vella, L’impatto della direttiva (UE) 2019/1023 sull’ordinamento concorsuale interno, in corso di pubblicazione in Fallimento; S. Pacchi, La ristrutturazione dell’impresa come strumento per la continuità nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2019/1023, in Dir. fall., 2019, I, 1278.
[18] 
G.B. Portale, Dalla “Pietra del Vituperio” al “bail-in”, in Riv. dir. comm., 2017, 21 ss.; I. Donati, Crisi d’impresa e diritto di proprietà. Dalla responsabilità patrimoniale all’assenza di pregiudizio, in Riv. soc, 2020, 164 ss. 
[19] 
Si rinvia, per un approfondimento, a G. D’Attorre, La responsabilità sociale, cit., 66 ss.. 
[20] 
Un esempio di questo tipo lo si ritrova nell’ordinamento spagnolo, dove, nell’ambito del concurso, è previsto che, nel caso di vendita unitaria dell’azienda o di suoi rami, sia possibile procedere all’aggiudicazione in favore anche di un offerente che abbia offerto un prezzo inferiore, a condizione che il prezzo non sia inferiore di oltre il quindici per cento dall’offerta più alta, quando sia garantita in modo migliore la continuità aziendale ed i posti di lavoro, così come la maggiore e più rapida soddisfazione dei creditori (Art. 219 texto refundido Ley Concursal, già art. 149 testo previgente). 
[21] 
Questo rischio, con riferimento alla tematica della mediazione richiesta eventualmente agli amministratori di società tra interessi dei soci e interessi dei vari altri stakeholders, è sottolineato, ad esempio, da R. Sacchi, Intervento al seminario della Rivista Odc, cit., 591 e M. Ventoruzzo, Brief Remarks on “Prosperity” by Colin Mayer and the often Misunderstood Notion of Corporate Purpose, in Riv. soc., 2020, 50.
[22] 
L. Stanghellini, Le crisi di impresa, cit., 75 (in nota) trae proprio dal potere del comitato dei creditori di approvazione del programma di liquidazione la conferma che nella liquidazione deve essere perseguito l’obiettivo del massimo realizzo. 
[23] 
Per la chiara distinzione tra “poteri” e “diritti” nel diritto societario, vedi C. Angelici, “Poteri” e “interessi” nella grande impresa azionaria: a proposito di un recente libro di Umberto Tombari, in Riv. soc., 2020, 8 ss.; U. Tombari, “Poteri” e “interessi”, cit., 30. 
[24] 
Per il legame tra interessi tutelati nelle procedure di liquidazione e soglia del trattamento minimo garantito dei creditori nel concordato preventive, vedi già I. Donati, Crisi d’impresa, cit., 206, sia pure in una prospettiva opposta rispetto a quella qui esposta.
[25] 
Vedi G. D’Attorre, Creditori posteriori e doveri degli amministratori nell’esecuzione del concordato prevenitvo, in Riv. soc., 2018, 559 ss. 
[26] 
La Commissione europea ha di recente realizzato una consultazione pubblica sulle ipotesi di riforma per realizzare una “governance societaria sostenibile”. La consultazione, avviata nell’ottobre 2020, si è conclusa l’8 febbraio 2021. 

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