Nel concordato in continuità la regola di approvazione, posta l’obbligatorietà della formazione delle classi, è costituita dalla unanimità delle classi. Se vi è unanimità, il tribunale deve valutare che il trattamento offerto ai creditori nella proposta sia conforme ai limiti legali imposti (ad esempio a proposito del rispetto minimo del soddisfacimento dei creditori privilegiati), ma soprattutto deve verificare che sia stato rispettato l’ordine di distribuzione delle risorse. Nel concordato in continuità il controllo sul piano comporta anche la verifica che non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza, e che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori. Più precisamente, il tribunale deve valutare che se l’impresa è in crisi il piano consenta di evitare l’insolvenza e al contempo di superare la crisi; se l’impresa già si trova in situazione di insolvenza il piano deve essere in grado di rimuoverla.
La regola di approvazione della proposta di concordato in continuità è ben delineata nell’art. 109, comma 5, nella parte in cui si dispone che l’approvazione è conseguita con il voto favorevole di tutte le classi, classi che, come detto, sono obbligatorie [135]. Lasciando, qui, in disparte il metodo di computo dei voti favorevoli, quel che rileva è il risultato complessivo: soltanto se tutte le classi votano a favore il concordato è approvato. Sennonché, alla mancata approvazione non fa specchio la mancata omologazione, così che si rompe il tradizionale cordone ombelicale tra mancata approvazione e mancata omologazione (nel senso che la mancata approvazione precludeva l’apertura della fase di omologazione). La circostanza che l’approvazione non sia stata acquisita non impedisce al debitore di percorrere la via della omologazione, quando chiede che, ricorrendo determinate situazioni, il concordato possa essere egualmente omologato o quando presta il consenso a che ciò avvenga in relazione alla proposta del terzo.
Quando non è stata raggiunta l’unanimità delle classi è, quindi, ancora possibile omologare il concordato in presenza di altre condizioni, condizioni tra loro alternative e non concorrenti (c.d. ristrutturazione trasversale). All’esito della fase di approvazione e del mancato raggiungimento della unanimità, il debitore può chiedere che venga in ogni caso fissata l’udienza per l’omologazione perché in quella sede il tribunale può valutare che anche in difetto di approvazione il concordato sia omologabile (artt. 109, 111 e 112 letti in modo sequenziale).
Ed allora, quando sono state rispettate le regole di distribuzione del valore (che la modifica del comma 6 dell’art. 84 apportata dal decreto correttivo n. 136/2024 chiarisce debbano essere rispettate “ai fini del giudizio di omologazione”), il tribunale omologa il concordato quando — nel testo dell’art. 112, comma 2, lett. d), modificato dal decreto correttivo n. 136/2024 — vi è (a) il voto favorevole della maggioranza delle classi, purché una delle classi aderenti sia costituita da creditori privilegiati (e sempre che non si tratti di creditori privilegiati degradati) oppure (b) il voto favorevole di almeno una classe purché composta da creditori i) ai quali è offerto un importo non integrale del credito; ii) che sarebbero soddisfatti in tutto o in parte qualora si applicasse l’ordine delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione. Se questi creditori, ferma restando la waterfall di cui all’art. 84, approvano il concordato, il tribunale può omologare la proposta.
Poiché per la parte capiente sono collocati in una classe autonoma si comprende la ragione per la quale il loro voto favorevole è considerato decisivo ai fini dell’omologazione: i creditori privilegiati soddisfatti parzialmente nei limiti della garanzia non hanno un interesse specifico perché ricevono quanto otterrebbero dalla liquidazione, sì che un loro voto a favore assume un significativo sostegno al debitore [136].
L’art. 112, comma 2, CCII prevede che si possa passare alla c.d. “ristrutturazione trasversale” quando il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo “obliquo”. Tale previsione induce, allora, a chiedersi se questa forma agevolata di omologazione possa ricorrere anche quando oltre alle risorse da liquidazione si aggiungono risorse esterne — le risorse esterne all’impresa, quelle cioè non riconducibili al suo patrimonio, possono essere distribuite liberamente non ricadendo nell’ambito applicativo della garanzia patrimoniale che la legge costituisce in linea generale in capo al debitore [137] — e ciò perché l’impresa prosegue sì, ma non genera flussi [138]. Se si guardasse al profilo di economicità dell’attività d’impresa sarebbe lecito dubitare dell’applicazione di una norma di favore ad un caso nel quale la continuità non genera ricchezza, ma si potrebbe anche attenuare questa conclusione là dove lo stesso debitore tratti la distribuzione delle risorse esterne come il valore eccedente quello di liquidazione. Quando il debitore si assoggetta ad una restrizione distributiva potrebbe essere coerente l’applicazione della ristrutturazione trasversale [139].
La questione si ripropone, nella sostanza, quando il concordato — in continuità — prevede che vi siano attribuzioni ai soci (art. 120 quater).
La classe (o le classi) dei soci non concorrono a formare le maggioranze per l’approvazione del concordato quando il classamento è facoltativo; se, invece, la classe dei soci dissente sulla proposta che prevede la modifica dei loro diritti partecipativi, si potrà avere una approvazione a maggioranza ma non alla unanimità con le conseguenze di cui all’art. 112.
Tuttavia, nel caso in cui i soci siano inclusi in una classe perché viene prevista una attribuzione di valore a loro favore (e ciò accade nel concordato in continuità, l’unico che può prevedere attribuzioni a favore dei soci), quando non è raggiunta l’unanimità delle classi e si è formata solo la maggioranza, il dissenso della classe dei creditori va valutato non solo ai sensi dell’art. 112 ma anche in base ad una ulteriore comparazione. Infatti, quando il valore risultante dalla ristrutturazione è attribuito anche ai soci, il concordato può essere omologato se il trattamento proposto a ciascuna delle classi dissenzienti è almeno altrettanto favorevole rispetto a quello proposto alle classi del medesimo rango e più favorevole di quello proposto alle classi di rango inferiore, anche se a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci. In sostanza, come per la ristrutturazione trasversale, i creditori delle classi dissenzienti possono sì ricevere un trattamento inferiore a quello che riceverebbero con la regola della absolute priority rule ma alla condizione che la “perdita” non derivi da attribuzioni riconosciute ai soci, posto che i soci in quanto residual claimants non possono prevaricare i creditori. Pertanto, per evitare questa discriminazione si deve formare, nella sostanza, un accordo tra le classi consenzienti e quelle dei soci [140] per attribuire alle classi dissenzienti un valore tale da consentire loro di “recuperare” quanto avrebbero potuto ricevere se non vi fossero state attribuzioni ai soci o queste fossero state minori.
Questa conclusione è avvalorata dalla regola sussidiaria secondo la quale l’ultima classe dei creditori non può ricevere meno di quello che è complessivamente riservato ai soci (art. 120 quater).
Il termine di comparazione tra attribuzioni ai creditori e attribuzioni ai soci deve tener conto della valorizzazione di quelle assegnate ai soci e che si identificano nelle loro partecipazioni e negli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle, dedotto il valore da essi eventualmente apportato ai fini della ristrutturazione in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto oppure, per le imprese minori, anche in altra forma; i soci possono opporre, in una sorta di compensazione atipica, che quanto riceveranno dovrà essere conteggiato al netto delle risorse che hanno immesso ai fini della ristrutturazione. Si tratta di una comparazione estremamente complessa perché deve tener conto di una pluralità di fattori e in particolare del valore della società al termine della ristrutturazione: un valore (evidentemente superiore) che non si identifica con il c.d. plusvalore generato dalla continuità.
La partecipazione dei soci al voto è funzionale alla approvazione della manovra finanziaria o della previsione di attribuzioni. Pertanto, i soci dissenzienti, da intendersi come quelli che sono inseriti in classi che hanno negato il consenso, possono opporsi all’omologazione del concordato al fine di far valere il pregiudizio subito rispetto all’alternativa liquidatoria [141]. Si tratta di una dimostrazione non agevole perché presuppone che sia elevato il valore della ristrutturazione rispetto a quello di liquidazione e che nel primo abbiano trovato eccessiva soddisfazione i creditori anteriori.
Come si è già enunciato a proposito della conformazione della proposta, nel concordato in continuità le regole di distribuzione del valore sono più elastiche perché il rigoroso rispetto della graduazione e della garanzia patrimoniale (artt. 2740, 2741, 2777 ss. c.c.) è limitato a quanto ricavabile dalla liquidazione del patrimonio, mentre le risorse eccedenti, frutto della continuità aziendale, sono parti integranti del patrimonio del debitore [142] e non possono essere ripartite liberamente (come accade per quelle che possiamo definire vere e proprie risorse esterne che non entrano mai a far parte del patrimonio del debitore e che sono assegnate direttamente ai creditori; nella previgente legge fallimentare l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione [143] in ordine al perimetro della nozione di “finanza esterna” era nel senso che l’apporto del terzo deve essere considerato neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società, non comportando né un incremento dell’attivo patrimoniale del debitore, né un aggravio del passivo della stessa, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo) [144], e vanno distribuite sì in ordine verticale/obliquo ma senza che sia necessario soddisfare integralmente il credito collocato, secondo le regole della graduazione, in posizione superiore.
L’art. 112 CCII stabilisce che questa valutazione vada operata rispetto alle classi dissenzienti perché nel caso del consenso di tutte le classi si presume una corretta distribuzione del valore; si tratta, però, di una mera presunzione che può essere contrastata dal singolo creditore che lamenti un pregiudizio.
Questo indubbio favor per la proposta concordataria in continuità trova però un contrappeso nel fatto che ciascun creditore dissenziente (anche se appartiene ad una classe consenziente) può opporsi all’omologazione e rappresentare che il trattamento offertogli non è conveniente rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, per cui in caso di opposizione l’omologazione può intervenire soltanto se il tribunale verifica l’assenza di pregiudizio. Il rischio dell’opposizione di singoli creditori è un serio stimolo al debitore a non confezionare proposte discriminatorie: di fatto, la regola dell’opposizione individuale può persino scardinare una proposta approvata alla unanimità [145]. Quando è contestata la convenienza ed occorre valutare comparativamente i valori, è possibile procedere con la stima del complesso aziendale del debitore (operazione, però, non impedita anche in altri casi se necessario).
Tuttavia, nel caso in cui i soci siano inclusi in una classe perché viene prevista una attribuzione di valore a loro favore (e ciò accade nel concordato in continuità, l’unico che può prevedere attribuzioni a favore dei soci), quando non è raggiunta l’unanimità delle classi e si è formata solo la maggioranza, il dissenso della classe dei creditori va valutato non solo ai sensi dell’art. 112 CCII ma anche in base ad una ulteriore comparazione. Infatti, quando il valore risultante dalla ristrutturazione è attribuito anche ai soci, il concordato può essere omologato se il trattamento proposto a ciascuna delle classi dissenzienti è almeno altrettanto favorevole rispetto a quello proposto alle classi del medesimo grado e più favorevole di quello proposto alle classi di grado inferiore, anche se a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci. In sostanza, come per la ristrutturazione trasversale, i creditori delle classi dissenzienti possono sì ricevere un trattamento inferiore a quello che riceverebbero con la regola della absolute priority rule, ma alla condizione che la “perdita” non derivi da attribuzioni riconosciute ai soci, posto che i soci in quanto residual claimants non possono prevaricare i creditori. Questa conclusione è avvalorata dalla regola sussidiaria secondo la quale l’ultima classe dei creditori non può ricevere meno di quello che è complessivamente riservato ai soci (art. 120 quater CCII).
La proposta va accompagnata con l’attestazione del professionista indipendente che dichiari la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale e, nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore. Nel caso di concordato in continuità, fermo restando che l’attestazione deve avere ad oggetto la fattibilità del piano di prosecuzione dell’attività, anche considerando che la fattibilità di un piano economico presenta naturali profili di incertezza e aleatorietà, il tribunale in occasione dell’apertura del concordato deve limitarsi a verificare che non sia manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, come proposta dal debitore, e alla conservazione dei valori aziendali. Una volta che la proposta è stata approvata dai creditori, il sindacato del tribunale è ancor meno intenso (proprio perché la fattibilità è stata valutata positivamente dai creditori) dal momento che diviene ostativo solo il piano che è privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza, con la conseguenza che il concordato non può essere omologato solo in caso di irragionevole incapacità del piano di sistemare la crisi.
La previsione per la quale il piano deve essere adeguato ad impedire o superare l’insolvenza (di stretta derivazione unionale) va spiegata così: poiché il piano prevede la continuità dell’impresa, questa continuità non deve essere fine a sé stessa ma deve consentire ad una impresa in crisi di non cadere nello scenario di insolvenza, e ad una impresa insolvente di rimuovere questo stato. L’impresa che prosegue deve, dunque, apparire una impresa “sana” in grado di stare sul mercato.
In sede di omologazione emerge la questione del trattamento dei crediti fiscali e contributivi. Il Decreto correttivo del 2024 ha risolto una strisciante antinomia fra il divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi e la regola di priorità relativa da ultimo introdotta per i concordati in continuità [146]. La disposizione sul divieto si apre ora con un riferimento all’art. 84, commi 6 e 7, il che fissa una clausola di salvezza della relative priority rule anche in relazione ai crediti fiscali e previdenziali. Sul principio dell’art. 88, comma 1, prevale ora expressis verbis la prerogativa del debitore di distribuire il plusvalore secondo il modello di nuova generazione.
Il decreto correttivo del 2024 ha sciolto il dilemma concernente l’applicazione del cram down anche al concordato preventivo in continuità [147]. La questione scaturiva, per un verso, dall’infelice incipit del comma 1 della norma, a tenore del quale veniva tenuto fermo « quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’art. 112, comma 2 », ma senza precisare se la norma oggetto di rinvio valesse in aggiunta o in sostituzione; per altro verso, dal soppresso comma 2-bis, che evocava il solo comma 1 dell’art. 109, concernente in esclusiva il concordato liquidatorio [148].
L’omologazione coattiva è trattata separatamente per il concordato liquidatorio al comma 3 e per il concordato in continuità al comma 4 dell’art. 88.
Con riferimento al concordato liquidatorio il sindacato del giudice si esplica in un giudizio di convenienza: il tribunale omologa lo strumento, anche in mancanza di adesione da parte delle Amministrazioni, quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 109, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento è conveniente rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale.
Con riferimento al concordato in continuità l’omologazione del pari avviene anche in mancanza di adesione dell’ente fiscale o previdenziale, ma il parametro è dato, non dalla convenienza [149], bensì dalla non deteriorità del trattamento rispetto al plesso liquidatorio. La mancata adesione è ora esplicitamente comprensiva, oltre che del “non voto”, del voto contrario. A prescindere dalla tipologia di concordato, se le condizioni delineate dalla norma di riferimento sono rispettate, il voto del creditore pubblico non condiziona, dunque, l’epilogo dell’iniziativa concordataria. Il voto non espresso o contrario non si trasforma in voto favorevole ma viene neutralizzato [150], e le maggioranze si calcolano avendo riguardo solo agli altri creditori, come a dire che la decisione è rimessa a tutti gli altri creditori.