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Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie (nei confronti delle imprese “in crisi”)*

Salvatore Rizzo, Dottore di Ricerca Diritto dei Mercati - Scuola di Dottorato dei Dipartimenti di Giurisprudenza ed Economia dell’Università degli Studi di Siena

20 Gennaio 2022

*Il contributo, opportunamente rielaborato, sarà incluso nell'opera colletta-nea "Il ruolo dell'Esperto nella Composizione Negoziata della Crisi d'Im-presa", a cura di S. Bonfatti e R. Guidotti, in corso di pubblicazione per i tipi di Giappichelli.
Il contributo considera quali possano essere gli impatti della nuova procedura di “Composizione negoziata” sulla disponibilità delle banche a concedere “Nuova Finanza” all’impresa in crisi, valutando i profili regolamentari e di Vigilanza del mantenimento del credito ovvero della concessione di nuovi finanziamenti alle imprese impegnate in una delle “procedure di crisi“ attualmente vigenti, oppure in sede extragiudiziale.
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1 . IFRS9 staging e criteri di valutazione contabile dei crediti bancari
Quando si discute di crediti bancari ed, in particolare, ai fini del presente lavoro, di crediti c.d. NPL (non performing loans), intendendosi per tali i crediti deteriorati vantati dalle banche e dagli altri intermediari finanziari, trova applicazione, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2 del d.lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, la disciplina contabile di cui ai principi contabili internazionali IAS/IFRS.
Tra questi spicca – ai fini del presente lavoro– il principio contabile internazionale IFRS9 (International Financial Reporting Standard 9) recepito nella nuova versione dal Regolamento della Commissione UE n. 2016/2067 del 22 novembre 2016[1], la cui adozione è divenuta obbligatoria per gli Stati membri dell’Unione a partire dal 1° gennaio 2018, e con il quale si è provveduto a sostituire il previgente principio contabile internazionale IAS 39 (Financial Instruments: Recognition and Measurement)[2].
L’esigenza di procedere con una revisione dello stesso emerse prepotentemente dopo la crisi del 2007-2008, allorquando la comunità degli enti regolatori riconobbe che i meccanismi di assorbimento delle perdite disponibili all’epoca avevano fallito nel cogliere tempestivamente il deterioramento della qualità del credito dell’industria bancaria. In particolare, il ritardato riconoscimento delle perdite su crediti, secondo l’approccio sottostante al citato principio contabile IAS 39, venne criticato come un elemento di significativa debolezza negli standard contabili.
Le perdite sui crediti (e sulle altre attività finanziarie) venivano infatti registrate in ritardo: il criterio della “perdita subita” (incurred loss) – proprio dello IAS 39 - legava, infatti, le svalutazioni all’insorgere di un “fatto nuovo” (il c.d. trigger event) che dimostrasse la dubbia esigibilità dei flussi di cassa originariamente concordati: così, di fatto, andando a limitare la costituzione di riserve utilizzabili in futuro[3].
Pertanto, a seguito di queste considerazioni, agli enti regolatori (sia prudenziali che contabili) venne richiesta l’implementazione di misure che riducessero la prociclicità delle capacità di assorbimento delle perdite. 
Senza la pretesa di voler esaminare l’intero principio contabile, ci si vuole soffermare in questa sede sull’impatto che l’IFRS9 ha rispetto ai crediti bancari ed alla loro relativa valutazione (c.d. impairment). 
Come noto, questi ultimi possono essere raggruppati – ai fini della relativa esposizioni in bilancio nonché per il loro monitoraggio gestionale - in due distinte macro-categorie: i crediti performing (ovvero i crediti in bonis) ed i crediti non performing (ovvero i crediti deteriorati, a loro volta differenziabili tra crediti scaduti deteriorati, inadempienze probabili e sofferenze).
Nella vigenza dello IAS 39 l’approccio valutativo (c.d. impairment) dei crediti era basato su di un modello incurred loss (criterio della perdita subita) e poteva essere cosi riassunto:
a) per i crediti performing veniva richiesto di implementare una metodologia che fosse in grado di identificare e determinare le riduzioni di valore connesse al rischio di credito, sostenute ma non riportate (incurred but not reported). Trattandosi, dunque, di crediti in bonis, la logica delle perdite sostenute ma non contabilizzate richiedeva di appostare contabilmente un fondo svalutazione a fronte dei crediti che avevano già subito un evento di perdita, ma che il sistema di monitoraggio interno (di ciascuna banca), a causa di ritardi fisiologici nel meccanismo di identificazione delle perdite occorse, considerava ancora in bonis. Le prassi sviluppate nel tempo da ciascun intermediario hanno portato a quantificare detto fondo svalutazione sulla base dell’esperienza storica sulle perdite effettivamente conseguite per attività con caratteristiche tra loro omogenee su di un orizzonte temporale relativamente breve, ovvero 12 mesi (per completezza espositiva, va precisato che dette serie storiche potevano arrivare sino ad una durata di 8 anni);
b) i crediti non performing, invece, dovevano essere valutati imputando una stima di perdita ben maggiore, individuale per ciascuna esposizione, valutando il credito in base alla stima dell’importo recuperabile.
Rispetto a tutto ciò, il nuovo approccio valutativo introdotto dall’IFRS9 - c.d. expected loss - prevede un modello caratterizzato da una visione prospettica, che può richiedere la rilevazione immediata di tutte le perdite previste nel corso della vita di un credito. Tali perdite vanno stimate sulla base di informazioni supportabili, disponibili senza oneri o sforzi irragionevoli, e che includano dati storici attuali e prospettici.
In tale contesto le perdite attese (intese come il valore attuale di tutti i futuri mancati incassi o pagamenti, rilevato attraverso una stima pesata per le probabilità) possono dover essere contabilizzate subito indipendentemente dalla presenza o meno di un trigger event, e le stime devono essere continuamente adeguate anche in considerazione delle variazioni del rischio di credito della controparte, sulla base non solo di fatti e dati passati e presenti, ma anche e soprattutto di previsioni future, anche di tipo macroeconomico (c.d. foward looking approach)[4]. 
Le differenze con lo IAS 39 non potrebbero, pertanto, essere più significative[5]. Più in dettaglio, il modello di impairment previsto dall’IFRS9 prevede la classificazione dei crediti in tre livelli (o “stage”) a cui corrispondono distinte metodologie di calcolo delle perdite da rilevare.
Nel primo stage dovranno essere ricompresi i crediti sani (in bonis), quindi non deteriorati (ovvero performing) per i quali la valutazione di bilancio viene effettuata prevedendo un accantonamento pari alla perdita attesa misurata entro un orizzonte temporale di 12 mesi. 
Nel secondo stage verranno classificati i crediti che hanno subito un significativo incremento della rischiosità creditizia[6] rispetto alla rilevazione iniziale (ovvero alla data di loro erogazione) ma, comunque, non tale da divenire dei crediti deteriorati: in ordine a tali crediti, la perdita attesa verrà misurata su un orizzonte temporale che copre l’intera durata del credito sino alla sua scadenza («lifetime expected loss»).
In altri termini, ed è questa la vera novità introdotta dall’IFRS9, l’accantonamento che gli intermediari saranno chiamati ad effettuare per le posizioni di credito allocate in detto stage sarà ben più consistente giacché lo stesso – ovvero la stima di perdita attesa - non sarà calcolato su di un orizzonte temporale di 12 mesi (come nello stage 1) ma sull’intera durata residua del credito. Per esemplificare, per i rapporti di durata pluriennale, quali contratti di mutuo o contratti di leasing, questo significa che la perdita attesa, una volta accertato il significativo aumento del rischio, andrà calcolata sulla durata residua del finanziamento e, quindi, gli accantonamenti richiesti alle banche saranno ben più consistenti.
Nel terzo stage, infine, rientreranno tutti quei crediti per i quali l’aumento della rischiosità, dal momento della rilevazione iniziale (ovvero alla data di loro erogazione), è stato così alto da far considerare le attività «impaired», per le quali si sono verificati eventi tali da incidere negativamente sui flussi di cassa stimati futuri, come un mancato o ritardato pagamento[7].
Ciò accade in ragione di eventi successivi che rendano fondatamente incerta la esigibilità del credito come, ad esempio, ripetuti inadempimenti da parte del debitore rispetto alle proprie obbligazioni contrattuali se non, addirittura, la cessazione dei pagamenti o la sua insolvenza. Per tale categoria di crediti la perdita di valore – di tipo lifetime – andrà valutata in maniera analitica sulla base delle previsioni di recupero stimate considerando i termini contrattuali dei crediti e le eventuali garanzie che assistono l’esposizione creditizia. 
Più in dettaglio, banche ed intermediari saranno chiamati ad applicare il principio della rappresentazione veritiera e corretta sia per la stima dei flussi di cassa futuri sia per la valutazione delle garanzie reali. Il valore recuperabile stimato dovrà corrispondere all’importo calcolato tramite i criteri seguenti: a) il valore attuale dei flussi di cassa futuri stimati (escluse le perdite future non sostenute) attualizzato al tasso di interesse effettivo originale dell’attività finanziaria; b) la stima del valore recuperabile di un’esposizione assistita da garanzia riflette i flussi di cassa che possono derivare dalla liquidazione della garanzia.
La stima dei flussi di cassa futuri andrà effettuata sulla base di due approcci generali:
1) in uno scenario di continuità operativa (going concern), si assume che i flussi di cassa operativi del debitore, o del garante “effettivo” in linea con i principi della CRR, continuino a essere prodotti e possano essere utilizzati per rimborsare il debito finanziario a tutti i creditori. Tale approccio implica che le banche debbano svolgere un esame molto approfondito della situazione finanziaria del debitore, dei flussi di cassa disponibili, degli indicatori finanziari, dei piani aziendali, delle previsioni ecc..., per determinare i flussi di cassa futuri più realisticamente percepibili (così di fatto rendendo fondamentale la disponibilità di previsioni finanziarie per la valutazione delle esposizioni, in altri termini un costante e continuo flusso informativo tra impresa e banca). Inoltre, le garanzie possono essere escusse nella misura in cui ciò non influisca sui flussi di cassa operativi (ad esempio gli immobili offerti in garanzia possono essere escussi senza che ne risentano i flussi di cassa);
2) in uno scenario di cessazione dell’attività (gone concern) le garanzie sono invece escusse e i flussi di cassa operativi del debitore vengono meno. Ciò potrebbe verificarsi nei casi di seguito indicati: 
a) l’esposizione è scaduta da molto tempo. Vi è una presunzione relativa che l’accantonamento debba essere stimato in base al criterio di cessazione dell’attività quando gli arretrati superano i 18 mesi;
b) si stima che i flussi di cassa operativi futuri del debitore siano esigui o negativi;
c) l’esposizione è garantita in misura significativa e tali garanzie sono essenziali per generare i flussi di cassa;
d) l’applicazione dello scenario di continuità operativa eserciterebbe un impatto rilevante e negativo sull’importo recuperabile da parte dell’ente;
e) vi è un significativo grado di incertezza riguardo alla stima dei flussi di cassa futuri. Tale situazione si verificherebbe in caso di utili al lordo di interessi, imposte, deprezzamenti e ammortamenti (EBITDA) negativi nei due anni precedenti, oppure in presenza di carenze nei piani industriali degli anni passati (a causa di discrepanze rilevanti nei test retrospettivi);
f) sono disponibili informazioni insufficienti per svolgere un’analisi in ipotesi di continuità operativa (ove l’approccio di cessazione dell’attività sia ritenuto inadeguato, la banca dovrebbe valutare se sia ragionevole includere tali esposizioni nella valutazione collettiva della riduzione di valore).
Da ultimo, l’IFRS9 ha introdotto anche in maniera esplicita il concetto di write-off per cui, in relazione ad una esposizione creditizia, ove non sussistano ragionevoli aspettative di recuperare integralmente o parzialmente il valore contabile lordo di un’attività finanziaria (ovvero, ai nostri fini, di una esposizione di credito allocata a deteriorato), la stessa dovrà essere contabilmente cancellata. Anche le Linee Guida di BCE sui crediti deteriorati del 2017 pongono molta attenzione su tale profilo, in quanto la tempestività della rilevazione degli accantonamenti e della cancellazione dei crediti non recuperabili, per la Vigilanza, serve a rafforzare i bilanci bancari e permette agli intermediari di concentrarsi (nuovamente) sulla loro attività principale, costituita in particolare dal finanziamento dell’economia reale.
2 . Segnalazioni in Centrale dei Rischi
Le regole contabili finora descritte in ordine alla gestione e classificazione delle esposizioni creditizie si riflettono tout court nell’ambito della disciplina segnaletica (verso le Autorità di vigilanza), a cui banche e intermediari finanziari sono tenuti. In via preliminare, occorre ribadire che – a seguito delle Linee Guida EBA sull’applicazione della definizione di default (EBA/GL/2016/07) e del Regolamento delegato UE n. 171/2018 della Commissione Europea del 19 ottobre 2017 -, la classificazione delle esposizioni creditizie deteriorate dovrà essere effettuata in maniera univoca tra gli intermediari ricompresi nel perimetro delle segnalazioni di vigilanza su base consolidata e la valutazione sullo stato di deterioramento del debitore dovrà tener conto di tutti gli elementi informativi a disposizione del gruppo. Nelle segnalazioni di vigilanza su base individuale, il debitore esposto verso più componenti di un gruppo bancario o finanziario sarà dunque classificato nella medesima categoria di deterioramento.
In questa prospettiva, Banca d’Italia ha provveduto, mediante l’aggiornamento n. 20 dell’ottobre 2021, ad adeguare la disciplina di cui alla Circolare 139 dell’11 febbraio 1991, recante le disposizioni di vigilanza in materia di segnalazione presso la Centrale dei Rischi[8]. 
Così, ferma restando la segnalazione di ciascuna esposizione creditizia nella competente categoria di censimento tra quelle previste dalla disciplina della Centrale dei Rischi (ovvero, rischi autoliquidanti[9], rischi a revoca[10], rischi a scadenza[11]) al netto dell’eventuale segnalazione a sofferenza di una esposizione creditizia deteriorata - segnalazione che costituisce categoria a sè stante del tutto indipendente dalla categoria di originaria provenienza - ai fini della disciplina in esame, rileveranno in particolare le informazioni aggiuntive desumibili dalla c.d. «variabili di classificazione», ovvero qualificatori che connotano più dettagliatamente la natura e le caratteristiche delle operazioni che confluiscono nelle categorie di censimento. 
In altri termini, la classificazione di una esposizione creditizia come scaduta/sconfinate deteriorata o come inadempienza probabile non è oggetto di specifica ed immediata segnalazione presso la Centrale dei Rischi ma, piuttosto, il dato informativo viene fornito, all’interno delle citate variabili di classificazione, nella segnalazione mensile che ogni banca e intermediario effettuano. Dette variabili arricchiscono, pertanto, il contenuto informativo della rilevazione, ampliando il novero degli elementi di valutazione della posizione globale di rischio dei soggetti censiti. 
All’interno delle variabili di classificazione, nella sezione “stato del rapporto” – funzionale a fornire informazioni sulla situazione qualitativa delle esposizioni creditizie segnalate – troveranno allora evidenza le esposizioni creditizie classificate da ciascun intermediario segnalante come inadempienze probabili e/o gli inadempimenti (crediti scaduti e/o sconfinanti) persistenti. In particolare saranno classificati rispettivamente: a) come inadempienze probabili, le linee di credito concesse ad un debitore sul quale l’intermediario abbia espresso un giudizio circa l’improbabilità che adempia integralmente alle proprie obbligazioni (in linea capitale e/o interessi) senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie[12]; b) come inadempimenti persistenti, i crediti scaduti o sconfinanti in via continuativa da oltre 90 giorni (rectius crediti scaduti sconfinanti deteriorati secondo la nuova definizione di default, innanzi descritta) precisando che per tale classificazione si tiene conto del solo requisito della continuità e non si considerano né compensazioni con margini disponibili, esistenti su altre linee di credito concesse al medesimo debitore, né soglie di rilevanza.
Da ultimo, con riguardo all’attributo forborne performing o non performing, nessuna evidenza sarà desumibile dalla Centrale dei Rischi in quanto detto attributo, ove presente, viene alimentato da ciascuna banca o intermediario finanziario nelle diverse ed ulteriori segnalazioni di vigilanza.

Criteri segnaletici in caso di esposizioni creditizie interessate da procedure concorsuali
 
Analogamente a quanto disposto dalla Circolare 272 del 30 luglio 2008 (Matrice dei Conti) della Banca d’Italia[13], anche la disciplina sulla Centrale dei Rischi ha cura di precisare che a partire dalla rilevazione riferita alla data di presentazione della domanda di concordato preventivo “in bianco” sino all’omologa dello stesso le esposizioni del “debitore concordatario” devono essere classificate tra le inadempienze probabili. Le uniche eccezioni ammesse rispetto a tale regola sono le ipotesi in cui:
a) ricorrano elementi oggettivi nuovi[14] che inducano gli intermediari, nella loro responsabile autonomia, a classificare il debitore nell’ambito delle sofferenze;
b) l’esposizione sia già classificata in sofferenza al momento della presentazione della domanda.
Questi criteri segnaletici sono finalizzati a non frapporre ostacoli all’eventuale risanamento dell’impresa, in considerazione dell’attenuata disponibilità d’informazioni nel periodo intercorrente tra la domanda di concordato “in bianco” e la conoscenza dell’evoluzione della proposta.
Sulla base degli esiti della domanda di concordato (mancata approvazione ovvero giudizio di omologazione), la classificazione dell’esposizione andrà di conseguenza modificata secondo le regole segnaletiche ordinarie.
Medesimi criteri dovranno essere seguiti dagli intermediari anche per i procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento non aventi finalità liquidatoria. Ciò significa che, a partire dalla rilevazione mensile riferita alla data di presentazione della domanda di ammissione, le esposizioni del “debitore sovraindebitato” dovranno essere classificate tra le inadempienze probabili salvo che non ricorrano, anche qui, elementi oggettivi nuovi che inducano gli intermediari – nella loro responsabile autonomia -, a classificare il debitore nell’ambito delle sofferenze e/o l’esposizione sia già classificata in sofferenza al momento della presentazione della domanda. In caso di provvedimenti giudiziali di omologa ai sensi della legge n. 3/2012, a partire dalla rilevazione riferita al mese in cui è intervenuta l’omologa, ferma restando la classificazione come inadempienza probabile o sofferenza, gli importi segnalati dovranno essere adeguati a quanto stabilito dal giudice. 
Merita, infine, di essere segnalato un difetto di raccordo normativo tra la disciplina di vigilanza in tema di Centrale dei Rischi e la disciplina delle procedure concorsuali con particolare riguardo alla c.d. “finanza in prededuzione”, intendendosi per tali quei finanziamenti concessi da banche o intermediari finanziari a favore di imprese in concordato preventivo ex artt. 160 ss della legge fallimentare e/o che hanno sottoscritto accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis della legge fallimentare.
Infatti la disciplina della Centrale dei Rischi prevede una apposita categoria di censimento, denominata «finanziamenti a procedura concorsuale e altri finanziamenti particolari»nella quale devono essere segnalati i crediti, assistiti da una specifica causa di prelazione, concessi a imprese in procedura concorsuale segnalate a sofferenza. Tale evidenza consente di distinguere le nuove risorse finanziarie erogate all’impresa in crisi dagli affidamenti in essere antecedentemente all’instaurarsi della procedura che figurano tra le sofferenze.
Risulta evidente come questa previsione si limiti a regolare le sole ipotesi in cui la medesima banca o intermediario segnalante presso la Centrale dei rischi esposizioni allocate a sofferenza, proceda successivamente con l’erogazione, alla stessa controparte, di nuovi finanziamenti assisti dal beneficio della prededuzione ex art. 111 delle legge fallimentare. 
Di contro, non risulta regolamentata l’ulteriore ipotesi, oggi certamente più frequente (soprattutto con riguardo all’operatività delle merchant bank interessate a supportare aziende in crisi mediante nuova finanza prededucibile nell’ambito di processi di turnaround[15]), per cui la nuova finanza prededucibile viene erogata in favore di imprese in concordato preventivo o che hanno perfezionato accordi di ristrutturazione del debito, senza che la banca o l’intermediario finanziario erogante abbiano pregresse esposizioni, allocate a sofferenza, verso dette imprese.
Ne consegue che le segnalazioni presso la Centralee dei Rischi dei finanziamenti prededucibili concessi non potranno essere appostati nella specifica categoria «finanziamenti a procedura concorsuale e altri finanziamenti particolari» ma dovranno essere indicati all’interno di una delle altre ordinarie categorie segnaletiche (autoliquidante, a revoca, a scadenza), così, di fatto, andando a perdere l’elemento informativo, a favore del sistema e dei suoi utenti, evidentemente, del beneficio della prededuzione.
3 . Misure di concessione performing e non performing
La disciplina prudenziale che interessa le esposizioni creditizie (anche deteriorate), per come sinora descritta, si caratterizza anche per un ulteriore rilevante profilo costituito dalle previsioni in tema di “misure di concessione performing e non performing”.
E’ bene partire da una premessa fondamentale: quando si parla di misure di concessione performing e non performing, non si allude ad un terzo genus di classificazione di esposizione creditizia (sia essa o meno deteriorata) che venga ad aggiungersi alla tradizionale classificazione delle esposizioni creditizie in posizioni in bonis o deteriorate (queste ultime tripartite in scadute e/o sconfinanti deteriorati; inadempienze probabili (c.d. unilkely to pay); sofferenze).
Piuttosto, dette misure di concessione sono qualificabili più correttamente come “attribuzioni”, che come tali possono caratterizzare tanto esposizioni creditizie in bonis - ed allora parleremo di esposizioni in bonis oggetto di misure di concessione (performing) -, quanto di esposizioni deteriorate - ed allora parleremo di esposizioni deteriorate oggetto di misure di concessione (non performing) -.        
Il primario riferimento normativo in tale ambito è rappresentanto dagli ITS EBA, in particolare da quanto previsto dagli artt. 163 e seguenti dell’Allegato V del Regolamento di esecuzione UE n. 680/2014 che stabilisce norme tecniche di attuazione per quanto riguarda le segnalazioni degli enti a fini di vigilanza conformemente al Regolamento UE n. 575/2013 (CRR), per come successivamente modificato dal Regolamento UE 2015/227 del 9 gennaio 2015[16].
A tali previsioni hanno poi fatto seguito gli Orientamenti EBA in materia di gestione delle esposizioni deteriorate ed oggetto di concessione (EBA/GL/2018/06)[17] del 31 ottobre 2018 ed applicabili a far tempo dal 30 giugno 2019, nonché – più recentemente – il Regolamento UE 630/2019 del 17 aprile 2019[18] con il quale sono state apportate ulteriori modifiche (con integrazioni) al Regolamento UE 575/2013 (CRR) ed in particolare, ai fini che qui rilevano, i nuovi articoli 47 bis (Esposizioni deteriorate) e 47 ter (Misure di concessione).
Pertanto, si definiscono forborne le esposizioni nei confronti delle quali sono state accordate misure di forbearance, ossia misure di sostegno, in favore di: «debitori che affrontano, o sono in procinto di trovarsi in difficoltà ad adempiere ai propri impegni finanziari» (c.d. stato di difficoltà finanziaria). In linea generale le possibili misure di forbearance accordate al debitore possono ricadere nelle seguenti fattispecie:
a) una modifica dei termini e delle condizioni contrattuali su un’esposizione che la controparte non sarebbe in grado di ripagare, senza la concessione di nuovi termini o condizioni contrattuali che non sarebbero stati accordati se il cliente non si fosse trovato in difficoltà finanziaria;
b) il rifinanziamento parziale o totale di un contratto di debito problematico che non sarebbe stato accordato in assenza di difficoltà finanziaria della controparte.
A sua volta, l’art. 47 ter del CRR, innanzi menzionato, ha integrato tale definizione, disponendo che – in ogni caso – si dovrà ritenere di essere dinanzi ad una misura di forbearance al ricorrere di una o più delle seguenti ipotesi:
1) vengono convenuti nuovi termini contrattuali più favorevoli per il debitore rispetto ai termini contrattuali precedenti, nel caso in cui il debitore incontri o possa verosimilmente incontrare difficoltà nel rispettare i propri impegni finanziari; 
2) vengono convenuti nuovi termini contrattuali più favorevoli per il debitore rispetto ai termini contrattuali offerti nello stesso momento dallo stesso intermediario a debitori con lo stesso profilo di rischio, nel caso in cui il debitore incontri o possa verosimilmente incontrare difficoltà nel rispettare i propri impegni finanziari; 
3) ai sensi dei termini contrattuali iniziali l'esposizione è stata classificata come esposizione deteriorata prima della modifica dei termini contrattuali o sarebbe stata classificata come esposizione deteriorata in assenza di modifica dei termini contrattuali; 
4) la misura comporta la cancellazione totale o parziale dell'obbligazione debitoria; 
5) la banca creditrice approva l'applicazione delle clausole che consentono al debitore di modificare i termini contrattuali e l'esposizione è stata classificata come esposizione deteriorata prima dell'applicazione delle relative clausole, o sarebbe classificata come esposizione deteriorata se le clausole non fossero esercitate;
6) al momento o in prossimità della concessione del credito il debitore ha effettuato pagamenti di capitale o interessi per un'altra obbligazione debitoria nei confronti della stessa banca classificata come esposizione deteriorata o che sarebbe stata classificata come esposizione deteriorata in assenza di detti pagamenti; 
7) la modifica dei termini contrattuali prevede il rimborso effettuato mediante presa di possesso della garanzia reale, se la modifica costituisce una concessione.
Risulta, quindi, subito chiaro che l’obiettivo ultimo delle misure di forbearance è quello di permettere di riportare l’esposizione creditizia in una situazione di rimborso sostenibile e, per le esposizioni classificate a credito deteriorato (tipicamente le inadempienze probabili), porre le basi per una regolarizzazione stabile nel tempo e successivo rientro in bonis[19]
Potremo, allora, avere due distinte ipotesi operative. La prima avrà per oggetto la concessione di misure di forbearence rispetto a debitori classati in bonis che tuttavia, anche prospetticamente, rischiano di trovarsi (anche per ragioni esterne, quale ad esempio il cambio dello scenario macroeconomico) nella potenziale difficoltà di adempiere ai propri impegni di rimborso del debito[20]. Ebbene, ricorrendo detta ipotesi, la banca potrebbe valutare di concedere misure di forbearance (tipicamente, ad esempio, una moratoria sull’ammortamento del finanziamento) ma comunque mantenere la posizione in bonis con l’evidenza delle misura di forbearance accordata, beninteso sempre che non ricorrano valutazioni ulteriori che inducano la banca a classificare la posizione di rischio come credito deteriorato.
Dall’altro lato, occorre tuttavia distinguere da tale fattispecie la diversa ipotesi operativa nella quale la banca arrivi a riconoscere ad una propria controparte una misura di concessione senza che quest’ultima si trovi in una situazione attuale o potenziale di “difficoltà finanziaria”. Queste concessioni, spesso, hanno come razionale non già una situazione di difficoltà del debitore quanto, piuttosto, rivestono i caratteri di concessioni di natura puramente “commerciale” che le banche possono valutare di riconoscere nell’ambito dell’ordinaria relazione commerciale tra le parti. 
Tipicamente, potrebbe capitare l’ipotesi per cui la banca concede al proprio cliente una riduzione del tasso di interesse sul finanziamento ipotecario in regolare ammortamento perché il cliente ha manifestato la propria volontà di surrogare il finanziamento presso altro intermediario (che ha offerto condizioni economiche più vantaggiose). In simili casi nessuna misura di forbearance è da ritenersi assegnata e, quindi, nessun attributo deve essere valorizzato sulla posizione di rischio.
Decisamente articolata, invece, risulta essere l’ipotesi operativa avente per oggetto la concessione di misure di forbearance rispetto a debitori classati a credito deteriorato. Le esposizioni deteriorate oggetto di misure di concessione cessano di essere classificate come esposizioni deteriorate se sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: 
a) le esposizioni non sono più in una situazione che ne determinerebbe la classificazione come esposizioni deteriorate; 
b) è trascorso almeno un anno (c.d. cure period) dalla data in cui sono state accordate le misure di concessione o, se posteriore, dalla data in cui le esposizioni sono state classificate come esposizioni deteriorate; 
c) dopo l'applicazione delle misure di concessione non vi sono importi in arretrato e la banca, sulla base dell'analisi della situazione finanziaria del debitore, è convinta che verosimilmente vi sarà il rimborso integrale dell'esposizione alla scadenza[21]. 
Una volta che tutte le predette condizioni saranno state rispettate l'esposizione deteriorata che ha cessato di essere classificata come tale sarà “in prova” fino a quando siano soddisfatte tutte le seguenti ulteriori condizioni: 
a) saranno trascorsi almeno due anni (c.d. probation period) dalla data in cui l'esposizione oggetto di misure di concessione è stata riclassificata come esposizione in bonis
b) sono stati effettuati pagamenti regolari e a scadenza per almeno la metà del periodo in cui l'esposizione è in prova, con conseguente pagamento di un sostanziale importo aggregato di capitale o interessi;
c) nessuna delle esposizioni verso il debitore è scaduta da oltre 30 giorni.
Se, poi, le condizioni di cui sopra non risulteranno soddisfatte alla fine del periodo di prova (di due anni), l’esposizione continuerà ad essere indicata come esposizione in bonis oggetto di misure di forbearance in prova fino a quando sono soddisfatte tutte le condizioni. Le condizioni dovranno essere valutate almeno su base trimestrale.
4 . Valutazione, monitoraggio e gestione dei crediti deteriorati
Il complesso della disciplina prudenziale che riguarda i crediti bancari deteriorati non si limita unicamente a perseguire gli obiettvi di una puntuale rilevazione del deterioramento delle esposizioni creditizie e conseguente corretta classificazione (e svalutazione) a fini di bilancio ma, e non potrebbe essere diservamente, mira a perseguire un ulteriore fondamentale obiettivo: ovvero far sì che le banche e gli intermediari finanziari siano sufficientemente attrezzati per assicurare una efficiente gestione e monitoraggio dei crediti deteriorati nella duplice prospettiva di assicurare, ove concretamente fattibile, il rientro in bonis di esposizioni deteriorate e, in caso di definitivo default, massimizzare il recovery, anche escutendo le eventuali garanzia che assistono il credito[22].
In questa prospettiva, le Linee Guida per le banche sui crediti deteriorati emanate dalla BCE nel marzo 2017 hanno cura di richiedere alle banche (soprattutto, ma non solo, per quelle con elevati stock di Npl) la defizione di una propria strategia di gestione dei crediti deterioriati che - in modo chiaro, credibile e praticabile - definisca gli obiettivi strategici ai fini della loro riduzione fissando precise scadenze, ovvero in un orizzonte temporale prefissato che sia realistico ma anche sufficientemente ambizioso[23].
A tal fine, l’impianto di base richiesto per l’elaborazione e l’attuazione della strategia di gestione degli Npl dovrà includere, de minimis:
1) una valutazione del contesto operativo, fra cui capacità interna di gestione degli Npl, condizioni esterne aventi un impatto sul recupero degli Npl e implicazioni patrimoniali per la banca; 2) l’elaborazione della strategia in termini di sviluppo della capacità operativa (sul piano qualitativo) e riduzioni previste degli Npl (sul piano quantitativo) in un orizzonte rispettivamente di breve, medio e lungo termine; 3) qualsiasi modifica necessaria nella struttura organizzativa della banca funzionale ad assicurare l’attuazione del piano operativo; 4) la piena integrazione della strategia per gli Npl nei processi gestionali della banca, con regolare riesame e monitoraggio indipendente[24].
La valutazione del contesto operativo, sia interno che esterno[25], richiederà che siano adeguatamente considerati molteplici aspetti tra i quali spiccano, in particolare, la conduzione di un preliminare esercizio di autovalutazione finalizzato ad individuare i punti di forza, le lacune significative e qualsiasi ambito di miglioramento per poter conseguire i rispettivi obiettivi di riduzione dello stock di Npl. 
Più in dettaglio, l’esercizio di autovalutazione dovrà tenere in debita considerazione la dimensione e l’evoluzione dello stock di Npl, l’esito delle misure di gestione degli Npl adottate nel passato, nonché le capacità operative (quali procedure, strumenti, qualità dei dati, informatizzazione/automazione, personale/competenze professionali, processo decisionale, politiche interne e qualsiasi altro ambito rilevante per l’attuazione della strategia) per le varie fasi del processo di lavorazione degli Npl, che considerino anche i seguenti aspetti:
• strumenti di early warning[26] (allerta precoce) e individuazione/rilevazione degli Npl; 
• misure di concessione (forbearence); 
• accantonamenti; 
• valutazione delle garanzie; 
• recupero dei crediti/procedimenti giudiziari/escussione delle garanzie; 
• gestione delle garanzie escusse (se rilevante); 
• segnalazione e monitoraggio degli Npl ed efficacia delle misure di recupero.
Una volta terminata la fase preliminare di assestment, ciascun intermediario sarà in condizione di procedere con la definzione della “propria” strategia di gestione degli Npl incorporante gli obiettivi quantitativi da conseguirsi entro un limite di tempo ed accompagnati dal relativo piano operativo completo. 
Circa quest’ultimo, la stessa BCE ha cura di formulare diversi esempi[27] di piani operativi adottabili dagli intermediari ribadendo, tuttavia, il suggerimento che gli stessi non si limitino ad adottare un unico (rigido) piano operativo ma, piuttosto, includano una composizione di strategie/opzioni atte a conseguire nel miglior modo i rispettivi obiettivi a breve, medio e lungo termine, eventualmente vagliando quali opzioni siano più vantaggiose per i diversi portafogli di Npl e nelle diverse circostanze.
A quel punto, identificate le strategie da seguire nelle gestione dei crediti Npl, ciascun intermediario potrà procedere con la definizione del proprio piano operativo (approvato dal consiglio di amministrazione[28]) che dovrà chiaramente definire le modalità con le quali le banche attueranno sul piano operativo le rispettive strategie di gestione, in un orizzonte di almeno 1-3 anni (a seconda del tipo di misure operative richieste).
Il piano operativo dovrà poggiare su politiche e procedure adeguate, una chiara attribuzione delle competenze e strutture di governance idonee (incluse procedure di escalation, ovvero di comunicazione con la gerarchia superiore) e governare dettagliatamente tutti i seguenti profili: 1) chiare finalità e chiari obiettivi con precise scadenze; 2) attività da svolgere articolate sulla base della segmentazione di portafoglio; 3) assetto di governance, inclusi attribuzioni e meccanismi di reportistica per le attività identificate e i relativi risultati; 4) standard qualitativi che possano assicurare il conseguimento di risultati; 5) eventuali esigenze in termini di organico e risorse; 6) piano per il necessario rafforzamento dell’infrastruttura tecnica; 7) previsioni di spesa a livello granulare e consolidato per l’attuazione della strategia per gli Npl; 8) piano di interazione e comunicazione con controparti interne ed esterne (ad esempio per le cessioni, per il servicing, per il miglioramento dell’efficienza).
Ovviamente, sia la strategia che il connesso piano operativo dovranno essere riesaminati periodicamente, al fine di verificarne tempo per tempo l’efficacia rispetto agli obiettivi definiti. 
L’aspetto gestionale dei crediti Npl rappresenta, evidentemente, una delle principali chiavi di successo (o insuccesso) nella realizzazione della strategia e del piano operativo di gestione di tali crediti. In questo senso le possibilità operative per le banche si sono decisamente ampliate in questi ultimi anni. Rispetto infatti ad un modello standard di gestione “interna”[29] dei crediti deteriorati sono cresciute esponenzialmente soluzioni alternative, quali ad esempio la gestione c.d. “esterna” (in outsourcing) comportante l’assegnazione dei crediti (soprattutto per le sofferenze) a società di recupero del credito nonché la cessione di crediti deteriorati a terzi operatori specializzati (ad es banche specializzate in gestione di npl)[30] ovvero ancora, più recentemente, la finanziariazzazione dei crediti deteriorati mediante processi di cartolarizzazione (ex legge n. 130/99), eventualmente assistite da garanzie pubbliche, c.d. GACS[31]. Nella stessa direzione la cessione a fondi comuni di investimento alternativi cosiddetti “ad apporto” di crediti deteriorati (sia Utp che sofferenze)[32]. Anche la Banca d’Italia, in analogia con quanto disposto dalle Linee Guida BCE, ha provveduto ad emanare nel gennaio 2018 le proprie Linee guida per le banche italiane less significant (ovvero non soggette, per ragioni dimensionali, alla vigilanza della BCE) per la gestione dei crediti deteriorati[33]. 
Il documento riproduce puntualmente lo schema seguito dalla BCE seppur con talune semplificazioni che, in applicazione del principio di proporzionalità, tengono conto delle esigenze di maggiore semplicità dell’assetto organizzativo delle banche sottoposte alla vigilanza diretta della Banca d’Italia. Sebbene si tratti ancora una volta di disposizioni non vincolanti, le banche sono comunque tenute a spiegare e motivare, dietro richiesta dell’Autorità di vigilanza, gli eventuali scostamenti tra la gestione aziendale dei crediti deteriorati e quella auspicata dalle Linee guida.
5 . Definizione di default, calendar provisioning e relative conseguenze sulle politiche creditizie
Con l’emanazione del Regolamento UE n. 575/2023, denominato per brevità CRR (Capital Requirement Regulation)[34] è stata introdotta una nuova definizione prudenziale di default a cui le banche e gli altri intermediari finanziari sono tenuti ad uniformarsi. L’art. 178 del CRR, in particolare, prevede che ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali minimi obbligatori, i debitori siano classificati in default al ricorrere di almeno una delle seguenti condizioni:
a) condizione oggettiva: il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni nel pagamento di un’obbligazione rilevante;
b) condizione soggettiva: la banca giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alla sua obbligazione (unlikeliness to pay),
assegnando, nel contempo, all’EBA ed alla Commissione UE il compito di definire ed adottare le ulteriori regole di dettaglio. In esecuzione di tale delega, le citate Autorità hanno provveduto, rispettivamente, ad emanare le ulteriori regole che hanno concorso a definire il nuovo framework in tema di classificazione in default di posizioni di rischio, ovvero: le Linee Guida EBA sull’applicazione della definizione di Default (EBA/GL/2016/07)[35], in vigore dal 1° gennaio 2021 ed il Regolamento delegato UE 171/2018 della Commissione europea del 19 ottobre 2017, che individua la c.d. «soglia di rilevanza» delle obbligazioni creditizie in arretrato[36]. In virtù degli interventi normativi citati si giunge così ad una struttura normativa complessa in forza della quale, stante il combinato disposto di più norme, si definiscono condizioni oggettive e soggettive affinchè un debitore possa considerarsi in default e soglie di rilevanza il cui superamento rende effettivo lo status nelle disposizioni menzionate definito.
Venendo ad esaminare, alla luce del nuovo quadro regolamentare, la prima ipotesi di default definita dall’art. 178 del CRR, un debitore verrà considerato e, conseguentemente classificato in default, da una banca o da intermediario finanziario, allorquando risulti in arretrato – per un termine di oltre 90 giorni (beninteso consecutivi)[37] - nel pagamento di una obbligazione rilevante (c.d. credito scaduto o sconfinante deteriorato).
Ci si deve in primo luogo interrogare cosa si voglia intendere per «obbligazione rilevante» e quando, per l’appunto, possa dirsi verificata detta rilevanza. Le Linee Guida EBA e, soprattutto, il Regolamento delegato n. 171/2018, hanno provveduto a definire – in concreto – dette soglie di rilevanza, differenziando le stesse a seconda della natura della controparte (clientela retail alla quale, per certi versi sono equiparate anche le PMI, e clientela non retail). Più in dettaglio, il Regolamento Delegato ha definito due soglie di rilevanza espresse: i) in termini assoluti: 100 euro per le esposizioni al dettaglio (retail) e 500 euro per le altre esposizioni; ii) in termini relativi: 1% dell'importo complessivo di tutte le esposizioni verso il debitore facenti capo agli intermediari creditizi e finanziari appartenenti a un medesimo perimetro di consolidamento prudenziale[38] (non rilevando le esposizioni in strumenti di capitale); questa soglia è la stessa sia per le esposizioni al dettaglio che per le altre diverse esposizioni[39].
Pertanto, sarà considerata in default la complessiva esposizione di un debitore verso una banca o un intermediario finanziario allorquando le due soglie sub i) e ii) siano state entrambe superate per un periodo di tempo – continuativo – di 90 giorni. Ricorrendo questi presupposti l’esposizione creditizia assumerà la qualificazione di “credito scaduto/sconfinante deteriorato” ovvero in default, con conseguente allocazione della stessa da parte dell’intermediario, ai sensi dell’IFRS9, in stage 3[40]. Le Guidelines EBA hanno, altresì, previsto la facoltà per le banche e gli intermediari di adottare per le sole esposizioni al dettaglio (retail) una modalità alternativa di applicazione della definizione di default. Infatti, viene ammessa la possibilità che le esposizioni scadute/sconfinanti possano essere determinate anziché a livello di singolo debitore (quindi ricomprendendo il complesso delle esposizioni che il debitore ha verso l’intermediario), a livello di singola transazione. 
In tal caso, avremo che l'esposizione scaduta o sconfinante deve essere rilevata come scaduta e/o sconfinante qualora superi entrambe le seguenti soglie di rilevanza: a) limite assoluto pari a 100 euro; b) limite relativo dell’1% dato dal rapporto tra l’ammontare complessivo scaduto o sconfinante e l’importo complessivo dell’intera esposizione creditizia, fermo restando che il requisito del superamento delle soglie deve persistere per 90 giorni consecutivi. 
Qualora, poi, l’intero ammontare di un’esposizione creditizia scaduta e/o sconfinante da oltre 90 giorni, rapportato al complesso delle esposizioni verso il medesimo debitore, sia pari o superiore al 20%, il complesso delle esposizioni creditizie per cassa e “fuori bilancio” verso tale debitore va considerato come esposizione scaduta e/o sconfinante (c.d. «pulling effect»)[41].
Le nuove regole sulla definizione di default introducono significative novità anche con riferimento al tema dei cc.dd. past due tecnici, ovvero quelle situazioni di scaduto/sconfinamento prolungato che tuttavia non rappresentano un reale default della controparte.
Le Guidelines EBA circoscrivono invece tale fattispecie a situazioni nelle quali i ritardi nei pagamenti da parte del debitore sono connessi esclusivamente a problemi tecnici di registrazione nei sistemi informativi della banca e non a ragioni legate al rischio di credito della controparte o al suo comportamento nella gestione dei pagamenti, prescrivendo che detti problemi siano identificati, registrati e rettificati[42]. A titolo di esempio, tali situazioni possono verificarsi quando vi siano comprovati errori nelle procedure della Banca o malfunzionamenti nel sistema di pagamenti, o quando l’attribuzione di un pagamento al conto interessato avviene con qualche ritardo rispetto alla ricezione del flusso stesso.
Simile radicale cambiamento di impostazione avrebbe potuto generare impatti molto rilevanti e non sono mancate vibranti proteste anche a livello associativo. Gli effetti, invece, sono risultati meno significativi alla luce delle evoluzioni degli ultimi anni, in cui sono stati sviluppati (e tuttora sono in continuo affinamento) da parte di banche e intermediari specifici sistemi di early warning che intercettano le posizioni in arretrato ben prima della scadenza dei 90 giorni, permettendo il rientro, prima del superamento delle soglie, delle situazioni non caratterizzate da effettive difficoltà di rimborso.
Come innanzi precisato, l’art. 178 del CRR prevede un’ulteriore ipotesi di default quando la banca, sulla base di una propria autonoma valutazione, giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alla sua obbligazione (unlikeliness to pay). In questa prospettiva, le Guidelines EBA individuano una serie di fattispecie (c.d. «UTP trigger») nelle quali si può presumere che il requisito soggettivo sia verificato, cosi di fatto armonizzando (o forse sarebbe più corretto dire eliminando) la discrezionalità riconosciuta agli intermediari circa la possibilità di ricondurre una posizione unlikely to pay nel novero di quelle in default.
Si segnalano, in particolare, le ipotesi nelle quali si sia verificata una «ristrutturazione onerosa»[43] del debito che comporti una remissione sostanziale di questo ovvero un differimento dei pagamenti in linea capitale, interessi o commissioni con una perdita superiore all’1% del debito originario, ovvero il fallimento del debitore, la presenza di accantonamenti specifici sull’esposizione secondo i principi contabili IFRS9, nonché la perdita di fonti di reddito e l’aumento del livello di leva finanziaria.
Peraltro, rispetto agli UTP trigger identificati dalle Guidelines EBA meritano di essere menzionate anche le ulteriori indicazioni fornite, sotto il cappello delle previsioni di cui all’art. 178 del CRR, dalla Banca d’Italia nella Circolare 272/2008 (Matrice dei Conti) alla Sezione B), Capitolo 2, “Qualità del credito”, paragrafo 2.1. “Esposizioni creditizie deteriorate”, con specifico riguardo alle ipotesi in cui il debitore faccia ricorso a procedure di concordato preventivo ex art. 160 legge fall. ovvero accordi di ristrutturazione ex art 182-bis legge fall. 
Ricorrendo simili circostanze, infatti, secondo Banca d’Italia, il complesso delle esposizioni verso debitori che hanno proposto il ricorso per concordato preventivo c.d. “in bianco”(art. 161 della Legge Fallimentare) andrà segnalato tra le inadempienze probabili (unlikely to pay) dalla data di presentazione della domanda e sino a quando non sia nota l’evoluzione dell’istanza (ad esempio, trasformazione in concordato “pieno” o in Accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis della Legge Fallimentare). Resta comunque fermo che le esposizioni in questione dovranno essere classificate tra le sofferenze: a) qualora ricorrano elementi obiettivi nuovi che inducano gli intermediari, nella loro responsabile autonomia, a classificare il debitore in tale categoria; b) le esposizioni erano già in sofferenza al momento della presentazione della domanda. 
Analoghi criteri, prosegue Banca d’Italia, si applicheranno nel caso di domanda di concordato con continuità aziendale (art. 186-bis della Legge Fallimentare), dalla data di presentazione sino a quando non siano noti gli esiti della domanda. 
In quest’ultimo caso la classificazione delle esposizioni andrà modificata secondo le regole ordinarie. Qualora, in particolare, il concordato con continuità aziendale si realizzi con la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il suo conferimento in una o più società (anche di nuova costituzione) non appartenenti al gruppo economico del debitore, l’esposizione va riclassificata nell’ambito delle attività non deteriorate
Tale possibilità è invece preclusa nel caso di cessione o conferimento a una società appartenente al medesimo gruppo economico del debitore, nella presunzione che nel processo decisionale che ha portato tale ultimo a presentare istanza di concordato vi sia stato il coinvolgimento della capogruppo/controllante nell’interesse dell’intero gruppo. In tale situazione, l’esposizione verso la società cessionaria continua a essere segnalata nell’ambito delle attività deteriorate.
Un’ulteriore novità connessa alla nuova definizione di default attiene al c.d «contagio del default», in forza del quale, qualora sia applicata la nozione di default non a livello di singola linea ma a livello di singolo debitore – in caso di obbligazioni congiunte -, se il rapporto cointestato è in default il contagio si estende alle esposizioni dei singoli cointestatari: mentre se tutti i cointestatari sono in default il contagio si estende automaticamente alle esposizioni oggetto della cointestazione, salvo le eccezioni prevista dal paragrafo 97 delle Guidelines EBA[44]. Ciò anche alla luce del fatto che ora, se un cliente viene qualificato come in default presso una società del gruppo bancario, tale qualificazione si estende a tutte le società del gruppo ricomprese nel consolidamento, con conseguente attribuzione della medesima classificazione anche alle altre esposizioni detenute dal medesimo cliente presso i diversi intermediari facenti parte del medesimo gruppo.
Da ultimo, la disciplina in commento regola le ipotesi di rientro in bonis da una situazione di default prevedendo specifiche attività di controllo e introducendo un periodo minimo di mantenimento delle condizioni di “regolarizzazione” - il c.d. cure period -, in analogia a quanto già previsto per le esposizioni oggetto di misure di forbearance (sebbene di durata inferiore).
In particolare, viene introdotto un periodo di tre mesi dal momento della sistemazione degli elementi che hanno generato il default, ovvero il rientro dalla situazione di sconfinamento, nel corso del quale il cliente dovrà mantenere una situazione di regolarità, che l’intermediario sarà tenuto a monitorare. 
E’ chiaro quindi l’obiettivo della previsione: ridurre i rischi di eccessiva volatilità nei passaggi di stato (visto che, in assenza di validi e robusti elementi a sostegno del miglioramento della capacità di rimborso del cliente, vi è il concreto rischio di un successivo, ulteriore default). 
Il monitoraggio riguarderà anche le eventuali nuove esposizioni sorte successivamente al passaggio a default, in particolare nel caso in cui i crediti in default successivamente siano stati venduti o annullati. Anche tutte le posizioni “propagate” dal default del cliente, se non presentano propri elementi di criticità, seguiranno il medesimo iter.
Le banche, pertanto, dovranno monitorare con grande attenzione l’intero percorso temporale di “sistemazione” del debitore principale e degli eventuali soggetti connessi, al fine di rilevare eventuali ulteriori sconfinamenti oltre le soglie di materialità.
Per le posizioni di rischio oggetto di ristrutturazione onerosa i paragrafi 72 e 73 delle Guidelines EBA prescrivono che indipendentemente dal fatto che tale ristrutturazione sia stata effettuata prima o dopo l’individuazione del default, le banche dovrebbero considerare che nessun indicatore del default continui ad applicarsi a una esposizione precedentemente in stato di default, nel caso in cui sia trascorso almeno un anno dall’ultimo di uno dei seguenti eventi: (a) il momento della concessione delle misure di ristrutturazione; (b) il momento in cui la esposizione è classificata come in stato di default; (c) la fine del periodo di tolleranza incluso negli accordi di ristrutturazione[45].
 
Calendar provisioning
 
Tutta la regolamentazione finora esaminata in tema di crediti bancari (e relativa classificazione) avrebbe poco o nessun pregio se non beneficiasse – a monte – di quello che, a tutti gli effetti, può essere ritenuto uno degli interventi regolatori più dirompenti e invasivi della Vigilanza europea, ovvero l’introduzione del calendar provisioning[46]. 
Il calendar provisioning nasce dall’esigenza della Banca Centrale Europea di migliorare la qualità degli attivi delle banche riducendo le esposizioni non performing in modo sostenibile, attraverso un piano graduale di accantonamento prudenziale. Esso si inserisce, peraltro, in un percorso, iniziato con le Linee Guida per le banche sui crediti deteriorati del marzo 2017[47], con cui la BCE richiamava le banche a porre particolare attenzione sulla identificazione delle esposizioni non performing, sulla gestione delle stesse, sulla governance e sull’assetto organizzativo del processo di recupero. 
In particolare, la BCE, nelle citate Linee Guida sottolineava l’importanza di una «contaminazione virtuosa» tra le due fasi di vita del credito, erogazione e recupero, «attraverso un meccanismo di regolare interazione, ad esempio per lo scambio di informazioni rilevanti ai fini della pianificazione degli afflussi di NPL, oppure per la condivisione di esperienze nel recupero degli NPL di cui tenere conto nell’erogazione dei nuovi prestiti». In sostanza, le banche dovrebbero tener conto delle evidenze delle attività di recupero nel predisporre strategie di erogazione più efficienti, volte a ridurre sia lo “scivolamento” verso lo stato di default che la perdita finale (ad esempio, limitando la esposizione verso alcuni settori merceologici, richiedendo garanzie personali o reali per le operazioni più impattanti sulla stima della perdita attesa, ridisegnando i prodotti di finanziamento utilizzati nelle proprie politiche creditizie oppure limitandone l’erogazione solo a determinate tipologie di clientela). 
E’ corretto, pertanto, ritenere che le misure previste dal calendar provisioning non riguardano solo la gestione delle esposizioni già deteriorate, ma indirettamente si pongono l’obiettivo di contribuire a prevenirle (o almeno di ridurne l’impatto) già in fase di erogazione del finanziamento. 
Esse rafforzano la necessità di sviluppare strumenti che, già in fase di valutazione di una richiesta di finanziamento, permettano, al tempo, di ridurre il rischio di un passaggio a non performing (ad esempio, attraverso migliore capacità di stima e selezione del rischio oppure agendo su parametri del finanziamento come la durata e/o l’importo dello stesso) e di contenerne l’impatto in termini di perdita attesa ed assorbimento di capitale, mitigando anche gli impatti dei coefficienti di copertura minimi predisposti dalla BCE (ad esempio, favorendo esposizioni coperte da garanzie ammissibili che beneficiano di un calendario di svalutazione più graduale).
Le Linee Guida del marzo 2017 sono state successivamente integrate nel marzo 2018 dalla BCE mediante l’Addendum sui crediti deteriorati[48], il quale prevede che, in funzione del tempo trascorso dal momento della classificazione come non-performing, le esposizioni deteriorate siano soggette a requisiti minimi di copertura, da conseguirsi attraverso rettifiche di valore o tramite deduzione dal patrimonio di vigilanza. 
Si tratta, in ogni caso, di un sistema di aspettative di vigilanza aventi valore non vincolante e suscettibili di modifica nell’ambito del “dialogo” tra vigilanza e intermediari vigilati, ma che il Single Supervisory Mechanism (di seguito SSM) intende applicare in modo tendenzialmente rigoroso e uniforme.
Il meccanismo, concepito per essere applicato ai soli nuovi crediti deteriorati emersi a partire dall’aprile 2018, nel luglio del medesimo anno, è stato esteso – con un comunicato del SSM – anche allo stock di non-performing loan (“NPL”1) preesistenti, che dovranno anch’essi essere assoggettati a piena copertura, tendenzialmente, entro il 2026, secondo tempi diversi per le singole banche, da definire nell’ambito dell’annuale “supervisory review and evaluation process” (“SREP”)[49].
In forza di ciò, i crediti deteriorati emersi a far tempo dall’aprile 2018 dovranno essere svalutati al 100% per la parte del credito non garantita entro 2 anni dalla classificazione come Npe (non performing exposure). Di contro, per la parte del credito assistita da garanzie la svalutazione sarà più graduale secondo la seguente ripartizione: 
·  al 40% dopo 3 anni dalla classificazione con Npl; 
·  al 55% dopo 4 anni dalla classificazione con Npl;
·  al 70% dopo 5 anni dalla classificazione con Npl;
·  all’85% dopo 6 anni dalla classificazione con Npl;
·  al 100% dopo 7 anni dalla classificazione con Npl.
Le iniziative della BCE hanno successivamente suscitato riserve da parte del Legislatore europeo. Per questo, nell’aprile 2019, la materia è stata oggetto del Regolamento UE 2019/630, che modificando in parte il Regolamento UE 575/2013 (CRR) recante i requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento ha introdotto un sistema di calendar provisioning obbligatorio (detto “backstop”) sui soli crediti erogati successivamente all’entrata in vigore del provvedimento. 
In altri termini, con il Regolamento UE 2019/630[50] è stata introdotta una nuova disciplina in tema di copertura minima per le NPE, la quale impone un sistema di deduzione dal common equity Tier 1 (CET1) di ciascuna banca nella misura in cui non siano stati raggiunti determinati livelli di copertura minimi previsti dalla nuova normativa. Tale quadro regolamentare, inserito nel primo pilastro, non prevede margini di flessibilità (al contrario, quindi, delle aspettative di vigilanza di cui all’Addendum del 2018 della BCE, formalmente non vincolanti) e si applica ai soli Npl generati da crediti erogati a partire dal 26 aprile 2019.
Tenuto conto delle modifiche introdotte dal Legislatore europeo, BCE, a sua volta, con l’obiettivo di realizzare un coordinamento tra le varie disposizioni, nonché rimediare alla sopravvenuta esistenza di due sistemi di regole sulla copertura minima delle Npl, non del tutto coerenti tra loro, ha provveduto, nell’agosto 2019, ad emanare un nuova Comunicazione in merito alle aspettative di vigilanza sulla copertura delle NPE[51], chiarendo gli aspetti inerenti agli orientamenti sulle NPE pubblicati dall’EBA, fornendo maggiori dettagli in merito alle aspettative di vigilanza della BCE sugli accantonamenti per le consistenze di NPE e, soprattutto, illustrando l’interazione tra le aspettative della BCE relative alla copertura delle NPE nell’ambito del “secondo pilastro” e le norme prudenziali di “primo pilastro” coordinando, nella tabella di seguito riprodotta, le tempistiche di svalutazione delle esposizioni creditizie deteriorate secondo i due approcci regolamentari.[52]
 
Comparazione della calibrazione fra il trattamento delle NPE nell’ambito del primo pilastro (CRR) ed Addendum BCE.

tabella
6 . L’impatto degli strumenti di regolazione della crisi sull’erogazione del credito bancario
Con il d.l 24 agosto 2021 n. 118, successivamenti convertito dalla Legge 21 ottobre 2021 n. 147, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, Serie generale n. 254 del 23 ottobre 2021, il Legislatore nazionale, oltre a disporre il rinvio del termine di entrata in vigore del Codice della Crisi e dell’Insolvenza[53] e ad apportare talune rilevanti modifiche all’attuale legge fallimentare (R.D. 267/1942), ha provveduto ad introdurre nell’ordinamento l’innovativa procedura della Composizione negoziata per la soluzione delle crisi d’impresa[54] (di seguito, per brevità la “Composizione negoziata”), quale strumento messo a disposizione dell’imprenditore versante in una situazione di «probabile crisi o insolvenza», finalizzato al superamento della stessa tramite un accordo con uno o più creditori da raggiungersi grazie all’intermediazione di un terzo, esperto indipendente, ed alla messa a disposizione di una serie di benefici (per l’imprenditore), finalizzati a sollecitare l’interesse delle parti coinvolte al raggiungimento di una soluzione non conflittuale. Stante la novità, risulta interessante riflettere sull’impatto che il ricorso da parte dell’imprese a detta procedura può eventuamente avere rispetto alle poltiche creditizie delle banche. In primo luogo, pur non essendo la Composizione negoziata una procedura propriamente “concorsuale”, approcciando la stessa dal punto di vista della regolamentazione prudenziale, non può non valorizzarsi il presupposto oggettivo del ricorso alla composizione negoziata, ovvero “le condizioni di squilibrio patrimoniale o economico- finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza”[55]. 
E’ chiaro allora che, dal punto di vista bancario, una simile controparte non può certamente essere classificata in bonis, e non potrà essere classificata come tale: 
1) sia nell’ipotesi in cui l’impresa che ricorre alla composizione negoziata abbia già dei rapporti di finanziamento (è ininfluente la forma tecnica) del tutto regolari presso banche o intermediari finanziari;
2) sia nell’ipotesi in cui l’impresa abbia dei rapporti di finanziamento (è ininfluente la forma tecnica) scaduti/sconfinanti (anche non deterioriati, ovvero da non oltre 90 gg) presso banche o intermediari finanziari.
Ciò precisato, il passaggio successivo sarà quello di comprendere quale sia lo status – in termini di classificazione – che dovrà essere assegnato dalle banche, secondo le policy creditizie di ciascuna, rispetto a imprese clienti che accedono alla Composizione negoziata. 
Al riguardo, pur ribadendo che la Composizione negoziata non è una procedura concorsuale, si ritiene tuttavia verosimile replicare, in via analogica, anche per queste posizioni di rischio, quanto prescritto dalla disciplina di vigilanza[56] per le ipotesi di ricorso a procedure di concordato preventivo ex artt 160 ss l. fall. o di Accordi di Ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall., ovvero la classificazione delle esposizioni dovrà essere quella ad inadempienza probabile (unlikely to pay), ovvero a default, perlomeno fintanto che non sarà noto l’esito della procedura, e sempre che non ricorrano elementi oggettivi e diversi da indurre gli intermediari a classificare l’esposizione a “sofferenza” o, ancora, l’esposizione risultasse già classificata a “sofferenza” prima del ricorso alla procedura di Composizione negoziata.
Ne consegue che la classficazione ad “inadempienza probabile” dell’esposizione bancaria comporterà per la banca la determinazione di accantonamenti sulla posizione sulla base della valutazione analitica che dovrà essere condotta per determinare quale sarà la presumibile percentuale di recupero del credito, anche escutendo le eventuali garanzie che assistono l’esposizione.
Alla medesima conclusione si arriverebbe anche nell’ulteriore ipotesi nella quale l’impresa faccia ricorso alla procedura di Composizione negoziata e richieda alle banche creditrici, nelle more delle trattative condotte con l’ausilo dell’esperto, una moratoria (ad esempio in quota capitale) su tutti i finanziamenti, risultanti fino ad allora in regolare ammortamento. 
Anche in tale circostanza, ritenendo assorbente lo stato di crisi e/o di insolvenza che induce l’impresa a ricorrere alla Composizione negoziata, la posizione dovrebbe essere trasferita da bonis ad “inadempienze probabile”: e, ove la richiesta di moratoria venissa accolta (non necessariamente da tutti gli intermediari) la classificazione sarebbe arricchita dall’attirbuto forborne non performing, trattandosi di una misura di forbearence concessa alla controparte.
Sarebbe possibile ipotizzare un’ulteriore ipotesi operativa in ragione della previsione di cui all’art. 10, co. 1, lett. a) del d.l. 118/21 sulla Composizione negoziata; norma che prevede la possibilità per l’impresa di richiedere al Tribunale – in modalità decisamente semplificata – l’autorizzazione a contrarre finanziamenti (bancari e non solo) prededucibili ex art 111 della l. fall. 
E’ verosimile interpretare tale previsione come finalizzata ad assicurare all’impresa “in crisi” il necessario sostegno finanziario per proseguire nell’attività e, quindi, superare lo stato di crisi in cui versa. Tuttavia se simile finalità può, in linea generale, essere condivisibile, esaminando la fattispecie dal punto di vista della disciplina prudenziale, non ricorrono elementi nuovi e diversi per sostenere che la posizione di rischio possa essere classificata in bonis da parte dell’intermediario che decidesse di concedere la finanza in prededuzione. La circostanza per la quale i finanziamenti sono assistiti dal beneficio della prededuzione (giudizialmente assegnato) non può essere ritenuto elemento sufficiente né idoneo per escludere la classificazione ad inadempienza probabile (unlikely to pay) dell’esposizione. 
Semmai la prededuzione potrà rilevare come garanzia che assiste l’esposizione creditizia e, quindi, nella valutazione analitica, ridurre gli accantonamenti da appostare sulla posizione di rischio. Ne consegue che l’intermediario finanziatore – per quanto eventualmente anche diverso ed ulteriore rispetto a quelli aventi già esposizioni verso l’impresa - difficilmente potrà essere interessato a concedere detto supporto finanziario in prededuzione, salva l’ipotesi di classificare l’esposizione comunque ad inadempienza probabile ma applicando accantonamenti “minimi” in ragione delle garanzie assunte (si pensi ad esempio all’ipotesi di concessione di fianziamenti autoliquidanti assistiti dalla cessione del credito notificata ed in prededuzione). 
A ben riflettere, sarebbe stato preferibile che l’intervento legislativo si fosse limitato a replicare, nella disciplina della Composizione negoziata, con specifico riguardo alla autorizzazione giudiziale alla assunzione di finanziamenti prededucibili, quanto oggi previsto dall’art. 182-quinquies, co. 3, ultimo periodo della legge fall., il quale prevede la possibilità di autorizzazione giudiziale al “mantenimento delle linee di credito” in prededuzione. 
Ciò per una duplice ragione (anche pratica): 1) simile previsione avrebbe maggiormente incentivato le banche e gli intermediari già esposti verso l’impresa a partecipare con ancora più interesse alla procedura di composizione (la quale, lo ricordiamo, ha per fine ultimo quello di favorire il superamento della situazione di crisi o di insolvenza), in quanto avrebbero potuto, acquisendo “anche” la prededuzione, continuare a prestare il sostegno finanziario necessario; 2) pare francamente difficile che l’impresa possa, nei termini di 180 giorni di durata massima della procedura di composizione negoziata, individuare sul mercato altre banche o intermediari interessati a concedere “nuova finanza” per il sol fatto di essere in prededuzione.
Particolarmente problematica, inoltre, risulta la previsione di cui all’art 6, co. 5 del d.l. 118/2021 (misure protettive), il quale dispone che «i creditori interessati dalle misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza di cui al comma 1.».
In virtù di tale previsione, risulta evidente che banche e intermediari finanziamente esposti verso l’impresa che abbia fatto ricorso alla procedura di Composizione negoziata si troveranno, in forza di detto evento, nell’impossibilità di revocare le linee di credito o di modificarle o renderle più onerose (aumentanto i tassi di interesse applicati) in danno dell’impresa. 
Diversamente pare plausibile ritenere che una revoca delle linee o un rifiuto di esecuzione del contratto pendente (ad es. la lavorazione di una nuova presentazione al salvo buon fine di portafoglio commerciale) o, ancora, una modifica della scadenza (passando da fidi a revoca a fidi a scadenza), od ancora un aumento delle condizioni economiche applicate, sarà comunque esperibile ove, a fondamento della stessa, vi siano ragioni ben diverse dal ricorso dell’impresa alla procedura di Composizione negoziata.
Nell’ipotesi nella quale, tuttavia, non vi siano ragioni distinte e sufficienti perché le banche possano procedere con la revoca degli affidamenti concessi, la conseguenza ulteriore sarà quella per cui, in ipotesi di finanziamenti il cui “accordato” non è – alla data di efficacia delle misure protettive richieste dall’impresa – pienamente “utilizzato”, le banche non solo saranno constrette a consentire (subire) il loro successivo pieno utilizzo ma, soprattutto, si troveranno nella condizione di dover classificare a “credito deteriorato” l’intera esposizione e non già l’esposizione nelle misura (versomilmente minore) pari all’utilizzato sussistente al momento dell’avvio della procedura di Composizione negoziata. In altri termini, per le banche, il danno sarebbe duplice: aumento l’esposizione nominale da appostare a credito deteriorato (inadempienza probabile) e, di conseguenza, necessità di maggiori accantonamenti.
7 . Casi pratici di interazione tra proposta del debitore e regolamentazione bancaria
Il ricorso dell’impresa alla procedura di Composizione negoziata ha per fine ultimo quello di superare la probabile situazione di crisi o di insolvenza in cui la stessa rischia di trovarsi. Chiare in tal senso sono le indicazioni desumibili dall’art 2, co. 1 del d.l. 118/2021 nel momento in cui ammette la possibilità per l’imprenditore di accedere alla Composizione negoziata «(…) quanto risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa. (…)», nonché dall’art. 5, co. 5 del predetto decreto ove viene assegnato all’esperto indipendente, una volta accettato l’incarico, il compito di convocare senza indugio l’imprenditore per valutare l’effettiva o meno esistenza di un concreta prospettiva di risanamento dell’impresa. Nell’ipotesi in cui queste prospettive non dovessero essere ravvisate, l’esperto sarà tenuto a darne notizia all’imprenditore ed al Segretario della CCIAA, ai fini della conseguente archiviazione dell’istanza di Composizione negoziata.
Ciò precisato, funzionale evidentemente a porre a monte un filtro di “meritevolezza” che in qualche maniera dovrebbe/potrebbe impedire un abuso da parte delle imprese nel ricorso alla procedura di Composizione negoziata, occorre a questo punto indagare quelle che potrebbero essere le possibili proposte – ai sensi dell’art. 11 d.l. 118/2021 convertito dalla legge 147/2021 - formulabili dall’impresa[57] ai propri creditori ad esito delle trattative e, per quanto di nostro interesse, gli impatti che ciasuna proposta potrebbe avere dal punto di vista dei creditori finanziari.
La prima proposta, ad esito (evidentemente positivo) delle trattative condotte, potrebbe essere quella di concludere, con uno o più creditori (ad esempio con i soli creditori finanziari), un contratto (di natura privatistica) che porti ad una riduzione delle esposizioni debitorie complessive (ovvero che produca gli effetti di cui al successivo art. 14 del decreto) e che sia «idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferire a due anni.».
In prima lettura, una simile soluzione, dal punto di vista dei creditori finanziari, non appare particolarmente attraente per le ragioni di seguito specificate. Una volta ribadito che le esposizioni di rischio vantate da ciascun creditore finanziario coinvolto dovrebbe essere già classificata a default (inadempienza probabile) per il sol fatto che l’impresa ha attivato la procedura di Composizione negoziata, o comunque lo sarebbe subito dopo l’avvio della stessa, i due profili caratterizzanti detta proposta, ovvero la riduzione dell’esposizione creditizia e, soprattutto, la circostanza che detto “contratto” sia idoneo ad assicurare la continuità aziendale per almeno due anni[58], equivalgono a dire che le banche dovranno procedere a rinegoziare i finanziamenti in essere, stralciando nel contempo in quota capitale o in quota interessi una parte dei rispettivi crediti, e si troveranno con un’esposizione creditizia verso una controparte che, verosimilmente, ha un orizzonte temporale di “vita” di soli due anni[59]. 
A questo si aggiunga che l’eventuale utilizzo delle linee rinegoziate all’interno dell’accordo e, soprattutto, le nuove eventuali linee di credito, assistite ad esempio da garanzie reali prestate dall’impresa, che dovessero essere concesse alla stessa, non potranno accedere neanche al beneficio della prededuzione[60], mentre saranno esposte al rischio di revocatoria fallimentare, allorchè intervenga il fallimento dell’impresa con conseguente declaratoria di inefficacia dei pagamenti ricevuti e delle garanzie assunte nel “periodo sospetto”[61].
Dal punto di vista della regolamentazione bancaria, l’esposizione sarà verosimilmente da classificare a default, ovvero inadempienza probabile con attributo forborne non performing, fermo restando che ove nel corso del contratto o al termine dei 2 anni di durata di esso la temporanea crisi che ha investito l’azienda non abbia trovato una soluzione positiva (e quindi dall’analisi dei bilanci e business plan non emerga la capacità dell’impresa di produrre flussi di cassa sufficienti a servizio del rimborso del debito), la posizione di rischio verrà verosimilmente classificata a “sofferenza”. 
Di contro, nell’auspicata ipotesi nella qualei, ad esito dei due anni di durata dell’accordo, l’azienda sia effettivamente riuscita a superare la situazione di crisi, non è da escludere che la posizione di rischio possa intraprendere il graduale percorso di rientro in bonis presso gli intermediari.
Alle medesime conclusioni possiamo pervenire anche con riguardo alla seconda tipologia di “proposta” che, ad esito della Composizione negoziata, l’imprenditore potrebbe formulare ai suoi creditori (anche) finanziari, ovvero la Convenzione di moratoria ex art. 182 –octies (disposizione del tutto nuova introdotta proprio dal d. l. 118/2021, che ricalca quanto già previsto, proprio con riguardo ai creditori bancari, dall’art. 182-septies della legge fall.). Lo strumento consente all’imprenditore di concludere con i suoi creditori una convenzione diretta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi ed avrà per oggetto la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative, ed ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito. La peculiarità dell’accordo così concluso è che, in deroga agli artt. 1372 e 1411 del codice civile, questo è efficace anche nei confronti dei creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria, a condizione che gli aderenti costituiscano almeno il 75% di tutti gli appartenenti alla stessa.
La Convenzione di moratoria appare, pertanto, più uno strumento finalizzato a “prendere tempo” per traghettare l’impresa verso una successiva e diversa procedura concorsuale. In ogni caso, con la Convenzione di moratoria non potranno essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti.
La terza “proposta” formulabile dall’imprenditore è la possibilità – ad esito delle trattative condotte – di concludere un accordo con i creditori (e sottoscritto anche dall’esperto indipendente) che produce gli effetti di cui al vigente art. 67, co. 3, lett. d) della legge fall. Anche in tale ipotesi, benchè la previsione nulla aggiunga in ordine alla preordinazione dell’accordo a consentire il risanamento dell’impresa, è di tutta evidenza che essendo la norma collocata all’interno del corpus della “Composizione negoziata della crisi d’impresa”; ed avendo quest’ultima l’obiettivo di risolvere (positivamente) la crisi, la finalità sia la medesima.
Simili accordi risultano tuttora utilizzati e, quindi, dal punto di vista delle banche non costituiscono una effettiva novità. Si tratta di accordi che vengono adottati allorquando la situazione di potenziale crisi dell’impresa è ancora governabile e, quindi, la prospettiva di un rientro in bonis è fondata.
Detti accordi possono risultare di interesse per le banche creditici se, ad esempio, riescano ad ottenere l’integrale rimborso delle esposizioni pregresse (eventualmente acquisendo la cessione dei crediti e relativa notifica ai terzi debitori ceduti), erogando eventualmente nuove linee di credito che beneficino dell’esenzione dal rischio di revocatoria.
L’eventuale successo di simili accordi si riverbera anche sulla classificazione di rischio, in quanto nella misura in cui l’accordo consente di riportare l’impresa in una condizione di normale esercizio e la stessa è in grado di generare reddito e, quindi, provvedere al regolare rimborso dei debiti, la posizione da “credito deteriorato” (eventualmente anche in questo caso assistito da misura di forbearance, ad es la riduzione del tasso di interessi o l’allungamento dell’ammortamento dei finanziamenti) potrà rientrare in bonis con il beneficio, per la banca, di recuperare gli accantonamenti inizialmente appostati.
Da ultimo, merita di essere indagata l’assoluta novità, introdotta dal d.l. 118/2021, tra i possibili esiti della procedura di Composizione negoziata, rappresentata dal Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Si tratta, come detto, di una innovazione molto rilevante introdotta dal leglislatore, che tuttavia rischia di essere particolarmente “pericolosa” per i creditori finanziari[62].
Nell’ipotesi in cui, ad esito delle trattative condotte nel procedimento di Composizione negoziata, non si riesca a raggiungere alcun accordo tra l’impresa e, per quanto di interesse in questa sede, i creditori finanziari, viene riconosciuta all’imprenditore la possibilità, nei 60 (sessanta) giorni successivi al deposito della relazione finale dell’esperto indipendente, a chiusura del procedimento di Composizione negoziata, di presentare innanzi al Tribunale una proposta di concordato «per cessione dei beni unitamente al piano di liquidazione» ed alla documentazione a corredo.
Una prima considerazione risulta già formulabile: la previsione di legge prevede soltanto un concordato di tipo liquidatorio: quindi per le banche creditrici lo scenario è assolutamente gone concern, con conseguente immediata classificazione della posizione a default. A ciò si aggiunga che la nuova procedura di Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, a differenza della vigente procedura di concordato preventivo ex art 160, la quale prevede, all’ultimo comma, in ogni caso una soglia minima di soddisfo per i creditori chirografari del 20%, nulla dispone in tal senso. Il chè equivale ad ammettere che la procedura di Concordato semplificato possa anche prevedere percentuali di pagamento ben inferiori alla predetta soglia minima del 20%!
Non solo. La procedura di Concordato semplificato si connota anche per il fatto che i creditori non saranno chiamati a votare sulla proposta, ma il Tribunale, nel momento in cui rileva che la stessa non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare, procederà senz’altro con l’omologa della proposta concordataria[63]. E’ di tutta evidenza senz’altro come una simile soluzione sia nefasta per i creditori finanziari, non tanto perché viene eliminata la percentuale minima di soddisfo, ma soprattutto perché in un arco tempolare decisamente breve (stimabile all’incirca in un anno) saranno costretti, in assenza di garanzie capienti che assistano l’esposizione creditizia, a procedere alla sua integrale svalutazione, con i conseguenti effetti negativi sui bilanci delle banche, paradossalmente anche anticipando le tempistiche definite con il Calendar provisioning.
Risulta, in conclusione, evidente che l’introduzione del nuovo procedimento di Composizione negoziata della crisi d’impresa si riverbererà – in senso ancora più restrittivo - sulle politiche creditizie di banche ed intermediari finanziari, in quanto questi ultimi, nell’ottica di salvaguardare i propri ratios patrimonali, saranno costretti a indagare in maniere ancora più approfondita lo stato di salute delle imprese richiedenti credito e, nel contempo, applicheranno condizioni di pricing che saranno tanto più elevate quanto minori saranno le garanzie acquisibili a tutela del credito.

Note:

[1] 
Pubblicato nella G.U.U.E. del 29 novembre 2016 n. L. 323, 5 ss.
[2] 
LIONZO, L’impairment nelle banche: l’evoluzione dei principi contabili e le loro implicazioni organizzative e di bilancio, in AA. VV., I crediti deteriorati nelle banche italiane a cura di CESARINI, Torino, 2017, pp. 23 ss.; DE ANGELIS, Le regole contabili degli NPL, in Dir. banca, 2019, 1, II, p. 15 ss.
[3] 
BUSSO, IAS 39. Strumenti finanziari: rilevazione e valutazione, in IAS/IFRS, a cura di DEZZANI, BIANCONE, BUSSO, Assago, 2016, pp. 1547 ss.
[4] 
Il principio IFRS9 richiede di utilizzare per la determinazione del significativo deterioramento del rischio di credito tutte le informazioni disponibili in banca. Tali informazioni includono anche previsioni sulle future condizioni economiche avendo comunque cura di precisare che il riferimento è alle sole informazioni disponibili “senza sforzi o costi eccessivi” (5.5.9), per esempio perché già utilizzate a fini di financial reporting (B5.5.49). Viene inoltre specificato che non è necessario intraprendere una “exhaustive search” per determinare se il rischio di credito è aumentato in maniera significativa a partire dalla rilevazione iniziale dello strumento (B5.5.5.15).
[5] 
AIFIRM – Associazione Italiana Financial Industry Risk Managers, Il principio contabile Ifrs 9 in banca: la prospettiva del Risk Manager, Position Paper n. 8, dicembre 2016, consultabile nel sito www.aifirm.it; BOCCHINO, Recepimento dell’Ifrs9: semplificazione e complessità, gli opposti che si attraggono per le problematiche degli operatori domestici, in www.dirittobancario.it,2018; GUIOTTO, Il finanziamento bancario e i rapporti tra banca e impresa, in Il Fallimento, 2021, 10, p. 1199 ss.
[6] 
Al paragrafo 5.5.11 del principio contabile IFRS 9, nel definire il concetto di “aumento significativo del rischio di credito” ai fini della classificazione delle esposizioni performing in stage 2, si afferma che «l’entità può utilizzare le informazioni sul livello dello scaduto per stabilire se vi sono aumenti significativi del rischio di credito […] indipendentemente dal modo in cui l'entità valuti aumenti significativi del rischio di credito, vi è una presunzione relativa che il rischio di credito dell'attività finanziaria è aumentato significativamente dopo la rilevazione iniziale quando i pagamenti contrattuali sono scaduti da oltre 30 giorni. L'entità può confutare tale presunzione qualora abbia informazioni ragionevoli e dimostrabili, disponibili senza eccessivi costi o sforzi, che dimostrano che il rischio di credito non è significativamente aumentato dopo la rilevazione iniziale anche se i pagamenti contrattuali sono scaduti da oltre 30 giorni».
[7] 
Occorre precisare che, ai sensi dell’IFRS9, rientrano in detto Stage 3 anche le esposizioni che risultano deteriorate alla data del loro acquisto (ad esempio da altra banca o intermediario finanziario) o a quella in cui sono originate, anche se proveniente da aggregazione aziendale (fusioni tra banche); vengono denominate “Attività finanziarie impaired acquisite o originate” (POCI – Purchese or Originated Credit Impaired).
[9] 
Confluiscono nella categoria di censimento rischi autoliquidanti le operazioni caratterizzate da - una fonte di rimborso predeterminata. Si tratta di finanziamenti concessi per consentire alla clientela – diversa da intermediari – l’immediata disponibilità di crediti non ancora scaduti vantati nei confronti di terzi e per i quali l’intermediario segnalante ha il controllo sui flussi di cassa. Il rapporto coinvolge, oltre all’intermediario e al cliente, anche un terzo soggetto debitore di quest’ultimo. In particolare, devono essere segnalate le operazioni di: 1) anticipo per operazioni di factoring; 2) anticipo s.b.f.; 3) anticipo su fatture; 4) altri anticipi su effetti e documenti rappresentativi di crediti commerciali; 5) sconto di portafoglio commerciale e finanziario indiretto; 6) anticipo all’esportazione; 7) finanziamento a fronte di cessioni di credito effettuate ai sensi dell'art. 1260 c.c.; 8) prestiti contro cessione di stipendio o pensione; 9) operazioni di acquisto di crediti a titolo definitivo. Nella presente categoria devono inoltre essere convenzionalmente segnalati i prefinanziamenti di mutuo, anche se concessi dallo stesso intermediario che ha deliberato l’operazione di mutuo.
[10] 
Nella categoria di censimento rischi a revoca confluiscono le aperture di credito in conto corrente concesse per elasticità di cassa - con o senza una scadenza prefissata - per le quali l’intermediario si sia riservato la facoltà di recedere indipendentemente dall’esistenza di una giusta causa.
Confluiscono, inoltre, tra i rischi a revoca i crediti scaduti e impagati derivanti da operazioni riconducibili alla categoria di censimento rischi autoliquidanti (c.d. insoluti). La categoria di censimento non comprende i conti correnti di corrispondenza per servizi intrattenuti con banche o con società cui è affidata la gestione accentrata di servizi collaterali all’attività bancaria, i quali non formano oggetto di censimento da parte della Centrale dei rischi. Non devono inoltre essere classificate tra i rischi a revoca le operazioni che, seppure regolate in conto corrente, hanno i requisiti propri dei rischi autoliquidanti. 
[11] 
La categoria di censimento rischi a scadenza include le operazioni di finanziamento con scadenza fissata contrattualmente e prive di una fonte di rimborso predeterminata. Nell’ambito della categoria, devono essere segnalate, fra l’altro, le seguenti operazioni: 
- 1) anticipazioni attive; 2) anticipi su crediti futuri connessi con operazioni di factoring; 3) aperture di credito in c/c dalle quali l’intermediario può recedere prima della scadenza contrattuale solo per giusta causa; 4) leasing; 5) mutui; 6) finanziamenti a valere su fondi di terzi in amministrazione comportanti l’assunzione di un rischio per l’intermediario; 7) sconto di portafoglio finanziario diretto; 8) prestiti personali; 9) prestiti subordinati, solo se stipulati sotto forma di contratto di finanziamento; 10) pronti contro termine e riporti attivi posti in essere senza l’intervento di una controparte centrale; 11) altre sovvenzioni attive; 12) operazioni in oro nella forma del prestito d’uso; 13) finanziamenti ai sensi della legge n. 190/2014, concessi ai datori di lavoro del settore privato (con meno di 50 addetti) per corrispondere alla richiesta dei dipendenti di aver liquidata in busta paga la quota maturanda di TFR; 14) operazioni di cessione del quinto per la quota di rate trattenute dall’amministrazione terza ceduta (ATC) e non ancora retrocesse.
[12] 
Tale valutazione deve essere operata in modo indipendente dalla presenza di eventuali importi (o rate) scaduti e non pagati.
[13] 
Circolare n. 272 “Matrice dei conti”, Avvertenze generali, Sezione B, paragrafo 2, “Qualità del Credito”. 
[14] 
Per elementi oggettivi nuovi devono intendersi circostanze: 
- sopravvenute rispetto alla data di deposito della domanda di concordato e la cui conoscenza sia intervenuta durante la procedura (a far data dal deposito della domanda sino all’omologa del concordato), 
- ritenute idonee dall’intermediario segnalante a determinare l’inadempimento o l’annullamento del concordato (es: dolosa alterazione della situazione patrimoniale dell’impresa nonché la dolosa sottrazione ovvero la dissimulazione di una parte rilevante dell'attivo).
Non possono essere considerati elementi oggettivi nuovi, circostanze: 
- coincidenti con il contenuto stesso della proposta concordataria (es. inadeguatezza della percentuale di soddisfo), 
- connesse con l’iter procedurale previsto per il concordato (es: il “differimento del termine” concesso dal giudice al debitore per la definizione della proposta), 
- dipendenti dalle valutazioni effettuate da altri intermediari partecipanti al servizio di centralizzazione dei rischi (es: l’appostazione a sofferenza effettuata da altro intermediario), 
- legate ad iniziative finalizzate al risanamento dell’impresa (es: richiesta del debitore di “nuova finanza”).
[15] 
Ricorrendo dette fattispecie, spesso gli intermediari specializzati nelle operazioni di turnaround non si limitano soltanto a supportare l’azienda con nuova finanza prededucibile ma provvedono, di regola come primo step operativo, ad acquistare (a sconto) le esposizioni già a deteriorato vantate da altre banche/intermediari nei confronti dell’impresa in crisi (ricadendo in tale ipotesi nei c.d. crediti POCI, ovvero crediti deteriorati acquistati, che quindi migreranno la loro classificazione a deteriorato dall’intermediario cedente a quello cessionario). In tal caso l’intermediario cessionario dei crediti, ove partecipi alla Centrale dei Rischi, dovrà segnalare, a nome del debitore ceduto, i crediti acquisiti da intermediari partecipanti e non partecipanti, secondo la forma tecnica dell’operazione originaria.
[16] 
Pubblicato in G.U.U.E. del 20 febbraio 2015 n. L 48.
[18] 
Pubblicato in G.U.U.E. del 25 aprile 2019 n. L. 111.
[19] 
La BCE nelle proprie Linee Guida per le Banche sui crediti deteriorati del marzo 2017 ha trattato, al capitolo 4, il tema delle misure di concessione distinguendo le stesse tra misure di breve termine (ovvero misure di durata non eccedente i 2 anni e finalizzate a fronteggiare difficoltà finanziare nel breve periodo) e misure di lungo termine, di durata maggiore.
[20] 
Indicativo in tale senso è il paragrafo 150 delle GDL/EBA/2018/06 il quale dispone: «Allo scopo di attuare le misure di concessione, gli enti creditizi dovrebbero essere capaci di individuare in una fase precoce i segnali di possibili difficoltà finanziarie future. A questo scopo, la valutazione della situazione finanziaria del debitore non dovrebbe limitarsi alle esposizioni con segnali evidenti di difficoltà finanziarie. Una valutazione sulla sussistenza di difficoltà finanziarie dovrebbe essere condotta anche per le esposizioni per le quali il debitore non ha difficoltà finanziarie apparenti, ma le condizioni di mercato sono cambiate in misura significativa tanto da poter incidere sulla capacità di rimborso (ad es. prestiti bullet nei quali il rimborso si basa sulla vendita di beni immobili oppure prestiti in valuta estera)».
[21] 
Il rimborso integrale alla scadenza non deve essere considerato verosimile a meno che il debitore abbia effettuato pagamenti regolari e a scadenza pari ai seguenti importi: a) l'importo in arretrato prima che la misura di concessione fosse accordata, nei casi in cui vi erano importi arretrati; b) l'importo che è stato cancellato contabilmente in forza delle misure di concessione, se non vi erano importi in arretrato.
[22] 
Per completezza espositiva deve evidenziarsi che rispetto agli anni passati, nei quali la vigilanza ha concentrato la propria attenzione sulla gestione dei crediti Npl, attualmente l’interesse della Vigilanza è invece concentrato sulla fase di erogazione del credito. Significative in tale senso sono le Guidelines /GDL/EBA/2020/06 del 29 maggio 2020 recanti Orientamenti in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti. Per un esame approfondito del contenuto delle Guidelines di EBA si rinvia a AIFIRM, Rischio di Credito 2.0., Position Paper n. 30, Agosto 2021, consultabile nel sito www.aifirm.it.
[23] 
Al Capitolo 2, paragrafo 2.6. delle Linee Guida BCE è peraltro precisato che le banche con NPL elevati devono comunicare la propria strategia per gli NPL, incluso il piano operativo, ai rispettivi gruppi di vigilanza congiunti (GVC) nel primo trimestre di ciascun anno solare. Per un esame del documento si rinvia a CALLEGARO, Le novità delle Linee Guida BCE sulla gestione degli NPL. Analisi del documento di consultazione, in rivsta on line www.dirittobancario.it, 2016.
[24] 
Alle Linee Guida BCE hanno poi fatto seguito, gli Orientamenti sulla gestione delle esposizioni deteriorate e oggetto di concessione emanati dall’EBA in data 31 ottobre 2018 con le GDL/EBA/2018/06 reperibili al seguente indirizzo internet https://www.eba.europa.eu/documents/10180/2668883/EBA+BS+2018+358+Final+report+on+GL+on+NPE_FBE_IT.pdf/0f53b86c-9ca5-4099-9f08-a67940be7d39.
[25] 
Al riguardo, le Linee Guida BCE hanno cura di precisare che «Le condizioni macroeconomiche svolgeranno un ruolo chiave nella definizione della strategia per gli NPL; un approccio dinamico è il metodo più appropriato per tenerne conto. Confluiscono in questo quadro anche gli andamenti del mercato immobiliare e dei suoi segmenti specifici rilevanti. Per le banche che presentano particolari concentrazioni settoriali nei propri portafogli di NPL (ad esempio trasporti o agricoltura), andrebbe svolta un’analisi esaustiva e costante delle dinamiche di settore da incorporare nella strategia. Una riduzione del rischio derivante dagli NPL può essere realizzata e dovrebbe essere perseguita anche in condizioni macroeconomiche meno favorevoli». Rileveranno, altresì, le aspettative di mercato giacché: «la valutazione delle aspettative di parti esterne (fra cui, ma non soltanto, agenzie di rating, analisti di mercato, centri di ricerca e clienti) riguardo ai livelli di NPL e relativa copertura ritenuti accettabili aiuterà a stabilire in quale misura e con che ritmo le banche con NPL elevati dovrebbero ridurre i rispettivi portafogli. Le parti esterne spesso ricorreranno a parametri di riferimento nazionali o internazionali ed effettueranno confronti fra pari».
[26] 
Si rinvia in particolare all’Allegato 4 delle Linee Guida BCE nel quale sono riportate, in via esemplificativa e non esaustiva, le tipologia di indicatori di allerta precoce suggeriti dalla Vigilanza.
[27] 
1) Strategia basata su mantenimento delle posizioni in bilancio/misure di concessione: strategia di mantenimento delle posizioni in bilancio che è fortemente connessa al modello operativo, alle competenze nella valutazione dei debitori e delle misure di concessione, alla capacità di gestione operativa degli NPL, all’esternalizzazione del servicing e alle politiche di cancellazione. 
2) Riduzione attiva dei portafogli: può essere realizzata mediante cessioni e/o cancellazioni di esposizioni deteriorate oggetto di accantonamenti che sono ritenute irrecuperabili. Questa opzione è fortemente connessa all’adeguatezza degli accantonamenti, alla valutazione delle garanzie, a dati di qualità sulle esposizioni e alla domanda di NPL da parte degli investitori.
3) Cambiamento di tipologia di esposizione: vi rientrano le escussioni delle garanzie, la conversione del debito in azioni, la conversione del debito in attività o la sostituzione delle garanzie. 
4) Opzioni di tipo legale: comprendono procedure di insolvenza o composizione extragiudiziale.
[28] 
Le Linee Guida BCE, sotto il profilo specifico della governance, prescrivono che l’Organo di Amministrazione dovrebbe, nell’ambito della propria azione di indirizzo e processo decisionale:
- approvare su base annuale la strategia e il piano operativo per la gestione degli NPL; 
- monitorare l’attuazione della strategia; 
- determinare gli obiettivi della gestione nonchè gli incentivi relativi all’attività di workout degli Npl; 
- con cadenza almeno trimestrale monitorare i progressi ottenuti, raffrontandoli con gli obiettivi e le relative milestone definiti nella strategia NPL tenendo conto, inoltre, del Piano Operativo; 
- approvare le policies relative assicurando che siano pienamente conosciute e comprese dal relativo personale – da identificarsi in ragione delle competenze e strutture di appartenenza -;
- definire gli obiettivi gestionali e gli incentivi per le attività finalizzate al recupero degli NPL; 
- definire adeguate procedure di approvazione delle decisioni in materia di recupero degli NPL; 
- assicurare sufficienti controlli interni sui processi di gestione degli NPL e approvare le relative politiche; 
- disporre di sufficienti competenze riguardo alla gestione degli NPL. 
[29] 
Le banche, secondo le Linee Guida BCE, sono chiamate a costituire unità di gestione e definizione degli NPL separate e specializzate, per contribuire ad eliminare i potenziali conflitti di interesse con le unità preposte alla concessione dei prestiti e per assicurare sufficienti competenze sugli NPL nonchè, al contempo, creare diverse unità dedicate agli NPL per le diverse fasi del ciclo di vita degli NPL con chiari e definiti criteri di passaggio di attribuzione da un’unità all’altra di: a) posizioni che presentano lievi ritardi di pagamento; b) posizioni scadute con maggiore anzianità/ristrutturate/oggetto di concessioni; c) liquidazioni/crediti a recupero/procedimenti giudiziari/escussioni; d) gestione delle garanzie escusse (o di altre attività derivanti dagli NPL).
[30] 
La cessione di portafogli a operatori specializzati può rappresentare la soluzione più veloce per ridurre e/o eliminare i crediti deteriorati dai bilanci aziendali, ma il differenziale di valore può generare un significativo impatto negativo sul conto economico delle banche e, conseguentemente, sull’adeguatezza patrimoniale. A ben vedere, la cessione sul mercato dei crediti deteriorati rappresenta un’opzione perseguibile nel breve termine da quelle banche che:
• hanno già svalutato ampiamente i crediti deteriorati;
• hanno redditi sufficienti per assorbire il costo delle svalutazioni, che incide negativamente su una redditività già molto bassa per l’intero sistema bancario;
• hanno sufficiente capitale per assorbire le eventuali perdite derivanti dalle svalutazioni.
[31] 
Le Gacs (garanzie sulla cartolarizzazione delle sofferenze) sono garanzie concesse dallo Stato, in conformità a decisioni della Commissione europea, finalizzate ad agevolare lo smobilizzo dei crediti in sofferenza dai bilanci delle banche e degli intermediari finanziari aventi sede legale in Italia. La garanzia è concessa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) sulle passività emesse nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione a fronte della cessione da parte delle banche dei crediti in sofferenza a una società veicolo (Spv).
[32] 
Particolarmente interessante risulta essere questa nuova modalità di cessione dei crediti Npl in quanto prevede una cessione pro-soluto di crediti UTP e/o anche sofferenze in cambio di quote di fondi di investimento le cui principali caratteristiche possono essere cosi sintetizzate: 
a) un pool di intermediari cede dei portafogli di crediti deteriorati, principalmente classificati come unlikely to pay e aventi alcune caratteristiche comuni (ad esempio, in termini di controparti affidate, forma tecnica, settore economico, area geografica), a un Fondo; a fronte di tale cessione, gli Intermediari cedenti potrebbero pertanto effettuare una derecognition (eliminazione contabile) dal proprio bilancio dei crediti deteriorati ceduti e, quindi, migliore il proprio npl ratio.
b) scopo principale del Fondo è quello di migliorare la qualità dei debitori e i tassi di recupero dei crediti acquistati attraverso processi di ristrutturazione aziendale (con l’ausilio di manager industriali esperti), l’apporto di nuova finanza e la conversione di debiti in azioni (debt-equity swaps); 
c) il corrispettivo per il trasferimento è rappresentato da quote del Fondo (di seguito "Quote"), sottoscritte dagli Intermediari cedenti generalmente in proporzione ai crediti trasferiti; 
d) di norma, partecipano all’operazione anche terzi investitori che si impegnano a fornire nuova finanza per la gestione attiva degli UTP. A seconda della struttura dell’operazione, il corrispettivo per l’erogazione della nuova finanza è rappresentato da particolari categorie di Quote emesse dal Fondo, o dal riconoscimento di un debito nei confronti di tali investitori da parte del Fondo; 
e) la payment waterfall prevede la priorità di pagamento per le Quote riservate agli investitori terzi (o per il debito riconosciuto dal Fondo verso tali investitori) rispetto alle Quote assegnate agli intermediari cedenti; 
f) può essere prevista l’emissione di Quote riservate esclusivamente alla società di recupero crediti (“Servicer”) e/o alla Società di Gestione degli attivi del Fondo (“SGR”), che rappresentano generalmente una percentuale trascurabile del Valore dell’Attivo Netto (“NAV”) del Fondo e il cui rimborso è allineato (pari-passu) alle Quote possedute dagli Intermediari Cedenti; 
g) la governance del Fondo prevede che la SGR sia indipendente nel processo decisionale connesso con la gestione delle strategie di recupero e la valorizzazione dei crediti ceduti (ad esempio, è indipendente dai Comitati incaricati di funzioni consultive in base al regolamento del Fondo e dal Servicer); 
h) vi è la possibilità di ulteriori ruoli ricoperti da uno o più degli Intermediari cedenti o da altre parti coinvolte nell’operazione (ad esempio, l’Intermediario cedente può ricoprire il ruolo di Servicer e/o di soggetto erogatore di nuova finanza).
[34] 
Pubblicato in G.U.U.E. del 27 giugno 2013 n. L. 176.
[35] 
EBA/GL/2016/07, Orientamenti sull’applicazione della definizione di default ai sensi dell’articolo 178 del regolamento (UE) n. 575/2013, consultabile all’indirizzo web https://eba.europa.eu/sites/default/documents/files/documents/10180/1721448/bd010dde-c3084057ae9c842c2462a7ec/Guidelines%20on%20default%20definition%20(EBA-GL-2016-07)_IT.pdf 
[36] 
Regolamento delegato UE 171/2018, Standard Tecnico di Regolamentazione sulla soglia di mate rialità dei crediti scaduti (past due) ai sensi dell’art. 178 del Regolamento europeo N° 575/2013(EBA/ RTS/2016/06) consultabile all’indirizzo web https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32018R0171&from=en 
[37] 
Il conteggio dei giorni consecutivi di scaduto inizia dal giorno successivo la data contrattualmente prevista per un pagamento (es. singola rata), indipendentemente dal momento in cui è superata la soglia di rilevanza.
[38] 
Il paragrafo 79 delle GDL/EBA/2016/07 sul punto cosi dispone: «Gli enti dovrebbero adottare adeguati meccanismi e procedure al fine di assicurare che la definizione di default sia applicata e utilizzata in modo corretto e, in particolare, dovrebbero garantire: 
(a) che il default di un singolo debitore sia identificato in modo uniforme in tutto l’ente con riferimento a tutte le esposizioni verso il suddetto debitore in tutti i relativi sistemi informatici, compresi tutti i soggetti giuridici all’interno del gruppo e in tutte le aree geografiche in conformità ai paragrafi da 80 a 82 o, per le esposizioni al dettaglio, in conformità ai paragrafi da 92 a 94; 
(b) che ricorra una delle seguenti condizioni: 
i. la stessa definizione di default è utilizzata uniformemente da parte di un ente, di un’impresa madre o di una delle sue filiazioni e per tutti i tipi di esposizioni; 
ii. nel caso in cui diverse definizioni di default si applichino all’interno di un gruppo o per tipologie di esposizioni, l’ambito di applicazione di ciascuna delle definizioni di default è stabilito in modo chiaro».
[39] 
La Banca d’Italia ha provveduto a recepire detta regolamentazione mediante l’aggiornamento n. 13 del 23 dicembre 2020 della Circolare 272 del 30 luglio 2008 (Matrice dei Conti). A tale aggiornamento ha fatto successivamente seguito la Nota di Chiarimenti emanata dal Banca d’Italia il 15 febbraio 2021 recante – sotto forma di Q&A- una serie di chiarimenti circa l’applicazione della definizione di default ai sensi dell’art 178 del Regolamento UE n. 575/2013 e adeguamento delle definizioni di esposizioni creditizie deteriorate, reperibile all’indirizzo internet https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/circolari/c285/Nota-chiarimenti-15-febbraio-2021.pdf
[40] 
Pertanto, ipotizzando un cliente non retail, che abbia in essere un’unica posizione debitoria con l’istituto di credito, a cui sia stato erogato un finanziamento di €200.000 da restituirsi attraverso rate mensili da €2.000 cadauna, la condizione richiesta dalla c.d. “componente assoluta” si verificherà a seguito del mancato pagamento di una sola rata (poiché superiore ad €500), e, parimenti, la c.d. “componente relativa” (i.e. 1% dell’esposizione debitoria nei confronti dell’intermediario) sarà anch’essa raggiunta in quel frangente. Dal momento in cui entrambe le soglie di rilevanza saranno superate decorrerà il termine di 90 giorni, all’esito del quale si avrà il default. Non può non evidenziarsi l’estrema rigidità del meccanismo apprestato che comporterà la classificazione a “deteriorati” di posizioni per piccoli sconfinamenti, la cui significatività - ai fini della tutela della solidità patrimoniale degli intermediari (obiettivo della Vigilanza) – potrà essere risibile.
[41] 
Si aggiunga che, indipendentemente dall’approccio adottato da ciascun intermediario (ovvero per singolo debitore o per singola transazione) non è più consentito – al fine di evitare il superamento delle soglie - impiegare le somme ancora disponibili su una o più linee di credito per compensare gli sconfinamenti in essere su altre linee relative alla medesima controparte.
[42] 
Nelle more di simili interventi (che in generale possono risultare abbastanza complessi o onerosi), alcune banche potrebbero orientarsi su una soluzione “tattica” di breve periodo, eliminando di fatto la possibilità di past due tecnici e trattando quindi tutti gli scaduti “sopra soglia” come se fossero veri e propri default.
[43] 
Il CRR, all’art. 178 paragrafo 3, lett. d) stabilisce che è indicativo dell'improbabile adempimento il fatto che un istituto acconsenta «a una ristrutturazione onerosa del credito, che implica verosimilmente una ridotta obbligazione finanziaria dovuta a una remissione sostanziale del debito o al differimento dei pagamenti del capitale, degli interessi o, se del caso, delle commissioni.». Ne consegue che, quando si verifica una misura di concessione a favore di un cliente in difficoltà finanziaria, il debitore viene considerato in stato di default se la ristrutturazione implica una riduzione nel valore dell’obbligazione finanziaria verso la banca. In particolare, le Guidelines EBA sulla definizione di default specificano che ciò accade quando la riduzione percentuale nel valore attuale netto del credito è superiore all’1%. A tal fine, i flussi di cassa (ante e post concessione) vanno attualizzati utilizzando il tasso di interesse effettivo originario. Il valore attuale netto ante concessione va inoltre calcolato guardando a tutti i flussi di cassa (compresi gli interessi e le commissioni non pagati) previsti dal contratto originario. Anche se la riduzione di valore fosse inferiore allo 1%, gli enti dovrebbero comunque valutare se vi siano altre possibili indicazioni di improbabile adempimento. Tra queste, la presenza di precedenti ristrutturazioni onerose, il fatto che il nuovo piano di rimborso preveda il pagamento di una ingente somma finale o pagamenti iniziali particolarmente ridotti, o ancora un significativo periodo di tolleranza iniziale. Questo specifico trigger può rappresentare un aspetto critico della nuova definizione di default, che potrebbe determinare, nel tempo, una riclassificazione significativa dei crediti da bonis a deteriorati soprattutto in ragione della soglia, particolarmente bassa, dell’1%. D’altro canto, si pensi all’ipotesi nella quale una banca decida di consolidare le passività a breve di un proprio cliente in linee di credito a medio e lungo termine: in tale ipotesi la riduzione del tasso di interesse applicato sulla linea a medio e lungo termine non esprime una “remissione del debito”, quanto piuttosto una riduzione del premio di rischio in ragione delle maggiori garanzie assunte o, per assurdo, l’esigenza di dover rispettare il TEG previsto per quella specifica forma tecnica dalla disciplina sull’usura!
[44] 
Il paragrafo 97 delle GDL/EBA/2016/07 cosi dispone: « Nel caso in cui le condizioni di cui all’art. 178, paragrafo 1, lettere a) o b) o a) e b), del Regolamento UE n. 575/2013 siano soddisfatte con riferimento a un’obbligazione creditizia congiunta di due o più debitori, gli enti dovrebbero considerare tutte le altre obbligazioni creditizie congiunte verso il medesimi insieme di debitori e tutte le singole esposizioni verso tali debitori come in stato di default, a meno che possano giustificare che il riconoscimento del default delle singole esposizioni non sia appropriato, a ragione di almeno una delle seguenti condizioni: (a) il ritardo nel pagamento di un’obbligazione creditizia congiunta risulta da una controversia tra i singoli obbligati che partecipano a tale obbligazione creditizia congiunta, che sia stata presentata dinanzi a un giudice o sia stata trattata in un altro procedimento formale di un organo esterno competente che si sia tradotta in una decisione vincolante in conformità al quadro giuridico applicabile nella relativa giurisdizione, e non sussistano timori circa la situazione finanziaria dei singoli debitori; 
(b) un’obbligazione creditizia congiunta che costituisce una parte irrilevante delle obbligazioni totali di un debitore.».
[45] 
Altresì, il paragrafo 73 delle GDL/EBA/2016/07 ha cura di precisare che: «Gli enti dovrebbero riclassificare l’esposizione in stato di non default una volta trascorso almeno un anno, come al paragrafo precedente, qualora siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: 
(a) nel corso di tale periodo è stato effettuato un pagamento significativo da parte del debitore. Un pagamento significativo può essere considerato effettuato quando il debitore abbia rimborsato, tramite pagamenti regolari secondo gli accordi di ristrutturazione, un totale pari all’importo che era precedentemente scaduto (se vi erano importi scaduti) o che era stato annullato (se non vi erano importi scaduti) nell’ambito delle misure di ristrutturazione; 
(b) durante tale periodo, sono stati effettuati pagamenti regolari, in base al programma applicabile successivamente agli accordi di ristrutturazione; 
(c) non vi sono obbligazioni creditizie scadute secondo il programma applicabile successivamente agli accordi di ristrutturazione; 
(d) non sussistono indicazioni dell’improbabile adempimento ai sensi dell’art. 178, paragrafo 3, del Regolamento UE n. 575/2013 o qualsiasi ulteriore indicazione dell’improbabile adempimento stabilito dall’ente; 
(e) l’ente non ritiene improbabile che il debitore adempia integralmente alle proprie obbligazioni creditizie secondo il programma successivo agli accordi di ristrutturazione senza l’escussione di garanzie. Nella presente valutazione gli enti dovrebbero esaminare in particolare le situazioni in cui è previsto il pagamento di una consistente somma forfettaria o pagamenti significativamente maggiori alla fine del piano di rimborso; 
(f) dovrebbero essersi verificate le condizioni di cui alle lettere da a) a e) anche con riferimento alle nuove esposizioni verso il debitore, in particolare nel caso in cui le precedenti esposizioni in stato di default verso detto debitore, oggetto di ristrutturazione onerosa, siano state cedute o annullate”.
[46] 
AIFIRM – Associazione Italiana Financial Industry Risk Managers, Implementare il Calendar provisioning: regole e impatti, Position Paper n. 23, ottobre 2020, consultabile nel sito www.aifirm.it.
[47] 
Le Linee Guida sui crediti deteriorati della BCE del 2017 sono reperibili al seguente indirizzo internet: https://www.bankingsupervision.europa.eu/ecb/pub/pdf/guidance_on_npl.it.pdf 
[50] 
Pubblicato in G.U.U.E. del 25 aprile 2019 n. L 111, p. 4 ss.
[52] 
In particolare la Bce ha cura di illustrare le tre le principali differenze tra il trattamento delle NPE nell’ambito del “primo pilastro”, ai sensi del CRR, e l’approccio di “secondo pilastro” della BCE. Innanzitutto, il trattamento di “primo pilastro” definito dal CRR impone a tutte le banche di effettuare una deduzione dai fondi propri in modo automatico ove le esposizioni deteriorate non siano sufficientemente coperte da accantonamenti o altre rettifiche. Non hanno invece natura vincolante e seguono un approccio in tre fasi le aspettative di vigilanza della BCE riguardo agli accantonamenti prudenziali nell’ambito del “secondo pilastro”. In particolare, le aspettative comunicate 1) costituiscono il punto di partenza del dialogo di vigilanza e 2) dipendono da una valutazione caso per caso sulla scorta di una discussione approfondita nel corso del dialogo di vigilanza (inclusa un’analisi delle circostanze specifiche della singola banca); infine, 3) una misura di vigilanza di secondo pilastro può essere applicata nel contesto del ciclo SREP. In secondo luogo, il trattamento di “primo pilastro” definito dal CRR e l’approccio di vigilanza relativo agli NPL nuovi e pregressi nell’ambito del secondo pilastro differiscono leggermente in termini di calibrazione del calendario: 2/7 anni di anzianità per le NPE non garantite/garantite nell’ambito del secondo pilastro rispetto a 3/7/9 anni di anzianità per le NPE non garantite/garantite (con garanzie non immobiliari) /garantite con garanzie immobiliari. Inoltre differiscono anche i percorsi per la realizzazione degli aggiustamenti nel caso dell’approccio di “secondo pilastro” della BCE e la piena applicazione nell’ambito del “primo pilastro” (ossia copertura al 100%). In terzo luogo, vi è una significativa differenza in termini di ambito di applicazione; il trattamento di “primo pilastro” riguarda, infatti, soltanto le NPE che deriveranno da nuovi prestiti erogati a partire dal 26 aprile 2019, mentre non si applicherà mai 1) alle consistenze già esistenti di NPE e 2) all’intera popolazione dei crediti in bonis presenti nei bilanci degli enti creditizi che sono stati generati prima del 26 aprile 2019 e in futuro potrebbero diventare NPE. Tale differenza acquista particolare rilevanza se si considerano i tempi necessari affinché una banca realizzi il portafoglio di crediti in bonis corrente; nell’arco di tale periodo, shock macroeconomici potrebbero avere un impatto avverso sulla qualità creditizia delle esposizioni in bonis sorte prima del 26 aprile 2019. Di conseguenza, le autorità di vigilanza devono disporre di strumenti per fronteggiare questo potenziale rischio.
[53] 
D.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14.
[54] 
GHEDINI, RUSSOTTO, L’istituto della composizione negoziata della crisi, in questa Rivista, 2021.
[55] 
Cfr., art. 2, comma 1 del d.l. 24.08.2021, n. 118 convertito dalla legge 21.10.2021 n. 147.
[56] 
Il riferimento più immediato è alla Circolare 272/2008 di Banca d’Italia, Avvertenze generali, Sezione B, paragrafo 2, “Qualità del Credito”. Si precisa che la regolamentazione citata non è ancora stata oggetto di aggiornamento da parte di Banca d’Italia al fine di fornire indicazioni puntuali agli intermediari con riguardo alla disciplina in esame.
[57] 
ZANICHELLI, Gli esiti probabili della composizione negoziata. Un’analisi dettagliata dei possibili sbocchi della composizione negoziata. Un’indagine critica sugli strumenti, le regole, le criticità, in rivista on line www.dirittodellacrisi, 2021.
[58] 
Profilo, quest’ultimo, che fa presumere che questa soluzione abbia per obiettivo quello di superare situazioni di difficoltà dell’impresa dovute ad una crisi temporanea e non strutturale.
[59] 
Rispetto a questo aspetto pare stridente il contenuto della previsione in esame rispetto all’obiettivo della procedura di Composizione negoziata. Un conto infatti è assicurare la continuità per due anni e altro è il risanamento, stabile ci si augura, dell’impresa, che presuppone una soluzione tendenzialmente definitiva della situazione economica deteriorata, tramite la prosecuzione dell’attività in prospettiva di permanenza sul mercato da parte dello stesso imprenditore, purché nel rispetto di quanto previsto dall’art. 12 comma 2 del dl. 118/2021.
[60] 
Per un esame della finanza bancaria nella procedura di Composizione negoziata della crisi d’impresa vedasi BONFATTI, La nuova finanza bancaria, in questa Rivista, 2021.
[61] 
Dal punto di vista degli intermediari esposti in via chirografaria (ovvero in assenza di garanzie) verso l’impresa che abbia avviato il procedimento di Composizione, stante la già ribadita natura non concorsuale della stessa, è più verosimile che nel corso delle trattative – da condurre secondo buona fede – gli stessi possano adottare soluzione “tattiche” finalizzate ad acquisire garanzie (anche consolidando l’esposizione) che, evidentemente, ad esito negativo delle trattative, tenuto conto dei termini decorsi, si sarebbero nelle more consolidate (rispetto ad un’eventuale successiva procedura concorsuale).
[62] 
In aggiunta alle possibili “proposte” formulabili dall’impresa ad esito della procedura, deve precisarsi che l’art. 11 del d. l. 118/2021 ne prevede delle ulteriori, costituite da: 1) la possibilità per l’imprenditore di domandare l’omologazione di una accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi degli artt. 182 bis, 182 septies e 182 novies della legge fallimentare; 2) la possibilità di predisporre un piano attestato di risanamento di cui all’art 67 comma 3, lett. d) della legge fallimentare; 3) la possibilità di accedere ad una delle procedure disciplinate dalla legge fallimentare, dal d.lgs. 270/1999 (amministrazione straordinaria delle grandi imprese) o dal dl 347/2003 convertito con modificazioni dalla legge 39/2004 (ristrutturazione industriale delle grandi imprese insolventi); e 4) la possibilità per le imprese agricole di accedere alle procedure di accordo di ristrutturazione dei debiti o di liquidazione dei beni disciplinate dagli artt. 7 e 14-ter della legge 3/2012.
[63] 
In proposito l’art. 18, co. 4 del d.l. 118/2021 dispone che il tribunale ordini che la proposta, unitamente al parere dell’ausiliario e alla relazione finale e al parere dell’esperto, sia comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall’elenco depositato ai sensi dell’articolo 5, co. 3, lett. c), (ove possibile a mezzo posta elettronica certificata), specificando dove possono essere reperiti i dati per la sua valutazione, e fissa l’udienza per l’omologazione. I creditori e qualsiasi interessato, una volta esaminati i termini della proposta, potranno proporre opposizione all’omologazione costituendosi nel termine perentorio di dieci giorni prima dell’udienza fissata.

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