La composizione negoziata, anche grazie al decreto dirigenziale, non è invece più un percorso al buio; imprenditore, creditori, altre parti coinvolte, lo stesso esperto dispongono di una mappa del percorso attraverso la cui lettura è a loro chiaro quali sono le tappe da raggiungere per pervenire al risultato finale; il che vale sia per la redazione del piano di risanamento che per la conduzione delle trattative e la gestione dell’impresa, oltre che per l’espressione dei pareri eventualmente richiesti dal tribunale nei giudizi autorizzativi occorrenti ed in quelli di conferma o proroga delle misure protettive eventualmente richieste.
Il fulcro dello strumento è il ruolo dell’esperto che non ha precedenti storici nel nostro Paese con riferimento alla crisi d’impresa. Nonostante spesso erroneamente lo si qualifichi (anche nei corsi di formazione da più parti istituiti) quale ‘esperto negoziatore’, egli non è affatto un negoziatore, in quanto non deve porsi a fianco di nessuna delle parti coinvolte, ma è piuttosto un facilitatore o meglio ancora un mediatore in grado di stimolare l’individuazione di soluzioni e di proposte che comportino un sacrificio da parte degli stakeholder proporzionato al proprio interesse al risanamento dell’impresa e alla propria esposizione al rischio (punto 5.4. della sezione III del decreto dirigenziale).
Ma ciò che forse non è stato sufficientemente rimarcato è il passaggio del protocollo che chiede all’esperto una lettura critica del processo di confezionamento del piano, che il decreto dirigenziale ben individua in una successione ordinata di fasi, tale da consentirgli di rispondere in modo convincente alla fondamentale domanda che ogni lettore si pone di fronte ad un piano di risanamento: le strategie di intervento e le iniziative industriali individuate dall’imprenditore appaiono appropriate per il superamento della crisi?. Si tratta della domanda posta al punto 3.9. della sezione II della lista di controllo di redazione del piano. I dati qualito-quantitativi, esito del processo del piano, passano in secondo piano rispetto all’iter logico che deve condurre alla risposta. Solo un processo ordinato ed un iter logico privo di incoerenze consentono di rispondere in modo affermativo alla domanda e permettono all’esperto di esprimersi, una volta valutata la percorribilità delle proposte che l’imprenditore intende formulare alle parti interessate, ravvisando la concretezza delle prospettive di risanamento, in difetto della quale egli è chiamato a cessare il percorso, chiedendo l’archiviazione dell’istanza di nomina. La risposta alla domanda, per quanto semplice nella sua formulazione, presuppone un compendio informativo ampio ed articolato, in assenza del quale essa rischierebbe di essere subordinata ad una serie di condizioni che la rendono vana. Di qua l’esigenza di una chiara individuazione delle iniziative industriali che l’imprenditore intende intraprendere per superare il suo stato di crisi che presuppone l’individuazione delle cause della crisi o dello stato di difficoltà. È ben vero che tra i documenti da allegare all’istanza di nomina dell’esperto l’art. 5, co. 3, non individua il piano d’impresa ma si limita a richiedere la presentazione di un piano finanziario per i successivi sei mesi e l’indicazione delle iniziative industriali che si intendono adottare. È però altrettanto vero che sia il test pratico di cui alla sezione I del decreto dirigenziale che il capo 4 ed il capo 5 del protocollo dell’esperto (sezione III del decreto dirigenziale) presuppongono la redazione quanto meno di un proto-piano predisposto, ancorché in via sommaria, comunque secondo le indicazioni della lista di controllo contenute nella sezione II. In sua assenza l’esperto non potrà che rinviare ogni propria valutazione in ordine alle concrete prospettive di risanamento ad un momento successivo, quando l’imprenditore avrà svolto il proprio compito.
Nel caso in cui fossero richieste le misure protettive, della mancata disponibilità anche solo di un proto-piano l’esperto non potrà non informare il tribunale, quando sentito nel giudizio di conferma delle stesse ed è ragionevole attendersi che il tribunale, qualora confermi le misure protettive lo faccia fissando un termine breve per consentire all’esperto di sciogliere la propria riserva.
La presenza di concrete prospettive di risanamento è senza alcun dubbio il momento più delicato dell’intero percorso. Ai sensi del co. 5 dell’art. 5, l’esperto, accettato l’incarico, convoca senza indugio l’imprenditore per valutare l’esistenza di una concreta prospettiva di risanamento, anche alla luce delle informazioni assunte dall’organo di controllo e dal revisore legale, ove in carica. Solo se ritiene che le prospettive di risanamento sono concrete, incontra le altre parti interessate al processo di risanamento e prospetta le possibili strategie di intervento fissando i successivi incontri con cadenza periodica ravvicinata. Se non ravvisa concrete prospettive di risanamento, all’esito della convocazione o in un momento successivo, l’esperto ne dà notizia all’imprenditore e al segretario generale della camera di commercio che dispone l’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata.
Questo quanto prevede la norma; di fatto egli, raccolte le informazioni iniziali ed in primo luogo il piano predisposto dall’imprenditore potrà rendersi conto se vi sia spazio per formulare proposte alle diverse parti interessate. Invero per comprendere se tali proposte siano accoglibili in modo tale da consentire il superamento dello stato di crisi è probabile che debbano essere attivate le trattative con le parti interessate. Vi è un momento in cui le concrete prospettive di risanamento vengono con evidenza meno ed è il momento in cui viene constatato che le risorse per rendere il debito sostenibile, comprese quelle messe a disposizione dai creditori attraverso il riconoscimento di stralci o la conversione in mezzi propri, e quelle messe a disposizione da terzi mediante apporti in capitale non possano avere un ritorno che riconosca all’interessato un premio adeguato al rischio di subire perdite. Con due precisazioni: a) il ritorno minimo occorrente per le risorse impiegate da coloro (creditori o soci) che sono già esposti al rischio di perdite in caso di insolvenza è più contenuto rispetto al loro valore nominale; non si deve, infatti, tenere conto di quella parte delle perdite che essi comunque subirebbero in assenza di una composizione della crisi; b) la valutazione del ritorno minimo necessario dell’impiego e quella dell’implicito premio per il rischio la può fare solo colui che mette a disposizione le risorse (creditore, cliente, socio o terzo che sia), anche sulla base del suo livello di appetito al rischio. Solo l’andamento delle trattative determinerà quindi la concretezza delle prospettive di risanamento.
Con una eccezione. Vi sono situazioni tanto deteriorate da escludere in partenza ogni concreta prospettiva di risanamento. Il punto 2.4. della sezione III relativa al protocollo chiede, già in sede di verifica del test pratico, di escludere che, in presenza di stato di insolvenza, l’impresa versi in una situazione di continuità aziendale che distrugge risorse, in presenza di un assetto proprietario non disposto ad immettere nuove risorse ed in assenza di un concreto valore dell’azienda. In tale ipotesi le probabilità che l’insolvenza sia reversibile sono assai remote indipendentemente dalle scelte dei creditori. Pertanto l’avvio delle trattative appare inutile e l’esperto dovrebbe chiedere l’archiviazione dell’istanza.
Giunti a questo punto pare opportuno svolgere un raffronto tra il ruolo dell’esperto e l’operato dell’attestatore. A ben vedere la lista di controllo di redazione del piano, nel momento stesso in cui è stata recepita nel decreto dirigenziale, diventa la base delle attività di attestazione di un piano di risanamento e non potrà in futuro essere trascurata nella redazione delle attestazioni. Vi è però una marcata differenza di ruolo, obiettivo e metodo tra attestatore ed esperto.
Quanto al ruolo, nonostante attestatore ed esperto debbano essere entrambi rigorosamente imparziali e terzi rispetto alle parti, le differenze sono nette. L’attestatore, anche quando assiste alle trattative, lo fa in modo passivo e deve astenersi sia dall’individuare la soluzione che dal facilitare la conclusione degli accordi. Per contro l’esperto, nel facilitare l’individuazione della soluzione e l’accordo tra le parti, non attesta alcunché, né rende giudizi in ordine alla veridicità del dato ed alla fattibilità del piano[9]. Egli nondimeno deve formarsi il libero convincimento che il percorso indicato nel piano sia in grado di traghettare l’impresa da una situazione di crisi o di difficoltà ad una situazione di equilibrio patrimoniale ed economico-finanziario. La norma non chiede però all’esperto di esprimere il proprio convincimento ma unicamente di interrompere le trattative quando rilevi l’assenza o il venir meno della concretezza della prospettiva di risanamento. D’altronde la presenza dell’esperto e la sua imparzialità presuppone che egli abbia seguito il protocollo e abbia esaminato il rispetto della lista di controllo da parte dell’imprenditore. Il punto 4.3 del protocollo, in particolare, sottolinea che ove l’esperto ravvisi carenze od incongruenze della situazione contabile di partenza e del piano di risanamento, deve darne segnalazione all’imprenditore perché adotti interventi correttivi in tempi rapidi, anche, se del caso, in via sintetica attraverso interventi prudenziali quali l’iscrizione di un fondo rettificativo o il computo di un fabbisogno finanziario integrativo. D’altronde l’intervento dell’esperto è volto alla coerenza del processo di confezionamento del piano alla lista di controllo (punto 4.1 del protocollo): le indagini che egli compie sono pertanto analisi di processo anziché verifiche sostanziali del dato (diversamente rispetto a quanto previsto dalla verifica di veridicità richiesta all’attestatore dai principi di attestazione). Tali indagini, se condotte da un esperto effettivamente imparziale e terzo, consentono alle parti di formarsi il libero convincimento in ordine all’opportunità di accettare o meno le proposte formulate dall’imprenditore o di formulare eventuali controproposte.
L’obiettivo dell’esperto non è, quindi, quello di rendere un’attestazione di fattibilità del piano che l’esperienza insegna dipendere spesso da eventi esogeni all’impresa sui quali l’impresa stessa, sia essa in bonis che in crisi, non ha il controllo; tant’è che gli attestatori più consapevoli del proprio ruolo si esprimono in termini di punto di rottura del piano in dipendenza delle variabili esogene individuate quali critiche. Il che non toglie che la presenza dell’esperto rassereni le parti al tavolo sul rispetto della lista di controllo della sezione II del decreto dirigenziale e di conseguenza sulla credibilità della percorribilità del percorso individuato. Con l’adozione della lista di controllo l’imprenditore dà, ad esempio, atto dell’assenza di risorse chiave, sia tecniche che umane, della presenza di presidi organizzativi adeguati ad un efficace e tempestivo monitoraggio dell’andamento, della coerenza delle assunzioni del piano con la situazione di fatto dell’impresa e con le attese del marcato, dell’assenza di criticità di varia natura che costituiscono un impedimento all’approccio del percorso disegnato (ad esempio, la dipendenza dalla capacità di altre società del gruppo di soddisfare la domanda dell’impresa, l’irragionevolezza degli obiettivi reddituali prospettici in relazione alla situazione corrente, l’incoerenza dei tempi del ciclo di conversione in cassa rispetto all’esperienza storica).
Il metodo è ciò che maggiormente distanzia il modus operandi dell’esperto rispetto a quello dell’attestatore. L’attestatore segue una logica tendenzialmente bottom-up partendo dagli elementi fattuali ed oggettivi per pervenire a valutare la fattibilità di quelli costituenti assunzioni o mere stime. L’esperto, che fonda le proprie valutazioni sulla base del solo processo, invece si avvale di un compendio informativo più variegato. Accanto alle interviste delle funzioni aziendali, costituenti il cuore del processo informativo dell’attestatore, l’esperto può accertare la credibilità di dichiarazioni, assunzioni ed aspettative formulate dall’imprenditore direttamente con il confronto con le parti interessate. È dall’andamento delle trattative che l’esperto si forma il convincimento della credibilità delle dichiarazioni e dei fatti rappresentati. Ad esempio, la carenza dei livelli di servizio delle prestazioni rese dall’imprenditore, fondamentale per le valutazioni prospettiche, è più agevolmente riscontrabile nel corso delle trattative che dalle interviste con le funzioni operative dell’impresa. La stessa natura fisiologica o meno dei ritardi di pagamento delle forniture rispetto alle previsioni contrattuali è ben più agevolmente riscontrabile attraverso il dialogo con i fornitori che mediante il confronto di serie storiche dei tempi di pagamento o la disamina dell’anzianità dei debiti.