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I contratti pendenti nella composizione negoziata con speciale riferimento ai rapporti di credito bancario

Luciano Panzani, già Presidente della Corte d’Appello di Roma

27 Gennaio 2023

Lo scritto costituisce la rielaborazione della relazione tenuta dall’A. al convegno dal titolo “Il soddisfacimento dei creditori nelle procedure di composizione della crisi d’impresa”, tenutosi a Reggio Emilia il 28 ottobre 2022, coordinato scientificamente da S. Bonfatti.
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1 . I contratti pendenti dalla legge fallimentare al codice della crisi
La disciplina dei contratti pendenti nelle procedure concorsuali svolge una funzione diversa nelle procedure di liquidazione ed in quelle di ristrutturazione dell’impresa in crisi. Nel primo caso il patrimonio dell’impresa deve essere liquidato. I contratti pendenti possono conservare un’utilità residua anche nella prospettiva della liquidazione, ma occorre comunque che tale utilità sia verificata dagli organi della procedura; di qui la regola generale per cui i contratti in parola rimangono sospesi sino alle determinazioni del curatore, che può subentrare previa autorizzazione del comitato dei creditori (art. 172 CCII).
Nelle procedure di ristrutturazione, come del resto nel caso dell’esercizio provvisorio nella liquidazione giudiziale (art. 211, comma 8), vige il principio opposto. I contratti proseguono, salvo che il debitore, o nel caso dell’esercizio provvisorio il curatore, intenda sospenderne l’esecuzione o sciogliersi.
Vigente la legge fallimentare, la disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo aveva la sua sedes materiae nell’art. 169 bis L. fall. che si riferiva ai contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti alla data di presentazione del ricorso[1]. La norma è stata ripresa dall’art. 97 CCII con molte modifiche e miglioramenti, alcuni dei quali introdotti dal decreto correttivo del codice (D.Lgs. n. 147/2020)[2]. È stato in particolare precisato che per contratti pendenti si intendono i contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti alla data del deposito della domanda di accesso al concordato preventivo.
Come si è anticipato, diversamente da quanto stabilito in caso di fallimento, la regola generale, soltanto implicitamente enunciata dall’art. 169 bis, era che i contratti pendenti al momento dell’apertura della procedura di concordato preventivo proseguivano, salva la facoltà del debitore di sciogliersi previa autorizzazione del tribunale[3].
Il legislatore aveva quindi voluto chiarire che la fondamentale caratteristica della mancata esecuzione o della non compiuta esecuzione delle prestazioni, che deve essere bilaterale perché altrimenti saremmo di fronte ad un credito o ad un debito dell’imprenditore concordatario, doveva riguardare le prestazioni principali[4]. Nella vigenza del testo originario dell’art. 169 bis prima delle modifiche introdotte dal D.L. n. 83/2015, la giurisprudenza si era espressa in maniera non uniforme sulla necessità che fosse instaurato il contraddittorio con il terzo contraente prima dell’emanazione del provvedimento autorizzativo del tribunale[5]. Il codice della crisi, oltre a confermare la regola della prosecuzione del contratto, ha precisato opportunamente che il debitore unitamente all’istanza, deposita la prova della sua avvenuta notificazione a controparte[6]. 
Tornando ancora al testo dell’art. 97 CCII, il legislatore ha precisato che la sospensione o lo scioglimento può essere autorizzato quando la prosecuzione non è coerente con le previsioni del piano né con la sua esecuzione. Infine, sempre a differenza dell’art. 169 bis, si è indicato che, mentre la sospensione può essere disposta contestualmente o successivamente alla domanda di accesso al concordato, e quindi anche nel caso di domanda con riserva, lo scioglimento comporta il deposito del piano e della proposta[7].
I principi ora visti si applicano anche nel caso dell’affitto d’azienda per il quale l’art. 184 CCII prevede che l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del concedente non determina lo scioglimento, salvo recesso del curatore previa autorizzazione del comitato dei creditori entro 60 giorni. Il curatore della liquidazione giudiziale dell’affittuario può invece recedere in qualunque momento, previa autorizzazione del comitato dei creditori, salvo indennizzo da insinuare al passivo. Si rientra quindi nella regola generale. 
Il Considerando 2 della Direttiva Insolvency prevede con riferimento alla ristrutturazione, che salvo specifica disposizione contraria del diritto nazionale, i cambiamenti operativi, come la risoluzione o la modifica dei contratti o la vendita o altro atto dispositivo delle attività, dovrebbero rispettare i requisiti generali previsti dal diritto nazionale per tali misure, in particolare il diritto civile e il diritto del lavoro. 
In altri termini la ristrutturazione non incide sui contratti in corso sul presupposto che se l’impresa è in attività i rapporti contrattuali debbano normalmente proseguire. E’ tuttavia fatta salva la diversa disciplina prevista a livello nazionale, che in Italia consente lo scioglimento dei contratti in corso.
La Direttiva contiene tuttavia norme in tema di contratti pendenti, che riguardano però limitazioni alla possibilità del contraente in bonis di sciogliersi dal contratto. La volontà del legislatore europeo è dunque nel senso di rafforzare la possibilità di prosecuzione del contratto secondo le normali regole negoziali in caso di ristrutturazione. 
Con riferimento alla disciplina italiana, in caso di ristrutturazione o comunque di prosecuzione dell’attività d’impresa la prosecuzione del contratto, pur se dà vita a crediti in prededuzione, non è considerata atto di straordinaria amministrazione perché rientra nella logica normale della continuità aziendale. Almeno nel caso del concordato preventivo l’atto così compiuto è atto di ordinaria amministrazione e beneficia della regola per cui la prededuzione spetta per gli atti legalmente compiuti, ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. d) CCII. 
Al contrario è la sospensione o lo scioglimento del contratto che deve essere autorizzato perché altera il regime in atto dell’attività d’impresa ed incide sui diritti del contraente in bonis in una situazione in cui, proseguendo l’attività, non vi sono ragioni per derogare alla disciplina ordinaria sull’efficacia del contratto.
Queste regole, che erano ormai sufficientemente codificate nella legge fallimentare e nella prima versione del codice della crisi, approvata nel 2019 e mai entrata in vigore, sono state integrate dalla Direttiva Insolvency che ha introdotto nel nostro ordinamento, nell’ambito della disciplina dei quadri di ristrutturazione, il divieto delle clausole c.d. ipso facto e la previsione che la sospensione delle azioni esecutive e dell’obbligo di pagare i debiti scaduti non potesse dar luogo all’applicazione della regola inadimplenti non est adimplendum e alla risoluzione del contratto pendente.
L’art. 7 par. 4 della Direttiva, nell’ambito della disciplina dei quadri di ristrutturazione, dispone che “Gli Stati membri prevedono norme che impediscono ai creditori cui si applica la sospensione di rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti essenziali, o di risolverli, anticiparne la scadenza o modificarli in altro modo a danno del debitore, in relazione ai debiti sorti prima della sospensione, per la sola ragione di non essere stati pagati dal debitore”. La seconda parte del par. 4 aggiunge che “I contratti pendenti essenziali devono essere intesi come i contratti pendenti necessari per la continuazione della gestione corrente dell'impresa, inclusi i contratti relativi alle forniture la cui interruzione comporterebbe la paralisi dell'attività del debitore”.
Vi è dunque un regime coordinato delle sorti dei contratti in corso nell’ambito di una procedura di ristrutturazione. Da una parte la prosecuzione dell’attività d’impresa non consente al debitore, di regola, di sciogliersi dal contratto o di invocarne la sospensione. Questi due provvedimenti potranno essere adottati soltanto per effetto di una valutazione del Tribunale se ritenuti funzionali all’attuazione del piano di ristrutturazione, ad esempio perché si tratta di contratti legati ad attività che debbono essere dismesse. 
Dall’altra parte anche il contraente in bonis, che può veder sospesi i pagamenti relativi alle prestazioni già effettuate, e che è privo di azione per via della adozione delle misure protettive, non può avvalersi di tale circostanza per ottenere la risoluzione del contratto o per rifiutare la propria prestazione.
Il legislatore, italiano[8] ed europeo, vuole assicurare che il contratto prosegua finché esso è utile per garantire la prosecuzione dell’attività, a sua volta finalizzata alla ristrutturazione dell’impresa in considerazione dei molteplici interessi che vengono in gioco, tra i quali anche la miglior tutela dei creditori, che hanno comunque diritto, come afferma la Direttiva, ad un trattamento non deteriore rispetto a quanto potrebbero ottenere in caso di liquidazione giudiziale.
L’art. 7, par. 4, secondo cpv. della Direttiva aggiunge che questo principio non impedisce agli Stati membri di conferire a tali creditori adeguate garanzie per evitare che subiscano un ingiusto pregiudizio in conseguenza del divieto di rifiutare la prestazione. 
Infine il terzo cpv. aggiunge che gli Stati membri possono prevedere che la regola si applichi anche ai contratti non essenziali. Di tale facoltà sembra essersi avvalso il legislatore italiano.
Il Considerando 41 precisa che i contratti essenziali sono “i contratti di fornitura di beni o servizi essenziali quali gas, energia elettrica, acqua, telecomunicazioni e servizi di pagamento tramite carta”. Aggiunge un elenco esemplificativo dei contratti pendenti indicando i contratti di locazione e gli accordi di licenza, i contratti di fornitura a lungo termine e gli accordi di franchising. La Direttiva non fa parola dei contratti bancari. Il Considerando 94 prevede un’eccezione per i contratti di garanzia finanziaria relativamente alle operazioni di netting e close-out, ma si tratta di situazioni diverse, dove la possibilità di chiusura dei rapporti deriva dalla necessità di assicurare la stabilità del sistema finanziario.
2 . I contratti pendenti nel PRO e negli accordi di ristrutturazione
La disciplina dei contratti pendenti nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione è del tutto sovrapponibile a quella del concordato preventivo. Sono infatti richiamate tutte le norme che regolano la fattispecie nel concordato e l’espressione “in quanto compatibili” usata nell’art. 64 bis, comma 9, CCII pare in questo caso non dar luogo a difficoltà particolari. 
Nell’ultimo comma dell’art. 64 bis il legislatore richiama in quanto compatibili anche gli artt. 94 bis, 95, e 97. In virtù del richiamo dell’art. 94 bis, si applica nel solo caso in cui il piano preveda la continuità aziendale il divieto delle clausole c.d. ipso facto, in attuazione dell’art. 7, par. 5, della Direttiva. Pertanto i creditori non possono rifiutare l'adempimento dei contratti in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell'imprenditore per il solo fatto del deposito della domanda di accesso al piano soggetto ad omologazione, dell’emissione del decreto di apertura di cui all’articolo 47 e della concessione delle misure protettive o cautelari.
Ad essi è inoltre vietato sciogliersi dai contratti essenziali per effetto del mancato pagamento dei loro crediti conseguente alla sospensione delle azioni esecutive, sempre nel solo caso in cui il piano preveda la prosecuzione dell’impresa. 
Il regime dei contratti pendenti è quello previsto dall’art. 97 in caso di concordato preventivo secondo la regola generale per cui i contratti pendenti, intesi come i contratti ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti alla data del deposito della domanda, proseguono. Sono inefficaci i patti contrari. Il debitore può chiedere di essere autorizzato a sciogliersi o a sospendere il contratto se l’esecuzione non è coerente con le previsioni del piano né funzionale alla sua esecuzione. Nel caso di domanda con riserva può esser chiesta soltanto la sospensione. La sospensione o lo scioglimento sono disposti dal tribunale o dal G.D., da quest’ultimo dopo la pronuncia del decreto di apertura della procedura, nel contraddittorio del contraente in bonis, con determinazione di un indennizzo a favore di quest’ultimo che costituisce credito chirografario, ferma restando la prededuzione per il corrispettivo delle prestazioni eseguite tra la presentazione della domanda e la richiesta di scioglimento o sospensione. Il GD determina l’indennizzo ai soli fini della partecipazione del creditore al voto e del calcolo delle maggioranze. Altrimenti la determinazione dell’indennizzo è rimessa al giudice ordinariamente competente. 
Oltre alla disciplina dettata dall’art. 97, il cui disposto abbiamo sommariamente riassunto, il legislatore nell’art. 64 bis richiama anche l’art. 95 e quindi le disposizioni speciali per i contratti con le pubbliche amministrazioni. Il principio generale dettato dal primo comma dell’art. 95 è che i contratti in corso di esecuzione, stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto del deposito della domanda di omologazione. Sono inefficaci eventuali patti contrari. Va peraltro sottolineato che dal tenore del secondo comma la regola si applica alla procedura che abbia carattere liquidatorio nel solo caso in cui il professionista indipendente attesti che la continuazione del contratto è necessaria per la miglior liquidazione dell’azienda in esercizio. Diversamente il piano deve prevedere la prosecuzione dell’attività d’impresa. 
E’ appena il caso di ricordare che gli accordi di ristrutturazione non prevedono una disciplina analoga a quella stabilita dal concordato preventivo e dal piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. La modificazione dei rapporti in corso può avvenire soltanto su base consensuale.
3 . I contratti pendenti nella composizione negoziata
Nella composizione negoziata l’imprenditore è in bonis. Può compiere gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione e non ha bisogno di autorizzazioni da parte del Tribunale. Le autorizzazioni previste, relative ai finanziamenti ed alla cessione di azienda, hanno finalità diverse dirette al riconoscimento nel primo caso della prededuzione e nel secondo ad esonerare l’acquirente dalla responsabilità per i debiti pregressi ai sensi dell’art. 2560 c.c. Questi atti, se compiuti senza autorizzazione, sarebbero validi, anche nell’ipotesi che l’esperto avesse iscritto a registro imprese il proprio dissenso per non essere l’atto coerente con lo stato delle trattative o pregiudizievole ai creditori. 
Ciò significa che i contratti di finanziamento in corso possono proseguire senza necessità di particolari autorizzazioni, anche quando si tratti di contratti c.d. di smobilizzo di crediti commerciali, salvo appunto che il finanziatore intenda ottenere il riconoscimento della prededuzione[9]. Non trova applicazione nella composizione negoziata l’art. 97, comma 14, CCII secondo il quale nel contratto di finanziamento bancario costituisce prestazione principale anche la riscossione diretta da parte del finanziatore nei confronti dei terzi debitori della parte finanziata. 
Nel caso della composizione negoziata l’imprenditore può avvalersi della sospensione delle azioni esecutive, che impedisce ai creditori di agire esecutivamente nei suoi confronti ed anche di ottenere l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale. Al debitore non sono vietati i pagamenti, salvo il caso di dissenso dell’esperto. Anche in questa ipotesi il pagamento non è illegittimo e non è inefficace o inopponibile nei confronti dei creditori.
La conseguenza di queste regole è che i contratti in essere proseguono e non vi sono possibilità per l’imprenditore di sciogliersi o di ottenere la sospensione del contratto. 
Trovano invece parziale applicazione le norme relative al divieto delle ipso facto clauses.
E’ stato notato[10] che il legislatore doveva intervenire perché in difetto l’imprenditore non avrebbe avuto alcuna tutela nel caso in cui avesse deciso di ricorrere alle misure protettive ed avesse ritenuto di sospendere i pagamenti. Poiché tale comportamento non è obbligatorio, non avrebbe infatti potuto opporre al creditore l’art. 1460, comma 2, c.c. che prevede che l’eccezione d’inadempimento non può essere opposta se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario a buona fede. Tale eccezione avrebbe invece potuto essere sollevata nel caso del concordato preventivo perché in quella procedura vi è per il debitore il divieto di pagamento dei crediti pregressi, eccezion fatta per i creditori strategici e solo con l’autorizzazione del giudice. 
L’art. 18, comma 5, CCII dispone infatti che i creditori nei cui confronti operano le misure protettive non possono rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori alla pubblicazione dell’istanza di nomina dell’esperto o alla successiva istanza di applicazione delle misure protettive. La sospensione della controprestazione è tuttavia ammessa fino al momento in cui la misura protettiva è confermata dal Tribunale. 
Se confrontiamo questa norma con l’art. 94 bis dettato in tema di contratti pendenti nel concordato in continuità, possiamo notare che la stessa regola è prevista, con l’impiego delle medesime espressioni, con riferimento alle misure protettive disposte nell’ambito della procedura concordataria relativamente ai contratti essenziali in corso di esecuzione. Tuttavia l’art. 94 bis ha una portata più ampia perché estende a tutti i contratti in corso di esecuzione il divieto delle clausole ipso facto nel caso di accesso al concordato in continuità, dell’emissione del decreto di apertura e della concessione delle misure protettive e cautelari. 
Con riferimento al testo dell’art. 6, comma 5, del D.L. n. 118/21, per questa parte non modificato dall’art. 18, comma 5, CCII, era stato osservato che il legislatore non aveva attuato l’art. 7, par. 4, seconda parte, della Direttiva nella parte in cui prevede che gli Stati Membri possono conferire ai creditori adeguate garanzie per evitare che subiscano un ingiusto pregiudizio[11]. Il legislatore è intervenuto nel testo dell’art. 18, prevedendo una diversa forma di tutela rispetto alla Direttiva, perché ai creditori è concesso sospendere la prestazione sino al momento in cui la misura è confermata dal giudice.
La composizione negoziata non è un quadro di ristrutturazione ai sensi della Direttiva Insolvency. Si tratta di un percorso di mediazione che può sfociare in un accordo o creare le basi per l’accesso, questo sì, ad una procedura di ristrutturazione, nel linguaggio del codice strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Di conseguenza il divieto di scioglimento dei contratti pendenti essenziali non si applica.
Ciò non significa, tuttavia, che la Direttiva non abbia influenzato la regolamentazione delle clausole ipso facto nella composizione negoziata. La disciplina dei quadri di ristrutturazione ai sensi dell’art. 4, par. 5 della Direttiva può consistere “in una o più procedure, misure o disposizioni, alcune delle quali possono realizzarsi in sede extragiudiziale”. La composizione negoziata pertanto in taluni suoi profili può costituire una parte di un quadro di ristrutturazione in vista del ricorso ad una delle procedure previste dal codice della crisi. Ciò ha consentito al legislatore di dettare le norme che sono oggetto di questa disanima, che altrimenti non troverebbero fondamento nella legge delega 155/2017 su cui si fonda il codice della crisi. 
Possiamo domandarci se vi è un ruolo del tribunale con riferimento al divieto delle ipso facto clauses nella composizione negoziata. La risposta può essere affermativa non soltanto nel limitato senso che la violazione del divieto dovrà essere oggetto di accertamento sotto il profilo della garanzia della tutela contrattuale e del risarcimento danni da parte del giudice. Occorre infatti domandarsi se il tribunale, chiamato a pronunciarsi sulla sussistenza delle condizioni per la conferma delle misure protettive ovvero per la loro proroga, ovvero ancora chiamato eventualmente, ai sensi dell’art. 19, comma 4, a limitare le misure a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori, possa provvedere anche sotto il profilo della rimozione del vincolo sui contratti in essere. 
A nostro avviso la risposta può ritenersi positiva. L’art. 19, comma 4, CCII che regola il procedimento al termine del quale il tribunale con ordinanza conferma o non conferma ed eventualmente limita le misure protettive, non fa parola dell’efficacia dell’eventuale prosecuzione coattiva dei contratti pendenti. Poiché, tuttavia, il tribunale oltre a confermare o non confermare la sospensione delle azioni esecutive, può limitare le misure a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori, e poiché, se le misure protettive o cautelari incidono sui diritti di terzi, costoro debbono essere sentiti, se ne ricava che anche lo scioglimento o la sospensione del contratto pendente potranno essere oggetto di valutazione da parte del tribunale, nel contraddittorio con il contraente in bonis. Il tribunale potrà valutare la prosecuzione del contratto dal punto di vista della sua utilità per la conservazione dell’impresa in crisi e del buon esito delle trattative, che ovviamente riposano sul successo, in termini prospettici, del piano proposto con l’accesso alla composizione negoziata. Occorre infatti ricordare che l’esito delle trattative va valutato dal punto di vista dell’idoneità delle medesime a giungere ad una soluzione che ponga fine alla situazione di pericolo di crisi o di insolvenza che ha dato luogo all’accesso al percorso conciliativo. La composizione negoziata mira a rimuovere la situazione descritta dall’art. 12, comma 1, CCII, e quindi lo squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, a condizione che sia ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa. Il mantenimento degli affidamenti in essere, in virtù della prosecuzione coattiva del contratto, va valutato in relazione al progetto di piano di risanamento che l’imprenditore deve allegare all’istanza di nomina dell’esperto ai sensi dell’art. 17, comma 2, lett. b) CCII. 
Va sottolineato che la tutela offerta dal legislatore in caso di composizione negoziata è soltanto parziale perché il divieto di clausole ipso facto non riguarda il mero accesso al procedimento. Non esiste cioè a un divieto di scioglimento del contratto di finanziamento per la sola ragione dell’accesso alla composizione negoziata. Occorre la richiesta delle misure protettive e il mancato rispetto da parte dell’imprenditore delle obbligazioni derivanti dal contratto pendente.
Né potrebbe derivare la proliferazione di clausole di risoluzione per il solo fatto dell’accesso alla composizione negoziata o che prevedano il recesso del contraente in bonis per ragioni diverse dal mancato pagamento.
Va poi tenuto conto che il divieto di scioglimento non opera nei seguenti casi:
(a) quando le misure protettive non siano state richieste; 
(b) fino a quando siano richieste, se ciò avvenga dopo l’accesso al procedimento; 
(c) quando la controparte che intende eccepire l’inadempimento sia un creditore non interessato dalle misure protettive e 
(d) quando la medesima controparte non sia creditore perché non è detto che il contraente in bonis sia necessariamente un creditore.
Va poi aggiunto che un ulteriore limite deriva dalla nozione stessa di contratto pendente, inteso come contratto non eseguito o non compiutamente eseguito nelle prestazioni principali secondo la definizione che ne dà l’art. 97, comma 1, CCII.
Un fornitore che non abbia stipulato un contratto di durata potrà rifiutare di obbligarsi ad effettuare nuove forniture. E’ stato inoltre osservato che l’art. 18, comma 5, fa riferimento al divieto di rifiutare l’adempimento o di chiedere la risoluzione del contratto in ragione del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza di applicazione delle misure protettive. Se quindi si tratta di crediti che sono successivi in forza di un contratto stipulato dopo tale data o comunque in corso, il divieto non dovrebbe trovare applicazione[12]. Va poi aggiunto che la natura stessa del contratto di credito comporta che la prosecuzione può riferirsi soltanto ai contratti che implicano la messa a disposizione di una disponibilità che il cliente beneficiario non ha ancora utilizzato in tutto o in parte, anche attraverso il ripristino ed il successivo riutilizzo della disponibilità. Sul punto si tornerà nel prossimo paragrafo.
4 . Composizione negoziata e revoca degli affidamenti bancari
Si è detto che il divieto di clausole ipso facto non riguarda, nella composizione negoziata, la sola circostanza dell’accesso allo strumento compositivo. Vi è tuttavia un’eccezione a questo principio. 
L’art. 16, comma 5, CCII dispone, questa volta indipendentemente dalla richiesta delle misure protettive, che l’accesso alla composizione negoziata non costituisce di per sé causa di sospensione e di revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore. Il legislatore aggiunge che la sospensione o la revoca possono essere disposti se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, con comunicazione che dà conto della decisione assunta. 
Quindi il divieto di scioglimento dei contratti pendenti per il solo fatto dell’accesso ad un mezzo di tutela previsto dall’ordinamento non riguarda tutti i contratti pendenti e neppure i contratti essenziali. Riguarda soltanto quei contratti bancari che rientrano nella nozione di affidamento, per quanto concerne la sospensione e la revoca degli affidamenti.
Con l’espressione affidamenti, che non ha un contenuto tecnico preciso, è da ritenere che il legislatore abbia inteso far essenzialmente riferimento al contratto di mutuo, almeno quando la somma mutuata non sia stata integralmente erogata, al contratto di apertura di credito nell’ambito del quale il sovvenuto può esercitare in una o più riprese la propria possibilità di utilizzo del fido accordato o del castelletto di sconto. Situazioni in cui l’effettivo utilizzo della provvista messa a disposizione dalla banca varia in ragione degli utilizzi che il cliente ne faccia.
Vi rientrano anche i contratti di credito bancario c.d. autoliquidanti in ragione del disposto dell’art. 97, comma 14, che li fa rientrare per espressa disposizione di legge nell’ambito dei contratti pendenti. 
In tutti questi casi la banca non potrà 
a) recedere dal contratto per il solo fatto dell’accesso alla composizione negoziata;
b) risolvere il contratto anche in presenza di inadempimenti pregressi;
c) rifiutare nuovi utilizzi della provvista per la sola ragione dei pregressi inadempimenti[13].
Il legislatore ha evidentemente ritenuto che tali contratti, che non sono in sostanza neppure menzionati dalla Direttiva Insolvency, siano i più delicati, quelli per i quali il rischio di interruzione può effettivamente essere più pericoloso per le imprese che accedono alla composizione negoziata, tenendo anche conto che il presupposto per l’accesso al procedimento non riguarda le sole situazioni di crisi e di insolvenza, che sono comuni alle procedure di ristrutturazione quali il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione, il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. L’art. 12, comma 1, CCII consente l’accesso all’imprenditore, commerciale o agricolo anche sotto soglia, quando lo squilibrio patrimoniale o economico-finanziario rende anche soltanto probabile la crisi. E poiché la crisi è lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza, secondo la definizione di cui all’art. 2, lett. a), ne deriva che siamo in una condizione che è ancora anteriore al verificarsi della crisi, la c.d. twilight zone, uno stato di difficoltà che è compatibile con uno stato di operatività ordinaria dell’impresa.
Come si è detto, l’accesso alla composizione della crisi non costituisce “di per sé” causa di sospensione o revoca degli affidamenti. Ne deriva che la sospensione o la revoca possono essere disposte dalla banca nei casi in cui lo svolgimento del rapporto presenta anomalie incompatibili con la continuazione dell’erogazione del credito. Rientrano certamente in tali ipotesi l’eccessiva concentrazione del portafoglio articolato in un numero troppo limitato di clienti, il continuativo utilizzo dell’intero fido accordato senza rientri, e veri e propri illeciti come la presentazione allo sconto di titoli di comodo o la duplicazione di titoli. 
Oltre a ciò, il legislatore, modificando il testo dell’art. 4, comma 6, D.L. n. 118/21, ha previsto che revoca e sospensione possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, con comunicazione delle ragioni della decisione assunta. 
E’ stato sostenuto in dottrina che il divieto di sospensione o revoca, che tecnicamente va letto come un divieto di recesso dal rapporto pendente o di risoluzione del medesimo, può aver ad oggetto la risoluzione del contratto di mutuo per mancato tempestivo pagamento di tutte le rate scadute del contratto, la risoluzione del contratto di leasing di nuovo in caso di mancato tempestivo versamento di tutti i canoni scaduti, il divieto di recedere dal contratto per gli effetti restitutori che esso produrrebbe sulle prestazioni già scadute. Sarebbe invece inimmaginabile il divieto di revoca con riferimento alle prestazioni da eseguire perché ciò equivarrebbe all’introduzione di un obbligo di finanziamento contrario ad ogni principio di ragionevolezza[14]. Si è aggiunto che un argomento in questo senso si trova nella disciplina della convenzione di moratoria, oggi regolata dall’art. 62 CCII, e negli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, dove l’estensione degli effetti della convenzione o dell’accordo alla minoranza dei creditori appartenenti ad una data categoria non può mai portare all’esecuzione di nuove prestazioni, alla concessione di affidamenti, al mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti (artt. 61, comma 4; 62, comma 3, CCII). 
Tale conclusione non mi trova concorde[15] per due ordini di motivi. Da un lato il disposto degli artt. 61 e 62 non è stato richiamato o ripetuto con riferimento alla composizione negoziata, sì che non si può trarre argomento da una disciplina dettata ad altro titolo. Dall’altro la prosecuzione del contratto pendente nonostante l’accesso alla composizione negoziata non soffre alcuna eccezione, se non il rispetto della disciplina in materia di vigilanza prudenziale. 
Ne deriva che la banca nell’erogazione di credito deve sottostare alla disciplina derivante dal contratto che non le consente di rifiutare nuovi utilizzi del fido accordato, salvo che per ragioni attinenti al merito creditizio o per pregressi inadempimenti il rispetto dei criteri di sana e prudente gestione comporti la revoca dell’affidamento stesso, eccezione che è chiaramente contenuta nella norma e che tutela adeguatamente l’interesse della banca. Naturalmente il rispetto degli obblighi di sana e prudente gestione implica anche il rispetto degli obblighi di buona fede e correttezza sanciti dall’art. 4, che si applicano anche in caso di composizione negoziata.
5 . Composizione negoziata e qualificazione del credito della banca
Una questione particolarmente delicata riguarda la qualificazione del credito dopo che l’imprenditore abbia fatto accesso alla composizione negoziata[16]. E’ infatti oggetto di dibattito la questione se il solo fatto dell’accesso alla composizione negoziata possa giustificare il recesso della banca dal rapporto alla luce del disposto dell’art. 16, comma 5, CCII, che, come si è già detto, dispone che “In ogni caso la sospensione o la revoca degli affidamenti possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, con comunicazione che dà conto delle ragioni della decisione assunta”.
L’art. 178 del Regolamento UE 575/2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento, considera avvenuto un default in relazione ad un determinato debitore allorché si verifica almeno uno dei seguenti eventi: 
a) l’ente finanziatore giudica improbabile che senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente le sue obbligazioni; b) il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni (180 in caso di garanzia immobiliare) su un’obbligazione creditizia rilevante verso l’ente, la sua impresa madre o una delle sue filiazioni. 
Sempre ai sensi dell’art. 178 tra gli elementi indicativi dell’improbabile inadempimento figurano: 
a) l’inclusione del debito da parte dell’ente tra le sofferenze o gli incagli; 
b) l’ente rettifica il valore del credito in relazione ad un significativo scadimento del merito del credito; 
c) l’ente cede il credito subendo una perdita economica; 
d) l’ente acconsente ad una ristrutturazione onerosa del debito, ivi compreso un differimento dei termini di pagamento; 
e) l’ente ha presentato istanza di fallimento nei confronti del debitore o ha avviato un’iniziativa analoga, anche per quanto concerne l’impresa madre o una delle sue affiliazioni; 
f) il debitore ha chiesto o è stato posto in fallimento o situazione analoga, ove ciò impedisca o ritardi il rimborso dell’obbligazione.
Le vigenti Guidelines EBA[17] ( par. 56) richiedono alle banche di precisare nelle rispettive politiche interne, con riguardo alle ipotesi ora menzionate, in particolare ai punti e) ed f), quale tipo di accordo (arrangement) è considerato come un provvedimento o tutela analoga al fallimento tenendo conto del contesto legale rilevante e delle caratteristiche tipiche di una tutela simile al fallimento, e quindi delle seguenti circostanze:
a) il sistema di tutela comprende tutti i creditori o tutti i creditori con crediti non garantiti; 
(b) i termini e le condizioni del sistema di tutela sono approvati dal giudice o da altra autorità competente; 
(c) i termini e le condizioni del sistema di tutela comprendono una sospensione temporanea dei pagamenti o l’estinzione parziale del debito; 
(d) le misure comportano una qualche forma di controllo sulla gestione della società e delle sue attività; 
(e) nel caso in cui il sistema di tutela fallisca, l’impresa sarebbe a rischio di liquidazione.
Secondo il par. 57 delle Guidelines EBA le banche dovrebbero trattare tutti i procedimenti contemplati nell’Allegato A al Regolamento UE 848/2015 in tema di insolvenza transfrontaliera come un provvedimento o una tutela analoga al fallimento. La lista delle procedure comprese nell’allegato non considera la composizione negoziata, che non è una procedura, ma comprende gli accordi di ristrutturazione, il concordato preventivo, la liquidazione giudiziale che sono possibili sbocchi della composizione.
Ancora le Guidelines EBA ai par. 49-51 prevedono, questa volta con riferimento all’ipotesi di cui alla lettera d) che la ristrutturazione onerosa debba intendersi avvenuta nei confronti di un debitore che fronteggia o è in procinto di fronteggiare difficoltà nell’onorare i propri impegni finanziari, quando peraltro ne derivi una riduzione del credito della banca di oltre l’1%. 
La classificazione di un credito come default comporta che esso possa essere qualificato, secondo la vecchia indicazione di Banca d’Italia di cui alla Circolare 272/2008 in tema di vigilanza prudenziale, non aggiornata, come sofferenza, UTP, esposizione deteriorata. L’UTP implica un giudizio della banca circa l’improbabilità che il debitore adempia regolarmente senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie. 
Occorre ricordare che in base al calendar provisioning previsto sia dalla normativa EBA (addendum) sia dal Regolamento UE 630/2019 la banca dovrebbe svalutare i crediti deteriorati entro termini prestabiliti. E’ previsto un sistema di copertura minima per gli NPL che ne impone la deduzione dal Common Equity Tier 1 (CET1) nella misura in cui non siano stati raggiunti determinati livelli di copertura minima. Per i crediti non garantiti l’abbattimento scatta dal secondo anno nella misura, secondo l’addendum, del 100%. Non sono norme vincolanti, ma danno luogo ad un “dialogo” tra la banca e la Vigilanza. Ovviamente la banca non desidera trovarsi nella condizione di avviare questo dialogo.
La valutazione diffusa tra gli operatori bancari è che l’accesso alla composizione negoziata comporti la qualificazione del credito ad inadempienza probabile. Quando le trattative sfociano nei risultati previsti dall’art. 23 CCII, anche nel caso in cui sia stipulato il contratto o l’accordo previsti dal primo comma della norma, la qualificazione dovrebbe essere come inadempienza probabile, eventualmente aggravata dalla previsione di una ristrutturazione onerosa. A maggior ragione tali conclusioni valgono in tutti i casi in cui, a seguito delle trattative, si addivenga alla presentazione di una domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione o di altro tipo di procedura.
Occorre chiedersi se questa conclusione sia coerente con la disciplina di legge o costituisca invece un eccesso di prudenza o possa essere interpretata anche come una reazione difensiva, non sempre giustificata, nei confronti di un istituto, la composizione negoziata, che pone precisi obblighi ai creditori, ed in particolare alle banche, nella fase delle trattative e fa scattare il divieto delle clausole ipso facto e della revoca dei fidi, salvo vicende connesse appunto alla vigilanza prudenziale o all’andamento del conto.
Va in primo luogo verificato se sia ragionevole sostenere, ai sensi dell’art. 178, par. 3 del Regolamento 575/2013 che la composizione negoziata possa essere in qualche modo assimilata al fallimento, cioè ad una procedura concorsuale liquidatoria. Naturalmente l’assimilazione non va vista dal punto di vista strutturale della disciplina, ma con riguardo agli elementi di concorsualità individuati dall’EBA nelle sue Linee Guida 
Come si è già detto, le Linee Guida EBA richiamano queste ipotesi, che debbono aiutare l’intermediario finanziario ad individuare le procedure e le misure che possono essere assimilate ad una procedura concorsuale:
a) il sistema di tutela comprende tutti i creditori o tutti i creditori con crediti non garantiti; 
(b) i termini e le condizioni del sistema di tutela sono approvate dal giudice o da altra autorità competente; 
(c) i termini e le condizioni del sistema di tutela comprendono una sospensione temporanea dei pagamenti o l’estinzione parziale del debito; 
(d) le misure comportano una qualche forma di controllo sulla gestione della società e delle sue attività; 
(e) nel caso in cui il sistema di tutela fallisca, l’impresa sarebbe a rischio di liquidazione.
Tuttavia le Linee Guida chiedono agli intermediari soggetti a vigilanza di specificare prima di tutto nelle loro politiche interne quali tipo di accordo o composizione deve essere trattato come un provvedimento o una tutela simile al fallimento ( what type of arrangement is treated as an order or as a protection similar to bankruptcy). Occorre quindi, a nostro avviso, che l’iniziativa assunta dal debitore incida sulle condizioni di rimborso del credito della banca, circostanza questa che non discende automaticamente dall’accesso alla composizione negoziata. 
In merito va sottolineato in primo luogo che la composizione negoziata non è un sistema di tutela, ma una trattativa diretta da un esperto. Non vi è alcuna approvazione di un sistema di tutela che dipenda dal giudice. Le autorizzazioni del giudice sono previste esclusivamente per il riconoscimento della prededuzione e per la vendita dell’azienda con limitazione della responsabilità dell’acquirente. Per il resto il debitore è in bonis. Anche l’esperto non ha poteri di controllo sulla gestione. Deve essere informato del suo andamento, ma non può emanare direttive vincolanti. Occorre tener conto di queste peculiarità ed evitare di assimilare in modo meccanicistico la composizione negoziata ad altri tipi di procedimento. 
Ovviamente ha grande rilevanza la scelta dell’imprenditore di richiedere la sospensione delle azioni esecutive con l’applicazione delle misure protettive, perché il regime di sospensione può incidere sulle possibilità di recupero del credito, con l’avvertenza tuttavia che all’imprenditore non è impedito, a differenza di quanto avviene nelle procedure concorsuali di ristrutturazione propriamente dette, di effettuare pagamenti.
Ha anche importanza verificare se l’imprenditore si trova in stato di crisi, vale a dire secondo la definizione contenuta nell’art. 2, lett. a) CCII in una situazione di probabilità di insolvenza, se non si adottano le opportune misure, o se è già insolvente. 
Occorre a questo proposito ricordare che il presupposto della composizione negoziata, secondo la previsione dell’art. 12 CCII, è la probabilità della crisi, vale a dire la probabilità della probabilità d’insolvenza, che, secondo l’unanimità degli interpreti e la stessa Relazione governativa al D.L. n. 118/2021, rende rilevante anche una situazione di mera difficoltà, che ancora non integra gli estremi della crisi vera e propria. Se la composizione negoziata è attivata nelle condizioni previste dal legislatore, cioè ai primi segni della crisi, senza accesso alle misure protettive, non pare che la classificazione della posizione a default da parte della banca possa ritenersi giustificata. Le condizioni dell’impresa, infatti, sono ben lontane da quelle che possono giustificare la convinzione che l’imprenditore stia facendo accesso ad uno strumento di tutela analogo ad una procedura concorsuale. 
La seconda questione che occorre risolvere, sempre con riferimento alle Linee Guida EBA, è se l’accesso alla composizione negoziata comporti necessariamente la previsione da parte della banca di una ristrutturazione onerosa del debito, vale a dire con una perdita sul credito superiore all’1%. La risposta dipende fondamentalmente dal tipo di piano che l’imprenditore intende proporre. Se la ristrutturazione prevista o ipotizzata interviene in una fase iniziale della crisi è ben possibile che il credito della banca non venga in alcun modo inciso dal piano. Può anzi immaginarsi che in queste condizioni la prosecuzione delle linee di credito in essere e il fisiologico ripristino della disponibilità sugli affidamenti siano una premessa fondamentale del piano di ristrutturazione, diretto al mantenimento della continuità aziendale. Le conclusioni saranno evidentemente diverse quando il piano preveda la rinegoziazione del credito della banca.
In conclusione, le preoccupazioni delle banche non sono sempre giustificate, ma un atteggiamento di prudenza è ragionevole nel caso in cui ci si accosti alla composizione negoziata in condizioni di insolvenza o comunque prevedendo di accedere alle misure protettive, come avviene oggi nel 70% dei casi, secondo i dati Unioncamere[18]. Da questo punto di vista l’imprenditore potrà evitare di chiedere misure protettive generalizzate, quando non ha interesse ad ottenere misure nei confronti della banca.

Note:

[1] 
Sul tema si veda in generale G. Bozza, I contratti in corso di esecuzione nel concordato preventivo, in Fallimento, 2013, 1123; M. Fabiani, Per una lettura ricostruttiva della disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in Ilcaso.it, 11 marzo 2013, 4; B. Inzitari, Contratti in corso di esecuzione nel concordato: art. 169 bis legge fall., ivi, 2013.; A. Dimundo, Struttura e funzione dei contratti pendenti nelle procedure concorsuali, in Fallimento, 2018, 1085 ss. ed ivi ulteriori riferimenti; R. Brogi, Rapporti pendenti e contratti bancari, ivi, 2018, 1124 ss.
[2] 
Tra i primi commenti L. Farenga, I contratti pendenti nel concordato preventivo alla luce del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Dir. fall., 2020, 287; M.T. Francioso, Le novità in materia di contratti pendenti nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, in Dir. econ. impresa, 2021, 236 ss.; A. Didone, I rapporti pendenti, in Fallimento, 2020, 1281 ss.
[3] 
Si tratta di un principio affermatosi in dottrina e giurisprudenza ben prima dell’introduzione nella legge fallimentare del testo dell’art. 169 bis. Si veda in proposito A. Jorio, I rapporti giuridici pendenti nel concordato preventivo, Padova, 1973; P.F. Censoni, Gli effetti del concordato preventivo sui rapporti giuridici preesistenti, Milano, 1988; G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 1997, 455 ss.
[4] 
Tuttavia il testo dell’art. 97 introdotto dal D.Lgs. n. 147/2020 (il decreto correttivo) dispone all’ultimo comma che “nel contratto di finanziamento bancario costituisce prestazione principale ai sensi del comma 1 anche la riscossione diretta da parte del finanziatore nei confronti dei terzi debitori della parte finanziata”. Si è così concluso il contrasto dottrinale e giurisprudenziale insorto sulla tesi che fossero contratti pendenti non solo i contratti bilaterali ineseguiti o parzialmente eseguiti da entrambe le parti, ma anche quelli unilaterali con obbligazioni di una sola delle parti. Tesi sostenuta soprattutto per affermare la possibilità di scioglimento dei contratti bancari di finanziamento in cui già vi fosse stata l’erogazione della somma mutuata, sostenendosi che l’obbligo della banca di provvedere all’incasso del credito in esecuzione del mandato non costituisse un’obbligazione accessoria.
Sul tema si era già pronunciata Cass. 15 giugno 2020, n. 11524, in Fallimento, 2021, 39 con commento di V. Zanichelli, I contratti di finanziamento autoliquidanti tra presente e futuro (in progress), ammettendo il diritto della banca anche in caso di mandato all’incasso di riscuotere il credito e procedere alla compensazione del debito di restituzione nei confronti del cliente con il credito derivante dal finanziamento erogato. Le conclusioni cui era pervenuta la Cassazione sono state superate dal testo emendato dell’art. 97 CCII.
[5] 
Nel senso che il contraddittorio con il contraente in bonis non è indispensabile, quantomeno nella prima fase del procedimento, Trib. Rovigo 9 agosto 2017, in Ilcaso.it, Sez. Giurisprudenza, 17889 - pubb. 7 settembre 2017; Trib. Ravenna 22 ottobre 2014, ivi, Sez. Giurisprudenza, 11829 - pubb. 22 dicembre 2014; Trib. Rovigo 18 settembre 2014, ivi, Sez. Giurisprudenza, 12845 - pubb. 17 giugno 2015; Trib. Ravenna 28 gennaio 2014, ivi, Sez. Giurisprudenza, 9989 - pubb. 3 febbraio 2014; Trib. Udine 25 settembre 2013, ivi, Sez. Giurisprudenza, 9531 - pubb. 7 ottobre 2013; Trib. Pistoia 9 luglio 2013, ivi, Sez. Giurisprudenza, 9531 - pubb. 7 ottobre 2013. In senso contrario Trib. Bolzano 5 aprile 2016, Sez. Giurisprudenza, 14767 - pubb. 19 aprile 2016: Trib. Reggio Emilia 8 luglio 2015, ivi, Sez. Giurisprudenza, 13112 - pubb. 23 luglio 2015; App. Milano 4 febbraio 2015, ivi, Sez. Giurisprudenza, 12022 - pubb. 9 febbraio 2015; Trib. Pavia 24 novembre 2014, ivi, Sez. Giurisprudenza, 11691 - pubb. 1° dicembre 2014; Trib. Prato 8 agosto 2014, ivi, Sez. Giurisprudenza, 11248 - pubb. 25 settembre 2014; Trib. Pavia 4 marzo 2014, ivi, Sez. Giurisprudenza, 10157 - pubb. 10 marzo 2014; App. Venezia 20 novembre 2013; Trib. Novara 27 marzo 2013, ivi, Sez. Giurisprudenza, 8819 - pubb. 22 aprile 2013; Trib. Monza 21 gennaio 2013, ivi, Sez. Giurisprudenza, 8530 - pubb. 18 febbraio 2013.
[6] 
L’art. 97 nel testo modificato dal decreto correttivo n. 147/2020 aggiunge alla regola già presente nel testo originario dell’art. 97 che la sospensione o lo scioglimento del contratto hanno effetto dalla data della notificazione del provvedimento autorizzativo all’altro contraente effettuata a cura del debitore, l’ulteriore principio che tra la data della notificazione dell’istanza di sospensione o di scioglimento e la data della notificazione del provvedimento autorizzativo la controparte non può esigere dal debitore la prestazione dovuta ne’ invocare la risoluzione di diritto del contratto per il mancato adempimento di obbligazioni con scadenza successiva al deposito della domanda di accesso al concordato preventivo.
[7] 
La giurisprudenza sull’inammissibilità dello scioglimento nell’ipotesi di concordato con riserva è consolidata. Cfr. per tutti Trib. Bergamo 20 febbraio 2019, in Ilcaso.it, Sez. Giurisprudenza, 21397 - pubb. 20 marzo 2019; Trib. Udine 25 settembre 2013, in Ilcaso.it, Sez. Giurisprudenza, 9531 - pubb. 7 ottobre 2013.
[8] 
Il parametro di riferimento per la disciplina italiana è l’art. 94 bis CCII, espressamente dettato per il concordato preventivo.
[9] 
S. Bonfatti, La nuova finanza bancaria, in DCC, 14 dicembre 2021.
[10] 
P.G. Cecchini, I contratti asimmetrici nella composizione negoziata, in DDC, 25 novembre 2021;
R. Brogi, I rapporti pendenti nella liquidazione giudiziale, in Fallimento, 2019. 1194; A. Patti, Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento, ivi, 2013, p. 266.
[11] 
P.G. Cecchini, I contratti asimmetrici nella composizione negoziata, cit.
[12] 
P.G. Cecchini, I contratti asimmetrici nella composizione negoziata, cit.
[13] 
Cfr. ancora . S. Bonfatti, La nuova finanza bancaria, cit.
[14] 
S. Bonfatti, La nuova finanza bancaria in progress nella Composizione negoziata della crisi d’impresa, in Bancaria, 9/2022, 103; L. Stanghellini, I finanziamenti al debitore e le crisi, in Fallimento, 2021, p. 1183.
[15] 
Nello stesso senso P.G. Cecchini, I contratti asimmetrici nella composizione negoziata, cit.
[16] 
Si veda il “grido di dolore”, privo peraltro di suggerimenti pratici, se si esclude la rilevata esigenza di armonizzazione tra normativa in tema di vigilanza bancaria e disciplina del codice della crisi, di A. Galizi, Necessità di armonizzazione tra normative in materia crisi d’impresa e di vigilanza bancaria, in DCC, 31 luglio 2022.
[17] 
EBA/GL/2016/07 18/01/2017 Guidelines on the application of the definition of default under Article 178 of Regulation (EU) No 575/2013.
[18] 
Si veda il report diffuso da Unioncamere il 16 novembre 2022 ed i dati aggiornati settimanalmente sull’andamento delle istanze di composizione negoziata, sempre di Unioncamere.

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