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Saggio

L’impatto della composizione negoziata della crisi su erogazione e qualità del credito*

Vittoria Sollazzo, Avvocato in Milano

2 Aprile 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il contributo analizza l’impatto che l’accesso alla composizione negoziata della crisi produce sui creditori finanziari, focalizzandosi, da un lato, sul tema dell’erogazione del credito in composizione negoziata e, dall’altro, sulla rilevanza della disciplina bancaria in materia di vigilanza prudenziale rispetto all’accesso alla composizione negoziata in termini di riclassificazione del credito. 

This paper focuses on the effects of negotiated composition of crisis on financial creditors, in terms of lending, on the one hand, and on the relevance of banking regulations on prudential supervision with respect to the access to the negotiated composition of crisis for credit reclassification, on the other hand. 
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
Gli istituti di credito assumono da sempre un ruolo centrale nelle soluzioni negoziali della crisi d’impresa e sono destinati a svolgere un ruolo cruciale anche nell’ambito del nuovo istituto della composizione negoziata della crisi. 
Il legislatore, infatti, pone in capo a banche e intermediari finanziari specifici doveri di condotta nel corso delle trattative che sono destinati a fare i conti con la stringente disciplina di vigilanza prudenziale imposta alle banche dalla normativa comunitaria e nazionale.
L’obiettivo del presente elaborato è quello di analizzare l’impatto che l’accesso alla composizione negoziata da parte di un proprio debitore produce su banche e intermediari finanziari, sia sul piano dell’erogazione del credito, sia in termini di asset quality e riclassificazione del credito alla luce della normativa di vigilanza prudenziale.
2 . Il dovere di buona fede “rinforzata” in capo a banche e intermediari finanziari in composizione negoziata
Gli istituti di credito assumono da sempre un ruolo centrale nelle soluzioni negoziali della crisi d’impresa e sono destinati a svolgere un ruolo cruciale anche nell’ambito del nuovo istituto della composizione negoziata della crisi. 
Il legislatore, infatti, pone in capo a banche e intermediari finanziari specifici doveri di condotta nel corso delle trattative che sono destinati a fare i conti con la stringente disciplina di vigilanza prudenziale imposta alle banche dalla normativa comunitaria e nazionale. 
Ai sensi dell’art. 16, comma 5, CCII “le banche e gli intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari dei loro crediti sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato ”. 
Con tale disposizione, il generale dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede − previsto dagli artt. 1175 c.c., 1337 c.c. e 1374 c.c. − viene “rafforzato” e risulta più pregnante in ragione della qualificazione di banche e intermediari finanziari quali creditori professionali, dai quali è possibile attendersi uno standard di condotta più elevato rispetto agli altri creditori, nonché l’uso di una diligenza qualificata ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c.[1] La valutazione del comportamento dei creditori finanziari con maggior rigore e severità riflette, inoltre, la necessità di evitare che questi ultimi adottino atteggiamenti attendisti e dilatori nel corso delle trattative[2]. 
Giova sottolineare, inoltre, che le regole di condotta prescritte dall’art. 16, comma 5, CCII non riguardano solo le banche e gli intermediari finanziari, ma anche i loro mandatari e cessionari dei crediti, in ragione del fatto che la banca, come accade sempre più di frequente, cede il proprio credito a società di cartolarizzazione o ne affida la gestione a credit servicer. In questo modo, si garantisce la partecipazione attiva anche di questi ultimi soggetti, evitando che a seguito della cessione, il debitore ceduto non sia in grado di trovare un interlocutore valido, in grado di riscontrare le sue proposte[3], con conseguente stallo delle trattative ed impossibilità di addivenire ad un esito positivo del percorso negoziato. 
Occorre, dunque, chiedersi in cosa concretamente consista tale dovere di buone fede “rinforzata” in capo ai creditori finanziari: come sottolineato da autorevole dottrina[4], il dovere di leale collaborazione non si traduce nella necessità di prestare consenso alle iniziative dell’imprenditore, ma piuttosto nell’obbligo di non ostacolare le trattative con un comportamento ostruzionistico o rifiutando il contraddittorio sulle proposte del debitore. Sicuramente i creditori finanziari dovranno essere proattivi, coinvolgendo nel negoziato personale informato sulla situazione del cliente e dotato di adeguate competenze economico-finanziarie e tecnico-giuridiche, ma non saranno tenuti a comunicare al cliente la valutazione contabile del credito vantato nei suoi confronti, ossia informarlo su quanto sia stato accantonato a fondo rischi, dal momento che tale informazione, se nota al debitore, potrebbe agevolare eventuali comportamenti opportunistici di moral hazard[5].
3 . Il divieto di sospensione e revoca degli affidamenti bancari
L’art. 16, comma 5, CCII, oltre a sancire il dovere di buona fede “rinforzata” in capo a banche e intermediari finanziari, dispone che l’accesso alla composizione negoziata – indipendentemente dalla richiesta di misure protettive – non costituisce di per sé causa di sospensione o revoca degli affidamenti bancari concessi agli imprenditori. 
In questo modo, si dovrebbe evitare qualsiasi automatismo tra disclosure da parte dell’imprenditore circa lo stato di crisi (o anche solo di squilibrio) e interruzione del sostegno finanziario. La ratio della norma, infatti, è quella di garantire la continuità dell’impresa nel corso delle trattative, agevolando il buon esito delle stesse. 
A ciò fa dà contraltare il fatto che le banche sono soggette a norme regolamentari che rischiano di porsi in contrasto con tale disposizione, in quanto la revoca degli affidamenti può rendersi necessaria in caso di aggravamento del livello di rischio associato al cliente che ha fatto accesso alla composizione negoziata. Pertanto, il legislatore, a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. 18 giugno 2022, n. 83, ha precisato che la sospensione e la revoca possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, con comunicazione che dia conto della decisione assunta. 
La norma in questione pone una serie di interrogativi, ai quali si cercherà di fornire risposta nel presente paragrafo. 
Il primo riguarda la nozione di “affidamento”: il termine utilizzato dal legislatore è atecnico, dal momento che l’ordinamento non tipizza un contratto di “affidamento”[6]. Occorre, quindi, ricercare il significato del termine nella prassi bancaria, al fine di individuare quali tipologie o forme tecniche di contratti possano essere ricondotti a tale nozione. 
Si ritiene che il legislatore abbia voluto far riferimento essenzialmente a mutui, aperture di credito, linee autoliquidanti[7] e, in generale, a tutte le linee di credito concesse e in corso di esecuzione al momento dell’accesso alla composizione negoziata non ancora scadute. 
Anche il termine “revoca” utilizzato dal legislatore risulta eccessivamente generico, in quanto riferibile solo a contratti, quali le aperture di credito, aventi ad oggetto la concessione di una “disponibilità”. Si ritiene, dunque, che, con tale nozione, il legislatore abbia inteso far riferimento tanto al recesso, ammesso nei rapporti contrattuali a tempo indeterminato (come sono tutti i contratti di finanziamento bancario), quanto alla risoluzione, laddove l’imprenditore abbia tenuto un comportamento che integri un inadempimento[8], e alla decadenza dal beneficio del termine, con riferimento a tutti quei contratti aventi a oggetto non una “disponibilità”, bensì una erogazione[9]. 
Il divieto di revoca e sospensione degli affidamenti dovrebbe, inoltre, valere con riferimento allo scaduto non pagato, ma non con riferimento alle prestazioni ancora da eseguire (i.e. all’accordato non ancora utilizzato alla data di accesso alla composizione negoziata, ovvero alle ipotesi di rientro dell’originaria esposizione di credito nelle aperture di credito “rotative” e/o “autoliquidanti”[10]) in quanto ciò si tradurrebbe sostanzialmente in un obbligo di finanziamento a carico della banca, contrario al principio di ragionevolezza. 
Il secondo tema da affrontare è quello relativo alla possibilità per le banche di disporre la revoca o la sospensione degli affidamenti per ragioni diverse rispetto al semplice accesso del debitore alla composizione negoziata. 
L’interpretazione più ragionevole, ad avviso di chi scrive, è quella di considerare ingiustificato un recesso ad nutum da parte della banca, recesso che invece dovrebbe ritenersi senz’altro possibile in presenza di una giusta causa relativa al merito del rapporto[11], per motivi obiettivi relativi all’andamento del conto o al mancato rispetto dei limiti dell’affidamento[12]. 
La sospensione o la revoca dovrebbero, quindi, poter essere disposte per ragioni di ordine diverso rispetto al mero accesso alla composizione negoziata, quali ad esempio: (i) la presenza di anomalie incompatibili con la continuazione dell’erogazione del credito, tra cui l’eccessiva concentrazione del portafoglio in un numero limitato di clienti, l’utilizzo continuativo del fido accordato senza rientri, nonché veri e propri illeciti quali la presentazione allo sconto di titoli di comodo o la duplicazione di titoli[13]; e (ii) percentuali anomale di insoluti sul portafoglio anticipato, distrazione di incassi sul portafoglio anticipato che l’impresa abbia “decanalizzato” presso altro intermediario[14]. 
Va sottolineato, inoltre, come la richiesta di misure protettive da parte del debitore sia determinante ai fini della decisione delle banche di revocare o sospendere gli affidamenti. 
Da ultimo, si evidenzia che la sospensione o la revoca saranno sicuramente possibili se dettate da ragioni di vigilanza prudenziale, ossia in tutte quelle ipotesi in cui il mantenimento delle linee di credito si ponga in contraddizione con il principio di “sana e prudente gestione” gravante sulla banca ex art. 5 D.Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario), cui la stessa deve attenersi anche per escludere il rischio di imputazione dell’illecito di concessione abusiva di credito[15]. 
Questo potrà verificarsi, ad esempio, laddove le condizioni dell’impresa non offrano alcuna garanzia di restituzione del fido accordato e, quindi, la prognosi sul futuro dell’impresa, alla luce delle indicazioni della normativa di vigilanza prudenziale, risulti infausta[16]. 
La sospensione o la revoca potrebbero, inoltre, essere disposte a seguito di provvedimento adottato dall’Autorità di Vigilanza[17], la quale – nell’ambito del processo di revisione e valutazione (“Supervisory Review and Evaluation Process”, c.d. “SREP”) – in caso di necessità, può, inter alia, adottare provvedimenti finalizzati al “contenimento del livello dei rischi, anche attraverso il divieto di effettuare determinate operazioni”[18]. 
Non sembra, invece, sufficiente a giustificare la sospensione o la revoca dell’affidamento il semplice fatto che la disciplina di vigilanza prudenziale comporti effetti economici negativi per la banca, derivanti dal peggioramento della classificazione della posizione e dai maggiori accantonamenti a fondo rischi, che renderebbero non più economicamente conveniente il mantenimento dell’utilizzabilità del credito concesso[19]. 
La disposizione prevede poi un’inversione dell’onere della prova a carico della banca: mentre, infatti, fuori dalla composizione negoziata è onere del debitore provare la contrarietà a buona fede della condotta della banca che revochi le linee di credito, durante la composizione negoziata è, invece, onere della banca motivare le ragioni della revoca, che deve fondarsi su fatti diversi dal mero accesso alla composizione negoziata o deve essere comunque imposta dalla disciplina di vigilanza prudenziale[20]. 
Si è osservato, dunque, come anche nel Codice della Crisi risulti particolarmente complessa la scelta del “buon banchiere”, il quale è stretto tra il rischio di mancato recupero dell’importo finanziato (con conseguente compromissione della situazione economica del debitore), da un lato, e la responsabilità da concessione abusiva di credito, dall’altro[21].
4 . Misure protettive e cautelari e affidamento bancario
Qualora l’imprenditore, con l’istanza di nomina dell’esperto o successivamente, richieda l’applicazione di misure protettive del patrimonio e queste siano confermate dal Tribunale competente, le banche saranno soggette altresì al disposto dell’art. 18, comma 5, CCII, ai sensi del quale i creditori non possono avvalersi di rimedi contrattuali quali la risoluzione, il recesso, la decadenza dal beneficio del termine o l’eccezione di inadempimento “per il solo fatto” del mancato pagamento da parte dell’imprenditore ammesso alla composizione negoziata di crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza di richiesta delle misure protettive. 
Ne consegue che le banche non solo non possono interrompere il sostegno finanziario all’imprenditore per il solo fatto dell’accesso alla composizione negoziata, ma sono altresì tenute a mantenere il sostegno finanziario in precedenza accordato all’impresa che abbia chiesto e ottenuto misure protettive. Si impone così alle banche un rafforzamento del proprio supporto, dal momento che − al generale divieto di sospensione/revoca degli affidamenti già previsto all’art. 16, comma 5, CCII − si aggiunge il divieto (di portata ben più ampia) di opporre al debitore gli inadempimenti pregressi che legittimerebbero il creditore ad invocare i consueti rimedi contrattuali[22]. 
Questo pone le banche di fronte ad evidenti criticità sia finanziarie che regolamentari, dal momento che le stesse sono costrette ad erogare credito e, quindi, ad incrementare l’esposizione, nei confronti di un debitore verosimilmente in crisi o insolvente[23]. 
La limitazione predetta non sembra, tuttavia, deporre a favore di un divieto assoluto per i creditori di sciogliere i contratti pendenti: sul punto si è, infatti, osservato[24], da un lato, la diversa formulazione rispetto al disposto dell’art. 94 bis CCII in materia di concordato in continuità, laddove si fa espresso riferimento ai contratti essenziali per la prosecuzione dell’attività del debitore, dall’altro, la circostanza per cui la composizione negoziata non rientra nell’ambito dei quadri di ristrutturazione ai sensi della Direttiva UE 2019/1023 (c.d. Direttiva Insolvency), né nella nozione di “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” ex art. 2, comma 1, lett. m bis)[25] CCII; si tratta, invece, di un percorso che può sfociare in un accordo o porre le basi per accedere a una procedura di ristrutturazione: di conseguenza, non dovrebbe applicarsi il divieto di scioglimento dei contratti pendenti. 
A ciò deve aggiungersi che, al divieto di cui all’art. 18, comma 5, CCII, fa da contraltare la precisazione, contenuta nella medesima disposizione, per cui i creditori nei cui confronti operano le misure protettive sono comunque liberi di sospendere l’adempimento dei contratti pendenti dalla pubblicazione dell’istanza di richiesta delle misure protettive fino all’eventuale conferma delle stesse da parte del Tribunale. 
Per massimizzare la propria tutela e preservare l’utilizzo delle linee di credito a garanzia della continuità aziendale è verosimile che l’impresa che acceda alla composizione negoziata richieda, oltre alle misure protettive, anche la concessione di misure cautelari, le quali devono essere funzionali a garantire il buon esito delle trattative per il risanamento dell’impresa[26]. 
A differenza delle misure protettive – che operano automaticamente dalla pubblicazione dell’istanza nel Registro delle Imprese (salva poi conferma o revoca da parte del Tribunale) e hanno contenuto tipico predeterminato per legge – le misure cautelari, oltre ad avere contenuto atipico, operano solo a partire dall’emanazione del provvedimento del giudice. 
Mancando, dunque, una tipizzazione legislativa di tali misure, occorre chiedersi quali possano essere i provvedimenti richiesti dal debitore in composizione negoziata e i beni interessati. Di seguito alcuni esempi di misure cautelari concesse, in taluni casi, nella prassi e oggetto di specifica pronuncia giurisprudenziale: 
(i) sospensione dei contratti di affidamento e di finanziamento per anticipo fatture, con divieto per gli istituti di credito di estinguere la propria posizione creditoria, in qualsiasi forma contrattuale prevista [27]; 
(ii) inibitoria della decadenza dal beneficio della rateizzazione in caso di mancato pagamento di alcune rate in scadenza[28].
4.1 . L’inibitoria delle segnalazioni in Centrale Rischi
I dati disponibili in Centrale Rischi risultano senza dubbio strategici per la composizione della crisi, dal momento che l’archivio gestito da Banca d’Italia fornisce il dettaglio dell’indebitamento dell’imprenditore verso il sistema bancario e finanziario. 
La Centrale Rischi è alimentata dalle informazioni che gli intermediari partecipanti trasmettono relativamente ai crediti e alle garanzie concessi alla propria clientela (c.d. posizioni di rischio). 
È prevista una soglia di rilevanza per le segnalazioni, le quali sono dovute se l’importo che il cliente deve restituire all’intermediario è pari o superiore a Euro 30.000; questa soglia si abbassa a Euro 250 se la posizione del cliente è in sofferenza. 
Gli intermediari ricevono poi, con cadenza mensile, un flusso di ritorno “personalizzato” che riporta la posizione globale di rischio verso il sistema finanziario di ciascun cliente segnalato. 
Alla luce di quanto precede, le informazioni presenti in Centrale Rischi costituiscono il “biglietto da visita” che l’imprenditore può spendere presso il sistema creditizio e, se adeguatamente effettuate, consentono agli istituti di credito di rilevare tempestivamente eventuali criticità[29]. 
Tra le misure cautelari che l’imprenditore in composizione negoziata potrebbe richiedere nei confronti delle banche si può annoverare proprio l’inibitoria delle menzionate segnalazioni in Centrale Rischi. 
Su tale tema si è già registrato un contrasto nella più recente giurisprudenza di merito: una parte della giurisprudenza[30] ritiene ammissibile la richiesta di siffatta misura, ritenuta necessaria per non vanificare la misura cautelare di sospensione del pagamento della quota capitale degli ammortamenti e delle rateazioni a scadere nei confronti degli istituti finanziari, nonché di revoca delle linee di credito già esistenti e utilizzate. Tale rischio, infatti, non potrebbe essere scongiurato ex lege dal disposto dell’art. 16, comma 5, CCII, dal momento che la sospensione o la revoca potrebbero essere comunque disposte se richiesto dalla normativa di vigilanza prudenziale. 
Alla luce di ciò, secondo la giurisprudenza in commento, dovrebbe potersi considerare necessaria e, come tale accoglibile – per assicurare il buon esito delle trattative – l’istanza di concessione dell’inibitoria della segnalazione in Centrale Rischi di eventuali revoche di linee di credito già esistenti e utilizzate. Si tratterebbe, infatti, di una misura consistente in un mero “pati”, che esula dalla possibilità di imporre alla controparte un facere. 
Di contro, altra parte della giurisprudenza[31] ha rigettato l’istanza del debitore in composizione negoziata di concessione dell’inibitoria delle segnalazioni in Centrale Rischi, sostenendo che si tratti di una misura che non impedisce lo svolgimento delle trattative (non incidendo sul patrimonio del ricorrente) né appare strumentale al buon esito delle stesse. 
Ad avviso di chi scrive, le segnalazioni in Centrale Rischi dovrebbero essere inibite, nel contesto della composizione negoziata, nell’ipotesi in cui espongano la società al rischio di non poter accedere, per effetto della segnalazione, al credito necessario per la realizzazione del proprio piano di risanamento. Ciò anche tenuto conto che la segnalazione da parte di un istituto di credito potrebbe comportare un “effetto sistemico” sul sistema creditizio, creando delle difficoltà nella gestione delle trattative nella composizione negoziata: la segnalazione, infatti, sarebbe visibile agli intermediari partecipanti alla Centrale Rischi[32], i quali hanno facoltà di chiedere informazioni su soggetti che essi non segnalano laddove ciò sia utile ai fini della valutazione del merito di credito della clientela potenziale o effettiva[33].
5 . Il coordinamento tra l’art. 16, comma 5, CCII e l’art. 18, comma 5, CCII
Occorre, a questo punto, interrogarsi su quale sia il rapporto sussistente tra la disposizione di cui all’art. 16, comma 5, CCII e quella di cui all’art. 18, comma 5, CCII. 
Le due norme hanno, innanzitutto, ambiti di applicazione differenti, in quanto la prima fa riferimento solo ai creditori finanziari, la seconda, invece, a qualsiasi tipologia di creditori. 
Sotto il profilo oggettivo, poi, la prima fa riferimento solo agli “affidamenti”, mentre la seconda a qualsiasi tipologia di contratto. 
Sul piano strutturale, la prima opera automaticamente per il solo effetto dell’accesso del debitore alla composizione negoziata, mentre la seconda opera solo in caso di richiesta di misure protettive da parte dell’imprenditore[34] e ha un effetto temporaneo, destinato a venire meno con la cessazione delle misure protettive stesse. 
Infine, mentre l’effetto “impositivo” della norma di cui all’art. 16, comma 5, CCII non è soggetto ad alcuna valutazione giudiziale, quello di cui all’art. 18, comma 5, CCII è condizionato alla conferma delle misure protettive nel procedimento dinnanzi al Tribunale, con contraddittorio con il creditore banca[35]. 
Considerando le due norme sul piano sistematico, si deduce che: (a) in assenza di misure protettive (o perché l’imprenditore non ne ha fatto richiesta o perché queste non sono state confermate dal Tribunale), l’imprenditore è esposto alle azioni esecutive e cautelari dei creditori, con il limite, dettato dall’art. 16, comma 5, CCII per i creditori finanziari, del divieto di revoca e sospensione degli affidamenti, che impedisce l’immediata esigibilità del saldo debitorio e, dunque, l’azione esecutiva; (b) in presenza di misure protettive, l’ “effetto impeditivo” rispetto ad azioni esecutive e cautelari dei creditori (anche bancari) si produce per il sol fatto dell’iscrizione a Registro Imprese dell’istanza di applicazione delle misure protettive ex art. 18, comma 1, CCII[36], senza che ciò possa essere derogato dalla sussistenza di inadempimenti pregressi del debitore. 
Dal coordinamento tra le due disposizioni, dunque, si desume che, in astratto, la banca che ha disposto la revoca dell’affidamento per ragioni diverse dal mero accesso alla composizione negoziata o per ragioni di vigilanza prudenziale potrebbe comunque vedersi paralizzata, per effetto della richiesta nei suoi confronti di misure protettive[37]. 
È quanto si è verificato in un recente caso oggetto di decisione da parte del Tribunale di Padova[38]: un istituto di credito aveva deciso di sospendere l’operatività degli affidamenti nei confronti del debitore in composizione negoziata, in ragione del dovere di rispettare gli obblighi di vigilanza prudenziale, nonché a causa degli ingenti inadempimenti nei rapporti di anticipo fatture. 
Nel procedimento di conferma delle misure protettive richieste dal debitore – tra cui, ex art. 18, comma 5, CCII, il divieto per i creditori (anche quelli finanziari) di risolvere i contratti in essere, anticiparne la scadenza, nonché sospendere o rifiutare l’adempimento delle prestazioni imposte a carico del contraente in bonis dai contratti stessi – il Tribunale ha affermato che, laddove l’imprenditore si avvalga delle misure protettive, anche le banche, al pari di tutti gli altri contraenti/creditori, sono soggette alle limitazioni dell’esercizio unilaterale dei diritti derivanti dai contratti sottoscritti, quandanche questi siano contratti di finanziamento che non hanno trovato completa esecuzione. La presenza di insoluti, infatti, ove anteriori all’avvio della procedura, non autorizzerebbe il rifiuto della prestazione da parte dell’istituto di credito. 
Quanto all’apparente antinomia tra l’art. 18, comma 5 CCII e l’art. 16, comma 5, CCII, il Tribunale di Padova ha osservato che tale ultima disposizione – prevista in termini generali per il caso di ricorso da parte dell’imprenditore alla composizione negoziata – trovi il proprio limite ove siano richieste e concesse misure protettive che riducono ulteriormente la libertà di determinazione del creditore (anche bancario), con riferimento ai contratti pendenti (inclusi i contratti bancari autoliquidanti) e agli inadempimenti pregressi. 
Quanto precede potrebbe esporre le banche al rischio di concessione abusiva di credito, laddove il mantenimento delle linee “autoliquidanti” pendenti alla data di accesso dell’imprenditore alla composizione negoziata dovesse essere equiparato a nuova finanza e in assenza di ragionevoli prospettive di risanamento del debitore. 
Dal quadro delineato emerge, dunque, come le disposizioni in commento possano essere intese dalle banche quale causa di incremento del loro rischio di credito potenziale, tale da indurle a decidere di rafforzare i propri presidi di monitoraggio, richiedendo, ad esempio, maggiori garanzie[39].
6 . Gli interventi degli istituti di credito in pendenza di composizione negoziata: la concessione di nuova finanza prededucibile
I ruoli che la banca può assumere nell’ambito della composizione negoziata sono molteplici e, tra questi, spicca il ruolo di “finanziatrice”.
Diverse sono le tipologie di finanziamenti bancari possibili in pendenza di composizione negoziata.
In primis, i già citati affidamenti che proseguono per l’accordato non utilizzato.
In secondo luogo, i finanziamenti qualificabili come “atti straordinari”, per i quali non è richiesta autorizzazione giudiziale, ma che vanno comunque comunicati all’esperto[40].
Infine, la banca può assumere il ruolo di nuova finanziatrice, erogando nuova finanza prededucibile, che deve essere autorizzata dal Tribunale ex art. 22 CCII.
La possibilità per le banche di concedere, in composizione negoziata, nuova finanza che goda del beneficio della prededuzione merita di essere approfondita dal momento che, per la prima volta, il legislatore prevede la concessione di tale prerogativa nell’ambito di un procedimento stragiudiziale e volontario, come può definirsi la composizione negoziata[41].
Pertanto, a fronte dell’autorizzazione del Tribunale ai sensi dell’art. 22 CCII, si consente l’accesso a un beneficio che prima poteva innestarsi solo su una procedura concorsuale e che rappresenta una sorta di “compenso” per il rischio assunto dal finanziatore nel concedere liquidità legata alla ristrutturazione.
Il Tribunale concede all’imprenditore in composizione negoziata l’autorizzazione a contrarre il finanziamento prededucibile se lo stesso risulta funzionale: (i) alla continuità aziendale[42] e (ii) al miglior soddisfacimento dei creditori[43].
Dovrà, dunque, operarsi un giudizio prognostico comparando la situazione in cui il finanziamento non sia erogato con quella in cui l’impresa possa invece beneficiarne.[44]
Viene da chiedersi, inoltre, se, per un istituto di credito coinvolto nella composizione negoziata, possa essere conveniente erogare nuova finanza, posto che, nella prassi giurisprudenziale, si sono già registrate una serie di pronunce[45] in cui il Tribunale ha autorizzato l’imprenditore a contrarre nuova finanza, prevalentemente nella forma tecnica del factoring.
La nuova finanza, come detto, gode del beneficio della prededuzione e questo è senza dubbio un vantaggio.
Inoltre, ai sensi dell’art. 24, comma 2, CCII, gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere dall’imprenditore nel periodo successivo all’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto godono dell’esenzione dall’azione revocatoria (purché coerenti con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti) e dell’esimente penale per reati di bancarotta semplice e preferenziale e ciò costituisce ulteriore vantaggio.
Quanto precede, tuttavia, non basta ad incoraggiare l’erogazione di nuova finanza, dal momento che anche le sorti di quest’ultima risultano essere strettamente interdipendenti dall’impatto che l’accesso alla composizione negoziata produce sulla classificazione del credito.
Infatti, qualora si ritenesse che i crediti vantati da un istituto di credito nei confronti di un debitore in composizione negoziata siano da qualificarsi automaticamente come UTP (unlikely to pay) e, quindi, come crediti deteriorati, anche la nuova finanza erogata in pendenza di composizione negoziata sarebbe soggetta a tale catalogazione, con conseguente surplus di costo a carico della banca per il rispetto della disciplina contabile e prudenziale. Tale surplus di costo non sarebbe recuperabile neppure attraverso il tasso di interesse applicato, in quanto la normativa antiusura non prevede deroghe per i finanziamenti alle imprese in crisi[46]. 
La relazione tra accesso alla composizione negoziata e classificazione/qualità del credito sarà oggetto di approfondita disamina nei paragrafi che seguono.
7 . L’impatto della disciplina di vigilanza prudenziale sul ruolo delle banche in composizione negoziata
L’insolvenza delle imprese produce un forte impatto sul sistema bancario dal momento che, se un’impresa non è in grado di far fronte alle proprie obbligazioni nei confronti delle banche, queste ultime accumulano crediti deteriorati (c.d. NPLs, non-performing loans). Valori elevati di crediti deteriorati nei bilanci delle banche tendono ad aumentare il costo della raccolta di liquidità e di capitale e a ridurre la redditività[47]. 
In presenza di tale stretta interconnessione, il sistema di gestione della crisi d’impresa dovrebbe risultare coerente con il nuovo contesto regolamentare nel quale le banche sono chiamate ad operare. 
A riguardo, la normativa di vigilanza in ambito bancario è stata oggetto di attenzione da parte del legislatore nel Codice della Crisi: come anticipato, infatti, l’art. 16, comma 5, CCII prevede la possibilità per gli istituti di credito di sospendere o revocare gli affidamenti “se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale”. 
Ma qual è questa disciplina? 
Le banche sono destinatarie di diversi provvedimenti legislativi, sia di matrice nazionale che comunitaria, che hanno reso particolarmente stratificato e complesso il quadro normativo cui le stesse devono attenersi, soprattutto nella gestione dei crediti deteriorati. 
Conoscere la disciplina che guida le scelte e l’operato degli istituti di credito può rivelarsi utile per rendere più efficace la composizione negoziata, innalzando le probabilità di successo delle trattative con i creditori[48]. 
Inoltre, le regole imposte dalle autorità di vigilanza bancaria, preordinate ad una gestione proattiva dei rischi, risultano coerenti col principio di prevenzione della crisi e dell’insolvenza, alla base del CCII. 
Si cercherà di delineare, dunque, senza pretese di esaustività, la disciplina regolamentare e contabile che i creditori finanziari devono tenere in considerazione nell’ambito della composizione negoziata e, più in generale, nelle negoziazioni inerenti la ristrutturazione del debito.
7.1 . La Circolare di Banca d’Italia n. 272/2008
Prendendo le mosse dalla disciplina nazionale, occorre analizzare la Circolare di Banca d’Italia n. 272 del 30 luglio 2008 “Matrice dei conti” ai sensi della quale si definiscono come “deteriorate” le esposizioni creditizie per cassa (finanziamenti e titoli di debito) e “fuori bilancio” (garanzie rilasciate, impegni irrevocabili a erogare fondi) verso debitori che ricadono nella categoria “non-performing” ai sensi del Regolamento UE n. 630/2019 che modifica il Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR)[49]. 
Ai fini delle segnalazioni statistiche di vigilanza, le esposizioni creditizie deteriorate vengono ripartite dalla Circolare in oggetto in tre categorie: 
(i) le sofferenze, ossia il complesso delle esposizioni per cassa e fuori bilancio nei confronti di un soggetto in stato di insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili. Sono incluse, inter alia, le esposizioni che soddisfano la definizione di “non performing exposures with forbearance measures”[50]; 
(ii) le inadempienze probabili (“unlikely to pay”), ossia le esposizioni per le quali risulta improbabile, a giudizio della banca, che – senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie – il debitore adempia integralmente (in linea capitale e/o interessi) alle sue obbligazioni, indipendentemente dalla presenza di eventuali importi scaduti e non pagati. Non è, pertanto, necessario attendere il sintomo esplicito dell’anomalia (i.e. il mancato rimborso), laddove sussistano elementi che implicano una situazione di rischio di inadempimento del debitore (ad esempio, una crisi del settore industriale in cui questi opera). 
Giova segnalare che, secondo quanto previsto dalla Circolare (che in questo senso si pone in linea con quanto previsto dalla normativa comunitaria[51]), vanno segnalate fra le inadempienze probabili anche le esposizioni verso debitori che hanno proposto ricorso per concordato preventivo “in bianco” (ex art. 161, comma 6, L. fall), dalla data di presentazione della domanda e sino a quando non sia nota l’evoluzione dell’istanza[52]. 
Resta comunque fermo che le esposizioni in questione vanno classificate tra le sofferenze qualora: 
(a) ricorrano elementi obiettivi nuovi che inducano gli intermediari, nella loro responsabile autonomia, a classificare il debitore in tale categoria; 
(b) le esposizioni fossero già in sofferenza al momento della presentazione della domanda. 
Nel caso di domanda di concordato con continuità aziendale (ex art. 186 bis L. fall., ora art. 84 CCII) si applicano i medesimi criteri previsti per il concordato “in bianco”, dalla data di presentazione della domanda e sino a quando non siano noti gli esiti della stessa. 
In particolare, qualora il concordato con continuità aziendale si realizzi con la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il suo conferimento in una o più società (anche di nuova costituzione) non appartenenti al gruppo economico del debitore (c.d. concordato in continuità indiretta), l’esposizione va riclassificata nell’ambito delle attività non deteriorate. 
Tale possibilità è, invece, preclusa nel caso di cessione o conferimento a una società appartenente al medesimo gruppo economico del debitore, nella presunzione che nel processo decisionale che ha portato quest’ultimo a presentare istanza di concordato vi sia stato il coinvolgimento della capogruppo/controllante, nell’interesse dell’intero gruppo. 
In tale situazione, l’esposizione verso la società cessionaria continua a essere segnalata nell’ambito delle attività deteriorate. Essa va inoltre rilevata tra le non performing exposures with forbearance measures
(iii) le esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate, ossia le esposizioni creditizie per cassa, diverse da quelle classificate come sofferenze o inadempienze probabili che, alla data di riferimento della segnalazione, risultano scadute o sconfinanti.
7.2 . Il Regolamento UE n. 575/2013 (CRR)
Il perimetro della normativa di vigilanza prudenziale non si esaurisce in ambito nazionale, ma – proprio in ragione della vigilanza europea sugli istituti di credito, coordinata dalla BCE – si estende ad ulteriori fonti regolamentari, tra le quali spiccano il Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR, Capital Requirements Regulation), le Guidelines emanate dalla European Banking Authority (EBA) e il Regolamento UE n. 630/2019, che ha introdotto la nuova regolamentazione sul Calendar Provisioning
Con il Regolamento UE n. 575/2013 (CRR) è stata introdotta una nuova definizione di default cui le banche e gli altri intermediari sono tenuti a uniformarsi. 
L’art. 178 CRR prevede, infatti, che i debitori siano classificati in default al ricorrere di una delle seguenti condizioni: una condizione oggettiva, ossia un arretrato di 90 giorni consecutivi nel pagamento di un’obbligazione rilevante e una condizione soggettiva, ossia l’improbabilità, ad avviso della banca, che – senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie – il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni (unlikeliness to pay). 
Occorre, dunque, chiarire cosa si intenda per “obbligazione rilevante” e quali siano gli indicatori di improbabile adempimento da parte del debitore. 
Con riferimento alla prima nozione, il Regolamento delegato n. 171/2018 ha integrato l’art. 178 CRR, definendo due soglie di rilevanza espresse: (i) una soglia c.d. “assoluta”, pari a 100 Euro per le esposizioni al dettaglio e 500 Euro per le altre esposizioni; e (ii) una soglia c.d. “relativa”, pari all’1% dell’esposizione complessiva verso una controparte. Pertanto, qualora entrambe le predette soglie siano state superate per un periodo continuativo di 90 giorni, l’esposizione risulterà scaduta o sconfinata e il debitore sarà classificato in stato di default. 
Con riferimento agli elementi da considerare come indicativi del probabile inadempimento del debitore (c.d. UTP trigger), il par. 1, lett. a) dell’art. 178 CRR individua: l’inclusione del credito da parte della banca tra le sofferenze o gli incagli, la presenza di una rettifica di valore su crediti derivante da un significativo scadimento del merito creditizio, la cessione del credito a sconto da parte della banca, la ristrutturazione onerosa del credito che preveda uno stralcio o il differimento del pagamento di capitale e interessi, la presentazione da parte della banca di una istanza di fallimento (o procedura analoga) nei confronti del debitore, la richiesta di dichiarazione di fallimento (o situazione assimilabile) da parte del debitore stesso o di terzi, laddove ciò impedisca o ritardi il rimborso dell’obbligazione. 
Gli orientamenti EBA/GL/2016/07[53] hanno poi elencato una serie fattispecie che potrebbero costituire “indicazioni dell’improbabile adempimento”. Si riportano di seguito le principali: 
(i) l’effettuazione di specifiche rettifiche di valore sui crediti[54]; 
(ii) la classificazione dell’esposizione come deteriorata (“stage 3”) ai sensi dell’IFRS 9[55]; 
(iii) la contabilizzazione di perdite significative connesse alla cessione delle obbligazioni creditizie[56]; 
(iv) il verificarsi di una “ristrutturazione onerosa” del debito che comporti una remissione sostanziale dello stesso o un differimento del pagamento di interessi e capitale con una perdita superiore all’1% del debito originario[57]; 
(v) il fallimento del debitore[58]; 
(vi) l’insufficienza delle fonti di reddito del debitore a far fronte al pagamento delle rate, l’aumento significativo del livello di leva finanziaria del debitore, l’escussione di una garanzia da parte della banca[59]; 
(vii) la sussistenza di significativi ritardi nei pagamenti, la crisi del settore in cui opera il debitore[60]. 
I predetti “UTP Trigger” andranno poi integrati con le già citate previsioni della Circolare n. 272/2008 di Banca d’Italia, che prevedono la classificazione a UTP (inadempienza probabile) dei crediti vantati verso debitori che abbiano presentato domanda di accesso al concordato “in bianco” o al concordato con continuità aziendale.
7.3 . Il Regolamento UE n. 630/2019 e il Calendar Provisioning
La prima importante novità introdotta dal Regolamento UE n. 630/2019 – che ha in parte modificato il Regolamento UE n. 575/2013 (CRR) – è contenuta all’art. 47 bis, par. 3, che fornisce una definizione di “esposizioni deteriorate”[61]. 
La seconda importante novità è rappresentata dall’introduzione di quello che è stato definito[62] come uno degli interventi regolatori più dirompenti e invasivi della vigilanza europea, ossia un sistema di Calendar Provisioning obbligatorio (c.d. backstop)[63]. 
Il Calendar Provisioning nasce dall’esigenza della BCE di migliorare la qualità degli attivi delle banche, riducendo lo stock di NPLs in modo sostenibile, attraverso un piano graduale di accantonamento prudenziale. 
Le misure previste dal Calendar Provisioning, infatti, prevedono una procedura di svalutazione dei crediti deteriorati secondo scadenze temporali prestabilite, per assicurare che non si verifichi un aumento di NPLs nei bilanci degli intermediari senza adeguate rettifiche di valore. Sulla base del tempo trascorso dal momento della classificazione del credito come non performing, le esposizioni deteriorate sono soggette a requisiti minimi di copertura da conseguire mediante rettifiche di valore oppure mediante riduzioni dal patrimonio di vigilanza. 
Infatti, la nuova disciplina impone un sistema di deduzione dal common equity Tier 1 (CET1) di ciascuna banca qualora non siano stati raggiunti i livelli minimi di copertura previsti dalla normativa[64].
Il credito deteriorato va, dunque, “ridotto” ai fini della vigilanza, fino ad arrivare al suo totale azzeramento e, quindi, comporta per la banca un maggior costo di capitale. 
Se ne desume, dunque, che la “cattiva” qualità del credito costa alla banca, sia in termini contabili che di vigilanza prudenziale[65]. 
Alla luce di quanto precede, è evidente che la classificazione di una esposizione tra i crediti deteriorati non inibisce di certo le negoziazioni con il ceto bancario, ma può renderle sicuramente più difficili e impervie. Avviare, infatti, le trattative quando il credito ha maturato un’anzianità tale da produrre gli effetti del backstop prudenziale, non ne agevola certamente il buon esito, in considerazione delle conseguenze che si produrranno sul bilancio della banca[66]. 
7.4 . Gli orientamenti EBA-LOM
Il 30 giugno 2021 sono entrati in vigore gli orientamenti EBA-LOM (European Banking Authority, Loans Originating and Monitoring) in materia di governance interna delle banche, concessione e monitoraggio dei crediti, che rappresentano un’importante innovazione e un’occasione per ripensare il rapporto banca-impresa[67]. 
Le indicazioni contenute all’interno dei citati orientamenti si muovono nel senso di promuovere un approccio proattivo al monitoraggio della qualità creditizia, individuando per tempo il credito in via di deterioramento: il credito deteriorato, più che essere gestito ex post, deve essere prevenuto ex ante. 
A tal fine, sul piano della governance delle banche, si prevede che i relativi organi amministrativi debbano approvare una strategia di gestione del rischio di credito che risulti in linea con il framework di propensione al rischio (risk appetite framework, c.d. RAF), nonché assicurare adeguati processi di approvazione, monitoraggio e controllo del rischio di credito[68]. 
Sul piano della concessione del credito, invece, gli Orientamenti EBA-LOM prevedono che, da un lato, i prestiti debbano essere sostenibili e, dall’altro, che il giudizio sulla sostenibilità debba basarsi su flussi di cassa di natura reddituale e, quindi, in primis, sulla consistenza dell’EBITDA. La banca, quindi, per valutare il merito creditizio del cliente, deve acquisire informazioni complete, relative alle finalità del finanziamento richiesto, al reddito e ai flussi di cassa, al modello di business, alla sussistenza di eventuali garanzie reali e personali[69]. 
Si impone, dunque, un processo valutativo molto più ampio e articolato che riguarda sia la linea di credito, sia l’impresa nel suo complesso, tanto da richiedere un’analisi della sostenibilità del modello di business e degli obiettivi strategici del cliente, nonché la fattibilità dei business plan presentati e la ragionevolezza delle proiezioni finanziarie, in linea con le specificità del settore in cui l’impresa opera[70]. 
Dal punto di vista del monitoraggio, infine, gli Orientamenti EBA-LOM prevedono che le banche dispongano di un framework di monitoraggio solido ed efficace, che copra diversi aspetti: la regolarità dei pagamenti dei clienti, la coerenza del merito di credito del cliente e la qualità delle sue esposizioni creditizie[71]. Le banche dovrebbero, inoltre, monitorare il rispetto da parte dei clienti di covenants finanziari, quali il rapporto debito netto/EBITDA, o il rapporto di copertura a servizio del debito (DSCR)[72]. 
Sulla base del quadro delineato emerge come a innovazioni normative, quali il nuovo Codice della Crisi, si siano accompagnati anche mutamenti sul piano regolamentare (Orientamenti EBA-LOM), a conferma del fatto che per prevenire la crisi d’impresa occorre inevitabilmente passare dal principale stakeholder finanziario dell’impresa stessa, ovvero la banca.
7.5 . La disciplina contabile dei crediti deteriorati: l’IFRS 9
La disciplina contabile dei crediti vantati da banche e intermediari finanziari è contenuta nel principio contabile internazionale IFRS 9, entrato in vigore dal 1° gennaio 2018, in sostituzione del previgente IAS 39. 
Con l’IFRS 9 viene adottato un nuovo approccio valutativo (c.d. impairment) dei crediti: mentre, infatti, il previgente IAS 39 si basava sul modello della c.d. “incurred loss” (perdita subìta), l’IFRS 9, invece, si fonda sul criterio della c.d. “expected loss”, ossia su un modello caratterizzato da una visione prospettica che richiede la rilevazione immediata di tutte le perdite previste nel corso della vita di un credito[73]. La perdita attesa deve essere determinata sulla base di eventi passati, condizioni correnti e previsioni future ragionevoli e supportabili[74]. 
L’approccio sottostante al previgente IAS 39 non garantiva un tempestivo riconoscimento delle perdite su crediti: queste ultime, infatti, venivano registrate con ritardo dal momento che le svalutazioni erano legate all’insorgere di un c.d. trigger event che dimostrasse la dubbia esigibilità dei flussi di cassa originariamente concordati[75]. 
Il modello di impairment introdotto con l’IFRS 9, invece, si basa su un approccio forward looking per cui le perdite attese devono essere contabilizzate subito, indipendentemente dalla presenza di un trigger event, e le stime devono essere continuamente adeguate in considerazione delle variazioni di rischio di credito della controparte[76]. 
L’IFRS 9 opera una distinzione dei crediti in tre categorie o “stage”: 
(i) stage 1 (performing), in cui vengono inseriti i crediti in bonis, per i quali viene previsto in bilancio un accantonamento pari alla perdita attesa nell’orizzonte di 12 mesi. Al momento dell’erogazione, tutti i crediti sono considerati stage 1, indipendentemente dal rating del debitore; 
(ii) stage 2, in cui vengono inserite le esposizioni che hanno subìto un significativo incremento della rischiosità creditizia (underperforming)[77], ma non tale da essere considerati come deteriorati; la perdita attesa, in questo caso, viene calcolata su un orizzonte temporale pari all’intera durata del credito (fino alla scadenza), dunque l’accantonamento sarà più consistente, in quanto non verrà calcolato sull’orizzonte temporale di 12 mesi (come per i crediti stage 1), ma sull’intera durata del credito[78; 
(iii) stage 3, che include le esposizioni non performing, caratterizzate da un elevato livello di rischio e da oggettive evidenze di deterioramento, quali mancati o ritardati pagamenti. In tal caso, la perdita attesa andrà valutata analiticamente con riferimento all’intera durata residua del rapporto, considerando i termini contrattuali e le eventuali garanzie che assistono il credito. 
Come evidenziato nei paragrafi precedenti, i crediti non performing (stage 3), si suddividono a loro volta – ai sensi della normativa nazionale[79] e comunitaria[80] – in sofferenze (NPLs), inadempienze probabili (UTP) ed esposizioni scadute o sconfinanti deteriorate (past due). 
Infine, l’IFRS 9 ha introdotto il concetto di write-off per cui ove non sussistano ragionevoli aspettative di recupero integrale o parziale di un’attività finanziaria, questa deve essere contabilmente cancellata[81].
8 . La rilevanza della disciplina bancaria in materia di vigilanza prudenziale rispetto all’accesso alla composizione negoziata
Dalle considerazioni esposte nei paragrafi che precedono emerge come la normativa di vigilanza prudenziale comunitaria e nazionale determini vincoli di operatività stringenti per le banche, tanto sul piano regolamentare quanto sul piano contabile.
Viene, a questo punto, da chiedersi in che modo siffatta disciplina si intersechi rispetto alle disposizioni del Codice della Crisi in materia di composizione negoziata. 
Poiché solo il debitore può promuovere una domanda di accesso alla composizione negoziata, la banca non è legittimata a dare impulso a siffatto procedimento che, in linea di principio, “subisce”. 
Posto ciò, viene da chiedersi, come osservato da attenta dottrina[82], se la banca possa avere interesse a svolgere un ruolo di nudger, ossia se abbia convenienza a stimolare il proprio debitore ad accedere alla composizione negoziata e, in generale, se questo procedimento possa essere vantaggioso per la banca, o quantomeno preferibile rispetto ad altre iniziative. 
La risposta a tale quesito è strettamente riconnessa alle considerazioni che saranno esposte al paragrafo che segue in merito alla classificazione del credito. 
Come visto, infatti, la disciplina di vigilanza prudenziale impone alle banche di contabilizzare i crediti deteriorati secondo precisi criteri e di operare accantonamenti ai fini di vigilanza prudenziale. Occorre, dunque, comprendere come vadano classificati i crediti vantati dall’istituto di credito nei confronti del debitore che accede alla composizione negoziata: è soprattutto da questo, infatti, che dipende la convenienza per la banca ad operare quella “spinta gentile” rispetto all’accesso di un proprio debitore a siffatto procedimento.
9 . Gli effetti dell’accesso alla composizione negoziata e dei suoi possibili sbocchi sulla classificazione del credito
La prima questione che viene in rilievo è se l’istanza di accesso alla composizione negoziata produca effetti immediati, automatici o meno, sulla classificazione del credito. 
Posto che il decorso di 90 giorni dalla scadenza senza che il credito venga rimborsato lo rende past due[83] e, quindi, non performing, a prescindere dall’accesso alla composizione negoziata (e, pertanto, anche se tale percorso viene intrapreso)[84], occorre comprendere se l’istanza di nomina dell’esperto determini di per sé la classificazione del credito come deteriorato (stage 3), con conseguente incremento degli accantonamenti della banca e progressiva svalutazione secondo le scadenze e gli importi previsti dal Calendar Provisioning
In particolare, ci si chiede se possa applicarsi analogicamente alla composizione negoziata la regola prevista dalla Circolare n. 272/2008 di Banca d’Italia per il concordato preventivo “in bianco” e il concordato in continuità aziendale, per cui dalla data di presentazione della domanda scatta l’automatica classificazione del credito come inadempienza probabile (UTP). 
Sul punto, si sono registrate in dottrina opinioni contrastanti: secondo un primo orientamento[85], sarebbe da escludersi una classificazione a priori del credito a stage 3 (in particolare, a UTP), poiché, in primis, la composizione negoziata non è una procedura concorsuale né uno strumento di regolazione della crisi, ma un percorso di mediazione guidato da un esperto. 
Inoltre, il fatto che la composizione negoziata – come il concordato “in bianco” – consenta l’accesso dell’imprenditore a misure protettive e cautelari non risulterebbe dirimente a giustificare un’applicazione analogica della disciplina prevista per tale procedura. Il concordato “in bianco” è, infatti, una vera e propria procedura concorsuale che presuppone lo stato di crisi o di insolvenza del debitore e determina l’automatic stay, sebbene temporaneo, qualora il debitore ne abbia fatto richiesta nel ricorso, a partire dalla data di pubblicazione di quest’ultimo a Registro Imprese. 
Gli Autori aderenti a tale orientamento sottolineano altresì che il presupposto della composizione negoziata non è solo lo stato di crisi o lo stato di insolvenza (come per il concordato “in bianco”), ma anche la “probabilità di crisi”, che rende rilevante anche una situazione di mera difficoltà, che non integra gli estremi della crisi vera e propria, rendendo, quindi, necessaria una preliminare disamina del progetto di piano di risanamento, anche a seguito delle trattative da avviare con l’ausilio dell’esperto indipendente. 
Infine, le regole citate per il concordato “in bianco” e in continuità sarebbero regole eccezionali, in deroga al principio generale per cui la qualificazione a UTP è scevra da automatismi, ma richiede una valutazione discrezionale della banca[86]. 
Alla luce di siffatte considerazioni, una automatica classificazione della posizione a UTP da parte della banca dovrebbe ritenersi ingiustificata. 
Altra parte della dottrina[87], invece, ha osservato come – pur non essendo la composizione negoziata una procedura concorsuale – non possa non valorizzarsi il presupposto oggettivo della stessa, i.e. condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza”. 
Alla luce di ciò, l’esposizione verso il soggetto che ha fatto accesso alla composizione negoziata non potrebbe continuare ad essere classificata come in bonis, anche considerato che, all’atto di accesso alla composizione negoziata, pur in assenza di misure protettive, i creditori finanziari avrebbero già intercettato i segnali di crisi e ne avrebbero già appurato i riflessi sui rapporti bancari intrattenuti. 
Inoltre, quandanche si volesse classificare l’esposizione creditizia come in bonis, si tratterebbe di una classificazione poco durevole, che verrebbe modificata a default alla luce delle proposte effettuate ai creditori finanziari[88].
Altri Autori[89] − adottando una posizione “intermedia” − propongono, invece, “in presenza di un’impresa in condizioni di salute ancora buone”, una classificazione del credito a “stage 2”[90] (quindi, credito in bonis, underperforming, ma non ancora deteriorato), in attesa di comprendere le richieste del debitore. 
Sotto il profilo regolamentare, infatti, il fatto che l’impresa “autodichiari” una situazione di difficoltà comporta sicuramente un evento SICR (significant increment of credit risk), tale da determinare – se non già intervenuto – il passaggio a stage 2 della posizione del debitore[91]. 
A maggior ragione, qualora le condizioni dell’impresa siano di crisi o di insolvenza – anche alla luce delle richieste fatte al ceto bancario (che possono essere di stralcio, dilazione o conversione di finanziamenti in equity o SFP) – la composizione negoziata dovrebbe essere considerata (anche se non è una procedura concorsuale) alla stessa stregua delle medesime e comportare il passaggio del credito a UTP[92]. 
Un ruolo determinante ai fini della classificazione è poi svolto, senza dubbio, dalla richiesta di misure protettive da parte del debitore[93], dal momento che ciò può incidere sulla recuperabilità del credito. La richiesta di misure protettive, infatti, potrebbe sottendere già uno stato di crisi del debitore e costituire sintomo di probabilità di inadempimento, con conseguente passaggio del credito a UTP. 
Anche i possibili esiti della composizione negoziata possono produrre effetti sulla classificazione del credito. 
La considerazione diffusa tra gli operatori bancari[94] è che quando le trattative sfocino in uno dei risultati previsti dall’art. 23 CCII (anche nel caso in cui siano stipulati il contratto o l’accordo previsti dal primo comma) la qualificazione del credito dovrebbe essere come inadempienza probabile (UTP) con l’attributo forborne non performing. Tali conclusioni varrebbero, a maggior ragione, nel caso in cui la composizione negoziata si concluda con la proposizione di una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione o di un concordato preventivo[95]. 
Quanto alla novità costituita dal concordato semplificato[96] – che ha carattere esclusivamente liquidatorio, non prevede una percentuale minima di soddisfacimento per i creditori chirografari né il voto dei creditori sulla proposta – lo scenario per le banche è assolutamente gone concern, con conseguente obbligo di classificare la posizione a default e di procedere alla sua integrale svalutazione[97]
Dunque, un atteggiamento di prudenza da parte delle banche deve ritenersi ragionevole soprattutto nell’ipotesi in cui il debitore acceda alla composizione negoziata in condizioni di insolvenza o prevedendo di richiedere le misure protettive, come avviene nel 72,62% dei casi, stando ai dati elaborati da Unioncamere[98]. 
Alla luce di tutto quanto precede, ad avviso di chi scrive, appare irragionevole una classificazione del credito a default tout court, per il sol fatto della proposizione della domanda di accesso alla composizione negoziata da parte del debitore. 
La collocazione dell’esposizione tra i crediti deteriorati dovrebbe avvenire a seguito di approfondimenti e valutazioni complessive che tengano conto dello stato di avanzamento delle trattative, dello stato di deterioramento del credito, della situazione complessiva del debitore (anche sulla base dei risultati del “test pratico” e dei flussi di ritorno della Centrale Rischi) e del progetto di piano, al fine di comprendere quali siano le prospettive di recupero del credito e il conseguente livello di rischio. 
Qualora l’accesso alla composizione negoziata avvenga in un momento in cui lo stato di crisi dell’impresa è ancora in una fase “embrionale”[99], come altresì auspicato dal legislatore del D.L. 118/2021 e poi del Codice della Crisi, è ben possibile che il credito vantato dalla banca non venga inciso e che, dunque, l’istituto possa mantenerne una classificazione in bonis e, segnatamente, a stage 2. 
Diverso sarebbe il caso in cui dalle negoziazioni in corso risulti evidente che l’imprenditore non sia in grado di sostenere il proprio indebitamento verso l’istituto di credito e il progetto di piano preveda una rinegoziazione del credito della banca, la concessione di moratorie o stralci: in tale ipotesi, una riclassificazione del credito a UTP parrebbe doverosa. 
Alla luce di quanto precede, è stato osservato[100] che le banche potrebbero reagire alla pressione determinata dai requisiti stringenti di capitale imposti dalla disciplina di vigilanza prudenziale limitando i volumi di affidamento alle imprese “sane” (in particolare, alle PMI) e ricorrendo alla cessione di portafogli di esposizioni, partendo da quelli ad oggi classificati come stage 2.
10 . Conclusioni
La composizione negoziata presenta sicuramente vantaggi per le banche, dal momento che un eventuale intervento finanziario delle stesse sotto forma di nuova finanza beneficerebbe della prededuzione (quantomeno in caso di successiva procedura concorsuale) e questo garantirebbe alle banche, in caso di esito negativo del percorso negoziato, di essere soddisfatte con preferenza rispetto agli altri creditori, anche privilegiati.
Inoltre, l’autorizzazione del Tribunale all’erogazione di nuova finanza porrebbe le banche al riparo dal rischio di revocatoria e renderebbe pressoché remota la possibilità di esercizio da parte del curatore di un’azione per concessione abusiva di credito. 
Infine, rispetto agli strumenti di regolazione della crisi, quali il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione o il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, la composizione negoziata offre garanzie di maggiore elasticità, non fosse altro che per l’ampia gamma di sbocchi che la stessa può avere. 
Dall’altro lato, però, la composizione negoziata impone oneri significativi in capo agli istituti di credito, derivanti, in primis, dalla soggezione alle misure protettive (se richieste dal debitore e confermate dal Tribunale). 
La richiesta di misure protettive, infatti, comporta l’obbligo per le banche di continuare ad erogare credito a prescindere da una propria autonoma valutazione e questo non porrebbe gli istituti di credito al riparo dal rischio di revocatoria e di responsabilità per concessione abusiva di credito. In tal caso, infatti, la protezione sarebbe solo eventuale e legata alla valutazione ex post del curatore circa la coerenza della prosecuzione dell’erogazione di credito (i.e. finanziamento) con le prospettive di risanamento. 
Inoltre, qualora la banca non abbia ragioni diverse dal mero accesso alla composizione negoziata per procedere alla revoca degli affidamenti, l’onere per l’istituto di credito sarebbe duplice, in quanto connesso (i) all’aumento dell’esposizione da appostare a credito deteriorato (non solo l’utilizzato al momento dell’avvio della composizione negoziata, ma tutto l’accordato) e (ii) alla necessità di maggiori accantonamenti. 
Infine, la riclassificazione a UTP dei crediti vantati verso il debitore che accede alla composizione negoziata genererebbe un surplus di costo per la banca sia sul piano contabile che in termini di accantonamenti imposti dalla disciplina di vigilanza prudenziale. 
È evidente, dunque, come la composizione negoziata imponga uno sforzo congiunto tanto in capo all’imprenditore, tanto in capo alle banche. 
Da un lato, l’imprenditore dovrebbe impegnarsi a esporre in maniera chiara e trasparente la propria situazione economico-finanziaria e le cause del proprio stato di crisi o pre-crisi, astenendosi dal richiedere misure protettive generalizzate − che obblighino le banche a continuare a erogare credito − qualora non abbia effettivo interesse a ottenerle nei confronti dei creditori finanziari. 
Dall’altro lato, gli istituti di credito non dovrebbero reagire alla notifica di accesso alla composizione negoziata in maniera eccessivamente “difensiva”, con una stretta creditizia nei confronti del debitore che rischi di frustrarne le prospettive di risanamento, né dovrebbero procedere ad una automatica riclassificazione a UTP del credito vantato verso l’imprenditore in composizione negoziata, se non dopo aver condotto una valutazione completa e informata sulla gravità della crisi del debitore, sulla sua capacità di rimborso del debito e sulla sussistenza di concrete prospettive di risanamento. 
Anche l’esperto dovrebbe cercare di attuare un bilanciamento tra le due posizioni, orientando l’imprenditore verso proposte che possano essere accettabili per le banche sul piano regolamentare e sensibilizzando i creditori finanziari sulla necessità di partecipare alle trattative in modo attivo e informato.  
In questo modo, si consentirebbe alle imprese meritevoli di continuare ad operare sul mercato e alle banche di evitare di effettuare accantonamenti massivi o svalutazioni premature sulle proprie esposizioni, che andrebbero a minare non solo la redditività degli istituti di credito, ma anche la possibilità per le imprese di ottenere credito da questi ultimi.

Note:

[1] 
Sul tema, si veda G. Falcone, Banche e composizione negoziata della crisi nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 4/2022, p. 129; E. Artuso – R. Bogoni, Brevi spunti ricostruttivi sugli obblighi delle banche nella crisi d’impresa, alla luce della nuova composizione negoziata della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 28 gennaio 2022, p.7 e A. Maffei Alberti, Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa ed insolvenza, Sub. Art. 16, Padova, Cedam, 2023, p. 100. 
[2] 
E. Bissocoli -A. Turchi, Il ruolo dei creditori finanziari nella composizione negoziata: opportunità, rischi e proposte di linee guida, in Ristrutturazioni Aziendali, 29 dicembre 2022, p. 4. 
[3] 
In questo senso, A. Maffei Alberti, Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa ed insolvenza, cit., p. 101 e L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del Covid, in Dirittodellacrisi.it, 25 agosto 2021, p. 20. 
[4] 
L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del Covid, cit., p. 18. 
[5] 
In questo senso, G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 9 febbraio 2023, p. 11, il quale sottolinea che, non solo la banca deve partecipare alle trattative e non può limitarsi a un “just-say-no”, perché questi comportamenti sono preclusi a tutti i creditori, ma neppure può limitarsi a un “just-say-yes” meramente passivo e acritico. 
[6] 
G. Falcone, Banche e composizione negoziata della crisi nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, cit., p. 131. 
[7] 
In questo senso L. Panzani, I contratti pendenti nella composizione negoziata con speciale riferimento ai rapporti di credito bancario, in Dirittodellacrisi.it, 27 gennaio 2023, p. 12. 
[8] 
In questo senso S. Bonfatti, La disciplina e gli effetti della prosecuzione dei contratti bancari pendenti nella composizione negoziata della crisi d’impresa, in Dirittodellacrisi.it, 29 marzo 2023, p. 12. 
[9] 
G. Falcone, Banche e composizione negoziata della crisi nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, cit., p. 135. 
[10] 
S. Bonfatti, La disciplina e gli effetti della prosecuzione dei contratti bancari pendenti nella composizione negoziata della crisi d’impresa, cit., p. 14. 
[11] 
A sostegno di questa interpretazione, si veda G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 9 febbraio 2023, p. 11. 
[12] 
M. Monteleone, Gli organi nel vigente codice della crisi d’impresa, Milano, IPSOA, 2023, p. 59. 
[13] 
L. Panzani, I contratti pendenti, cit., p. 13. 
[14] 
S. Bonfatti, La disciplina e gli effetti della prosecuzione dei contratti bancari pendenti nella composizione negoziata della crisi d’impresa, cit., p. 20. 
[15] 
Secondo G. Fauceglia, Riflessioni sulla responsabilità delle banche nel Codice della crisi con particolare riguardo all’abusiva concessione del credito, in Dirittodellacrisi.it, 4 gennaio 2023, che richiama Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2021, n. 18610, in DeJure, l’erogazione del credito è da considerarsi abusiva quando “effettuata, con dolo o con colpa, ad un’impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economica e finanziaria e in assenza di concrete prospettive di superamento della crisi, ciò integrando un illecito del soggetto finanziatore per essere questi venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione.” 
[16] 
P. Gobio Casali – M. Binelli, Concessione abusiva di credito e responsabilità della banca dopo il codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 18 aprile 2023, p. 15. 
[17] 
E. Bissocoli –  A. Turchi, Il ruolo dei creditori finanziari nella composizione negoziata: opportunità, rischi e proposte di linee guida, cit., p. 10. 
[18] 
Cfr. Circolare 285 del 17 dicembre 2013 – Parte Prima Titolo III – Capitolo 1 – Paragrafo 5. 
[19] 
In questo senso, S. Bonfatti – S. Rizzo, La vigilanza prudenziale nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 9 dicembre 2022, p. 10. 
[20] 
Così G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, cit., p. 11. 
[21] 
Cfr. Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2021, n. 18610, in DeJure e, in dottrina, P. Gobio Casali – M. Binelli, Concessione abusiva di credito e responsabilità della banca dopo il codice della crisi, cit., p. 16. 
[22] 
Cfr. E. Artuso – R. Bogoni, Brevi spunti ricostruttivi sugli obblighi delle banche nella crisi d’impresa, alla luce della nuova composizione negoziata della crisi, cit., p. 12. 
[23] 
Cfr. P. Rinaldi, La difficile compatibilità tra insolvenza e credito bancario nella composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it, 15 febbraio 2022 e E. Bissocoli – A. Turchi, Il ruolo dei creditori finanziari nella composizione negoziata: opportunità, rischi e proposte di linee guida, cit., p. 12.
[24] 
L. Panzani, I contratti pendenti nella composizione negoziata con speciale riferimento ai rapporti di credito bancario, cit., p. 8. 
[25] 
Tale nozione ricomprende: “le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi”. Il fatto che il legislatore precisi che gli strumenti di regolazione della crisi possano essere preceduti dalla composizione negoziata, implica che quest’ultima non rientri in siffatta nozione.  
[26] 
L’art. 19, comma 1, CCII, infatti, dispone che l’imprenditore, con ricorso presentato al Tribunale competente, può chiedere la conferma delle misure protettive e, ove occorra, l’adozione dei “provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative”. 
[27] 
Cfr. Trib. Parma, 10 luglio 2022, in One Legale; contra Trib. Ivrea, 10 febbraio 2022, in Dirittodellacrisi.it, secondo cui è inammissibile l’istanza volta ad ottenere un provvedimento cautelare di sospensione di un contratto di anticipazione bancaria su fatture “non potendosi annoverare geneticamente nelle misure cautelari, ostandovi la speciale disciplina voluta dal legislatore della riforma, nel quadro di un rapporto dialettico tra le parti, da condursi in buona fede, nell’alveo delle trattative volte al risanamento”. 
[28] 
Cfr. Trib. Catania, 25 luglio 2022, in One Legale, secondo cui l’indicata misura avrebbe caratteristiche analoghe allo strumento della sospensione dei rapporti pendenti, disciplinato nell’ambito delle procedure concorsuali dall’art. 97 CCII.
[29] 
Ai sensi dell’art. 3, comma 4, lett. c) CCII, infatti, costituiscono segnali per prevedere tempestivamente l’emersione della crisi, tra gli altri: “l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento totale delle esposizioni.” 
[30] 
Cfr. Trib. Lodi, 18 maggio 2023, in ilCaso.it ; Trib. Piacenza, 4 ottobre 2023, in Ilcaso.it
[31] 
Cfr. Trib. Varese, sez. II, 24 aprile 2023, in Il Fall.; Trib. Salerno, 10 ottobre 2023, in Dirittodellacrisi.it
[32] 
Ossia banche iscritte all’albo ex art. 13 TUB, intermediari finanziari iscritti all’albo ex 106 TUB, società di cartolarizzazione e società cessionarie per la garanzia di obbligazioni bancarie (c.d. società di covered bond) di cui alla legge 30 aprile 1999, n. 130, Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (OICR) che investono in crediti e Cassa depositi e prestiti (cfr. Banca d’Italia, Circolare n. 139, 11 febbraio 1991, Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi, Cap. I, sez. 1, par. 5). 
[33] 
Cfr. Banca d’Italia, Circolare n. 139, 11 febbraio 1991, Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi, Cap. I, sez. 2, par. 5.3. 
[34] 
Cfr. G. Falcone, Banche e composizione negoziata della crisi nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, cit., p. 141. 
[35] 
M. Greggio – F. Greggio, Sull’applicabilità della previsione di cui all’art. 18, quinto comma, CCII anche ai contratti bancari, in Dirittodellacrisi.it, 16 novembre 2023. 
[36] 
Cfr. S. Bonfatti, La disciplina e gli effetti della prosecuzione dei contratti bancari pendenti nella composizione negoziata della crisi d’impresa, cit., p. 16. 
[37] 
G. Falcone, Banche e composizione negoziata della crisi nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, cit., pp. 141-142. 
[38] 
Trib. Padova, 25 settembre 2023, in Dirittodellacrisi.it. 
[39] 
Cfr. D. Crivellari, Le banche nella composizione negoziata delle crisi fra condivisione del rischio e impatto degli strumenti, in Ristrutturazioni Aziendali, 26 maggio 2022, p. 5. 
[40] 
G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, cit., p. 16. 
[41] 
La prededuzione non è, infatti, prevista dal legislatore nell’ambito di soluzioni negoziali della crisi interamente stragiudiziali, quali il piano attestato di risanamento. 
[42] 
La verifica relativa a tale requisito dovrà essere condotta tenendo anche conto della possibilità di impiego del finanziamento in funzione del mantenimento del ciclo degli approvvigionamenti e della gestione corrente dell’impresa. 
[43] 
Secondo Trib. Genova, 9 giugno 2023, in Dirittodellacrisi.it, nell’ambito della composizione negoziata della Unione Calcio Sampdoria S.p.A., per verificare la sussistenza di tale requisito occorre “analizzare la probabilità di successo della crisi di impresa [...] con particolare riferimento alla sostenibilità dell’ulteriore debito contratto”, evitando “che le nuove risorse finanziarie siano destinate ad essere bruciate nella prosecuzione sterile dell’attività che non offra prospettive future di effettivo risanamento”. 
[44] 
A. Maffei Alberti, Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa ed insolvenza, Sub. Art. 22, cit., p. 138. In giurisprudenza, v. Trib. Bergamo, 5 luglio 2022, in Il Fall. e Trib. Treviso, 8 luglio 2022, in Dirittodellacrisi.it
[45] 
Si veda, ex multis, Trib. Bergamo, 5 luglio 2022, in Il Fall.; Trib. Treviso, 8 luglio 2022, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Bologna, 9 gennaio 2023, in One Legale; Trib. Savona, 9 febbraio 2023, in One Legale e, da ultimo, Trib. Genova, 9 giugno 2023, in Dirittodellacrisi.it
[46] 
Cfr. G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, cit., p. 17. 
[47] 
Cfr. P. Angelini, La nuova regolamentazione sugli NPLs e il nuovo Codice della crisi d’impresa, intervento al convegno “Le opportunità del debitore in crisi”, Mantova, 12 ottobre 2019 e al seminario “Crediti bancari deteriorati. Il compito del legislatore per un recupero tempestivo”, promosso da Arel, Roma, 21 ottobre 2019, il quale osserva che uno stock elevato di NPLs si traduce in “maggiore opacità del bilancio e quindi in maggiori costi di finanziamento (sia per il capitale di rischio sia per il debito). Inoltre, il principale strumento per ridurre rapidamente gli NPLs è rappresentato dalla cessione, ma poiché i prezzi di mercato si collocano ben al di sotto dei valori di bilancio, per cedere gli NPLs le banche hanno dovuto effettuare ulteriori, significative rettifiche di valore nell’ultimo quadriennio, con effetti negativi sul conto economico. In secondo luogo, vi è solida evidenza che il tasso di recupero delle sofferenze diminuisce all’aumentare della durata della procedura.” 
[48] 
Cfr. G. Soldi, Classificazione del credito all’apertura della Composizione negoziata, in Amministrazione & Finanza, n. 6/2023, p. 5. 
[49] 
Per un’attenta disamina dei citati Regolamenti, si vedano i paragrafi seguenti. 
[50] 
Tali esposizioni non formano una categoria a sé stante di esposizioni deteriorate, ma possono rientrare, a seconda dei casi, tra le sofferenze, le inadempienze probabili oppure tra le esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate. Le “forbearance measures”, i.e. misure di concessione, non sono altro che “attribuzioni” che possono caratterizzare sia esposizioni creditizie in bonis che esposizioni creditizie deteriorate (cfr. S. Rizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie, in Dirittodellacrisi.it, 28 settembre 2023, p. 16). Ai sensi dell’art. 47 ter del Regolamento UE n. 630/2019, sono considerate come “misure di forbearance”, a titolo esemplificativo, la concessione di termini contrattuali più favorevoli per il debitore rispetto ai termini contrattuali precedenti, la classificazione dell’esposizione come deteriorata prima della modifica dei termini contrattuali, la cancellazione totale o parziale dell’obbligazione. 
[51] 
Cfr. Art. 178 CRR. 
[52] 
Ad esempio, “trasformazione” in concordato con continuità aziendale ex art. 161 L. fall. o in accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis L. fall. 
[53] 
EBA, Orientamenti sull’applicazione della definizione di default ai sensi dell’articolo 178 del Regolamento (UE) n. 575/2013, 18 gennaio 2017 (gli “Orientamenti EBA 2017”). 
[54] 
Orientamenti EBA 2017, cap. 5, par. 36. 
[55] 
Orientamenti EBA 2017, cap. 5, par. 39. 
[56] 
Orientamenti EBA 2017, cap. 5, par. 41-48. 
[57] 
Orientamenti EBA 2017, cap. 5, par. 49-52. 
[58] 
Orientamenti EBA 2017, cap. 5, par. 56. 
[59] 
Orientamenti EBA 2017, cap. 5, par. 59. 
[60] 
Orientamenti EBA 2017, cap. 5, par. 60. 
[61] 
Vengono incluse nell’ambito di siffatta nozione: le esposizioni per le quali si sia verificato un default ai sensi dell’art. 178 CRR; le esposizioni che abbiano subìto una riduzione di valore ai sensi della disciplina contabile applicabile; le esposizioni “in prova”, qualora siano accordate misure di concessione aggiuntive o qualora le esposizioni siano scadute da oltre 30 giorni; le esposizioni sotto forma di impegno che, qualora utilizzato, non verrebbe probabilmente rimborsato in modo integrale senza escussione delle garanzie reali; le esposizioni sotto forma di garanzia finanziaria che sarebbe probabilmente attivata dalla parte garantita. 
[62] 
S. Rizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie, in Dirittodellacrisi.it, 28 settembre 2023, p. 26. 
[63] 
Già nel marzo 2018, la BCE – mediante un Addendum alle proprie Linee Guida per le banche sui crediti deteriorati – aveva elaborato un sistema di calendar provisioning, di natura non vincolante. 
[64] 
Cfr. S. Rizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie, cit., p. 27 e Soldi, La composizione negoziata e la gestione dei crediti Stage 2 e UTP, in Amministrazione & Finanza, n. 10, 1 ottobre 2023, p. 7. 
[65] 
Cfr. G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, cit., p. 5. 
[66] 
Cfr. G. Soldi, La composizione negoziata e la gestione dei crediti Stage 2 e UTP, cit., p. 7. 
[67] 
Cfr. A. Berti, Applicazione degli EBA-LOM: primi bilanci e considerazioni, in Bilancio e revisione, n. 2, 1 febbraio 2023. 
[68] 
Orientamenti EBA-LOM, par. 4.1.1. 
[69] 
Orientamenti EBA-LOM, par. 5.1. 
[70] 
A. Guiotto, Il finanziamento bancario e i rapporti tra banca e impresa, in Il Fall., n. 10, 1 ottobre 2021, pp. 1199 ss. 
[71] 
Orientamenti EBA-LOM, par. 8.3. 
[72] 
Orientamenti EBA-LOM, par. 8.4. 
[73] 
Cfr. S. Bonfatti – S. Rizzo, La vigilanza prudenziale nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., p. 12, nt. 12. 
[74] 
P. Rinaldi, La composizione negoziata della crisi e i rapporti con gli intermediari creditizi, cit., p. 3, nt. 9. 
[75] 
Cfr. S. Rizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie, cit., p. 2. 
[76] 
Cfr. S. Bonfatti – S. Rizzo, La vigilanza prudenziale nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., p. 12, nt. 12. 
[77] 
L’incremento della rischiosità creditizia può desumersi da: presenza di uno scaduto di 30 giorni; cambiamenti della probability of default (PD) oltre un determinato livello; downgrading significativo del rating rispetto alla valutazione del merito creditizio in fase di erogazione. Cfr. G. Soldi, La composizione negoziata e la gestione dei crediti Stage 2 e UTP, cit., p. 4. 
[78] 
Cfr. S. Rizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie, cit., p. 4. 
[79] 
Cfr. Circolare di Banca d’Italia n. 272/2008. 
[80] 
Cfr. Art. 47 bis, par. 3 CRR, come modificato dal Regolamento UE n. 630/2019. 
[81] 
Cfr. S. Rizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie, cit., p. 4. 
[82] 
G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, cit., p. 4. 
[83] 
O, per utilizzare la definizione adottata dalla Circolare n. 272/2008 di Banca d’Italia, “esposizione scaduta e/o sconfinante deteriorata”. 
[84] 
G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, cit., p. 6. 
[85] 
Cfr. L. Panzani, I contratti pendenti nella composizione negoziata con speciale riferimento ai rapporti di credito bancario, cit., pp. 13 ss.; G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, cit., pp. 3 ss.; E. Bissocoli – A. Turchi, Il ruolo dei creditori finanziari nella composizione negoziata, cit., pp. 31 ss. 
[86] 
G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, cit., p. 6. 
[87] 
S. Rizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie, cit., pp. 29 ss. 
[88] 
Cfr. S. Rizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie, cit., p. 30. 
[89] 
G. Soldi, Classificazione del credito all’apertura della Composizione negoziata, cit., p. 4 e P. Rinaldi, La composizione negoziata della crisi e i rapporti con gli intermediari creditizi, cit., p. 10. 
[90] 
G. Soldi, Classificazione del credito all’apertura della Composizione negoziata, cit., p. 4 sostiene che: “la classificazione nello Stage 2 all’apertura della procedura sia pressoché dovuta in relazione al requisito oggettivo indicato all’art. 12 per l’accesso alla negoziazione”. 
[91] 
P. Rinaldi, La difficile compatibilità tra insolvenza e credito bancario nella composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it, 15 febbraio 2022, p. 2. 
[92] 
P. Rinaldi, La composizione negoziata della crisi e i rapporti con gli intermediari creditizi, cit., p. 10. 
[93] 
Secondo P. Rinaldi, La difficile compatibilità tra insolvenza e credito bancario nella composizione negoziata, cit., p. 2: “Ciò comporta che la banca sia (in via naturale) molto probabilmente portata a classificare a UTP la posizione non appena aperta la negoziazione e ciò certamente in via automatica ogni volta che vengano richieste misure protettive”. 
[94] 
A riportare ciò, L. Panzani, I contratti pendenti nella composizione negoziata con speciale riferimento ai rapporti di credito bancario, cit., p. 16. 
[95] 
Per attenta disamina, v. S. Rizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie, cit., pp. 37-38. 
[96] 
È possibile accedere al concordato semplificato all’esito della composizione negoziata laddove: (i) le trattative tra impresa e creditori non abbiano avuto esito positivo; (ii) l’esperto certifichi che le trattative si siano svolte secondo correttezza e buona fede; e (iii) le soluzioni di cui all’art. 23, commi 1 e 2, lett. b) CCII non siano concretamente praticabili. 
[97] 
S. Rizzo, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie, cit., p. 38. 
[98] 
Si veda il report diffuso da Unioncamere il 15 maggio 2023. Secondo tale report, alla luce dei dati presentati, sembrerebbe che la maggior parte delle imprese, quando depositano l’istanza di composizione negoziata, richiedano misure protettive per poter beneficiare dell’automatic stay, ossia del divieto per i creditori di esperire azioni esecutive e/o cautelari. 
[99] 
Questo dovrebbe essere favorito dal dovere dell’imprenditore di istituire “adeguati assetti” ai sensi del novellato art. 2086, comma 2, c.c. 
[100] 
Cfr. A. Pappadà, La sfida per le banche nella “pre-crisi” dell’impresa: le incertezze a causa di una normativa inorganica, in Riv. Dir. comm., fasc. 4, 1 agosto 2022, pp. 627 ss.  

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