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Saggio

La disciplina e gli effetti della prosecuzione dei contratti bancari pendenti nella composizione negoziata della crisi d’impresa*

Sido Bonfatti, Professore di diritto fallimentare nell’Università di Modena e Reggio Emilia, già Ordinario di diritto commerciale nel medesimo ateneo

29 Marzo 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’A. prende in esame la disciplina dei contratti bancari pendenti nella Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa nelle ipotesi di ricorso o meno da parte dell’imprenditore alla conferma delle “misure protettive”, concludendo che nell’ipotesi della loro conferma da parte dell’Autorità giudiziaria, le garanzie ed i pagamenti conseguenti alla prosecuzione dei contratti bancari pendenti sono ipso facto esonerati da revocatoria; ed i corrispondenti crediti sono ipso facto collocabili in prededuzione.
Riproduzione riservata

Sommario:

1 . Premessa. Il sostegno bancario all’impresa in crisi: finanziamenti cc.dd. “in progress “ e finanziamenti cc.dd. “ex nunc”

2 . L’istituto della “Composizione Negoziata per la soluzione della crisi di impresa” nell’ambito del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza

3 . I principi informatori della disciplina dei contratti pendenti nella CNC

4 . Gli effetti sulla disciplina della opponibilità ai creditori degli effetti dei contratti (bancari) pendenti. conseguenti alla natura della Composizione Negoziata della crisi d’impresa

5 . Gli effetti sui contratti (bancari) pendenti della disciplina della gestione dell’impresa in generale

6 . Gli effetti sui contratti bancari della disciplina speciale del divieto di “revoca degli affidamenti”

7 . Segue. La facoltà della sospensione o della revoca degli affidamenti “se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale”

8 . Gli effetti sui contratti (bancari) pendenti della disciplina del divieto di “rifiuto dell’adempimento” e di “risoluzione”

9 . Segue. La esenzione da revocatoria delle garanzie costituita in favore della banca obbligata alla prosecuzione del contratto di finanziamento e la collocazione in prededuzione dei crediti conseguenti al suo utilizzo

10 . Segue. La “conservazione” della prededucibilità dei crediti derivanti dalla prosecuzione della esecuzione dei contratti bancari pendenti

11 . L’equa rideterminazione delle condizioni del contratto (bancario) pendente

1 . Premessa. Il sostegno bancario all’impresa in crisi: finanziamenti cc.dd. “in progress “ e finanziamenti cc.dd. “ex nunc”
La “Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa” (“CNC”) rappresenta uno “strumento” (che solo per ragioni di comodità espositiva talora denomineremo “procedura”)[1] particolarmente raccomandato per le situazioni di crisi reversibili, e – potremmo dire – passeggere: o, comunque, superabili[2].
Alla luce di tale considerazione è evidente la rilevanza che assume la individuazione dei presupposti per il mantenimento e per la concessione del sostegno finanziario bancario: giacché se l’impresa-tipo dell’economia italiana non può fare a meno – come non può fare a meno – del sostegno bancario in condizioni normali, tanto meno potrebbe rimanerne priva, anche soltanto in parte, nelle situazioni nelle quali si accinge ad affrontare – e si impegna a superare – una situazione di “crisi”.
L’interesse dell’impresa a potere contare sul sostegno finanziario bancario può trovarsi a coincidere con l’interesse delle banche ad assicurarglielo in situazioni fortemente differenziate, secondo che si tratti – più precisamente – del mantenimento del sostegno finanziario già prestato; ovvero dell’apporto di un sostegno finanziario sino a quel momento assente: giacché nel primo caso – a non dir d’altro – la banca persegue anche un interesse che non è presente nel secondo, vale a dire la tutela delle esposizioni già formatesi in conseguenza degli affidamenti precedentemente concessi
Intendendo soffermarmi, in questa sede, soltanto sul primo fenomeno, devo immediatamente sottolineare come per la banca all’interesse “speciale” sopra evidenziato – l’interesse a perseguire la salvaguardia del credito pregresso attraverso il sostegno al tentativo di risanamento dell’impresa – se ne contrappongano due di segno contrario (vale a dire, tale da suggerire un approccio contrario all’ipotesi di mantenimento del sostegno finanziario): più precisamente
(i) il pregiudizio economico–patrimoniale collegato alla necessaria “catalogazione deteriorata” della “nuova finanza“ concessa all’impresa in crisi , sia pure in funzione di una migliore tutela delle passività pregresse[3], in particolar modo con riguardo al “contagio” che i crediti derivanti dalla prosecuzione degli utilizzo degli affidamenti bancari già pendenti subirebbero - nonostante il “contesto protetto” nell’ambito del quale sorgerebbero, su cui ci soffermeremo in appresso -, a causa della necessità di catalogarli nello stesso modo riservato ai crediti pregressi, ed in quanto tali “deteriorati”[4]; e 
(ii) l’interesse ad evitare un possibile aggravamento della perdita ed il coinvolgimento nella responsabilità dell’aggravamento del dissesto.
Si comprende pertanto come di fronte alla alternativa, se mantenere o non mantenere il sostegno finanziario bancario all’impresa in crisi, la banca auspicherebbe 
(i) di potere contare su una disciplina (possibilmente favorevole, ma soprattutto) priva di incertezze e di equivoci interpretativi ed applicativi ; nonché
(ii) di potersi determinare in totale libertà, valutando caso per caso l’atteggiamento maggiormente funzionale a conseguire quello, tra i due interessi contrapposti, considerato preferibile nel singolo caso di specie.
Per converso, la soluzione preferita dalla banca potrebbe risultare quella meno gradita all’impresa in crisi, tutte le volte nelle quali la banca opinasse per il “non mantenimento” del sostegno finanziario: perchè l’impresa in crisi ne sarebbe irrimediabilmente danneggiata, ed il tentativo di superamento della situazione di difficoltà certamente ostacolato. Ciò spiega la ragione di una disciplina volta a “favorire”, in qualche modo (oltre che ad incentivare, per quanto possibile), un sostegno finanziario bancario anche in situazioni nelle quali lo stesso, in “condizioni normali”, non sarebbe prestato.
La disciplina del credito bancario (c.d. in progress, cioè per l’utilizzo di linee di credito già in essere) nell’ambito della procedura di Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa offre un interessante esempio di tentativo di contemperamento degli interessi (delle banche e delle imprese in crisi) in gioco, nel momento in cui regola gli effetti dell’apertura della procedura sugli “affidamenti” pendenti: ed a questo specifico argomento sono dedicate le pagine che seguono.
2 . L’istituto della “Composizione Negoziata per la soluzione della crisi di impresa” nell’ambito del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza
Il decreto legge 24 agosto 2021, n. 118, convertito in legge dalla legge 21 ottobre 2021, n. 147, ha introdotto nell’ordinamento concorsuale – inter alia - un nuovo istituto, funzionale a perseguire “il risanamento dell’impresa”, nelle situazioni nelle quali “l’imprenditore… si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza” (art. 2, comma 1)[5]: l’istituto ha assunto la denominazione di “Composizione Negoziata per la soluzione della Crisi d’Impresa”[6] (“CNC”). 
Tale disciplina è stata integralmente trasfusa[7], ad opera del decreto legislativo n. 83 del 17 giugno 2022, nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (venendone a costituire gli articoli da 12 a 25 undecies compresi): conseguentemente essa è entrata in vigore nel momento della entrata in vigore del “Codice” (15 luglio 2022). 
Il nuovo istituto della “Composizione Negoziata” della crisi d’impresa si propone principalmente di agevolare le trattative tra l’imprenditore “in crisi” ed i suoi creditori, tramite l’intervento di un esperto indipendente, nominato da una speciale Commissione, con lo scopo di fungere da “facilitatore” della auspicata collaborazione tra debitore e creditori per superare la situazione di difficoltà in atto.
In tale contesto può assumere un ruolo decisivo la conferma o meno, da parte delle banche creditrici, nel corso dello svolgimento delle trattative condotte con i creditori, del sostegno finanziario assicurato alla impresa in crisi sino al momento dell’avvio di tale procedimento.
La individuazione dei presupposti e delle condizioni per il mantenimento del sostegno finanziario già in essere, attraverso la continuazione dei rapporti di finanziamento pendenti, richiede l’esame sia di profili di carattere generale, concernenti gli effetti prodotti dal ricorso a questo strumento di risoluzione della crisi d’impresa; sia di profili di carattere speciale concernenti (i) per un verso, la sorte dei contratti pendenti - in generale - al momento della sua apertura; e (ii) per un altro verso, la sorte dei contratti bancari (e lato sensu finanziari) pendenti, sia con riguardo ai profili particolari che li caratterizzano; sia con riguardo alle disposizioni che li prendono in considerazione separatamente dagli altri negozi giuridici.
3 . I principi informatori della disciplina dei contratti pendenti nella CNC
In generale l’accesso al procedimento di “Composizione Negoziata” della crisi d’impresa non produce effetti traumatici sui rapporti giuridici in corso, né – in particolare – sui “contratti pendenti”. Se mai, si registra la volontà di conseguirne il “consolidamento” in favore dell’imprenditore che facesse ricorso al nuovo istituto. Si deve infatti osservare, in via generale (e con riserva di ritornare in appresso su singoli profili, per i necessari approfondimenti) che:
(i)       si invitano le parti (dei rapporti giuridici in essere con l’imprenditore) a “collaborare lealmente… con l’imprenditore” (ciò costituisce un vero e proprio obbligo giuridico secondo quanto previsto dall’art. 16, comma 6, CCII): ed in particolare
- si dispone che le banche e gli intermediari finanziari (e i loro mandatari e cessionari dei loro crediti) partecipino (“sono tenuti a partecipare”) alle trattative “in modo attivo e informato” (art. 16, comma 5); 
- si esclude che l’accesso al procedimento di “Composizione Negoziata” della crisi costituisca di per sé “causa di revoca degli affidamenti bancari”: con una disposizione - come si dirà - tanto imprecisa da un punto di vista tecnico[8], quanto ingenerosa da un punto di vista etico (art. 16, comma 5)[9] - nonostante l’attenuazione della portata conseguente alla introduzione, in sede di trasferimento della disciplina nel CCII, della precisazione della salvezza degli effetti di disposizioni di “vigilanza prudenziale” eventualmente divergenti -;[10]
-  si vieta (art. 18, comma 5) di assumere a motivo di rifiuto dell’adempimento del contratto pendente, di sua risoluzione, ovvero di scadenza anticipata o di modifica unilaterale, il “mancato pagamento dei…. crediti anteriori”, conseguente all’ottenimento da parte dell’imprenditore in crisi delle “misure protettive” previste dall’articolo 18: disposizione che si deve ritenere applicabile – come si vedrà subito in appresso - anche ai “contratti di credito”;
- nell’ipotesi di “prestazione divenuta eccessivamente onerosa” o nell’ipotesi nella quale si sia “alterato l’equilibrio del rapporto in ragione circostanze sopravvenute”, si attribuisce all’esperto, nominato per la agevolazione della trattativa condotta nell’ambito della “Composizione Negoziata”, la legittimazione ad “invitare le parti a rideterminare il contenuto del contratto ad esecuzione continuata o periodica, ovvero ad esecuzione differita” (art. 17, comma 5, CCII);
- nell’ipotesi di “eccessiva onerosità della prestazione per effetto della pandemia di SARS-CoV2”:
(ii) si attribuisce all’esperto, nominato per la agevolazione della trattativa condotta nell’ambito della “Composizione Negoziata”, la legittimazione ad “invitare le parti a rideterminare secondo buona fede il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita” (art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021, parte prima)[11]; e
(iii) si attribuisce al tribunale la legittimazione a “rideterminare equamente le condizioni del contratto, come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale (art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021, 2ª parte)[12] .
I “contratti pendenti” (anche di credito) possono pertanto continuare ad essere eseguiti regolarmente, ivi compresa - come vedremo in appresso - la effettuazione dei pagamenti dovuti e nonostante l’eventuale ricorso a “misure protettive” (art. 18, comma 1, ult. parte: “Non sono inibiti i pagamenti”). 
Per ciò che concerne l’ambito di applicazione del principio ora affermato, si deve ritenere che il perimetro dei “contratti pendenti” nella procedura di CNC non coincida con quello individuato per disciplinare i contratti “in corso di esecuzione” nell’ambito del concordato preventivo[13].
4 . Gli effetti sulla disciplina della opponibilità ai creditori degli effetti dei contratti (bancari) pendenti. conseguenti alla natura della Composizione Negoziata della crisi d’impresa
La considerazione della disciplina che caratterizza l’istituto introdotto e disciplinato dal D.L. n. 118/2021, denominato “Composizione Negoziata” (per la soluzione della Crisi d’Impresa), poi trasferita negli artt. 12 ss. CCII, ne evidenzia un carattere marcatamente stragiudiziale, che induce ad escluderne la natura di “procedura concorsuale”[14] [15]. L’utilizzo del termine “procedura”, quando vi si ricorrerà, vorrà soddisfare esclusivamente una esigenza di maggiore semplicità espositiva.
Non rileva la circostanza che, a determinate condizioni, a seguito dell’apertura del procedimento di “Composizione Negoziata”, si producano (o, più frequentemente, si possano produrre) taluni effetti che sono propri (anche) delle “procedure concorsuali” (la esenzione dalla revocatoria; la “esimente” penale; la prededucibilità dei crediti derivanti da determinati finanziamenti; la operatività di certe “misure protettive”): ciò non potrebbe supportare la tesi della attribuibilità all’istituto della natura di “procedura concorsuale”, in presenza di caratteristiche che sono estranee agli istituti (fallimento; Concordato preventivo; L.C.A.; liquidazione giudiziale del CCII), ai quali tale natura è indiscutibilmente attribuibile.
Basti considerare, a tale proposito: 
a) la mancanza di controlli sugli atti di straordinaria amministrazione, sui pagamenti di debiti pregressi, sulla costituzione di garanzie “preferenziali” (tali atti sono assolutamente legittimi ed opponibili, e la possibile assoggettabilità ad azione revocatoria – art. 24, comma 3 – è del tutto fisiologica, e se mai costituisce una ulteriore dimostrazione dell’assunto: infatti non si porrebbe la necessità di assoggettare ad azione revocatoria atti che fossero già di per sé inefficaci perché privi delle autorizzazioni alle quali fossero soggetti); 
b) la costituibilità di garanzie “preferenziali” anche nell’ipotesi nella quale fossero scattate “misure protettive” - il divieto di acquisizione di “diritti di prelazione” riguarda soltanto quelli “non concordati” (art. 18, comma 1): e tale eventuale pattuizione non è soggetta ad alcuna autorizzazione, men che meno giudiziale -. Vale poi per l’eventuale assoggettabilità alle azioni revocatorie quanto osservato alla lettera precedente; 
c) gli effetti “esentativi” da revocatoria, od “esimenti” da responsabilità penale, sono comuni anche al “Piano Attestato di Risanamento”: sulla cui esclusione dal perimetro delle “procedure concorsuali“ non vi può essere discussione[16]; 
d) la “conservazione degli effetti” nel contesto delle eventuali procedure (concorsuali?) successive è circoscritta a quelli derivanti da “atti autorizzati dal tribunale” (art. 24, comma 1), e non ricomprende gli effetti prodotti in generale dagli (altri) atti posti in essere a seguito dell’apertura della procedura in quanto tale. 
La conseguenza di tale conclusione è rappresentata dalla impossibilità di attribuire al procedimento de quo gli effetti che sono tipici della apertura di un “concorso” sul patrimonio del debitore, quali – principalmente -: 
 i. il divieto del pagamento dei debiti pregressi (sempre consentito, anche in presenza di “misure protettive”: cfr. art. 18, comma 1); 
ii. il divieto di avviare o di proseguire azioni esecutive o cautelari (salva l’ipotesi del ricorso a “misure protettive”);
iii. il divieto di acquisire cause di prelazione (salva l’ipotesi del ricorso a “misure protettive”, che peraltro non impediscono la costituzione di cause di prelazione “concordate” con l’imprenditore); 
iv. il divieto di compensazione;
v. il divieto di clausole funzionali a conseguire un analogo effetto compensativo;
vi. l’obbligo del compimento preventivo delle formalità idonee a rendere opponibili gli atti ai terzi[17].
Con riguardo al tema della continuazione del sostegno finanziario all’impresa attraverso la prosecuzione dell’esecuzione dei contratti bancari pendenti, l’affermazione del principio generale sopra enunciato comporta:
i. la legittimità dell’adempimento di passività pregresse, quali rate di mutuo scadute; canoni di leasing già pervenute a scadenza; “effetti” (ricevute bancarie ; cambiali ; fatture ) precedentemente anticipati, ritornati insoluti; eccetera ;
ii. la legittimità del ricorso da parte degli istituti bancari e finanziari a misure cautelari ed esecutive (salvo l’intervento di “misure protettive “);
iii. la legittimità dell’acquisizione di garanzie: in ogni caso, se “concordate con l’imprenditore “; anche contro la sua volontà, in mancanza dell’intervento di “misure protettive”; 
iv. la compensabilità dei crediti della banca con debiti della stessa sorti successivamente all’apertura della procedura (per esempio, la compensazione dei crediti per anticipazioni erogate prima dell’apertura del procedimento con il debito da retrocessione conseguente al successivo incasso dei crediti anticipati, senza alcuna condizione – per esempio con riguardo a ciò che avviene nel contesto delle linee di credito “ant/sbf” -; 
 v. la piena ed incondizionata operatività, ove stipulato, del pactum de compensando[18] - per esempio, nelle linee di credito per anticipo di crediti commerciali, in generale -;
vi. l’opponibilità (all’imprenditore e) agli altri creditori 
a. delle cessioni di credito poste in essere in favore delle banche finanziatrici, benché non seguite dal compimento delle formalità idonee a rendere opponibili le cessioni anche ai terzi - per esempio, nel contesto delle linee dei crediti “ant/fatture” -; nonché
b. della escussione del pegno costituito in favore della banca, nonostante l’eventuale mancanza di un atto di data certa, contenente sufficiente indicazione del credito garantito e del bene costituito in pegno – per esempio, nelle linee di credito per “anticipo/merci” -.
Ciò non significa che la “formalizzazione” della situazione di difficoltà dell’impresa in conseguenza dell’avvio della pur “blanda” procedura di Composizione Negoziata non produca, di per sé, effetti pregiudizievoli nella gestione del rapporto da parte della banca. Vengono in considerazione, a tale proposito, proprio quelle Istruzioni di “vigilanza prudenziale” che per un verso vengono richiamate dalla disciplina della CNC - come visto - a tutela del diritto delle banche a sospendere o a revocare gli affidamenti pendenti; ma per un altro verso possono comportare per le banche un “appesantimento economico” del rapporto che di per sé ne sconsiglia la continuazione[19]. 
Ciò non toglie come sia peraltro anche evidente che la prosecuzione del sostegno finanziario già nel passato assicurato all’impresa può favorire un’evoluzione positiva della situazione, e con essa l’allontanamento dei possibili rischi di perdite economiche per ciò che concerne le passività pregresse.
5 . Gli effetti sui contratti (bancari) pendenti della disciplina della gestione dell’impresa in generale
Secondo quanto previsto dall’art. 21, comma 1, CCII, “nel corso delle trattative l’imprenditore conduce la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa”. 
In primo luogo (legittimità dell’imprenditore a condurre “la gestione ordinaria” dell’impresa) si deve quindi prendere atto della circostanza che dalla espressa legittimità (in termini di opponibilità dei relativi effetti) degli atti di ordinaria amministrazione da parte dell’imprenditore, che abbia avuto accesso alla CNC, si deve ricavare che nulla osti a: 
1. la prosecuzione dell’esecuzione dei contratti di finanziamento in corso, allorché gli atti di esecuzione degli stessi possano ritenersi rientrare nella “gestione ordinaria” dell’impresa (come sarà per lo più, se non altro per la circostanza di continuare a dare esecuzione ad un contratto concluso in epoca antecedente all’apertura del procedimento: e come sarà comunque, per es., per tutti i contratti di credito cc.dd. “di smobilizzo” di crediti commerciali – ant/sbf; anticipo fatture; sconto; eccetera, che rientrano nella “gestione ordinaria”, di carattere finanziario, dell’impresa -): ciò anche se gli atti di esecuzione in questione rivestono la natura di “finanziamenti”, con la sola eccezione dell’ipotesi nella quale il finanziatore aspiri alla collocabilità in prededuzione dei relativi crediti, per la quale è dettata una disciplina speciale – art. 22 -. 
2. la erogazione di nuovi finanziamenti (in particolare: in utilizzo di linee di credito accordate in precedenza), tutte le volte che la linea di credito interessata possa ritenersi rientrante negli atti di “gestione ordinaria” di una impresa, come tale inevitabilmente bisognevole di sostegno anche finanziario. In tale prospettiva, la legittimità degli atti posti in essere dall’imprenditore non riguarderà soltanto quelli direttamente collegati al finanziamento (ad es. l’erogazione dell’anticipazione), ma anche quelli costitutivi di garanzia, ove “ordinariamente” collegati ai primi (la cessione del credito anticipato, nelle linee di credito per “anticipo fatture”; il “pactum de compensando”, nella linea di credito “ant /sbf”; il pegno sulla merce finanziata, nel contratto di anticipazione bancaria; ecc.). 
In secondo luogo (legittimazione dell’imprenditore a condurre anche “la gestione straordinaria “ dell’impresa) si rivela necessario, per quanto riguarda (i) gli atti bensì qualificabili di ordinaria amministrazione, ma definibili in singoli casi concreti “eccentrici”; e (ii) gli atti di amministrazione straordinaria – per quanto possano essere qualificati tali, nel contesto di determinate linee di credito bancario o finanziario, gli atti di esecuzione di contratti di finanziamento già in essere[20] -, prevenire un possibile equivoco. 
L’equivoco potrebbe essere ingenerato dalla “discriminazione” effettuata dall’art. 24, comma 2 e 3, CCII, che distingue: (i) gli atti di ordinaria amministrazione da quelli di straordinaria amministrazione e dai pagamenti; e (ii) nell’ambito della prima categoria (a quel che parrebbe di potere intendere), tra gli atti “coerenti con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui sono stati compiuti”, e gli atti privi di tali requisiti. 
Tali distinzioni non sono operate ai fini della valutazione della legittimità o meno (e della opponibilità o meno) degli atti di gestione posti in essere dall’imprenditore: bensì allo scopo di individuare quegli atti che, oltre ad essere validi ed opponibili – ché tali comunque sono -, possono essere considerati anche “non soggetti alla azione revocatoria di cui all’articolo 67, secondo comma”, della legge fallimentare (art. 24, comma 2 e 3): il ché rappresenta un fenomeno completamente diverso. 
In conseguenza di ciò la disciplina della gestione dell’impresa impegnata in una “Composizione Negoziata” si presenta, anche con riguardo alle operazioni funzionali al sostegno finanziario dell’attività aziendale:
(i) identica a quella che la caratterizzerebbe nell’ambito della conduzione di trattative totalmente extragiudiziali, nel quale la legittimità dell’operato dell’imprenditore - con riguardo alla natura ordinaria o straordinaria degli atti di gestione posti in essere - non soffre di alcuna limitazione connessa alla apertura del “tavolo” di discussione con i creditori; e
(ii) arricchita dalla prospettiva di consentire ai creditori di conseguire la “esenzione” da revocatoria degli atti posti in essere con l’imprenditore, ivi comprese le garanzie acquisite ed i pagamenti ricevuti, sia pure alla condizione di rispettare i dettami di cui all’art. 12, comma 2 e 3, D. L. n. 118/2021, sopra rappresentati: effetto “protettivo”, questo, che nell’ambito di una tradizionale trattativa extra giudiziale non potrebbe essere conseguito mai[21];
(iii) agevolata dalla garanzia di non incorrere nella disciplina penale applicabile in astratto agli atti produttivi di un “trattamento preferenziale” per i creditori, come sarebbero quelli volti a costituire garanzie reali in favore delle banche (per i quali viene disposta una specifica “esimente” penale).
Si deve ancora precisare, a tale proposito, che quantunque in sede di conversione dell’art. 9. D.L. n. 118/2021 si sia precisato che “l’imprenditore in stato di crisi gestisce l’impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico finanziaria dell’attività” - cfr. oggi l’art. 21, comma 1, CCII -; ed ancora che “quando, nel corso della Composizione Negoziata, risulta che l’imprenditore è insolvente, ma esistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso gestisce l’impresa nel prevalente interesse dei creditori”: ciò non produce effetti sulla validità giuridica (e sulla opponibilità ai creditori) degli atti compiuti dall’imprenditore (tanto di ordinaria amministrazione quanto di straordinaria amministrazione), ma può interessare se mai – ed esclusivamente – la sua responsabilità per un operato eventualmente divergente (cfr. art. 21, comma 1, ultima parte: “Restano ferme le responsabilità dell’imprenditore”).
6 . Gli effetti sui contratti bancari della disciplina speciale del divieto di “revoca degli affidamenti”
L’art. 4, comma 6, D.L. n. 118/2021 ha introdotto una disciplina speciale degli effetti dell’apertura della CNC sui contratti pendenti di natura bancaria (rectius: sui contratti di “affidamento bancario”) vietandone la “revoca” per il solo fatto dell’accesso dell’affidato alla CNC. L’art. 16, comma 5, CCII ha riprodotto tale divieto, aggiungendo che “in ogni caso la sospensione o la revoca degli affidamenti possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, con comunicazione che dà conto delle ragioni della decisione assunta. In questo modo nella procedura di CNC la “finanza bancaria” viene in considerazione già solo per il profilo della possibilità o meno di proseguire nella esecuzione del contratto bancario di credito in corso, ove il relativo (importo) “accordato” non risulti ancora interamente “utilizzato”; ovvero ove la relativa provvista si ricostituisca, in conseguenza del progressivo “scarico” dello “utilizzato” presente al momento dell’apertura del procedimento di “Composizione Negoziata”. 
In via preliminare pare necessario precisare che il divieto confermato dall’art. 16, comma 5, CCII è circoscritto all’ipotesi nella quale la banca sarebbe in condizione di addurre, a “giustificazione” – rectius: spiegazione – della “revoca” (soltanto ed unicamente) il fatto dello “accesso alla composizione Negoziata”[22]. Ciò precisato, occorre subito ribadire che il principio dettato dalla norma in commento suona tanto impreciso da un punto di vista tecnico, quanto ingeneroso da un punto di vista etico. 
Da un punto di vista tecnico, tanto il termine “revoca” quanto quello di “affidamenti” tradiscono una evidente genericità. Presumibilmente si intendeva fare riferimento: (i) da una parte, al recesso, consentito nei rapporti contrattuali conclusi a tempo indeterminato (quali sono la maggior parte dei contratti di finanziamento bancario, a partire – di norma – dall’apertura di credito in conto corrente/ per anticipo fatture/ per anticipo s.b.f. di ricevute bancarie, eccetera), e forse anche alla “risoluzione” , quando l’accesso alla “Composizione Negoziata” e il comportamento tenuto dall’imprenditore nell’occasione avessero rivestito i caratteri dello “inadempimento” - ovvero risultassero previsti nel contratto come cause di risoluzione di diritto dello stesso ; e (ii) forse si voleva altresì alludere ai contratti di finanziamento, tanto collocabili nell’orbita dei “mutui” (con erogazione già avvenuta ed obbligo di rimborso differito nel tempo), quanto riferiti ai contratti di apertura di credito (suscettibili di un utilizzo “rotativo” nel corso del tempo). 
La denunciata genericità del principio così enunciato non è accettabile senza alcune necessarie precisazioni.
Si può ipotizzare l’introduzione di un divieto di “risoluzione” del contratto di finanziamento bancario (per es. il contratto di “mutuo”), allo scopo di sottrarre l’imprenditore in crisi – e per ciò inadempiente: per es. al rispetto dell’osservanza puntuale del piano di ammortamento rateale – all’obbligo di rimborsare immediatamente l’intero debito residuo, con conseguente produzione (ovvero aggravamento) di una crisi di liquidità. 
Si può altresì considerare l’esempio del divieto di risoluzione del contratto pendente di leasing, che presentasse alcuni canoni scaduti e non pagati, al fine di consentire all’imprenditore di continuare ad utilizzare il bene o il cespite acquisito tramite un contratto di locazione finanziaria. 
Già tali interventi si traducono in un obbligo di “finanziamento” – per la dilazione imposta alla banca, che in tal modo viene costretta a sostenere finanziariamente l’impresa per tutto il periodo nel quale rimanesse efficace il divieto di risoluzione -: ma ciò corrisponde ad un fenomeno ricorrente nel quadro delle procedure di Composizione delle crisi d’impresa, trattandosi di una “moratoria” già presente, in varie modalità, anche in altri istituti della specie (in primis il Concordato preventivo).
Si può altresì ipotizzare l’introduzione di un divieto di “recesso” relativamente agli effetti che lo stesso produrrebbe sulle prestazioni della banca già eseguite – vale a dire sui finanziamenti, in particolare le “anticipazioni”, già concessi -, sempre allo scopo di impedire la produzione della immediata esigibilità del credito “utilizzato”, e la conseguente, possibile crisi di liquidità, suscettibile di sfociare nell’assoggettamento dell’imprenditore ad azioni cautelari ed esecutive promosse dalla banca (tema sul quale si ritornerà in appresso). 
Sarebbe invece inimmaginabile il divieto di “revoca” (ovvero di recesso; o anche di risoluzione, in   presenza di contratti di apertura di credito conclusi a tempo determinato) con riguardo alle prestazioni  ancora da eseguire: vale a dire con riguardo agli “utilizzi” di cui l’imprenditore avesse ancora il diritto contrattuale di avvalersi (perché relativi alla porzione di affidamento “accordato” risultante non utilizzata alla data di accesso alla “Composizione Negoziata”); ovvero a quelli che si ricreassero in conseguenza della riduzione dello “utilizzato” precedente (per effetto del “rientro” della originaria esposizione, nelle aperture di credito bancario cc.dd. “rotative” e/o “autoliquidanti”)[23].
La introduzione di un divieto di interruzione (o anche di sospensione) dell’utilizzo del credito reso originariamente disponibile all’imprenditore – quale che fosse lo strumento funzionale a conseguire tale interruzione: “revoca”, ovvero recesso, ovvero risoluzione –, con la conseguente attribuzione all’imprenditore del diritto di esercitare gli atti di utilizzo resi possibili dallo “accordato” residuo, ovvero ripristinato, equivarrebbe alla introduzione di un obbligo di finanziamento (i) in via generale, contrario ad ogni principio di ragionevolezza, oltre che incompatibile con la natura (di impresa privata) da attribuirsi all’esercizio dell’attività creditizia; e (ii) in via particolare, comunque contraddetto dalla disciplina di diritto positivo di settore.
L’attribuzione alla norma in commento dell’effetto della introduzione di un obbligo di finanziamento, in capo alla banca, con riguardo alla prosecuzione dell’esecuzione dei contratti bancari (di finanziamento) pendenti, per i quali sussistano (ovvero si riproducano) disponibilità di utilizzo – rispetto all’ammontare originariamente “accordato” – da parte dell’imprenditore ammesso alla CNC, rappresenta una ipotesi interpretativa che si scontra con almeno quattro obiezioni: (i) la contraddizione, in termini generali, con il principio affermato nel contesto di altre procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa, di incoercibilità dell’attività di finanziamento; (ii) la contraddizione con disposizioni contenute in altri testi normativi che, mirando a conseguire tale risultato, lo hanno esplicitato in modo circostanziato come oggetto di un obbligo della banca finanziatrice; (iii) la previsione di tale obbligo nell’ambito della disciplina della stessa procedura di CNC, ma in una distinta sede – ed in presenza di presupposti differenti -; e (iv) il coordinamento sistematico della disciplina in commento con la disciplina assegnata alla conferma delle “misure protettive” conseguite dall’imprenditore con l’accesso alla CNC, integrato dalla iscrizione nel Registro delle Imprese della istanza prevista dall’art. 18, comma 1, CCII. 
Sotto il primo profilo si deve prestare attenzione alla circostanza che nella “procedura” di Convenzione di Moratoria o di Accordo di Ristrutturazione (c.d. “ad efficacia estesa”) un possibile “effetto impositivo” in materia di erogazione di sostegno finanziario all’impresa in crisi è (sempre) stato reiteratamente negato[24]. 
Sotto il secondo profilo si deve considerare l’intervento posto in essere dal legislatore in piena fase pandemica, allorché la volontà di assicurare il sostegno finanziario alle imprese coinvolte dalla crisi economica conseguente alla crisi sanitaria si è tradotta esattamente nella introduzione del c.d. “obbligo di finanziamento” di cui si sta discorrendo, ma attraverso una disposizione di legge esplicita e circostanziata. L’art. 56, comma 2, lett. a) del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito nella legge 24 aprile 2020, n. 27 (c.d. decreto “Cura Italia”) ha previsto che “al fine di sostenere le attività imprenditoriali danneggiate dall’epidemia di Codiv-19 le imprese… possono avvalersi… delle seguenti misure: a) per le aperture di credito e revoca e per i prestiti accordati a fronte di anticipi su crediti esistenti alla data del 29 febbraio 2020 o, se superiori, a quella di pubblicazione del presente decreto, gli importi accordati, sia per la parte utilizzata sia per quella non ancora utilizzata, non possono essere revocati in tutto o in parte…” (fino al 30 settembre 2020). Nel caso di specie, dunque, il “divieto di revoca degli affidamenti” è stato espressamente esteso anche alla “parte… non ancora utilizzata” dell’ammontare “accordato”: laddove nulla di ciò era contemplato nell’art. 4, comma 6, D.L. n. 118/2021, né è contemplato nell’art. 16, comma 5, CCII. 
Sotto il terzo profilo è necessario considerare che un “effetto impositivo” equivalente a quello qui ipotizzato viene disposto – invece - per l’ipotesi di accesso dell’imprenditore alle “misure protettive” (e della successiva conferma da parte del Tribunale). L’art. 18, comma 5, CCII afferma infatti che “i creditori nei cui confronti operano le misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento di contratti pendenti…”: e ciò può comportare, per i contratti pendenti bancari (di finanziamento), l’obbligo di erogare credito all’imprenditore ammesso alla CNC, laddove l’esecuzione del contratto bancario pendente consista per l’appunto nell’erogare sostegno finanziario[25]. Tale contesto, tuttavia, è sostanzialmente antitetico rispetto a quello per il quale viene disposto il divieto di revoca degli affidamenti bancari, dal momento che: 
(i) nel contesto di cui all’art. 16, comma 5, CCII, l’effetto impositivo è automatico e sottratto a qualsiasi vaglio giudiziale, sia preventivo, sia successivo: laddove nel contesto di cui all’art. 18, comma 5, CCII, l’effetto impositivo è condizionato – nell’an e nel quando -, alla richiesta da parte dell’imprenditore (della conferma) delle “misure protettive”; 
(ii) nella prima situazione, l’effetto impositivo non è soggetto ad alcun contraddittorio: nella seconda situazione, l’instaurazione del contraddittorio con la banca è indispensabile (art. 19, comma 3, CCII); 
(iii) nella prima situazione, l’effetto è inamovibile; nella seconda situazione l’effetto può essere rimosso dalla mancata conferma da parte del Tribunale, nel corso della udienza di convalida (art. 19, comma 4), ovvero in un qualsiasi momento successivo (art. 19, comma 6);
Sotto il quarto profilo occorre considerare da un punto di vista sistematico le due disposizioni in commento (art. 16, comma 5 e art. 18, comma 5) sono correttamente coordinabili - attribuendo alla prima l’effetto (soltanto) di impedire la “revoca” dell’affidamento in funzione della immediata esigibilità del credito pregresso (prodromica all’avvio di azioni cautelari od esecutive); ed alla seconda, invece, l’effetto (ulteriore) di obbligare la banca anche alla prosecuzione della esecuzione del contratto di finanziamento pendente - perché conseguono questi risultati complessivi: 
1) in mancanza di “misure protettive” – perché l’imprenditore non ne ha fatto richiesta; o perché il Tribunale non le ha confermate -, l’imprenditore ammesso alla CNC è esposto alle azioni cautelari ed esecutive dei creditori. L’art. 16, comma 5, CCII assicura all’imprenditore un “effetto protettivo” per lo meno nei confronti del creditore bancario, giacché il divieto di revoca dell’affidamento impedisce di conseguire la immediata esigibilità del saldo debitore, ed il conseguente avvio di azioni esecutive. 
Tale “effetto protettivo” può essere fatto cadere dalla banca, nell’ipotesi nella quale essa sia in condizione di addurre la necessaria applicazione della “disciplina di vigilanza prudenziale”, incompatibile con detto effetto[26]: ma trattandosi delle eliminazione della “misura protettiva” (del patrimonio dell’imprenditore) che altrimenti – come detto – si sarebbe prodotta, ciò richiede, come detto, la sussistenza di una esigenza di “vigilanza prudenziale”, nonché una circostanziata “comunicazione che dà conto delle ragioni della decisione assunta”. 
2) in presenza di “misure protettive” lo “effetto impeditivo” nei confronti di iniziative cautelari od esecutive dei creditori (anche bancari) è prodotto per il solo fatto della iscrizione nel Registro delle Imprese dell’istanza di conferma giudiziale (art. 18, comma 1, CCII). L’unica forma di sostegno supplementare individuabile nella disciplina degli effetti della CNC sui contratti (bancari) pendenti può essere quella – fermo il divieto di dare corso ad atti di aggressione - dell’obbligo di continuare la esecuzione del contratto (di finanziamento) pendente. Trattandosi però di misura oggettivamente eccezionale (si veda quando considerato a proposito della corrispondente problematica in sede di “Convenzione di Moratoria” e di “Accordi di Ristrutturazione ad efficacia estesa”), si è ritenuto opportuno consentire ai creditori interessati, sino al momento del confronto in sede giudiziale per la conferma ovvero la revoca delle “misure protettive” (e conseguente conferma o revoca dello “effetto impositivo” sulla continuazione obbligatoria dell’esecuzione del contratto pendente), la sospensione dell’adempimento (art. 18, comma 5, seconda parte – introdotto in sede di trasposizione della disciplina della CNC dal D.L. n. 118/2021 nel CCII): ma questa volta, visto l’effetto provvisorio dell’iniziativa (“fino alla conferma delle misure richieste”), senza necessità di addurre esigenze connesse alla “vigilanza prudenziale” sul settore bancario e finanziario[27]. 
Come ultima annotazione formuliamo la considerazione che per chi ritiene che dal “divieto di revoca” debba ricavarsi, nei termini sopra rappresentati, un “obbligo di finanziamento”, i crediti derivanti dallo temperamento a tale obbligo non sarebbero prededucibili[28]: da cui la domanda, di chi sarebbe la responsabilità in caso di aumento della perdita subita dalla banca per il sostegno finanziario “coatto“ prestato all’impresa in crisi.
Da ultimo, per ciò che concerne quello che abbiamo definito il profilo “etico” della vicenda, non si comprende - come già osservato - la ragione per la quale la preoccupazione di un comportamento “brutale” nei confronti dell’imprenditore in crisi debba concentrarsi sulla banca, piuttosto – per esempio – che sul “fornitore strategico” (che potrebbe interrompere il rapporto di fornitura, pur essenziale per la continuazione dell’attività d’impresa da parte dell’impresa in crisi, per la preoccupazione di non essere pagato); oppure sul “cliente esclusivo” (che potrebbe cambiare fornitore per la preoccupazione della possibile discontinuità delle prestazioni dell’imprenditore in crisi); od ancora sul “Capo-Agente” (che potrebbe traghettare i clienti alla concorrenza per mantenere integro il valore del “pacchetto” formatosi grazie alla sua attività di intermediazione): ma nulla di ciò è neppure lontanamente previsto. Il “divieto di revoca” rimane circoscritto al rapporto tra l’imprenditore in crisi ed il creditore bancario: e ciò si spiega soltanto con un perdurante pregiudizio nei confronti della correttezza di tale categoria di imprese. 
7 . Segue. La facoltà della sospensione o della revoca degli affidamenti “se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale”
Come detto, l’art. 16, comma 5, CCII, in occasione della trasposizione nel Codice del divieto di revoca dello “affidamento” bancario, già affermato dall’ art. 4, comma 6, D.L. n. 118/2021, ha integrato la relativa disciplina precisando che “in ogni caso la sospensione o la revoca degli affidamenti possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, con comunicazione che dà conto delle ragioni della decisione assunta.
La applicazione di tale innovazione propone in via preliminare il problema di individuare cosa si debba intendere per “vigilanza prudenziale”.
Tale nozione risulta – oggi – particolarmente complessa e strutturata. 
In via generale, il primo ed immediato rimando potrebbe/dovrebbe essere al Testo Unico Bancario (D.Lgs. n. 385/1993) e, tra le sue varie disposizioni, principalmente all’articolo 5, recante – per l’appunto - i principi generali in termini di finalità e destinatari della vigilanza. 
Tra questi principi spicca, per rilevanza, il richiamo alla “sana e prudente gestione dei soggetti vigilati”, unitamente a quello della “stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario, nonché all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia”.[29]
A tale previsione fanno poi seguito – a livello di regolamentazione secondaria – le Disposizioni di Vigilanza della Banca d’Italia di cui alla Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013 (costantemente aggiornata dall’Autorità di Vigilanza) che raccoglie le disposizioni di vigilanza prudenziale applicabili alle banche e ai gruppi bancari italiani, riviste ed aggiornate in funzione dell’adeguamento della normativa nazionale alle novità intervenute nel quadro regolamentare internazionale, con particolare riguardo al nuovo assetto normativo e istituzionale della vigilanza bancaria dell’Unione Europea. Trattasi delle disposizioni con le quali sono stati trasposti nell’ordinamento comunitario le riforme (sia di tipo microprudenziali - ossia concernenti la regolamentazione a livello di singole banche -; sia di tipo macroprudenziale - cioè riguardanti i rischi a livello di sistema che possono accumularsi nel settore bancario, nonché l'amplificazione prociclica di tali rischi nel tempo -) degli accordi del Comitato di Basilea (tempo per tempo aggiornati) - riforme volte a rafforzare la capacità delle banche di assorbire shock derivanti da tensioni finanziarie ed economiche, indipendentemente dalla loro origine; a migliorare la gestione del rischio e la governance; a rafforzare la trasparenza e l'informativa, tenendo conto degli insegnamenti della crisi finanziaria -.
Né il corpus della “disciplina prudenziale” si esaurisce nelle citate disposizioni. Al contrario, proprio in ragione della vigilanza europea condotta oggi dalla Banca Centrale Europea (“BCE”), è necessario tenere conto di molteplici ulteriori fonti regolamentari. Tra queste ultime spiccano, per analoga importanza, le numerose e pervasive Guidelines emanate dall’European Banking Autorithy (“EBA”)[30] - unitamente alle Disposizioni emanate dalla citata BCE quali, ad esempio, le importanti linee guida per le banche sulla gestione dei crediti deteriorati (“NPL”) del marzo 2017 e relativo Addendum del marzo 2018, fino ad arrivare – da ultimo – alla nuova regolamentazione UE sul Calendar Provisioning (Regolamento UE 2019/630[31] di modifica al Regolamento UE 2013/575[32] denominato per brevità CRR - Capital Requirement Regulation-).
Ebbene, l’intero corpo normativo–regolamentare può essere senza ombra di dubbio qualificato come “disciplina prudenziale”, nella misura in cui con essa si intenda la regolamentazione dell’attività di banche e intermediari finanziari non bancari con specifico riguardo al rischio c.d. di “primo pilastro”, ovvero al rischio di credito[33] e, di riflesso, la volontà di assicurare – in via continuativa - la trasparenza; la solidità; e, con ciò, la “tenuta” dei bilanci bancari, affinché il patrimonio delle aziende di credito sia sempre in grado di assorbire le perdite che dovessero emergere dal default delle controparti affidate. 
Da ciò si può ricavare che la previsione contenuta nell’art. 16, comma 5, CCII, nel momento in cui ammette la possibilità per banche e intermediari non bancari di procedere con la revoca o la sospensione degli affidamenti “se richiesto dalla disciplina prudenziale”, intenda fare riferimento al complesso regolamentare sopra descritto: ovvero ad un complesso di norme che, anche e soprattutto in una prospettiva sistematica, si pone a presidio della solidità dei bilanci bancari. 
Seguendo questa opzione interpretativa, sebbene l’inciso «se richiesto» sia connotato da troppa genericità, tanto da farlo ritenere ultroneo; visto e considerato che nessuna disposizione del TUB o di qualsivoglia altra Disposizione di Vigilanza (tra quelle innanzi menzionate e non solo) arriva al punto di imporre a banche e intermediari – al ricorrere di determinate circostanze – la revoca o la sospensione degli affidamenti (e non potrebbe essere diversamente, in fin dei conti, trattandosi di un’attività d’impresa pur sempre privata); pare plausibile interpretare la previsione in commento nel senso che le banche non soltanto potranno disporre la revoca e/o la sospensione degli affidamenti per ragioni di ordine diverso rispetto al mero accesso alla Composizione Negoziata da parte di un’impresa affidata (quali ad esempio percentuali anomale di insoluti sul portafoglio anticipato, ovvero distrazione di incassi su portafoglio anticipato che l’impresa abbia volutamente “decanalizzato” presso altro intermediario): ma, in aggiunta, potranno altresì procedere con la revoca e/o la sospensione degli affidamenti anche per ragioni di ordine “prudenziale”, cosi evitando l’ulteriore effetto negativo che per le stesse potrebbe prodursi nel momento in cui l’impresa, contestualmente all’istanza di accesso alla Composizione Negoziata, abbia pure fatto richiesta delle misure protettive di cui all’art. 18 CCII: ovvero il rischio di non poter “rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti” e, quindi, dover mantenere disponibile all’impresa l’eventuale margine di accordato presente (o che si dovesse nuovamente rendere disponibile dopo lo “scarico” di partite di portafoglio anticipate prima dell’istanza di accesso alla Composizione Negoziata) sulle linee di credito pendenti[34]. 
Il combinato disposto di tale rischio, unitamente alla rilevazione e conseguente a classificazione della posizione di rischio come “credito a default”, comporterebbe infatti l’effetto di costringere le banche a subire maggiori e crescenti accantonamenti in bilancio rispetto al momento iniziale di accesso alla Composizione Negoziata.[35]
La disciplina integrativa dell’originario art. 4, comma 6, D.L. n. 118/2021 impone altresì alle banche ed agli intermediari non bancari che, in ragione della disciplina prudenziale - e, quindi, al fine di contenere il rischio di credito nonché di assicurare una pronta e tempestiva rilevazione e classificazione dei crediti deteriorati[36] - intendono ricorrere alla facoltà di disporre la revoca e/o la sospensione degli affidamenti, di precisare le motivazioni sottostanti, con apposita comunicazione trasmessa all’impresa. Un simile presidio è tanto ragionevole quanto opportuno, fermo restando tuttavia: (i) che non si potrà escludere che le “ragioni” sottese alla comunicazione di sospensione o revoca degli affidamenti non siano condivise dall’impresa interessata; e (ii) che la norma non chiarisce, se, ed in quali limiti, tale obbligo di “trasparenza” consenta di dare conto di “ragioni” costituenti oggetto di segreto bancario.
In conclusione, se da una parte l’obiettivo della disciplina sulla CNC di consentire all’impresa in difficoltà di poter superare la temporanea situazione di difficoltà è perseguito anche attraverso l’aiuto dei suoi creditori - in primis i creditori finanziari, che hanno tutto l’interesse alla emersione precoce della crisi, in funzione del pronto recupero di quell’equilibrio economico-finanziario dal quale può rinascere la capacità di rimborso -; da un’altra parte, ove tale prospettiva non dovesse risultare concretamente perseguibile, banche e intermediari potranno – proprio in virtù degli obiettivi della vigilanza prudenziale – ricorrere anche agli strumenti di contenimento del rischio rappresentati dalla sospensione o dalla revoca degli affidamenti (ovvero dalla interruzione della esecuzione dei contratti di finanziamento pendenti). 
In considerazione di ciò pare possibile concludere che il divieto (di sospensione e/o di revoca dell’affidamento bancario pendente) disposto dall’art. 16, comma 5, CCII è destinato a cadere allorché il mantenimento della utilizzabilità della linea di credito bancario, nonostante l’accesso dell’impresa affidata alla CNC, sia contrario a quanto ricavabile dalla “disciplina della vigilanza prudenziale”, nel senso di rivelarsi contraddittorio con la osservanza del principio disana e prudente gestionedella banca (principio al quale la stessa, del resto, deve attenersi – come detto -, laddove aspiri non soltanto ad essere osservante della disciplina di vigilanza, ma anche a sottrarsi al rischio di responsabilità per “concessione inadeguata di credito”) [37].
A tale stregua risulterebbe pertanto non giustificata – e quindi illegittima – la sospensione ovvero la revoca dell’affidamento bancario pendente, motivata dalle conseguenze derivanti dalla “disciplina di vigilanza prudenziale” non esattamente connesse alla esigenza di “sana e prudente gestione”, quanto piuttosto di carattere puramente economico.
Benché il mantenimento della utilizzabilità del credito all’impresa in crisi, successivamente all’avvio, da parte della stessa, della CNC, possa comportare l’aggravamento degli effetti economici per la banca, a causa della necessità del peggioramento della classificazione della posizione, con conseguente esigenza di appostamento di maggiori accantonamenti a “fondo-rischi” [38], ciò parrebbe non giustificare - di per sé – la sospensione ovvero la revoca dell’utilizzo.
In altre parole: l’esigenza di contabilizzare accantonamenti supplementari potrebbe rendere non più economicamente conveniente il mantenimento della utilizzabilità del credito concesso, ma ciò non potrebbe costituire – di per sé – valido motivo di sospensione o revoca dell’affidamento.       
 L’unico possibile contrappeso a tale fenomeno potrebbe essere rappresentato, a questo punto, dalla revisione delle condizioni economiche (tasso di interesse) dell’utilizzo del credito, in funzione della compensazione (non tanto e non solo dell’eventuale maggiore rischiosità del credito concesso[39], quanto piuttosto) del maggiore assorbimento di patrimonio provocato dalla catalogazione deteriore: ma anche ciò incontrerebbe un limite nella non riformata disciplina “antiusura” [40].
8 . Gli effetti sui contratti (bancari) pendenti della disciplina del divieto di “rifiuto dell’adempimento” e di “risoluzione”
L’obiettivo di favorire il risanamento dell’impresa che abbia avviato la procedura di CNC attraverso la regolare prosecuzione dell’esecuzione dei “contratti pendenti” (anche, se non soprattutto, bancari) è perseguito non soltanto escludendo che si producano effetti impeditivi, che precludano il mantenimento all’imprenditore della gestione tanto ordinaria quanto straordinaria dell’attività d’impresa: bensì prevedendo altresì la producibilità di effetti impositivi, idonei a giustificare la pretesa dell’imprenditore in crisi a potere continuare ad avvalersi delle prestazioni inerenti contratti pendenti nonostante l’eventuale (apertura della procedura di CNC, nonché) inadempimento di obbligazioni pregresse
L’art. 18 CCII consente infatti all’imprenditore di avvalersi di “misure protettive” (soggette alla successiva - ma tempestiva - conferma da parte del Tribunale), le quali possono comprendere (e, di norma, saranno proprio rappresentate da) non solo il divieto di promuovere azioni esecutive o cautelari in conseguenza del mancato pagamento dei debiti pregressi; ma anche il divieto (i) sia di risolvere il contratto (ovvero anticiparne la scadenza; o ancora modificarlo in danno dell’imprenditore); (ii) sia di sospendere o rifiutare l’adempimento delle prestazioni poste a carico del contraente in bonis dal contratto stesso[41]. 
La combinazione dello “effetto impeditivo” (dell’avvio di azioni cautelari od esecutive per il recupero dei crediti pregressi) e dello “effetto impositivo” (di proseguire l’esecuzione del contratto nonostante la presenza di inadempimenti pregressi) produce, sui contratti bancari pendenti, rilevanti effetti, tra cui, in particolare: 
(i) con riguardo ai contratti di mutuo, la sussistenza di rate scadute e non pagate non potrà costituire motivo di risoluzione del contratto per inadempimento (e conseguente esigibilità dell’intero credito residuo), ed imporrà al mutuante di mantenere in ammortamento il finanziamento in essere (alla condizione, beninteso – a parere di chi scrive - del regolare pagamento delle rate scadenti in data successiva all’apertura della “Composizione Negoziata”); 
(ii) con riguardo ai contratti di leasing, ugualmente la sussistenza di canoni insoluti non consentirà la risoluzione del contratto, ed imporrà all’Istituto-finanziatore di continuare a consentire all’imprenditore-utilizzatore di avvalersi ulteriormente del bene concesso in locazione finanziaria (a condizione, beninteso - a parere di chi scrive - , del regolare pagamento dei canoni di leasing scadenti in data successiva all’apertura della procedura); 
(iii) per ciò che concerne i contratti di finanziamento a S.A.L. (stato di avanzamento lavori), il mancato rimborso di pregresse erogazioni, per l’intervenuta realizzazione di fasi di lavorazione pregresse, non consentirà la risoluzione del contratto né il rifiuto del finanziamento di attività poste in essere successivamente all’apertura della procedura, in presenza, beninteso, dei relativi presupposti contrattuali (intervenuto regolamento delle fatture presentate per l’anticipazione; intervenuto rilascio delle autorizzazioni amministrative eventualmente richieste; eccetera); 
(iv) per ciò che concerne i contratti cc.dd. “autoliquidanti”, ugualmente la presenza di insoluti non regolati non autorizzerà la risoluzione dell’apertura di credito, né il rifiuto della anticipazione di ulteriori distinte di effetti e/o di crediti commerciali, entro i limiti dell’importo dell’affidamento concordato (c.d. “ACCORDATO”): ciò beninteso alle condizioni: a) della coerenza del portafoglio presentato per l’anticipazione con le condizioni contrattuali regolanti l’apertura di credito (per es.: limitazioni alla eccessiva concentrazione di portafoglio su pochi debitori ceduti; limitazioni alla percentuale di portafoglio “infragruppo”; eccetera); e b) del regolare e tempestivo pagamento degli insoluti che si formassero dopo l’avvio della procedura; 
La fattispecie considerata per ultima è quella che desta maggiore interesse.
In via preliminare occorre tenere presente che la produzione degli effetti sopra rappresentati è condizionata all’accertamento dell’appartenenza dei contratti bancari di volta in volta interessati al perimetro di applicabilità della norma: perimetro circoscritto ai “contratti pendenti”. 
 È nota la discussione che investe i cc.dd. contratti bancari “autoliquidanti”: che per la giurisprudenza (della Corte di Cassazione) non sarebbero qualificabili “contratti pendenti” [42]: mentre per altre opinioni - e, soprattutto, per il CCII (cfr. art. 97, comma 14, CCII), come appositamente introdotto dal decreto legislativo “correttivo” n. 147/2020) – sono qualificabili tali. 
 In tale prospettiva il contratto di credito bancario “autoliquidante”, in essere con un imprenditore che avesse avuto accesso al procedimento di “Composizione Negoziata” e fosse ricorso a “misure protettive”: 
(i) non potrebbe essere “revocato” (rectius: oggetto di recesso), per il solo fatto dell’accesso al procedimento stesso (art. 16, comma 5); 
(ii) non potrebbe essere “risolto” (poniamo, se a tempo determinato: ma, v’è da ritenere, neppure “revocato”), nonostante la presenza di inadempimenti pregressi (per es. il mancato regolamento dei crediti anticipati dalla banca ma poi risultati insoluti); 
(iii) non giustificherebbe il “rifiuto dell’adempimento” del contratto pendente, da parte delle banche, “per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori” (art. 18, comma 5). 
Il problema che si pone nell’accertare la portata dell’ultimo principio è identico a quello posto, in termini generali, dalla valutazione della sussistenza di un effettivo diritto all’utilizzo del contratto di credito bancario “autoliquidante”, quando ancora in essere perché non “revocato” o non risolto (o fatto oggetto di recesso), in presenza di un affidamento “accordato” non completamente utilizzato. La situazione infatti è identica, non rilevando – per quanto detto sopra – né che l’imprenditore abbia avuto accesso alla “Composizione Negoziata”; né che l’imprenditore risulti inadempiente alle obbligazioni sussistenti nei confronti della banca[43]. 
 Sarà pertanto necessario accertare, nel caso di specie, se il contratto di credito bancario “autoliquidante” giustifichi o non giustifichi l’eventuale intento della banca di non dare corso alla sua esecuzione (anticipando i crediti commerciali, oggetto della specifica linea di credito, per l’importo dello “accordato” risultante ancora non “utilizzato”), per una ragione diversa dall’accesso dell’imprenditore alla “Composizione Negoziata”, e/o dalla presenza di “crediti anteriori” non pagati (cioè, “insoluti”): come potrebbe accadere – sempre che la circostanza costituisca oggetto di una puntuale clausola contrattuale “impeditiva” – nell’ipotesi di eccessiva concentrazione di portafoglio presentato su un esiguo numero di clienti; di presentazione per l’anticipazione di portafoglio “infragruppo”; e via dicendo[44]. 
 Analoghe valutazioni dovranno essere dedicate alla considerazione degli effetti della norma in commento su altri contratti bancari qualificabili “pendenti”: per la individuazione dei quali non potrà soccorrere, in funzione di criterio interpretativo suppletivo, la definizione adottata per la procedura di concordato preventivo (art. 97, co. 1, CCII, che definisce “pendenti” i contratti “ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti”), dovendosi ritenere “pendenti” con riguardo al procedimento di CNC, tutti i contratti (bancari) che non abbiano esaurito i loro effetti [45].
9 . Segue. La esenzione da revocatoria delle garanzie costituita in favore della banca obbligata alla prosecuzione del contratto di finanziamento e la collocazione in prededuzione dei crediti conseguenti al suo utilizzo
Il divieto imposto alla banca di interrompere l’esecuzione dei contratti di finanziamento pendenti può comportare la nascita di passività incidenti sul patrimonio dell’imprenditore, in conseguenza (i) dei vincoli connaturati alla forma tecnica interessata (cessione di credito nelle linee di credito “autoliquidanti”; pegno sulla merce nella linea di credito dell’anticipazione bancaria; ipoteca sull’immobile finanziato nella linea di credito del mutuo “a stato d’avanzamento lavori”; eccetera); ovvero (ii) in conseguenza delle trattative intercorse con la banca, alla quale l’imprenditore potrebbe offrire la costituzione di garanzie pur non necessariamente intrinseche alla forma tecnica interessata (per es. l’apertura di credito in c/c. originariamente “in bianco”), in cambio della mancata opposizione, in sede giudiziale, alla conferma delle “misure protettive”, che costituiscano il presupposto del mantenimento del rappresentato “effetto impositivo”. 
Nulla si oppone alla realizzabilità di entrambe le ipotesi. 
La costituibilità di titoli di prelazione (non soltanto – ma, comunque, anche – in favore di finanziamenti bancari) è consentita, ed opponibile ai creditori, anche nell’ipotesi nella quale l’imprenditore avesse pure imposto agli stessi la par condicio conseguente al ricorso (eventualmente confermato dal Tribunale) a “Misure protettive”: infatti l’art. 18, comma 1, consente anche in questo caso la costituzione di titoli di prelazione, se “concordati con l’imprenditore”). 
Anche a tale proposito occorre in primo luogo prevenire possibili equivoci. 
La legittimazione dell’imprenditore impegnato in una “Composizione Negoziata” a costituire titoli di prelazione in favore dei creditori è sempre certa: l’atto sarà in ogni caso valido ed opponibile, tanto se avente natura “ordinaria” (per es.: la costituzione di una garanzia contestuale in funzione dell’ottenimento della erogazione di credito – anticipo su merce garantito da pegno sulla stessa -); quanto se avente natura “straordinaria” (costituzione di garanzie reali quale contropartita per l’ottenimento di “nuova finanza” attraverso la continuazione dell’utilizzo di una apertura di credito in conto corrente). 
È se mai per ciò che concerne il diverso profilo della sottrazione dell’atto costitutivo della garanzia al rischio della revocatoria fallimentare, che dovranno concorrere i presupposti voluti dall’art. 24, comma 2, CCII (in caso di atto di carattere “ordinario”, coerenza con l’andamento delle trattative e con le prospettive di risanamento; in caso di atto di carattere “straordinario”, condivisione dell’esperto ovvero mancata pubblicizzazione dell’eventuale dissenso con la iscrizione dello stesso nel Registro delle Imprese). 
In secondo luogo occorre considerare che laddove la prosecuzione dell’esecuzione del contratto di finanziamento bancario, sia pure assistito da garanzie sul patrimonio dell’imprenditore, rappresenti l’effetto della conferma da parte del Tribunale delle “misure protettive” prodottesi con la iscrizione di cui all’art. 18, comma 1, CCII e con il deposito del ricorso di cui all’articolo 19, si deve ritenere per ciò stesso assolto il requisito della coerenza “con l’andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento” in cui le garanzie sono state costituite, posto dall’art. 24, comma 2, CCII, come condizione alla applicabilità della esenzione dall’azione revocatoria (di cui all’art. 166, comma 2, CCII) - non si comprende come il tribunale potrebbe ritenere che le “misure protettive” siano funzionali “ad assicurare il buon esito delle trattative“ (cfr. art. 19), laddove l’effetto coercitivo che ne deriverebbe in ordine alla continuazione dei contratti bancari pendenti non fosse ritenuto funzionale “rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori” (cfr. art. 22) -: ragione per la quale il “sacrificio” imposto alla banca potrebbe essere ritenuto abbastanza contenuto. 
Ciò per quanto concerne le garanzie che eventualmente caratterizzino la linea di credito di cui viene imposta la prosecuzione dell’esecuzione, ovvero che fossero state concordate con l’imprenditore. 
In mancanza di garanzie (ovvero nell’ipotesi di garanzie non interamente capienti) si pone il problema della individuazione della collocazione del credito derivante dall’utilizzo dei contratti bancari di finanziamento pendenti, di cui si sia vietata la risoluzione o l’interruzione, in conseguenza della conferma delle “misure protettive” (e del rigetto della eventuale opposizione della banca alla produzione di tale effetto). 
Si deve ritenere che a tali crediti debba essere riconosciuta la collocazione in prededuzione, laddove ricorrano i presupposti previsti dalla disciplina di tale fenomeno nell’ambito della CNC[46]. 
L’art. 22, comma 1, CCII condiziona la (autorizzazione del Tribunale all’imprenditore ad ottenere la) prededucibilità dei crediti derivanti da “finanziamenti” alla verifica della “funzionalità… rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori”. L’art. 19, comma 4, CCII, a sua volta, condiziona la conferma delle “misure protettive” – che producono l’obbligo di proseguire nella esecuzione dei contratti (bancari) pendenti – all’accertamento della loro “funzionalità… ad assicurare il buon esito delle trattative”. 
Poiché le trattative sono rivolte a perseguire l’obiettivo della preservazione della continuità aziendale e della migliore soddisfazione dei creditori, pare evidente che la valutazione richiesta al Tribunale quando è investito della istanza di autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili – art. 22, comma 1, lett. a) – non sia diversa da quella richiestagli nell’occasione della domanda di conferma delle “misure protettive” – art. 19, comma 4, CCII -, comportanti lo “obbligo di finanziamento” conseguente al divieto di interruzione della esecuzione dei contratti pendenti di finanziamento bancario – art. 18, comma 5, CCII -. Da qui l’effetto della collocabilità in prededuzione dei crediti relativi, per il solo fatto della conferma delle “misure protettive” in presenza di contratti di finanziamento bancario suscettibili di ulteriori utilizzi in corso di CNC, senza necessità di esplicitazione da parte di separata autorizzazione ai sensi dell’articolo 22 CCII.[47] 
La conseguenza di tutto ciò è rappresentata dalla constatazione che gli effetti pregiudizievoli derivanti per il contraente in bonis bancario, con riguardo all’accesso della propria controparte alla procedura di CNC, per quanto concerne la disciplina speciale divenuta applicabile ai “contratti pendenti”, sono alquanto contenuti: e forse sostanzialmente circoscritti ai soli effetti economici.
Per un verso, infatti, le garanzie eventualmente acquisite in conseguenza della natura delle linee di crediti interessate ovvero per effetto di un accordo con l’imprenditore, sarebbero esenti dall’azione revocatoria fallimentare; per un altro, il credito che non risultasse, in tutto od in parte, garantito per effetto delle considerazioni sopra sviluppate, dovrebbe essere collocato in prededuzione nel concorso con gli altri creditori.
10 . Segue. La “conservazione” della prededucibilità dei crediti derivanti dalla prosecuzione della esecuzione dei contratti bancari pendenti
La prestazione dovuta dalla controparte in bonis dell’imprenditore che abbia avviato la procedura di CNC, allorché essa rivesta la figura di una impresa bancaria o finanziaria, è rappresentata dalla erogazione di “finanziamenti”.
I crediti derivanti dalla esecuzione di contratti pendenti di finanziamento (bancario o parabancario) possono essere assistiti dalla prededuzione, ove autorizzati dal Tribunale competente ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. a), CCII. 
I crediti derivanti dalla “prosecuzione coatta” dei contratti (bancari) pendenti, conseguente alla conferma delle “misure protettive”, per effetto del disposto di cui all’art. 18, comma 5, CCII, sono parimenti prededucibili – per quel che è stato considerato al numero precedente -, in quanto equiparabili ai crediti derivanti dai finanziamenti autorizzati ex art. 22, comma 1, lett. a), CCII. 
Tale effetto “si conserva”, secondo quanto previsto dall’art. 24, comma 1, CCII, se successivamente alla chiusura della procedura di CNC intervengono: 
(i) un Accordo di Ristrutturazione omologato; 
(ii) un Concordato preventivo omologato; 
(iii) un Piano di Ristrutturazione ex art. 64 bis omologato (c.d. “P.R.O.”); 
(iv) la liquidazione giudiziale/la Liquidazione Coatta Amministrativa/l’Amministrazione Straordinaria / il Concordato Semplificato Omologato.
Conseguentemente l’effetto della predecubilità non si conserva (o non si dovrebbe conservare), inter alia, se successivamente alla chiusura della procedura di CNC intervengano: 
(i) la conclusione di un “contratto di continuità aziendale” biennale (cfr. art. 23, comma 1, lett. a), CCII); 
(ii) una Convenzione di Moratoria; 
(iii) un Piano Attestato di Risanamento; 
(iv) il ritorno “in bonis”; 
(v) qualsiasi soluzione diversa da quelle identificate dall’art. 24, comma 1, CCII (ad es. incorporazione in altra società).
Stando così le cose – rectius: se stessero così le cose –, la disponibilità delle banche a concedere “nuova finanza” alle imprese interessate da una procedura di CNC sarebbe prevedibilmente assai modesta. 
Se prescindiamo dalla situazione presa in esame nel presente contributo, dove la prededucibilità rappresenterebbe l’effetto di un fenomeno che la banca non può evitare (l’obbligo di proseguire l’esecuzione del contratto di finanziamento pendente, in conseguenza della conferma delle “misure protettive”): tutte le volte nelle quali la banca avesse conservato la facoltà di procedere o non procedere alla erogazione di credito, presumibilmente opterebbe per la soluzione negativa, fino a quando non avesse acquisito la certezza dello “sboccodella CNC, ed avesse conseguito la sicurezza della coincidenza di tale “sbocco“ con una delle fattispecie enumerate dall’art. 24, comma 1. 
Tale conclusione deve essere mantenuta ferma con riguardo a quella che era la disciplina della CNC nell’ambito del D.L. n. 118/2021, convertito nella legge n. 147/2021. Essa deve essere rivista – invece – quando si considera la disciplina della CNC come confluita nel CCII. 
L’art. 22, comma 1, lett. a), CCII riproduce testualmente la disposizione contenuta nell’art. 10, comma 1, lett. a), D.L. n. 118/2021, tranne che per il riferimento alla norma disciplinante la prededuzione che viene disposta
L’art. 10, comma 1, lett. a), D.L. n. 118/2021riferiva la prededuzione, che assicurava ai crediti derivanti dai finanziamenti autorizzati dal Tribunale, allo “articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267” (“legge fallimentare”). 
L’art. 22, comma 1, lett. a), CCII riferisce la prededuzione, che assicura ai medesimi crediti, allo “articolo 6” CCII.       
Prescindendo da quella che era la portata che poteva essere attribuita al rinvio all’art. 111 L. fall., non interessante in questa sede, il rinvio odierno all’art. 6 CCII richiama l’applicabilità (anche) della disposizione secondo la quale “la prededucibilità permane anche nell’ambito delle successive procedure esecutive o concorsuali” (comma 2). 
La evidente contrapposizione tra procedure “esecutive” e procedure “concorsuali” (si usa la lettera ”o” per separare le due ipotesi); la totale mancanza di qualsiasi relazione tra momento e sede della insorgenza del credito prededucibile e momento e sede del suo soddisfacimento nella collocazione antergata rispetto agli altri creditori; consentono di affermare che la “nuova” prededuzione del CCII consente al credito che ne è dotato di prevalere in qualsiasi confronto con gli altri creditori del debitore comune: sia che si tratti di un confronto individuale (esecuzione forzata), sia che si tratti di un confronto concorsuale (liquidazione giudiziale od altra procedura equipollente); e sia che l’uno e/o l’altro siano caratterizzati da connotati di “consecutività”, oppure di “discontinuità” [48], rispetto alla procedura di CNC nella quale il credito interessato è sorto. 
A questa stregua la previsione dell’art. 24, comma 1, CCII deve essere circoscritta agli “atti autorizzati dal Tribunale ai sensi dell’articolo 22” che siano diversi da quelli contemplati nella lettera a) della norma richiamata - nonché nelle lettere b) e c) -, perché l’esplicito richiamo, ivi contenuto, all’articolo 6 CCII – totalmente assente nella originaria previsione dell’art. 10, comma 1, lett. a), D.L. n. 118/2021 – assicura la “permanenza” degli effetti della prededuzione in qualsiasi concorso tra creditori che si apra, in qualsiasi momento, sul patrimonio dell’imprenditore (che era stato) ammesso alla CNC. 
11 . L’equa rideterminazione delle condizioni del contratto (bancario) pendente
La disciplina della possibile “rideterminazione” del contenuto dei contratti “ad esecuzione continuata o periodica ovvero differita” si atteggia, nel CCII (art. 17, comma 5), in modo diverso da come era originariamente declinata nel D.L. n. 118/2021, convertito nella legge n. 147/2021 (art. 10, comma 2). 
In primo luogo, il CCII prevede soltanto l’iniziativa dell’Esperto, e non prevede - di per sé - il possibile intervento del Tribunale[49]. 
In secondo luogo, il presupposto del possibile intervento (dell’Esperto) è rappresentato dalla condizione che “la prestazione [sia] divenuta eccessivamente onerosa o che [sia] alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute”, laddove il presupposto dell’applicabilità della corrispondente disciplina del D.L. n. 118/20221 era rappresentato (ed è rappresentato, per quanto si dirà) dalla condizione che “la prestazione [fosse] divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2”. 
In argomento occorre preliminarmente precisare che le disposizioni sopra richiamate sono tuttora applicabili entrambe: l’art. 17, comma 5, CCII, perché fa parte della disciplina della CNC in vigore dal 15 luglio 2022; e l’art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021, perché mai abrogato[50]. 
Ciò precisato, occorre anche avvertire che alla previsione del possibile “intervento” dell’Esperto, funzionale ad “invitare” le parti a rideterminare il contenuto dei contratti divenuti eccessivamente onerosi per l’imprenditore ammesso alla CNC, non può essere attribuito un peso specifico particolare. Si tratta, come precisa la norma, di un (semplice) “invito”, e come tale deve essere valutato: una delle tante manifestazioni che può assumere la funzione di “facilitazione” che è attribuita all’Esperto (non così diversa dall’ipotesi della proposta a valutare una proroga della scadenza del credito verso l’imprenditore in crisi; uno stralcio della pretesa vantata nei suoi confronti; eccetera).
In tale contesto, non molto rileva la circostanza che a mente di quanto previsto dall’art. 10, comma 2, prima parte, D.L. n. 118/2021, lo “invito” in commento sia collegato ad una eccessiva onerosità sopravvenuta “per effetto della pandemia da SARS-CoV-2” [51]; mentre a mente di quanto previsto dall’art. 17, co. 5, seconda parte, CCII, detto “invito” sia collegato ad una eccessiva onerosità sopravvenuta (ovvero ad una alterazione dell’equilibrio del rapporto contrattuale)” in ragione di circostanze sopravvenute” [52]. Se mai, ci si può domandare se abbia (avuto) senso mantenere in vigore una disposizione collegata ad una fattispecie particolare (la pandemia da “SARS-CoV-2”) che sarebbe rientrata (e rientrerebbe) nel genus di carattere generale (la “circostanza sopravvenuta”)[53] già disciplinato nell’identico modo. Tanto più quando si consideri come “quest’ultima locuzione” [quella contenuta nell’art. 17, comma 5, CCII] copra “una più vasta area di ipotesi, comprendente non solo quelle in cui lo squilibrio dipende dall’eccessiva onerosità sopravvenuta di una prestazione, ma, certamente, anche quelle in cui l’alterazione del rapporto discende dallo svilirsi del valore della controprestazione”[54]. 
Nello stesso modo, valutando il senso e la portata dell’art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021, sino a quando si considera la disciplina del possibile intervento dell’Esperto per “invitare” le parti a valutare l’opportunità di riequilibrare le prestazioni di un contratto ad esecuzione continuata, divenute eccessivamente onerose per l’imprenditore ammesso alla CNC, poco rileva la circostanza che la norma faccia riferimento all’ipotesi nella quale il fenomeno considerato si sia prodotto “per l’effetto della pandemia da SARS-CoV-2”, piuttosto che per effetto di un altro evento ugualmente drammatico ed imprevisto (un esempio per tutti: il conflitto bellico prodottosi tra Ucraina e Russia): non ci sarebbe ragione di escludere, infatti, la possibilità di un intervento dell’Esperto ad invitare le parti a riequilibrare le prestazioni del contratto pendente anche laddove lo squilibrio sopravvenuto fosse stato causato da un evento (diverso dalla crisi pandemica, e tuttavia) egualmente sconvolgente. Anzi si può ritenere che tale tentativo dovrebbe rientrare tra i doveri dell’Esperto, investito della funzione di “facilitare” la creazione delle condizioni per il risanamento dell’impresa. 
In tutt’altri termini la questione si pone invece – ad avviso di chi scrive – allorchè si consideri la funzione della legittimazione dell’autorità giudiziaria, su istanza dell’imprenditore ammesso alla CNC[55], a “rideterminare equamente le condizioni del contratto” pendente, divenute eccessivamente onerose. 
In primo luogo è necessario chiarire che tale intervento è ammesso – allo stato degli atti – esclusivamente nell’ipotesi nella quale la alterazione sopravvenuta (in danno dell’imprenditore ammesso alla CNC) dell’originario equilibrio del contratto pendente possa dirsi intervenuta “per effetto della pandemia da SARS-CoV-2”: a tale evento, infatti, l’art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021 ricollega la legittimazione del tribunale a provvedere sulla richiesta di “riequilibrio”, laddove la portata più generale della disposizione contenuta nell’art. 17, comma 5, CCII non ha rilevanza, non prevedendo – e dunque non consentendo – tale norma – la quale, come detto, ha una portata più vasta – l’intervento dell’autorità giudiziaria sul contratto pendente divenuto eccessivamente oneroso[56].
La sopravvivenza della norma alla trasfusione della disciplina della CNC nel codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, nel luglio 2022, può sorprendere[57]: tanto più laddove si consideri che nel momento di confermare la legittimazione della autorità giudiziaria ad intervenire nei contenuti dei singoli negozi giuridici pendenti tra contraenti (uno dei quali ammesso alla CNC), per modificarne il contenuto d’imperio, avrebbe potuto essere opportuno non collegare più (ovvero non collegare soltanto) tale funzione all’ipotesi di una alterazione (ormai) abbastanza improbabile (quella provocata dalla crisi pandemica da SARS-CoV-2) – ovvero, in ogni caso, “in estinzione” -: quanto piuttosto (ovvero anche), se mai, ad ipotesi più attuali e più credibili (prima tra tutte l’effetto del perdurante conflitto bellico che ha investito tutta l’Europa; la conseguente crisi energetica che ha reso insostenibile la regolare esecuzione dei contratti di fornitura di prodotti energetici da parte delle imprese cc.dd. “energivore” – si pensi soltanto alle imprese ceramiche -; e così via)[58]. 
Ciò precisato, occorre ancora segnalare come nonostante l’espressione adottata (“la prestazione è diventata eccessivamente onerosa”) equivalga a quella utilizzata dall’art. 1467 c.c. per descrivere le ipotesi di risolvibilità del contratto ad esecuzione continuata o periodica a causa della eccessiva onerosità sopravvenuta, il suo perimetro di applicabilità è ritenuto tuttavia più ampio, non essendo contemplata la riserva – contenuta invece nel secondo comma del richiamato art. 1467 c.c. – della ricomprensibilità “nell’alea normale del contratto” [59]. Per converso la norma potrebbe non poter trovare applicazione nei contratti aleatori cc.dd. tipici[60]: il ché ne comporterebbe la inapplicabilità, per esempio, ai contratti assicurativi. Si deve infine ritenere che l’intervento dell’autorità giudiziaria evocato dall’imprenditore ammesso alla CNC, ai sensi dell’art. 10, comma 2, seconda parte, D.L. n. 118/2021, non potrebbe essere eluso dalla banca attraverso l’inserimento nel contratto di finanziamento di una clausola contrattuale “impeditiva” dell’adozione di tale iniziativa, ritenendosi[61] che la norma in esame (come anche l’art. 17, comma 5, CCII, ma con portata tutt’affatto diversa, non contemplando – come detto – la legittimazione dell’autorità giudiziaria ad intervenire, sia pure a seguito di una istanza - che dovrebbe essere dichiarata semplicemente inammissibile – dell’imprenditore ammesso alla CNC) tuteli un interesse di ordine pubblico economico, come tale non eludibile dalla volontà delle parti private. 
Per concludere si può allora osservare che sino a quando l’ammissibilità dell’intervento dell’autorità giudiziaria in funzione del “riequilibrio” di un contratto (bancario) pendente, divenuto eccessivamente oneroso per l’imprenditore ammesso alla CNC, sarà limitato – come oggi è limitato – all’ipotesi che l’eccessiva onerosità sopravvenuta sia stata causata dalla “pandemia da SARS-CoV-2”, l’effetto della disposizione sul successo del tentativo di risanamento intrapreso dall’impresa deve ritenersi assai ridotto (e destinato ad una probabilmente rapida estinzione). 
Da un punto di vista tecnico la norma potrebbe essere applicata alla esecuzione (differita) dell’obbligo di rimborso di un finanziamento bullet erogato in valuta straniera, allorché fossero cessate le vendite nel relativo Paese; fossero venuti meno gli afflussi della valuta straniera; ed avesse preso corpo un rischio di cambio prima insussistente (perché il rimborso del finanziamento in valuta straniera sarebbe stato effettuato utilizzando l’identica valuta affluita grazie alle esportazioni): rischio annullabile con la modificazione della clausola contrattuale di specificazione della valuta di rimborso del finanziamento (e, probabilmente, del relativo tasso di interesse), sostituendo la valuta straniera con la valuta “nazionale” dell’imprenditore.
Ancora si potrebbero ipotizzare “interventi correttivi” sui profili di carattere economico dei contratti bancari di credito – quali: il tasso di interessi; la “commissione di messa a disposizione fondi” -; ovvero sui profili concernenti l’equilibrio tra rischio e garanzia – quali la introduzione di un obbligo di restrizione della garanzia reale costituita originariamente in favore della banca, in corrispondenza della progressiva diminuzione del debito residuo -. 
Non dovrebbero ritenersi ammissibili, invece, per la impossibilità di configurare ipotesi di “obbligo alla concessione di credito”[62], modificazioni contrattuali incidenti sulla variazione (in aumento) dell’affidamento “accordato”, tanto in via diretta - aumento dell’affidamento in termini assoluti -; quanto in via indiretta – aumento della percentuale contrattualmente determinata della anticipazione ottenibile a seguito della presentazione di portafoglio commerciale “allo sconto”, rispetto al valore nominale dei crediti anticipati -. 
La ratio della norma appare quella di ricostruire l’originario equilibrio – o, comunque, l’originario rapporto – tra le prestazioni dedotte nel contratto pendente, nelle ipotesi nelle quali esso sia risultato alterato, in danno dell’imprenditore impegnato in una “Composizione Negoziata”, a causa degli effetti della crisi pandemica. In tale contesto, è difficile individuare quali fattispecie potrebbero giustificare la alterazione delle condizioni contrattuali originali in materia di ammontare (in termini assoluti) del finanziamento concesso; o di rapporto (in termini relativi) tra finanziamento disponibile e valore della relativa garanzia, che si potessero giudicare compromesse in conseguenza della emergenza sanitaria (ove si ritenessero risultanti nell’ambito di applicazione individuato dal non abrogato art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021).
Tutt’altra conclusione dovrebbe formularsi, invece, nell’ipotesi nella quale – semplicemente – i presupposti della legittimità (della invocazione) dell’intervento giudiziale fossero (nuovamente) accomunati ai presupposti del possibile “invito” dell’Esperto a che le parti ridetermino il contenuto dei contratti (ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita), in tutte le ipotesi nelle quali “la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa” ovvero “è alterato equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute”, a prescindere da quali circostanze si tratti. In tale ipotesi, infatti, la legittimazione dell’autorità giudiziaria ad “intervenire” per riequilibrare i contenuti economici dei contratti pendenti avrebbe una ben maggiore rilevanza.
Laddove un prossimo intervento normativo volesse prendere in considerazione questa ipotesi, è auspicabile che colga l’occasione per chiarire (i) a quali contratti la disciplina in esame sarebbe applicabile (anche ai contratti assicurativi?; anche al contratto di società?); e (ii) quali effetti produca la “rinegoziazione” sulle garanzie (ad es. fideiussione) che assistono la prestazione dell’imprenditore ammesso alla CNC, che sarebbe investita dalla rinegoziazione coatta. 

Note:

[1] 
Sulla natura giuridica dell’istituto v., tra i molti contributi, S. BONFATTI, La nuova finanza bancaria in progress nella Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa, in Bancaria, 2022 (9), p. 100 ss. – dove si esclude che la CNC sua qualificabile come “procedura concorsuale” (in questo senso, da ultimo, anche G. PRESTI, Le banche e la composizione negoziata della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 9 febbraio 2023, 2). 
[2] 
In argomento rinviamo a S. BONFATTI, Profili della Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa – Natura giuridica, presupposti e valutazioni comparative, in Dirittodellacrisi.it, 3 febbraio 2022.
[3] 
A. GALIZZI, Necessità di armonizzazione tra normative in materia di crisi d'impresa e di vigilanza bancaria, in Dirittodellacrisi.it, 31 luglio 2022, osserva che “anche dopo l’entrata in vigore del CCII, il vero tema che si pone è quello relativo alle oggettive difficoltà che imprese meritevoli, in temporanea difficoltà (finanziaria) – prevalentemente PMI – incontrano nell’accedere al credito bancario, attese le cogenti restrizioni, alle quali le banche devono continuare ad attenersi, imposte dalla complessa normativa di vigilanza bancaria (IFRS9) e che, nella sostanza, impediscono al sistema bancario di essere risolutivo in fasi di crisi reversibili attraverso erogazione di nuova finanza cd. “protetta”. Mi riferisco ai pesanti accantonamenti a C/E che la banca si trova costretta ad imputare nel momento in cui non è stata introdotta/recepita dal legislatore italiano una (tanto auspicata) norma che preveda, in ben disciplinati casi, la disapplicazione delle norme regolamentari Bankitalia e BCE.
In argomento, da ultimo, G. PRESTI, op. cit., 4, che dà conto della " complessa disciplina bancaria dei crediti deteriorati... che si articola in diversi segmenti (contabilità; accantonamenti di vigilanza prudenziale; segnalazione azioni formativi pubblici, statistici e per vigilanza informativa) ….”.
[4] 
In questo senso v. G. PRESTI, Le banche e la composizione negoziata della crisi, cit., 7, il quale dà conto di " un inconveniente non da poco ", rappresentato dalla convinzione che " se il credito esistenti diventa UTP [unlikely-to-pay, ovvero “inadempienza probabile”] allora “anche l'eventuale nuova finanza nasce come UTP ed è quindi meno facile da verificarsi per il maggior costo che implica per la banca ".
[5] 
In argomento v. S. BONFATTI, La nuova finanza bancaria, in Dirittodellacrisi.it, 14 dicembre 2021; ID, La nozione di finanziamento. Le forme negoziali tipiche e atipiche, in Il Fall. o, 2021, 1187 ss.
[6] 
In argomento, in termini generali, F. LAMANNA, Composizione negoziata e nuove misure per la crisi d’impresa, Il civilista, Giuffrè, Milano, 2021; AA.VV. La crisi d’impresa e del consumatore dopo il d. l. n. 118/2021, a cura di S. Ambrosini, Zanichelli, Bologna, 2021; AA.VV., La crisi d’impresa e le misure di risanamento, diretto da M. Irrera e A. Cerrato e coordinato da F. Pasquariello, Zanichelli, Bologna, 2022; L. PANZANI, la composizione negoziata della crisi, in Dirittodellacrisi.it., 4 febbraio 2022; S. BONFATTI, Profili della Composizione negoziata della crisi d'impresa - Natura giuridica, presupposti e valutazioni comparative, in Dirittodellacrisi.it, 3 febbraio 2022; ID., Profili della Composizione negoziata della crisi d'impresa - Gestione dell'impresa; rinegoziazione dei contratti e cessione dell'azienda. Composizione negoziata della crisi " di gruppo ", ivi, 22 febbraio 2022; ID., Profili della Composizione negoziata della crisi d'impresa - Esito della procedura: il "contratto biennale" e la Convenzione di moratoria, ivi, 1 marzo 2022.
[7] 
Con la eccezione di quanto previsto dall’originario art. 10, comma 2: su cui infra, n. 11.
[8] 
Alludo alla genericità dei termini “revoca” e “affidamento”: infra, n. 5.
[9] 
Intendo dire che la limitazione del "divieto" de quo alla operatività delle sole imprese bancarie - tra tutte le possibili controparti dell'imprenditore " in crisi " - costituisce dimostrazione di un pregiudizio sull'equilibrio e sulla ragionevolezza del comportamento delle aziende di credito, che deve essere giudicato totalmente ingiustificato.
[10] 
Art. 16, comma 5, seconda parte: “in ogni caso la sospensione o la revoca degli affidamenti possono essere disposte a richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, con comunicazione che dà conto delle ragioni della decisione assunta”. In argomento v. BONFATTI e RIZZO, La “Vigilanza prudenziale” nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 9 dicembre 2022. 
L’esame della “disciplina della vigilanza prudenziale” applicabile alle imprese bancarie (e finanziarie), peraltro, con specifico riguardo all’attività di mantenimento della permanente utilizzabilità del credito già concesso, evidenzia la insussistenza di fattispecie speciali nelle quali sia “richiesto” di procedere alla “sospensione o alla revoca degli affidamenti”. 
Alla luce di tale considerazione pare di dovere concludere che il divieto (di sospensione e/o di revoca dell’affidamento bancario pendente) disposto dall’art. 16, comma 5, CCII sia destinato a cadere allorché il mantenimento della utilizzabilità della linea di credito bancario, nonostante l’accesso dell’impresa affidata alla CNC, sia contrario a quanto ricavabile dalla “disciplina della vigilanza prudenziale”, nel senso di rivelarsi contraddittorio con la osservanza del principio disana e prudente gestionedella banca (principio al quale la stessa, del resto, deve attenersi, laddove aspiri non soltanto ad essere osservante della disciplina di vigilanza, ma anche a sottrarsi al rischio di responsabilità per “concessione inadeguata di credito”) – infra, n. 7 -.
A questa stregua, l’esigenza di contabilizzare accantonamenti supplementari, in conseguenza della necessità di attribuire alle linee di credito a suo tempo concesse all'impresa ammessa alla "Composizione Negoziata” una catalogazione deteriore, potrebbe rendere non più economicamente conveniente il mantenimento della utilizzabilità del credito concesso, ma ciò non potrebbe costituire – di per sé – valido motivo di sospensione o revoca dell’affidamento.
L’unico possibile contrappeso a tale fenomeno potrebbe essere rappresentato, a questo punto, dalla revisione delle condizioni economiche dell’utilizzo del credito, in funzione della compensazione del maggiore assorbimento di patrimonio provocato dalla catalogazione deteriore: ma anche ciò incontrerebbe un limite nella non riformata disciplina “antiusura”.
[11] 
Infra, n. 11.
[12] 
Infra, n. 11.
[13] 
Art. 97, comma 1, CCII. La possibilità di ricomprendere nella categoria dei “contratti pendenti” per come le intende la disciplina del concordato preventivo postula la sussistenza di “prestazioni principali” ancora “inadempiute o non compiutamente adempiute” da “entrambe le parti”. Possono pertanto rientrarvi i contratti di apertura di credito (per “cassa” o per “firma”), sia in quanto non ancora integralmente utilizzati; sia in quanto suscettibili di successivo “scarico”, in conseguenza di “rientri” parziali, dipende dalla possibilità di individuare nella loro "pendenza". La disciplina in esame non dovrebbe risultare applicabile ai “mutui” (intesi come finanziamenti seguiti dalla erogazione di una somma, che esaurisce l’obbligazione della banca), con l’eccezione dei mutui “a stato di avanzamento lavori”. In argomento v. S. BONFATTI, Il sostegno finanziario alle imprese in crisi. Finanziamenti pendenti e nuove erogazioni, Pisa, 2022. In termini analoghi G. PRESTI, op. cit., 15.
[14] 
In argomento v. S. BONFATTI, La procedura di liquidazione coatta amministrativa nel fallimento e nel Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, Pisa, Pacini Giuridica, 2022; A. ROSSI, I presupposti della CNC, tra debiti dell’imprenditore e risanamento dell’impresa, in Dirittodellacrisi.it, 30 novembre 2021, 4 e 13.
[15] 
E quindi, per esempio, ad ammetterne la utilizzabilità anche da parte delle imprese (banche; intermediari finanziari non bancari; assicurazioni) che sono soggette esclusivamente alle “procedure concorsuali” disciplinate dalle leggi speciali che, rispettivamente, ne regolano le situazioni di “crisi”: in argomento S. BONFATTI, La disciplina delle situazioni di “crisi” degli intermediari finanziari, Giuffrè, Milano, 2021.
[16] 
In argomento v. S. BONFATTI, Piani attestati, Accordi di ristrutturazione e crediti prededucibili, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2018, II, 166; ID., Estraneità degli Accordi di ristrutturazione alla “sfera della concorsualità”, in materia di prededuzione, in Ilcaso.it, settembre 2018; ID., I “cerchi concentrici” della concorsualità e la prededuzione dei crediti (“o dentro o fuori”?), Ilcaso.it , giugno 2018: ID., Ancora sulla natura giuridica degli “Accordi di Ristrutturazione”, in Ilcaso.it, febbraio 2018; ID., La natura giuridica dei “Piani di Risanamento Attestati” e degli “Accordi di Ristrutturazione”, in Ilcaso.it, gennaio 2018; e in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2018 (1), 175; ID., La natura giuridica degli accordi di ristrutturazione, in Riv. dir. banc., gennaio 2018; ID., Le nuove procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa: Piani attestati di risanamento e Accordi di Ristrutturazione, in Dir. banc., 2018.
[17] 
Si deve ritenere che fra le “misure protettive” di cui l’imprenditore può avvalersi immediatamente, con la sola presentazione della “istanza” di conferma o di modifica rivolta al Tribunale, non possano essere comprese misure diverse da quelle evocate dall’art. 6, comma 1, D.L. n. 118/2021 (divieto di acquisire diritti di prelazione, se non concordati; divieto di avvio e divieto di prosecuzione di azioni esecutive e cautelari). Anche a seguito dell’apertura del procedimento giudiziale volto ad ottenere la conferma o la modifica delle misure protettive, nonché “la adozione dei provvedimenti cautelari necessari...”, non si ritiene possibile che vengano dichiarati inopponibili atti compiuti da singoli creditori (o singole categorie), alla luce della natura non concorsuale del procedimento in discussione, nonostante la facoltà di “personalizzazione” prevista dall’art. 19, comma 4.
[18] 
In argomento, in termini generali, S. BONFATTI, La nozione di finanziamento. Le forme negoziali tipiche e atipiche, cit.
[19] 
Si osserva tale proposito – S. RIZZO, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie (nei confronti delle imprese “in crisi”), in Dirittodellacrisi.it, 20 gennaio 2022 – che “...ciò precisato, il passaggio successivo sarà quello di comprendere quale sia lo status – in termini di classificazione – che dovrà essere assegnato dalle banche, secondo le policy creditizie di ciascuna, rispetto a imprese clienti che accedono alla Composizione negoziata.
Al riguardo, pur ribadendo che la Composizione negoziate non è una procedura concorsuale, si ritiene tuttavia verosimile replicare, in via analogica, anche per queste posizioni di rischio, quanto prescritto dalla disciplina di vigilanza (il riferimento più immediato è alla Circolare 272/2008 di Banca d’Italia, Avvertenze generali, Sezione B, paragrafo 2, “Qualità del Credito”. Si precisa che la regolamentazione citata non è ancora stata oggetto di aggiornamento da parte di Banca d’Italia al fine di fornire indicazioni puntuali agli intermediari con riguardo alla disciplina in esame) per le ipotesi di ricorso a procedure di concordato preventivo ex artt 160 ss l fall. o di Accordi di Ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall., ovvero la classificazione delle esposizioni dovrà essere quella ad inadempienza probabile (unlikely to pay), ovvero a default, perlomeno fintanto che non sarà noto l’esito della procedura e sempre che non ricorrano elementi oggettivi e diversi da indurre gli intermediari a classificare l’esposizione a “sofferenza” o, ancora, l’esposizione risultava già classificata a “sofferenza” prima del ricorso alla procedura di Composizione negoziata.
Ne consegue che la classficazione ad “inadempienza probabile” dell’esposizione bancaria comporterà per la banca la determinazione di accantonamenti sulla posizione sulla base della valutazione analitica che dovrà essere condotta per determinare quale sarà la presumibile percentuale di recupero del credito, anche escutendo le eventuali garanzie che assistono l’esposizione.
Alla medesima conclusione si arriverebbe anche nell’ulteriore ipotesi nella quale l’impresa faccia ricorso alla procedura di composizione negoziata e richiedesse alle banche creditrici, nelle more delle trattative condotte con l’ausilo dell’esperto, una moratoria (ad esempio in quota capitale) su tutti i finanziamenti, risultanti fino ad allora in regolare ammortamento. 
Anche in tale circostanza, ritenendo assorbente lo stato di crisi e/o di insolvenza che induce l’impresa a ricorrere alla Composizione negoziata, la posizione dovrebbe essere trasferita da bonis ad “inadempienze probabile”: e, ove la richiesta di moratoria venissa accolta (non necessariamente da tutti gli intermediari) la classificazione sarebbe arricchita dall’attirbuto forborne non performing, trattandosi di una misura di forbearence concessa alla controparte.
Sarebbe possibile ipotizzare un’ulteriore ipotesi operativa in ragione della previsione di cui all’art. 10, co. 1, lett. a) del d.l. 118/21 sulla composizione negoziata; norma che prevede la possibilità per l’impresa di richiedere al Tribunale – in modalità decisamente semplificata – l’autorizzazione a contrarre finanziamenti (bancari e non solo) prededucibili ex art 111 della l. fall. 
E’ verosimile interpretare tale previsione come finalizzata ad assicurare all’impresa “in crisi” il necessario sostegno finanziario per proseguire nell’attività e, quindi, superare lo stato di crisi in cui versa. Tuttavia se simile finalità può, in linea generale, essere condivisibile, esaminando la fattispecie dal punto di vista della disciplina prudenziale, non ricorrono elementi nuovi e diversi per sostenere che la posizione di rischio possa essere classificata in bonis da parte dell’intermediario che decidesse di concedere la finanza in prededuzione. La circostanza per la quale i finanziamenti sono assistiti dal beneficio della prededuzione (giudizialmente assegnato) non può essere ritenuto elemento sufficiente né idoneo per escludere la classificazione ad inadempienza probabile (unlikely to pay) dell’esposizione. 
Semmai la prededuzione potrà rilevare come garanzia che assiste l’esposizione creditizia e, quindi, nella valutazione analitica, ridurre gli accantonamenti da appostare sulla posizione di rischio. Ne consegue che l’intermediario finanziatore – per quanto eventualmente anche diverso ed ulteriore rispetto a quelli aventi già esposizioni verso l’impresa - difficilmente potrà essere interessato a concedere detto supporto finanziario in prededuzione, salvo l’ipotesi di classificare l’esposizione comunque ad inadempienza probabile ma applicando accantonamenti “minimi” in ragione delle garanzie assunte (si pensi ad esempio all’ipotesi di concessione di fianziamenti autoliquidanti assistiti dalla cessione del credito notificata ed in prededuzione). 
A ben riflettere, sarebbe stato preferibile che l’intervento legislativo si fosse limitato a replicare, nella disciplina della Composizione negoziata, con specifico riguardo alla autorizzazione giudiziale alla assunzione di finanziamenti prededucibili, quanto oggi previsto dall’art. 182-quinquies, co. 3, ultimo periodo della legge fall., il quale prevede la possibilità di autorizzazione giudiziale al “mantenimento delle linee di credito” in prededuzione. 
Ciò per una duplice ragione (anche pratica): 1) simile previsione avrebbe maggiormente incentivato le banche e gli intermediari già esposti verso l’impresa a partecipare con ancora più interesse alla procedura di composizione (la quale, lo ricordiamo, ha per fine ultimo quello di favorire il superamento della situazione di crisi o di insolvenza) in quanto avrebbero potuto, acquisendo “anche” la prededuzione, continuare a prestare il sostegno finanziario necessario; 2) pare francamente difficile che l’impresa possa, nei termini di 180 giorni di durata massima della procedura di composizione negoziata, individuare sul mercato altre banche o intermediari interessati a concedere nuova finanza per il sol fatto di essere in prededuzione”.
[20] 
La prosecuzione dell'esecuzione di un “contratto pendente” sembrerebbe doversi qualificare di per sé come atto di ordinaria amministrazione. La conclusione del contratto, infatti, produce un effetto giuridicamente vincolante: ed in linea di principio l'imprenditore che avesse inteso accedere alla CNC non sarebbe legittimato ad infrangere, per ciò solo, l'obbligazione in tal modo assunta. Ragione per la quale l'esecuzione del contratto pendente si configurerebbe, più che "possibile", come più precisamente "dovuta". In altre parole, ove l’utilizzo del contratto bancario di credito rappresenti un diritto per l’imprenditore, non si vede come l’esercizio dello stesso potrebbe considerarsi un fatto straordinario; laddove, nel caso contrario, ove si trattasse di atto dovuto, il carattere della straordinarietà dovrebbe piuttosto essere attribuito, all’incontrario, al suo eventuale inadempimento, anche per le relative, possibili conseguenze.
[21] 
Come mai potrebbe essere conseguito l’effetto “incentivante” della prededucibilità dei crediti derivanti dai finanziamenti erogati all’imprenditore, come è invece possibile ottenere nel contesto della “Composizione negoziata” (sia pure a condizione dell’ottenimento di apposita autorizzazione giudiziale: art. 10 D.L. n. 118/2021; art. 22 CCII).
[22] 
In argomento L. STANGHELLINI, I finanziamenti al debitore e le crisi, in Il Fall., 2021, 1183, afferma che “la banca, pur restando libera di revocare secondo le regole contrattuali gli affidamenti in essere, qualora intenda farlo non può esonerarsi da una valutazione del merito creditizio del debitore, valutazione della quale deve assumersi la responsabilità, non potendo trincerarsi dietro il fatto che il debitore ha scelto di far emergere tempestivamente la crisi in vista di una sua possibile soluzione”. Secondo G. PRESTI, op. cit., 11, il recesso della banca “rimane invece possibile per ogni ipotizzabile giusta causa attinente al merito del rapporto contrattuale….”.
[23] 
In questo senso, invece, G. PRESTI, Le banche la composizione negoziata della crisi, cit., 8 e11.
[24] 
La tendenziale esclusione della introduzione di "obblighi di finanziamento", in situazioni sottratte ad un preventivo vaglio giudiziale, è confermata dalla riproposizione nel CCII della disciplina già prevista dalla legge fallimentare per gli Accordi di Ristrutturazione “ad efficacia estesa", e della Convenzione di Moratoria, con riguardo alla esclusione della circostanza che l'effetto estensivo della volontà della maggioranza qualificata (75 per cento) dei creditori di una determinata Categoria possa estendersi a qualsiasi forma di concessione "forzata" di credito all'impresa interessata: cfr. artt. 182 septies, comma 4, e 182 octies, comma 3, L. fall., come introdotti dal D.L. n. 118/2021, e art. 61, comma 4 e 62, comma 3, CCII. Secondo A. ROSSI, I presupposti della CNC tra debiti dell’imprenditore ecc.., cit., 13, “il mantenimento degli affidamenti previsto dall’art. 4, co. 6 non imporrà alle banche di erogare nuovo credito, mediante, ad esempio, il ricorso ad operazioni autoliquidanti, specie considerando come la ormai consolidata giurisprudenza della Suprema Corte in materia di concessione abusiva di credito imponga al ceto bancario una valutazione del merito creditizio dell’imprenditore in crisi vieppiù rigorosa”. Secondo L. STANGHELLINI, I finanziamenti al debitore e le crisi, in Il Fall., cit., 1185, “in considerazione del rischio insito nel finanziamento erogato in questo contesto, esso ha sempre carattere volontario, non potendo essere frutto di coazione: chiarissimo è, in questo senso, l’art. 182-septies, comma 4, l. fall.”.
[25] 
Infra, n. 8.
[26] 
Infra, n. 7.
[27] 
Non è pertanto condivisibile la valutazione critica formulata da A. GALIZZI, Necessità di armonizzazione eccetera, cit., secondo il quale “parrebbe quindi che le banche possano sospendere/revocare i fidi in caso di accesso alla CN se tale condotta è imposta dalla disciplina di vigilanza (cioè quando?), non invece se oggetto di misure protettive”.
[28] 
G. PRESTI, Le banche e la composizione negoziata della crisi, cit., 12.
[29] 
Per un commento v. G. Gimigliano, sub art. 5, in S. Bonfatti e G. Falcone, (a cura di), Commentario al Testo unico bancario, Pisa, 2021, 19 ss. Ovviamente, il rimando va riferito agli articoli 51 (vigilanza informativa), 53 (vigilanza regolamentare) e 54 (vigilanza ispettiva) TUB.
[30] 
Si pensi, a mero titolo esemplificativo, alle EBA/GL/2017/01 sulla nuova nozione di default; alle GDL/EBA/2018/10 sulle posizioni non performing e oggetto di misure di concessione; alle GDL/EBA/2020/06 in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti.
[31] 
Pubblicato in G.U.U.E. del 25 aprile 2019 n. L. 111. In argomento v. S. RIZZO, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie (nei confronti delle imprese “in crisi”), in Dirittodellacrisi.it, 20 gennaio 2022.
[32] 
Pubblicato in G.U.U.E. del 27 giugno 2013 L. n. 176.
[33] 
Il “rischio di credito” a sua volta comprende il “rischio di controparte” - ossia il rischio che la controparte di un’operazione risulti inadempiente prima del regolamento definitivo dei flussi finanziari di un’operazione -. 
[34] 
Infra, n. 8.
[35] 
Peraltro pare utile evidenziare che anche nell’art. 18 CCII, nella vigente formulazione, è consentito ai creditori – tra cui anche le banche – di poter “sospendere” l’adempimento dei contratti pendenti fino alla conferma delle misure protettive richieste al Tribunale; tuttavia, con specifico riguardo ai creditori finanziari, in questo caso nessun rimando alla “vigilanza prudenziale” ricorre, lasciando pertanto supporre che la sospensione dei contratti di affidamento “pendenti” possa essere disposta dagli intermediari senza dover richiamare disposizioni di vigilanza prudenziale a supporto della decisione. D’altro canto, il mancato richiamo alla “vigilanza prudenziale” nell’ambito delle misure protettive pare giustificarsi per il fatto che le stesse non sono rivolte unicamente a banche e intermediari ma, più genericamente, ai creditori dell’impresa.
[36] 
Il nuovo approccio valutativo introdotto dall’IFRS9 a far tempo dal gennaio 2018 - c.d. expected loss - prevede un modello caratterizzato da una visione prospettica, che richiede la rilevazione immediata di tutte le perdite previste nel corso della vita di un credito. Tali perdite vanno stimate sulla base di informazioni supportabili, disponibili senza oneri o sforzi irragionevoli, e che includano dati storici attuali e prospettici. In tale contesto le perdite attese (intese come il valore attuale di tutti i futuri mancati incassi o pagamenti, rilevato attraverso una stima pesata per le probabilità) possono dover essere contabilizzate subito indipendentemente dalla presenza o meno di un trigger event; e le stime devono essere continuamente adeguate anche in considerazione delle variazioni del rischio di credito della controparte, sulla base non solo di fatti e dati passati e presenti, ma anche e soprattutto di previsioni future, anche di tipo macroeconomico (c.d. foward looking approach).
[37] 
Come noto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è giunta ad individuare i presupposti di una possibile responsabilità risarcitoria della banca non soltanto nei casi di concorso nell’aggravamento del dissesto dell’impresa per “concessione abusiva di credito” (cioè erogazione di un finanziamento funzionale al soddisfacimento di un interesse individuale della banca contrapposto a quello dei restanti creditori); bensì anche nei casi di “concessione inadeguata di credito”, per avere concesso credito non meritato dall’impresa finanziata, a causa di una inadeguata valutazione del rischio connesso.
[38] 
Supra, n. 4. 
Le banche, come noto devono dotarsi di una disciplina interna specifica per la gestione del c.d. “credito problematico”. In tale contesto esse devono individuare gli “eventi” in presenza dei quali la singola posizione di credito potrebbe dovere essere contemplata tra le cc.dd. “Inadempienze Probabili”, che comportano un aggravamento delle percentuali di accantonamento ai corrispondenti “fondi rischi” di credito. L’accesso dell’impresa a procedure di composizione negoziale della crisi di carattere “formale” – cioè diverse dall’avvio di una tradizionale trattativa extragiudiziale – è ritenuto da taluni un “evento” comportante obbligatoriamente il predetto cambiamento (in pejus) della classificazione – mentre per altri (più correttamente, secondo la opinione di chi scrive) lo “evento” in questione è considerato fonte dell’obbligo di dare tempestivo corso ad una “classificazione analitica”, che impone al gestore di procedere ad una approfondita revisione della posizione, senza tuttavia condizionarne l’esito finale (nel senso di non prevedere la obbligatorietà della Classificazione ad “Inadempienza Probabile”). 
In argomento A. GALIZZI, Necessità di armonizzazione eccetera, cit., osserva che la situazione di crisi “confessata” con l’avvio della procedura di CNC “imporrebbe alla banca accantonamenti a C/E pesanti (data la classificazione a “stage 2” o “stage 3” dell’impresa che denuncia la propria crisi) per il suo bilancio (pensiamo soprattutto alle BCC che sostengono molte PMI di territorio e che hanno bilanci che non possono reggere certi accantonamenti per erogazioni a rischio NPL, UTP…..).
[39] 
La rischiosità del credito potrebbe infatti risultare particolarmente attenuata in conseguenza della sua preventiva autorizzazione giudiziale, e conseguente collocabilità in prededuzione nel concorso con gli altri creditori (per la CNC cfr. artt. 22 e 24 CCII).
[40] 
Deve essere citato, a tale proposito, il tentativo - non andato a buon fine quando posto in essere; e non più rinnovato dopo quella volta – di cui alla bozza di decreto legge “Investment Compact” del gennaio 2015 (poi approvata come decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3 ), la quale prevedeva l’esclusione della applicabilità della disciplina “antiusura” ai finanziamenti autorizzati dal Tribunale nelle procedure di Concordato preventivo o di Accordo di Ristrutturazione, erogati da soggetti vigilati. La disposizione veniva giustificata, nella Relazione accompagnatoria, con l'affermazione che “la norma si pone l’obiettivo di sviluppare un mercato indipendente per il finanziamento dell’impresa in crisi, che consenta al debitore di reperire le risorse necessarie per assicurare la prosecuzione della propria attività. A tal fine, si è inteso consentire agli operatori di praticare tassi d’interesse adeguati rispetto al livello di rischio che tali finanziamenti comportano, anche derogando alle norme interne in materia di usura. Il fatto che il finanziamento venga autorizzato dal tribunale e la soggezione dei finanziatori alla vigilanza della Banca d’Italia o di altra autorità comunitaria, costituiscono per il legislatore garanzie sufficienti”. Tuttavia tale proposta non è mai stata tradotta in una disposizione normativa. In argomento v. S. BONFATTI-S. RIZZO, La “vigilanza prudenziale” nel Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, cit.
[41] 
Nessun “effetto impeditivo” sarebbe invece concepibile con riguardo agli eventuali inadempimenti successivi all’avvio della procedura di CNC (o comunque al momento di produzione delle “misure protettive” a seguito della iscrizione della istanza di cui all’art. 18 CCII). Nell’ipotesi di inadempimento (rilevante) successivo, non vi sarebbero modi di impedire il diritto della controparte in bonis a risolvere il contratto, ovvero a sospenderne l’esecuzione. In questo stesso senso G. PRESTI, Le banche la composizione negoziata della crisi, cit., 16.
Per ciò che concerne la collocazione (in prededuzione) dei crediti derivanti da prestazioni “coatte”, e non soddisfatti nel corso della CNC nella quale si fosse prodotto lo “effetto impeditivo” del divieto di interrompere l’esecuzione del contratto pendente, v. infra, n. 10.
[42] 
Cass., 15 giugno 2020, n. 11524, in Il Fall., 2021, 39, con nota di V. ZANICHELLI, I contratti pendenti di finanziamento autoliquidanti tra presente e futuro (in progress).
[43] 
L’art. 18, comma 5, CCII sembra porre una correlazione diretta tra “contratto pendente” (insuscettibile di risoluzione o sospensione o “congelamento”) e mancato pagamento di crediti anteriori, come se rilevassero i mancati pagamenti concernenti l’esecuzione di quel contratto: ma la norma potrebbe essere accreditata di un effetto “paralizzante” delle possibili iniziative ostili delle banche anche con riguardo alla irrilevanza del mancato pagamento di obbligazioni diverse, sempre presentate verso la banca interessata.
[44] 
In argomento S. RIZZO, Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie, in Dirittodellacrisi.it, 20 gennaio 2022, osserva che “Particolarmente problematica, inoltre, risulta la previsione di cui all’art 6, comma 5 del D.L. n. 118/2021 (misure protettive) …. …. In virtù di tale previsione, risulta evidente che banche e intermediari finanziamente esposti verso l’impresa che abbia fatto ricorso alla procedura di Composizione negoziata si troveranno, in forza di detto evento, nell’impossibilità di revocare le linee di credito o di modificarle o renderle più onerose (aumentanto i tassi di interesse applicati) in danno dell’impresa. Diversamente pare plausibile ritenere che una revoca delle linee o un rifiuto di esecuzione del contratto pendente (ad es. la lavorazione di una nuova presentazione al salvo buon fine di portafoglio commerciale) o, ancora, una modifica della scadenza (passando da fidi a revoca a fidi a scadenza), od ancora un aumento delle condizioni economiche applicate, sarà comunque esperibile ove, a fondamento della stessa, vi siano ragioni ben diverse dal ricorso dell’impresa alla procedura di Composizione negoziata. Nell’ipotesi nella quale, tuttavia, non vi siano ragioni distinte e sufficienti perché le banche possano procedere con la revoca degli affidamenti concessi, la conseguenza ulteriore sarà quella per cui, in ipotesi di finanziamenti il cui “accordato” non è – alla data di efficacia delle misure protettive richieste dall’impresa – pienamente “utilizzato”, le banche non solo saranno constrette a consentire (subire) il loro successivo pieno utilizzo ma, soprattutto, si troveranno nella condizione di dover classificare a “credito deteriorato” l’intera esposizione e non già l’esposizione nelle misura (versomilmente minore) pari all’utilizzato sussitente al momento dell’avvio della procedura di composizione negoziata. In altri termini, per le banche, il danno sarebbe duplice: aumento l’esposizione nominale da appostare a credito deteriorato (inadempienza probabile) e, di conseguenza, necessità di maggiori accantonamenti”.
[45] 
Supra, n. 3.
[46] 
Infra, n. 10.
[47] 
Secondo G. PRESTI, Le banche e la composizione negoziata della crisi, cit., 16, per la "nuova finanza" derivante da "linee di affidamento già esistenti e ancora capienti …., non sembra possibile acquisire la prededuzione ". La conclusione tuttavia non è condivisibile, perché la prededucibilità riguarda i crediti derivanti da "finanziamenti” (debitamente autorizzati dal tribunale, oppure considerati equiparabili, come quelli di cui si è riferito nel testo): e tali sono anche le erogazioni poste in essere in esecuzione di una apertura di credito pregressa, se effettuate in un momento successivo all'apertura della CNC.
[48] 
Afferma invece che il comma secondo dell'articolo 6 CCII, che attribuirebbe “dignità normativa al principio giurisprudenziale delle costituzione da procedure”, si pone " in chiave di continuità " con la precedente legge fallimentare, F. PANI, La prededuzione prima e dopo il codice della crisi, in Ilcaso.it, 19 agosto 2022.
[49] 
In argomento v. F. DENOZZA, Crisi e rinegoziazione dei contratti tra diritto emergenziale e Codice della crisi. Prima riflessione, in Orizzonti del Diritto Commerciale (3), 2022, 889 ss. 
[50] 
L’art. 46, comma1, lett. b), D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, ha abrogato il comma 1 dell’art. 10 D.L. n. 118/20221, ma quanto al comma 2 ha soltanto inserito dopo le parole “L’esperto” le seguenti: “di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14”. Non è pertanto condividibile la affermazione di Trib. Modena, 26 dicembre 2022, inedita (R.G. n. 5853/2022 V.G.) secondo la quale “a ciò si aggiunga che una disposizione di carattere del tutto eccezionale (art. 10, comma 2), che consentiva al Tribunale di esercitare una sorta di potere di perequazione contrattuale, era prevista nell’ambito dl D.L. 118/2021 e legata all’emergenza COVID: l’impianto del Codice della crisi non prevede nulla di simile, se non un mero potere di sollecitazione da parte dell’esperto (art. 17, comma 5, CCII), il chè consente di affermare che al di fuori dei casi espressamente previsti, l’autonomia contrattuale delle parti non possa essere conformata ab externo”: non è condividibile nel senso che la (sopravvissuta) disposizione dell’art. 10, co. 2, d. l. n. 118/2021 è per l’appunto uno dei “casi espressamente previsti”. 
[51] 
In argomento v. F. ANGIOLINI, Sopravvenienze contrattuali e composizione negoziata: quali rimedi, in Dir. fall., 2022, I, 585; O. CAGNASSO, Codice della crisi e diritto dei contratti: qualche spunto, in Corporate Governance, 2022, 263; I. PAGNI, Crisi di impresa e crisi del contratto al tempo dell’emergenza sanitaria, tra autonomia negoziale e intervento del giudice, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 349; M. FABIANI, Il valore della solidarietà nell’approccio e nella gestione della crisi di impresa, in Fallimento, 2022, 10. 
[52] 
Secondo F. DENOZZA, Crisi e rinegoziazione dei contratti, ecc., 895 ss. (testo e nota 18), “La rinegoziazione dei contratti, seppur diversamente disciplinata, fa quindi ormai stabilmente parte del diritto della crisi. Sul “cambio di passo” già segnato dal d. l. n. 118/2021 si veda, per tutti, V. MINERVINI, La nuova “composizione negoziata” alla luce della Direttiva “Insolvency”. Linee evolutive (extracodistiche) dell’ordinamento italiano, in Dir. fall., 2022, I, 251”. L’A. prosegue osservando che “l’ipotesi più plausibile è che, fino alla cessazione degli effetti di quella pandemia il secondo comma dell’art. 10 del d. l. 24 agosto 2021, n. 118 debba ritenersi sostanzialmente, anche se non formalmente, integrato nell’art. 17 CCII. Sicché, avviata l’ormai unica procedura di composizione prevista dall’art. 12 CCII, il regime della rinegoziazione sarà diverso a seconda che l’eccessiva onerosità dipenda o meno dalla pandemia.
[53] 
Deve essere considerato pacifico, infatti, che “la norma [di cui all’art. 10, comma 2, CCII] potrà applicarsi ai soli contratti stipulati prima della pandemia…” (F. DENOZZA, op. cit., 908). L’A., a tale proposito, osserva anche che “non è chiaro se la sola indicazione dell’Esperto, cui l’art. 10, secondo comma, d. l. n. 118/2021 assegna il compito di individuare i contratti e le prestazioni contrattuali resi eccessivamente onerosi dalla pandemia, basti a giustificare il dovere di rinegoziarli o, come sembra preferibile, permetta ancora al contraente in bonis di allegare e dimostrare che l’eccessiva onerosità, anche ove sussistente, non sarebbe direttamente collegabile alla pandemia”. In argomento peraltro O. CAGNASSO, Codice della crisi e diritto dei contratti: qualche spunto, in Corporate Governance, 2022, nt. 44, non esclude, ma ritiene debba valutarsi caso per caso, l’applicabilità del rimedio anche ai contratti conclusi nel corso della pandemia.
[54] 
F. DENOZZA, op. cit., 909.
[55] 
Il Tribunale competente, ai sensi dell’art. 46, terzo comma, D.Lgs. n. 83/2022, è quello individuato a norma dell’articolo 27 CCII. In merito alla possibilità che il ricorso venga introdotto malgrado l’inerzia dell’Esperto, F. ANGIOLINI, op. cit., nt. 16, 600; G. LENER, Appunti sull’autonomia privata e sulla rinegoziazione del d. l. n. 118/2021, in Le nuove misure di regolazione della crisi di impresa. Commento al D.L. n. 118 del 2021 conv. Con L. n. 147 del 2021, a cura di L. De Simone, M. Fabiani, S. Leuzzi, in Diritto della Crisi, num. spec., novembre 2021, 175, reperibile in Dirittodellacrisi.it. 
Il Tribunale, sentite le parti interessate e assunte le informazioni necessarie, provvede, ove occorra, ai sensi dell'art. 68 c.p.c., decidendo in composizione monocratica. Si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 ss. c.p.c.      Il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento. 
[56] 
In questo senso anche F. DENOZZA, op. cit., 909. La conclusione è stata condivisa dal Consiglio di Stato, che nel Parere del 1° aprile 2022 osserva che la norma, collocata nella bozza licenziata dalla “Commissione Pagni” nell’art. 22, escluderebbe, quindi, il ricorso al Tribunale. In questo senso F. LAMANNA, Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano, 2022, nt. 13, 174.
[57] 
F. DENOZZA, op. cit., 896, osserva che “dato che la disciplina attiene ai contratti di durata, è plausibile che la cautela sia stata dettata dall’eventualità che alcuni contratti stipulati prima dell’esplosione della pandemia nel marzo del 2020 possano ancora (eccezionalmente) necessitare di un’equa manutenzione giudiziale”. 
[58] 
F. DENOZZA, op. cit., 897 (nt. 20), si interroga sulla tenuta costituzionale dell’assetto venutosi a creare, che, consentendo il ricorso al Tribunale solo “se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia sa SARS-CoV-2”, potrebbe segnare una differenza troppo marcata per gli imprenditori che si trovino a fronteggiare una eccessiva onerosità dovuta ad altri eventi altrettanto drammatici, quali quelli indicati nel testo. All’opposto, altrettanti dubbi potrebbero derivare dal fatto che i terzi contraenti con l’imprenditore, anche se operanti nelle medesime condizioni – si pensi a due fornitori della medesima prestazione – si troveranno soggetti ai due diversi regimi di rinegoziazione solo in dipendenza del fatto che l’accresciuta onerosità della prestazione dipenda o meno dalla pandemia”. 
[59] 
In questo senso F. DENOZZA, op. cit. 903 ss.
[60] 
In argomento G. BELLI, L’alea e il contratto aleatorio: dalla nozione di rischio alla costruzione della categoria, in Studium iuris, 2013, 771; G. DI GIANDOMENICO, D. RICCIO, I contratti speciali. I contratti aleatori, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, XIV, Torino, 2005, 59.
[61] 
F. DENOZZA, op. cit., 907; in argomento v. anche S. VERZONI, Gli effetti, sui contratti in corso, dell’emergenza sanitaria legata al CoVid 19, in Giustiziavcivile.com, 2020, 213.
[62] 
Principio ribadito dalla conferma del divieto di ricomprendere la “concessione di credito” nei possibili "effetti estensivi" dello “Accordo di Ristrutturazione ad efficacia estesa”, e della (nuova) “Convenzione di Moratoria", disposto dai novellati artt. 182 secties e 182 octies L. fall. e ripetuto negli articoli 61 comma 4, e 62, comma 3 CCII: supra, n. 6.

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