L’art. 12, comma 1, CCII, che introduce la disciplina del nuovo istituto della “Composizione negoziata”, fa riferimento alla situazione dell’imprenditore commerciale o agricolo “che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario … e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”.
La norma prosegue precisando che in tale caso l’esperto (di cui l’imprenditore che versi nella situazione descritta può chiedere la nomina al fine di agevolare le trattative con i creditori) può collaborare per il superamento delle condizioni precisate, “anche mediante il trasferimento dell’azienda o di rami di essa”.
L’art. 22, comma 1, lett. d), prevede, lo si è già visto, che nel contesto della procedura di “Composizione negoziata”, il tribunale possa autorizzare l’imprenditore “a trasferire in qualunque modo l’azienda o uno o più suoi rami senza gli effetti di cui all’articolo 2560, secondo comma, del codice civile” – cioè la responsabilità del cessionario per le passività inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, risultanti dai libri contabili obbligatori –, fermo restando l’art. 2112.
Si può quindi concludere che l’accesso alla “Composizione negoziata” è consentito anche quando l’obiettivo dell’imprenditore sia perseguito “in via indiretta”, cioè mediante il trasferimento (di tutta o parte) dell’azienda.
Per ciò che concerne i presupposti oggettivi dell’accessibilità all’istituto, l’art. 12 cit. allude alla “probabilità” di una situazione di “crisi” o di “insolvenza”: così ammettendo il ricorso alla “Composizione negoziata” anche se la situazione paventata (“crisi” o “insolvenza”) non è “attuale”; non è neppure “sicura”; ma è soltanto “probabile”.
Tale nozione si discosta dunque dal presupposto della liquidazione giudiziale (art. 2, comma 1, lett. b), CCII: “il debitore non è più [già ora] in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”), perché la condizione di “crisi” rilevante potrebbe anche essere compatibile con uno stato di regolarità finanziaria, messa però in pericolo da fattori giudicati “probabili”.
Neppure vi è coincidenza con la nozione di “crisi” costituente il presupposto di ammissibilità al Concordato preventivo: essendo quest’ultima rappresentata dalla situazione nella quale l’imprenditore “si trova” nello stato di crisi, non già nella situazione che è “probabile” che vi ci si possa (forse) trovare in futuro.
Maggiore affinità si può cogliere con la nozione di “crisi” definita dal CCII – art. 2, comma 1, lett. a) –, la quale pare alludere ad una “probabilità” (di insolvenza): ma diversamente da questa la nozione di “crisi” rilevante ai fini dell’ammissibilità alla “Composizione negoziata” non si deve manifestare “come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a fare fronte regolarmente alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”.
In termini generali – dunque – la sensazione è che il presupposto oggettivo delineato dall’art. 12 CCII per l’accesso alla “Composizione negoziata” possa considerarsi ricorrere anche in situazioni meno gravi di quelle che rappresenterebbero (non solo il presupposto per l’assoggettamento alla liquidazione giudiziale o all’ammissione al Concordato preventivo, ma anche) la condizione per l’accesso alle procedure disciplinate in linea di principio dal Codice della Crisi.
Per converso, peraltro, occorre altresì considerare la circostanza che la conclusione alla quale si è pervenuti non consente di escludere dall’ammissibilità all’istituto le imprese versanti in situazioni totalmente divergenti da quelle ipotizzate: in particolare, in situazioni di insolvenza, già attuale, nonché - si deve ritenere, come si dirà - irreversibile.
L’art. 18, comma 4, CCII afferma che dal giorno di apertura della procedura di “Composizione negoziata” “la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata”: il ché postula che l’impresa ammessa alla procedura di “Composizione negoziata” sia già insolvente (e magari già oggetto di una istanza di liquidazione giudiziale e già soggetta ad istruttoria “prefallimentare”).
Nello stesso modo l’art. 21, comma 1, CCII (che riproduce l’art. 9, comma 1, D.L. n. 118/2021, come era stato introdotto dalla legge di conversione n. 147/2021), disciplinando l’ipotesi nella quale “nel corso della composizione negoziata risulta che l’imprenditore è insolvente”, non dispone che la procedura si interrompa, e l’esperto avvii il procedimento di archiviazione della procedura stessa, ma – più semplicemente – dispone che l’imprenditore gestisca l’impresa “nel prevalente interesse dei creditori”.
Si deve pertanto prendere atto che anche l’imprenditore già insolvente; ovvero anche l’imprenditore di cui si accerti l’insolvenza nel corso delle trattative avviate con la collaborazione dell’esperto; sia legittimato a ricorrere alla (ed a continuare ad avvalersi della) procedura di “Composizione negoziata”[27].
Tale conclusione interpretativa rappresenta il risultato di un dibattito che, soprattutto in giurisprudenza, è pervenuto spesso ad esiti non del tutto chiari, nel momento in cui talora si è espressamente escluso l’accesso alla Composizione negoziata per le imprese già versanti stato di insolvenza[28]; talaltra – e per lo più - si è ritenuto di dovere condizionare l’ammissione alla Composizione negoziata alla circostanza che l’eventuale condizione di insolvenza dell’impresa interessata potesse essere giudicata “reversibile“[29].
A tale opinione si è tuttavia opposta l’affermazione della irrilevanza del carattere eventualmente irreversibile della situazione di “crisi” nella quale versasse l’impresa interessata, rilevando esclusivamente la circostanza che l’obiettivo dalla stessa perseguito con l’accesso alla Composizione negoziata fosse rappresentato dal mantenimento (ovvero dal riavvio) dell’attività d’impresa, in alternativa alla cessazione del suo esercizio[30].
Questo secondo orientamento pare destinato ad affermarsi, con un esito che deve essere giudicato condivisibile, per le ragioni sopra rappresentate[31].
Se mai il dibattito è destinato a trasferirsi sul terreno della valutazione del carattere indispensabile, ovvero soltanto facoltativo, del perseguimento dell’obiettivo del risanamento dell’impresa, piuttosto che della ricerca del migliore soddisfacimento dei creditori, anche prescindendo dalla continuazione dell’esercizio dell’azienda.
In dottrina è stata espressa l’opinione secondo la quale “il quadro normativo consente di affermare che il “risanamento dell’impresa” non necessariamente deve avvenire attraverso una prosecuzione dell’impresa in continuità diretta o indiretta, con conseguente impossibilità di escludere tout court una ipotesi di liquidazione (totale o parziale)[32]. In tale prospettiva “ il risanamento oggettivo” potrebbe “corrispondere ad una liquidazione volontaria che offra una soddisfazione migliore rispetto all’alternativa liquidativa giudiziale “: ciò in considerazione della circostanza che “anche l’applicazione del test pratico e i chiarimenti della lista di controllo del D.M. 28 settembre 2021 rendono evidente che nell’espressione, di per sé generica, “ragionevole perseguibilità del risanamento dell’impresa“ di cui all’art 12 CCII, debba, a seconda dei casi e, in particolare, della gravità della crisi dell’istante, ricomprendersi tanto il risanamento “dell’impresa“, tramite una prosecuzione (totale o parziale) della sua attività in “continuità diretta“ o “indiretta“, quanto il risanamento della “esposizione debitoria dell’impresa“ tramite la soddisfazione dei creditori anche con i proventi della liquidazione dell’attività”[33].
In tale prospettiva si deve ritenere che l’imprenditore potrebbe avviare la procedura di Composizione negoziata anche dichiarando sin dall’origine che l’obiettivo perseguito sarebbe il deposito della domanda di omologazione di un Concordato semplificato, teso ad assicurare ai creditori un trattamento migliore di quello che sarebbe perseguibile con l’apertura della liquidazione giudiziale: se mai, ponendo la condizione che “l’imprenditore, in modo leale e trasparente, riferisca all’esperto che non ha prospettive di continuazione ed affidi a lui il compito di spiegare creditori che la CNC supera ogni alternativa concretamente praticabile, perché consente risparmi di costi che sarebbero fisiologici in un Concordato o in una liquidazione giudiziale“[34].
La conclusione pare tuttavia discutibile, perché l’ipotesi dell’ammissibilità di una procedura di Composizione negoziata della crisi d’impresa dichiaratamente volta fin dall’origine al deposito della domanda di omologazione di un Concordato semplificato, finirebbe per privare di senso la previsione della procedura di Concordato preventivo “liquidativo” c.d. “ordinario“, non essendo facile individuare le ragioni per le quali il secondo dovrebbe essere preferito al primo, allorché l’imprenditore si proponga di procedere alla liquidazione del patrimonio ed alla ripartizione del ricavato tra i creditori.[35]
Pervenuti alla conclusione che l’istituto è accessibile anche all’imprenditore insolvente; e che esso lo rimane anche nell’ipotesi nella quale l’imprenditore (eventualmente già insolvente) si proponga di cedere l’azienda a terzi; il presupposto che rimane da verificare è dunque rappresentato dal perseguimento dell’obiettivo di conseguire “il risanamento dell’impresa”.
Tale requisito è richiesto, in termini generali, dall’art. 12, comma 1, CCII (la richiesta della nomina dell’esperto può essere avanzata quando si ritiene ragionevolmente perseguibile “il risanamento dell’impresa”); ed è ribadito, nell’ipotesi di insolvenza sopravvenuta, dall’art. 21, comma 1, CCII,, il quale (a seguito delle modifiche apportate dalla legge di conversione n. 147/2021 al D.L. n. 118/2021, e poi trasferite nella citata disposizione del CCII) consente bensì la prosecuzione delle trattative – e con esse la prosecuzione del procedimento – nonostante la sopravvenuta insolvenza dell’imprenditore, ma alla condizione che “esistano concrete prospettive di risanamento”[36].
Si deve allora concludere che la condizione di ammissione all’istituto sia rappresentata da un presupposto oggettivo negativo: non ammettere che il risultato dello “strumento“ della composizione negoziata possa essere rappresentato dalla cessazione dell’attività d’impresa, per quanto tale esito potesse rappresentarsi più favorevole per i creditori rispetto all’apertura di altra procedura di composizione negoziale della crisi d’impresa, od alla stessa liquidazione giudiziale[37].
Se si condivide questa conclusione si può altresì ammettere che l’accesso alla Composizione negoziata sia consentito anche alla società che si trova in stato di liquidazione[38] : non rilevando tanto la condizione nella quale l’impresa versa nel momento di avvalersi dello “strumento” della Composizione negoziata, quanto piuttosto l’obiettivo perseguito di superare la situazione di “crisi” mantenendo l’esercizio dell’attività di impresa (direttamente o indirettamente)[39].