Con l’emanazione del Regolamento UE n. 575/2023, denominato per brevità CRR (Capital Requirement Regulation)[34] è stata introdotta una nuova definizione prudenziale di default a cui le banche e gli altri intermediari finanziari sono tenuti ad uniformarsi. L’art. 178 del CRR, in particolare, prevede che ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali minimi obbligatori, i debitori siano classificati in default al ricorrere di almeno una delle seguenti condizioni:
a) condizione oggettiva: il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni nel pagamento di un’obbligazione rilevante;
b) condizione soggettiva: la banca giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alla sua obbligazione (unlikeliness to pay),
assegnando, nel contempo, all’EBA ed alla Commissione UE il compito di definire ed adottare le ulteriori regole di dettaglio. In esecuzione di tale delega, le citate Autorità hanno provveduto, rispettivamente, ad emanare le ulteriori regole che hanno concorso a definire il nuovo framework in tema di classificazione in default di posizioni di rischio, ovvero: le Linee Guida EBA sull’applicazione della definizione di Default (EBA/GL/2016/07)[35], in vigore dal 1° gennaio 2021 ed il Regolamento delegato UE 171/2018 della Commissione europea del 19 ottobre 2017, che individua la c.d. «soglia di rilevanza» delle obbligazioni creditizie in arretrato[36]. In virtù degli interventi normativi citati si giunge così ad una struttura normativa complessa in forza della quale, stante il combinato disposto di più norme, si definiscono condizioni oggettive e soggettive affinchè un debitore possa considerarsi in default e soglie di rilevanza il cui superamento rende effettivo lo status nelle disposizioni menzionate definito.
Venendo ad esaminare, alla luce del nuovo quadro regolamentare, la prima ipotesi di default definita dall’art. 178 del CRR, un debitore verrà considerato e, conseguentemente classificato in default, da una banca o da intermediario finanziario, allorquando risulti in arretrato – per un termine di oltre 90 giorni (beninteso consecutivi)[37] - nel pagamento di una obbligazione rilevante (c.d. credito scaduto o sconfinante deteriorato).
Ci si deve in primo luogo interrogare cosa si voglia intendere per «obbligazione rilevante» e quando, per l’appunto, possa dirsi verificata detta rilevanza. Le Linee Guida EBA e, soprattutto, il Regolamento delegato n. 171/2018, hanno provveduto a definire – in concreto – dette soglie di rilevanza, differenziando le stesse a seconda della natura della controparte (clientela retail alla quale, per certi versi sono equiparate anche le PMI, e clientela non retail). Più in dettaglio, il Regolamento Delegato ha definito due soglie di rilevanza espresse: i) in termini assoluti: 100 euro per le esposizioni al dettaglio (retail) e 500 euro per le altre esposizioni; ii) in termini relativi: 1% dell'importo complessivo di tutte le esposizioni verso il debitore facenti capo agli intermediari creditizi e finanziari appartenenti a un medesimo perimetro di consolidamento prudenziale[38] (non rilevando le esposizioni in strumenti di capitale); questa soglia è la stessa sia per le esposizioni al dettaglio che per le altre diverse esposizioni[39].
Pertanto, sarà considerata in default la complessiva esposizione di un debitore verso una banca o un intermediario finanziario allorquando le due soglie sub i) e ii) siano state entrambe superate per un periodo di tempo – continuativo – di 90 giorni. Ricorrendo questi presupposti l’esposizione creditizia assumerà la qualificazione di “credito scaduto/sconfinante deteriorato” ovvero in default, con conseguente allocazione della stessa da parte dell’intermediario, ai sensi dell’IFRS9, in stage 3[40]. Le Guidelines EBA hanno, altresì, previsto la facoltà per le banche e gli intermediari di adottare per le sole esposizioni al dettaglio (retail) una modalità alternativa di applicazione della definizione di default. Infatti, viene ammessa la possibilità che le esposizioni scadute/sconfinanti possano essere determinate anziché a livello di singolo debitore (quindi ricomprendendo il complesso delle esposizioni che il debitore ha verso l’intermediario), a livello di singola transazione.
In tal caso, avremo che l'esposizione scaduta o sconfinante deve essere rilevata come scaduta e/o sconfinante qualora superi entrambe le seguenti soglie di rilevanza: a) limite assoluto pari a 100 euro; b) limite relativo dell’1% dato dal rapporto tra l’ammontare complessivo scaduto o sconfinante e l’importo complessivo dell’intera esposizione creditizia, fermo restando che il requisito del superamento delle soglie deve persistere per 90 giorni consecutivi.
Qualora, poi, l’intero ammontare di un’esposizione creditizia scaduta e/o sconfinante da oltre 90 giorni, rapportato al complesso delle esposizioni verso il medesimo debitore, sia pari o superiore al 20%, il complesso delle esposizioni creditizie per cassa e “fuori bilancio” verso tale debitore va considerato come esposizione scaduta e/o sconfinante (c.d. «pulling effect»)[41].
Le nuove regole sulla definizione di default introducono significative novità anche con riferimento al tema dei cc.dd. past due tecnici, ovvero quelle situazioni di scaduto/sconfinamento prolungato che tuttavia non rappresentano un reale default della controparte.
Le Guidelines EBA circoscrivono invece tale fattispecie a situazioni nelle quali i ritardi nei pagamenti da parte del debitore sono connessi esclusivamente a problemi tecnici di registrazione nei sistemi informativi della banca e non a ragioni legate al rischio di credito della controparte o al suo comportamento nella gestione dei pagamenti, prescrivendo che detti problemi siano identificati, registrati e rettificati[42]. A titolo di esempio, tali situazioni possono verificarsi quando vi siano comprovati errori nelle procedure della Banca o malfunzionamenti nel sistema di pagamenti, o quando l’attribuzione di un pagamento al conto interessato avviene con qualche ritardo rispetto alla ricezione del flusso stesso.
Simile radicale cambiamento di impostazione avrebbe potuto generare impatti molto rilevanti e non sono mancate vibranti proteste anche a livello associativo. Gli effetti, invece, sono risultati meno significativi alla luce delle evoluzioni degli ultimi anni, in cui sono stati sviluppati (e tuttora sono in continuo affinamento) da parte di banche e intermediari specifici sistemi di early warning che intercettano le posizioni in arretrato ben prima della scadenza dei 90 giorni, permettendo il rientro, prima del superamento delle soglie, delle situazioni non caratterizzate da effettive difficoltà di rimborso.
Come innanzi precisato, l’art. 178 del CRR prevede un’ulteriore ipotesi di default quando la banca, sulla base di una propria autonoma valutazione, giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alla sua obbligazione (unlikeliness to pay). In questa prospettiva, le Guidelines EBA individuano una serie di fattispecie (c.d. «UTP trigger») nelle quali si può presumere che il requisito soggettivo sia verificato, cosi di fatto armonizzando (o forse sarebbe più corretto dire eliminando) la discrezionalità riconosciuta agli intermediari circa la possibilità di ricondurre una posizione unlikely to pay nel novero di quelle in default.
Si segnalano, in particolare, le ipotesi nelle quali si sia verificata una «ristrutturazione onerosa»[43] del debito che comporti una remissione sostanziale di questo ovvero un differimento dei pagamenti in linea capitale, interessi o commissioni con una perdita superiore all’1% del debito originario, ovvero il fallimento del debitore, la presenza di accantonamenti specifici sull’esposizione secondo i principi contabili IFRS9, nonché la perdita di fonti di reddito e l’aumento del livello di leva finanziaria.
Peraltro, rispetto agli UTP trigger identificati dalle Guidelines EBA meritano di essere menzionate anche le ulteriori indicazioni fornite, sotto il cappello delle previsioni di cui all’art. 178 del CRR, dalla Banca d’Italia nella Circolare 272/2008 (Matrice dei Conti) alla Sezione B), Capitolo 2, “Qualità del credito”, paragrafo 2.1. “Esposizioni creditizie deteriorate”, con specifico riguardo alle ipotesi in cui il debitore faccia ricorso a procedure di concordato preventivo ex art. 160 legge fall. ovvero accordi di ristrutturazione ex art 182-bis legge fall.
Ricorrendo simili circostanze, infatti, secondo Banca d’Italia, il complesso delle esposizioni verso debitori che hanno proposto il ricorso per concordato preventivo c.d. “in bianco”(art. 161 della Legge Fallimentare) andrà segnalato tra le inadempienze probabili (unlikely to pay) dalla data di presentazione della domanda e sino a quando non sia nota l’evoluzione dell’istanza (ad esempio, trasformazione in concordato “pieno” o in Accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis della Legge Fallimentare). Resta comunque fermo che le esposizioni in questione dovranno essere classificate tra le sofferenze: a) qualora ricorrano elementi obiettivi nuovi che inducano gli intermediari, nella loro responsabile autonomia, a classificare il debitore in tale categoria; b) le esposizioni erano già in sofferenza al momento della presentazione della domanda.
Analoghi criteri, prosegue Banca d’Italia, si applicheranno nel caso di domanda di concordato con continuità aziendale (art. 186-bis della Legge Fallimentare), dalla data di presentazione sino a quando non siano noti gli esiti della domanda.
In quest’ultimo caso la classificazione delle esposizioni andrà modificata secondo le regole ordinarie. Qualora, in particolare, il concordato con continuità aziendale si realizzi con la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il suo conferimento in una o più società (anche di nuova costituzione) non appartenenti al gruppo economico del debitore, l’esposizione va riclassificata nell’ambito delle attività non deteriorate.
Tale possibilità è invece preclusa nel caso di cessione o conferimento a una società appartenente al medesimo gruppo economico del debitore, nella presunzione che nel processo decisionale che ha portato tale ultimo a presentare istanza di concordato vi sia stato il coinvolgimento della capogruppo/controllante nell’interesse dell’intero gruppo. In tale situazione, l’esposizione verso la società cessionaria continua a essere segnalata nell’ambito delle attività deteriorate.
Un’ulteriore novità connessa alla nuova definizione di default attiene al c.d «contagio del default», in forza del quale, qualora sia applicata la nozione di default non a livello di singola linea ma a livello di singolo debitore – in caso di obbligazioni congiunte -, se il rapporto cointestato è in default il contagio si estende alle esposizioni dei singoli cointestatari: mentre se tutti i cointestatari sono in default il contagio si estende automaticamente alle esposizioni oggetto della cointestazione, salvo le eccezioni prevista dal paragrafo 97 delle Guidelines EBA[44]. Ciò anche alla luce del fatto che ora, se un cliente viene qualificato come in default presso una società del gruppo bancario, tale qualificazione si estende a tutte le società del gruppo ricomprese nel consolidamento, con conseguente attribuzione della medesima classificazione anche alle altre esposizioni detenute dal medesimo cliente presso i diversi intermediari facenti parte del medesimo gruppo.
Da ultimo, la disciplina in commento regola le ipotesi di rientro in bonis da una situazione di default prevedendo specifiche attività di controllo e introducendo un periodo minimo di mantenimento delle condizioni di “regolarizzazione” - il c.d. cure period -, in analogia a quanto già previsto per le esposizioni oggetto di misure di forbearance (sebbene di durata inferiore).
In particolare, viene introdotto un periodo di tre mesi dal momento della sistemazione degli elementi che hanno generato il default, ovvero il rientro dalla situazione di sconfinamento, nel corso del quale il cliente dovrà mantenere una situazione di regolarità, che l’intermediario sarà tenuto a monitorare.
E’ chiaro quindi l’obiettivo della previsione: ridurre i rischi di eccessiva volatilità nei passaggi di stato (visto che, in assenza di validi e robusti elementi a sostegno del miglioramento della capacità di rimborso del cliente, vi è il concreto rischio di un successivo, ulteriore default).
Il monitoraggio riguarderà anche le eventuali nuove esposizioni sorte successivamente al passaggio a default, in particolare nel caso in cui i crediti in default successivamente siano stati venduti o annullati. Anche tutte le posizioni “propagate” dal default del cliente, se non presentano propri elementi di criticità, seguiranno il medesimo iter.
Le banche, pertanto, dovranno monitorare con grande attenzione l’intero percorso temporale di “sistemazione” del debitore principale e degli eventuali soggetti connessi, al fine di rilevare eventuali ulteriori sconfinamenti oltre le soglie di materialità.
Per le posizioni di rischio oggetto di ristrutturazione onerosa i paragrafi 72 e 73 delle Guidelines EBA prescrivono che indipendentemente dal fatto che tale ristrutturazione sia stata effettuata prima o dopo l’individuazione del default, le banche dovrebbero considerare che nessun indicatore del default continui ad applicarsi a una esposizione precedentemente in stato di default, nel caso in cui sia trascorso almeno un anno dall’ultimo di uno dei seguenti eventi: (a) il momento della concessione delle misure di ristrutturazione; (b) il momento in cui la esposizione è classificata come in stato di default; (c) la fine del periodo di tolleranza incluso negli accordi di ristrutturazione[45].
Calendar provisioning
Tutta la regolamentazione finora esaminata in tema di crediti bancari (e relativa classificazione) avrebbe poco o nessun pregio se non beneficiasse – a monte – di quello che, a tutti gli effetti, può essere ritenuto uno degli interventi regolatori più dirompenti e invasivi della Vigilanza europea, ovvero l’introduzione del calendar provisioning[46].
Il calendar provisioning nasce dall’esigenza della Banca Centrale Europea di migliorare la qualità degli attivi delle banche riducendo le esposizioni non performing in modo sostenibile, attraverso un piano graduale di accantonamento prudenziale. Esso si inserisce, peraltro, in un percorso, iniziato con le Linee Guida per le banche sui crediti deteriorati del marzo 2017[47], con cui la BCE richiamava le banche a porre particolare attenzione sulla identificazione delle esposizioni non performing, sulla gestione delle stesse, sulla governance e sull’assetto organizzativo del processo di recupero.
In particolare, la BCE, nelle citate Linee Guida sottolineava l’importanza di una «contaminazione virtuosa» tra le due fasi di vita del credito, erogazione e recupero, «attraverso un meccanismo di regolare interazione, ad esempio per lo scambio di informazioni rilevanti ai fini della pianificazione degli afflussi di NPL, oppure per la condivisione di esperienze nel recupero degli NPL di cui tenere conto nell’erogazione dei nuovi prestiti». In sostanza, le banche dovrebbero tener conto delle evidenze delle attività di recupero nel predisporre strategie di erogazione più efficienti, volte a ridurre sia lo “scivolamento” verso lo stato di default che la perdita finale (ad esempio, limitando la esposizione verso alcuni settori merceologici, richiedendo garanzie personali o reali per le operazioni più impattanti sulla stima della perdita attesa, ridisegnando i prodotti di finanziamento utilizzati nelle proprie politiche creditizie oppure limitandone l’erogazione solo a determinate tipologie di clientela).
E’ corretto, pertanto, ritenere che le misure previste dal calendar provisioning non riguardano solo la gestione delle esposizioni già deteriorate, ma indirettamente si pongono l’obiettivo di contribuire a prevenirle (o almeno di ridurne l’impatto) già in fase di erogazione del finanziamento.
Esse rafforzano la necessità di sviluppare strumenti che, già in fase di valutazione di una richiesta di finanziamento, permettano, al tempo, di ridurre il rischio di un passaggio a non performing (ad esempio, attraverso migliore capacità di stima e selezione del rischio oppure agendo su parametri del finanziamento come la durata e/o l’importo dello stesso) e di contenerne l’impatto in termini di perdita attesa ed assorbimento di capitale, mitigando anche gli impatti dei coefficienti di copertura minimi predisposti dalla BCE (ad esempio, favorendo esposizioni coperte da garanzie ammissibili che beneficiano di un calendario di svalutazione più graduale).
Le Linee Guida del marzo 2017 sono state successivamente integrate nel marzo 2018 dalla BCE mediante l’Addendum sui crediti deteriorati[48], il quale prevede che, in funzione del tempo trascorso dal momento della classificazione come non-performing, le esposizioni deteriorate siano soggette a requisiti minimi di copertura, da conseguirsi attraverso rettifiche di valore o tramite deduzione dal patrimonio di vigilanza.
Si tratta, in ogni caso, di un sistema di aspettative di vigilanza aventi valore non vincolante e suscettibili di modifica nell’ambito del “dialogo” tra vigilanza e intermediari vigilati, ma che il Single Supervisory Mechanism (di seguito SSM) intende applicare in modo tendenzialmente rigoroso e uniforme.
Il meccanismo, concepito per essere applicato ai soli nuovi crediti deteriorati emersi a partire dall’aprile 2018, nel luglio del medesimo anno, è stato esteso – con un comunicato del SSM – anche allo stock di non-performing loan (“NPL”1) preesistenti, che dovranno anch’essi essere assoggettati a piena copertura, tendenzialmente, entro il 2026, secondo tempi diversi per le singole banche, da definire nell’ambito dell’annuale “supervisory review and evaluation process” (“SREP”)[49].
In forza di ciò, i crediti deteriorati emersi a far tempo dall’aprile 2018 dovranno essere svalutati al 100% per la parte del credito non garantita entro 2 anni dalla classificazione come Npe (non performing exposure). Di contro, per la parte del credito assistita da garanzie la svalutazione sarà più graduale secondo la seguente ripartizione:
· al 40% dopo 3 anni dalla classificazione con Npl;
· al 55% dopo 4 anni dalla classificazione con Npl;
· al 70% dopo 5 anni dalla classificazione con Npl;
· all’85% dopo 6 anni dalla classificazione con Npl;
· al 100% dopo 7 anni dalla classificazione con Npl.
Le iniziative della BCE hanno successivamente suscitato riserve da parte del Legislatore europeo. Per questo, nell’aprile 2019, la materia è stata oggetto del Regolamento UE 2019/630, che modificando in parte il Regolamento UE 575/2013 (CRR) recante i requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento ha introdotto un sistema di calendar provisioning obbligatorio (detto “backstop”) sui soli crediti erogati successivamente all’entrata in vigore del provvedimento.
In altri termini, con il Regolamento UE 2019/630[50] è stata introdotta una nuova disciplina in tema di copertura minima per le NPE, la quale impone un sistema di deduzione dal common equity Tier 1 (CET1) di ciascuna banca nella misura in cui non siano stati raggiunti determinati livelli di copertura minimi previsti dalla nuova normativa. Tale quadro regolamentare, inserito nel primo pilastro, non prevede margini di flessibilità (al contrario, quindi, delle aspettative di vigilanza di cui all’Addendum del 2018 della BCE, formalmente non vincolanti) e si applica ai soli Npl generati da crediti erogati a partire dal 26 aprile 2019.
Tenuto conto delle modifiche introdotte dal Legislatore europeo, BCE, a sua volta, con l’obiettivo di realizzare un coordinamento tra le varie disposizioni, nonché rimediare alla sopravvenuta esistenza di due sistemi di regole sulla copertura minima delle Npl, non del tutto coerenti tra loro, ha provveduto, nell’agosto 2019, ad emanare un nuova Comunicazione in merito alle aspettative di vigilanza sulla copertura delle NPE[51], chiarendo gli aspetti inerenti agli orientamenti sulle NPE pubblicati dall’EBA, fornendo maggiori dettagli in merito alle aspettative di vigilanza della BCE sugli accantonamenti per le consistenze di NPE e, soprattutto, illustrando l’interazione tra le aspettative della BCE relative alla copertura delle NPE nell’ambito del “secondo pilastro” e le norme prudenziali di “primo pilastro” coordinando, nella tabella di seguito riprodotta, le tempistiche di svalutazione delle esposizioni creditizie deteriorate secondo i due approcci regolamentari.[52]
Comparazione della calibrazione fra il trattamento delle NPE nell’ambito del primo pilastro (CRR) ed Addendum BCE.