Loading…

Saggio

Concessione abusiva di credito e responsabilità della banca dopo il codice della crisi*

Pietro Gobio Casali e Matteo Binelli, Avvocati in Mantova

18 Aprile 2023

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Gli autori esaminano il tema della concessione del credito da parte degli istituti bancari alle imprese in crisi, ricostruendo il fondamento dell'istituto secondo gli orientamenti giurisprudenziali e l'opinione della dottrina e valutandone le possibili evoluzioni alla luce delle norme introdotte con il Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, in particolare in relazione agli adeguati assetti di cui si deve dotare l'imprenditore.
Riproduzione riservata
1 . Premessa
La responsabilità civile della banca verso clienti e terzi è governata dalle regole di diritto comune, che affidano all’interprete l’accertamento dell’ingiustizia del danno o della negligenza, salve le puntualizzazioni contenute in disposizioni speciali o in particolari tipi contrattuali[1]. A seconda dei casi può trattarsi di responsabilità precontrattuale, contrattuale o extracontrattuale, anche se la distinzione tra un tipo e l’altro non è sempre limpida[2]. 
Per la giurisprudenza l'imprenditore bancario che, omettendo di adottare le cautele imposte a tutela della corretta erogazione del credito, viola i doveri propri dello status dei soggetti facenti parte del sistema bancario, incorre in una responsabilità aquiliana; ove poi lo stesso comportamento sia lesivo pure di clausole contrattuali, è anche contrattualmente responsabile[3].
Alla luce delle pronunce più recenti della Cassazione e dell’entrata in vigore del Codice della crisi (D.Lgs. n. 14/2019, d’ora in avanti CCII) è interessante effettuare un’indagine sulla responsabilità bancaria nelle situazioni in cui il cliente si trova in uno stato di crisi, anche al fine di valutare se la nuova disciplina concorsuale apra nuove prospettive. Tratteremo in particolare il tema della concessione (e dell’interruzione) abusiva del credito.
Questa fattispecie potrebbe riguardare, oltre il cliente imprenditore, pure il consumatore[4], ma ci limiteremo alla prima ipotesi, visto che la crisi di un’impresa ha ricadute maggiori sui terzi e in particolare sui suoi creditori. 
In ambito concorsuale generalmente il curatore farà valere la responsabilità in questione tramite un’azione di risarcimento, ma non si può escludere che la faccia valere in sede di ammissione al passivo del credito bancario, onde ottenerne l’esclusione a fronte dell’abuso riscontrato nella sua precedente erogazione[5].
2 . Concessione abusiva di credito: problemi generali
Secondo la nozione tradizionale la concessione abusiva di credito si ha quando una banca concede credito pur sapendo, o potendo sapere, che l’impresa finanziata versa in uno stato di dissesto irreversibile[6].
Da un lato è possibile che l’artificioso sostegno a un’impresa decotta porti a un indebito ritardo nell’apertura di una procedura concorsuale, con il risultato di aggravare l’entità del dissesto[7]. Dall’altro è possibile che tale sostegno induca in errore i terzi, facendo credere che l’impresa si trovi in buona salute, tanto da meritare l’instaurazione o la prosecuzione di rapporti negoziali, con conseguente danno laddove poi emerga l’inadempimento provocato dall’insolvenza[8].  
Come è stato notato[9], la concessione abusiva di credito è “plurioffensiva” in quanto può determinare: a) un danno al patrimonio dell’impresa finanziata per le perdite maturate nel periodo in cui la dichiarazione d'insolvenza è stata dilazionata; b) un danno ai creditori sociali per il minor incasso conseguito[10]; c) una sanzione penale per gli amministratori della società fallita e gli eventuali concorrenti (artt. 217 n. 3-4 e 224 L. fall., ora artt. 323 e 330 CCII).
Apparentemente il comportamento della banca è contrario ai suoi stessi interessi, visto che il cliente in difficoltà fa più fatica a restituire il denaro prestato. E può in effetti accadere che, per negligenza, essa non si accorga della situazione in cui versa il sovvenuto. In quest’ottica è la prima ad aver interesse a valutare prudentemente se concedere o meno il prestito. 
Il fatto di procrastinare l’apertura di una procedura concorsuale può però derivare da una scelta consapevole dell’istituto di credito, che spera così di recuperare i propri crediti in violazione della par condicio, o di porre al riparo da azioni revocatorie i pregressi rientri e la costituzione di diritti di prelazione[11].  
La concessione abusiva di credito ha confini sfuggenti, se è vero che la banca può incorrere d’altra parte in responsabilità per brutale interruzione dell’erogazione del credito, in violazione del dovere di buona fede negoziale[12], rischiando così di essere attaccata su entrambi i fronti. In alcuni casi potrebbe sostenersi che sia stata proprio l’improvvisa revoca dei fidi a provocare lo stato d’insolvenza del cliente.     
Un’ambivalenza si ritrova pure in tema di revocatoria, nell’esegesi della prova presuntiva della scientia decotionis: da un lato si dice che il mantenimento dei fidi è sintomo dell’ignoranza della crisi altrui[13]; dall’altro si dice che è conciliabile con la conoscenza della crisi, potendo fondarsi sulla speranza che il finanziamento aiuti a superarla e a consentire una progressiva riduzione del debito[14].    
In teoria occorre distinguere le situazioni in cui gli istituti di credito concedono fisiologicamente sostegno alle imprese in difficoltà - in vista di un potenziale risanamento - da quelle in cui il sostegno è fornito ad imprese ormai insolventi, allo scopo di ottenere vantaggi a scapito degli altri creditori. In pratica però la distinzione è ardua e bisogna provare che l’istituto sapeva o poteva sapere (secondo la diligenza professionale) che il sovvenuto versava in uno stato di dissesto[15].  
L’abuso nell’accordare credito richiama la figura dell’abuso del diritto, che ricorre allorché il suo titolare si avvale dei poteri concessi non per perseguire lo scopo di quel diritto, ma per finalità ulteriori, eccedenti l’interesse che la legge o il contratto ha inteso tutelare[16]. Nel campo dei diritti di credito tale abuso si manifesta nella violazione del dovere di buona fede[17], il quale – come vedremo – è ora enunciato all’art. 4 CCII.
L’abuso del diritto è una figura dai contorni indefiniti, anche perché manca una norma generale di riferimento[18], per cui sorgono dubbi sui casi in cui può invocarsi la presenza di un abuso nonostante l’assenza di una disposizione che lo sanzioni. Là dove il legislatore nulla ha disposto, può essere pericoloso affidare al giudice poteri discrezionali nell’individuare i confini di liceità dell’esercizio di un diritto, visto che potrebbe essere messa in discussione l’esigenza di certezza dell’ordinamento e dei traffici giuridici[19]. 
Ecco allora che, nell’esaminare la figura della concessione abusiva di credito, oltre a considerare la posizione della giurisprudenza è bene verificare se vi sono norme su cui poter fondare in modo preciso eventuali responsabilità. E questo pure considerando che di per sé l’erogazione del credito è perfettamente lecita, rientrando nelle attività fisiologiche dell’impresa bancaria (art. 10 D.Lgs. n. 385/1993, d’ora in avanti TUB), tanto più laddove il legislatore la incentivi nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi.
3 . L’evoluzione della giurisprudenza
La Suprema Corte ha dapprima affermato che il curatore fallimentare non è legittimato a proporre l'azione aquiliana per il risarcimento dei danni causati ai creditori dall'abusiva concessione di credito diretta a mantenere artificiosamente in vita un’impresa decotta, suscitando così nel mercato la falsa impressione che si tratti di impresa economicamente solida[20]. A tal fine ha affermato che l’azione non rientra tra quelle c.d. di massa, per le quali il curatore può agire in rappresentanza dei creditori, trattandosi invece di strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore.
In seguito – pure a fronte della diversa impostazione delle azioni promosse – ha progressivamente cambiato prospettiva, ipotizzando che la curatela possa essere legittimata ad agire contro la banca responsabile di aver danneggiato il patrimonio della società fallita, in concorso con i suoi amministratori, avendo erogato credito in condizioni di accertata perdita del capitale sociale e in carenza di adeguata valutazione del merito creditizio[21].
La Cassazione ha infine affermato che l'erogazione del credito qualificabile come abusiva, poiché effettuata a impresa senza concrete prospettive di superamento della crisi, integra un illecito del finanziatore, per essere venuto meno ai suoi doveri di prudente gestione, ciò che lo obbliga al risarcimento ove ne discenda l'aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell'attività[22].
Contestualmente ha aggiunto che non c’è abuso se la banca “pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi di impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell'intento del risanamento aziendale ed erogando credito a un'impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito a detti scopi”.
Sempre nelle pronunce più recenti la Cassazione ha precisato che il curatore può allegare sia il danno diretto subìto dall'impresa a causa del finanziamento[23], sia il pregiudizio sofferto dall'intero ceto creditorio[24], senza la necessità che l'azione sia promossa congiuntamente contro l'istituto di credito e (se l’impresa era una società) degli amministratori.
Se si è inteso bene, il Supremo Collegio sembra ora configurare pure una responsabilità autonoma degli istituti di credito - che prescinde da quella degli organi sociali – e ciò può destare perplessità. Una cosa è infatti il concorso della banca ex art. 2055 c.c. nella mala gestio degli amministratori che provoca l’aggravamento del dissesto per richiesta/concessione abusiva di credito (volta a soddisfare un interesse della banca a danno degli altri creditori). Altra cosa è la responsabilità per concessione abusiva del credito in sé, causata da una inadeguata valutazione del rischio creditizio.
Non è scontato configurare una responsabilità in quest’ultimo caso, ossia una responsabilità per fatto proprio, indipendente dall’illecito degli amministratori. Tra l’altro sorge il problema del concorso del sovvenuto nella causazione del danno e della sua evitabilità (artt. 1227 e 2056 c.c.)[25] nonché del divieto di venire contra factum proprium[26]. La sua violazione integrerebbe un abuso del diritto[27], che potrebbe quindi essere lamentato dalla banca in senso opposto all’abuso lamentato dal curatore. 
Questi problemi non dovrebbero porsi laddove all’istituto bancario si addebiti un concorso nell’inadempimento degli amministratori ex art. 2392 c.c.: in tal caso la società (persona giuridica) è il soggetto leso dalla mala gestio e il curatore si sostituisce al danneggiato, non all’autore dell’illecito (organo della persona giuridica)[28].
A maggior ragione il discorso vale se i danneggiati sono i creditori, essendo estranei al rapporto banca/cliente: tenuto conto della posizione del curatore nell'esercitare un'azione a tutela dell'intero ceto creditorio, non rileva se la società abbia, a mezzo dei suoi amministratori, contribuito nell'illecito con l'abusivo ricorso al credito[29].
4 . Le norme di riferimento e la natura della responsabilità
Per la verità non ci sembra che la giurisprudenza (citata nel precedente paragrafo) senta sempre la necessità di fondare i propri assunti su basi normative solide. Basti pensare che nelle sentenze più recenti richiama l’art. 1173 c.c., norma non proprio decisiva[30]. Pare opportuno, allora, verificare se il quadro normativo sia sufficientemente stringente.
A) Il primo problema è che la figura della concessione abusiva di credito non è prevista da alcuna norma, anche se c’è il reato di mendacio bancario[31]. È previsto il reato di ricorso abusivo al credito (art. 218 L. fall., ora art. 325 CCII) ma non quello di concessione abusiva: se è così, il finanziatore ha il ruolo di persona offesa e non di complice del reo[32], anche se poi può concorrere nei reati concorsuali quando il credito è accordato in modo anomalo[33]. 
Rimarchevole ci pare piuttosto la norma sulla bancarotta semplice dell’imprenditore che: 1) compie operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento; 2) aggrava il proprio dissesto, astenendosi dal chiedere il fallimento o con altra grave colpa (art. 217 L. fall., ora art. 323 CCII). Laddove questo reato sia riferito agli amministratori, la legge aggiunge l’ipotesi in cui essi “hanno concorso a cagionare o aggravare il dissesto con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge” (art. 224 L. fall., ora art. 330 CCII).
In questi casi potrebbe configurarsi un concorso del banchiere nella consumazione del reato, tanto più essendo punito a mero titolo colposo[34], anche se egli probabilmente replicherà che l’erogazione del credito ha ritardato il dissesto, non l’ha aggravato.
Dalla commissione del reato sorge l’obbligo di risarcire il relativo danno (art. 185 c.p.)[35] e non occorre a tal fine una condanna penale: stante l’autonomia dei giudizi penale e civile, il giudice civile investito della domanda di risarcimento del danno accerta autonomamente la responsabilità con pienezza di cognizione[36].
Va peraltro aggiunto che le disposizioni sulla bancarotta semplice non si applicano alle operazioni e ai pagamenti compiuti in esecuzione di uno strumento di regolazione della crisi previsto dalla legge (art. 217 bis L. fall., ora art. 324 CCII).
B) Le disposizioni penali poc’anzi citate (e in particolare l’art. 323 CCII) trovano una corrispondenza, in sede civile, negli artt. 2392, 2394 (art. 2476 per la s.r.l.) e 2486 c.c. In caso di ricorso abusivo al credito e di aggravamento del dissesto con ritardo nell’apertura di una procedura concorsuale, infatti, sussiste la responsabilità degli amministratori in base a queste norme. Se le stesse rilevano con riguardo agli organi sociali, per la banca può configurarsi un concorso nella loro responsabilità ex artt. 2043 e 2055 c.c.
C) Potrebbero assumere rilievo pure le norme bancarie. Tra l’altro ex art. 5 TUB le autorità creditizie esercitano i poteri di vigilanza “avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia”[37]. Ciò in una prospettiva tesa anche “al contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni” (art. 53 TUB).
In effetti la banca soggiace a principi di carattere pubblicistico: le norme bancarie sono decisive per dedurre che la concessione del credito non è un mero affare privato tra banche e i clienti. Dette norme potrebbero però essere state dettate più per consentire la stabilità del sistema bancario che per proteggere direttamente soggetti terzi[38], anche se poi il dissesto dell’imprenditore impatta su un numero indefinito di soggetti e, in definitiva, sull’intero sistema economico, minacciato dall’insolvenza.
D) Con riguardo al danno subito dai creditori è certamente applicabile l’art. 2043 c.c. sulla responsabilità extracontrattuale[39]. La giurisprudenza riconosce quale danno ingiusto la lesione di un diritto di credito da parte di un terzo: laddove costui abbia concorso nell’inadempimento del debitore, deve risarcire il danno in solido con quest’ultimo[40]. In particolare si afferma la responsabilità ex artt. 2043 e 2055 c.c. dei terzi che contribuiscono alla mala gestio dell’amministratore ossia all’inadempimento dei suoi doveri verso la società, tra cui quello di conservare il patrimonio sociale[41].
A livello generale questa impostazione appare convincente: la banca, come ogni altro terzo, può essere corresponsabile dell’inadempimento del debitore di una prestazione. Il problema, come in tutti i casi di responsabilità da lesione del credito, è capire se i terzi sono tenuti a un determinato comportamento quando si tratta di mera colpa.
Se la condotta è dolosa (anche sotto forma di dolo eventuale) – si pensi al tentativo di consolidare i pagamenti ottenuti - non dovrebbero esservi ostacoli ad imputare una responsabilità alla banca, ma le cose si complicano se si tratta di mera negligenza nell’erogare il credito[42], salvo il fatto di voler assegnare alle norme bancarie la funzione di tutelare i creditori del sovvenuto e salvo il fatto che la bancarotta semplice è punita a titolo colposo.
E) Nelle pronunce più recenti la Suprema Corte configura pure una sorta di responsabilità contrattuale verso l’impresa finanziata, richiamando gli artt. 1176, 1218 e 1337 c.c.[43], la quale cosa potrebbe lasciare perplessi. Si tratta di norme che, almeno a prima vista, paiono implicare un contesto negoziale, tanto da rilevare solo se alla banca venga addebitato un comportamento che lede il soggetto finanziato (non i terzi creditori).
La Cassazione le colloca nell’ambito del c.d. contatto sociale, precisando che “nel caso di concessione di credito, è invero convincente l'inquadramento della stessa, se si vuole operare secondo categorie classificatorie, nell'ambito della responsabilità di tipo contrattuale da contatto sociale qualificato, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., da cui derivano, a carico delle parti, reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c.”[44].
La figura della responsabilità da contatto sociale, così come quella da abuso del diritto, ha però confini labili[45] ed è priva di uno specifico supporto normativo; pertanto ci auguriamo che in futuro la giurisprudenza esprima sul punto argomentazioni più rigorose, anche con riguardo all’art. 1173 c.c.[46] 
L’augurio deriva pure dal fatto che l’inquadramento della responsabilità bancaria nella sfera contrattuale (invece che extracontrattuale) ha riflessi decisivi sulla distribuzione dell’onere della prova e sul termine di prescrizione dell’azione.  
5 . La valutazione del merito creditizio delle imprese in crisi
Oltre alla posizione della giurisprudenza, per analizzare il tema in esame occorre considerare pure la recente normativa contenuta nel Codice della crisi. Sebbene questo non si occupi direttamente dell’abusiva concessione del credito all'imprenditore in difficoltà[47], contiene alcune norme che consentono all'interprete di sistemare in modo più circostanziato l'istituto, nella consapevolezza che il supporto finanziario costituisce elemento fondamentale quando si voglia tentare con qualche probabilità di successo di superare la crisi di un'impresa.
In simile prospettiva può considerarsi pacifico che l'atteggiamento della banca è destinato a variare a seconda che l'imprenditore abbia (o meno) già formalizzato la propria situazione critica, mediante l'accesso alla composizione negoziata (artt. 12 ss. CCII) o ad uno dei molti strumenti di regolamentazione della crisi previsti dal nuovo Codice (concordato preventivo, piano di ristrutturazione omologato, accordo ad efficacia estesa etc.).
È infatti evidente che il rischio di un’indebita concessione del credito si configuri in misura maggiore – per quanto non esclusiva, in ragione di quanto si dirà – nella fase anteriore a detto accesso, ovvero quando l'impresa già in crisi non ha ancora formalizzato e reso di pubblico dominio la propria condizione[48]. Tanto più ove si consideri che la concessione abusiva di credito non si attua solo mediante la stipula di nuovi contratti di finanziamento, ma anche tramite il mantenimento delle linee già accordate e quindi garantendo all'impresa che non lo merita di continuare a beneficiare di fidi bancari che possono prolungarne l'attività, con conseguente detrimento dei terzi che vengano a contatto con essa[49].
Richiedendosi una sorveglianza da parte del sistema creditizio anche sulla prosecuzione dei rapporti in essere, la possibilità che persino condotte meramente omissive integrino l’abuso non può insomma essere esclusa. Sicché il problema da risolvere si concreta nella verifica ex post di un persistente merito creditizio. Ed esso involge apprezzamenti in larga misura discrezionali e opinabili, nonostante l'esistenza di un esteso apparato di disposizioni di natura legislativa e regolamentare che disciplinano le scelte bancarie.
Tra queste, oltre alle già citate norme del TUB, si deve considerare la Circolare n. 285/2013 della Banca d'Italia in tema di vigilanza bancaria, insieme alla vasta e complessa disciplina di derivazione europea[50]. Di particolare interesse - anche per le considerazioni che seguiranno – è la nuova definizione di default che emerge dall'art. 178 Reg. UE n. 575/2013 e dal successivo art. 2 Reg. Delegato UE n. 171/2018 in vigore in Italia dal gennaio 2021, secondo la quale un debitore si trova in tale stato quando ricorra almeno una delle seguenti condizioni:
a) l'istituto di credito giudichi improbabile che, senza il ricorso ad azioni quale l'escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie; 
b) il debitore sia in arretrato da oltre 90 giorni su un’obbligazione creditizia rilevante (dovendo intendersi per rilevante un’obbligazione che superi a livello assoluto i 500 euro e a livello percentuale l'1% dell'importo complessivo di esposizione verso un singolo ente creditizio). 
Nonostante questi riferimenti spesso sarà difficile non solo stabilire se l'impresa si trovi in condizioni prossime alla crisi, ma anche valutare le sue prospettive, perché le prescrizioni positive dovranno essere confrontate con la sua situazione concreta. In tali frangenti non si potrà che tenere conto anche delle informazioni fornite dall'imprenditore tramite i piani finanziari e industriali che questi elabora unitamente ai propri consulenti. 
Il tema è di certo nevralgico, come emerge dalle già citate sentenze della Cassazione più recenti. La Corte, dopo aver osservato che “di fronte alla richiesta di una proroga o reiterazione di finanziamento, la scelta del <<buon banchiere>> si presenta particolarmente complessa: astretto com'è tra il rischio di mancato recupero dell'importo in precedenza finanziato e la compromissione definitiva della situazione economica del debitore, da un lato, e la responsabilità da incauta concessione di credito, dall'altro lato”, conclude che “in sostanza, sovente il confine tra finanziamento <<meritevole>> e finanziamento <<abusivo>> si fonderà sulla ragionevolezza e fattibilità di un piano aziendale”[51].
Stando a questa impostazione, quindi, all'istituto bancario dovrebbe essere demandato il compito di valutare ragionevolezza e fattibilità (economica, ovviamente) del progetto imprenditoriale, anche sotto il profilo della sua persistente attualità, dato che un piano valutato con favore può sempre divenire inattuale o non più ragionevole a causa del mutare delle condizioni iniziali o degli assunti economici e congiunturali su cui è fondato.
Si tratta quindi di onere molto gravoso, per assolvere il quale la banca non sempre possiede gli strumenti necessari; anche perché i piani dell'imprenditore sono spesso fondati su presupposti ad essa sconosciuti e su prospettive anche settoriali di mercato per le quali non è semplice formulare previsioni attendibili, risultando di frequente indispensabile affidarsi alla ricostruzione dell'imprenditore e dei suoi advisors.
È indubbia quindi l'importanza di ancorare le scelte bancarie, ove questo sia possibile, ad ormeggi più saldi e tranquillizzanti, in particolare nella fase in cui la crisi non sia stata ancora formalizzata e quindi maggiore sia il rischio di incorrere in ipotesi di indebita concessione di finanziamenti.   
6 . Gli adeguati assetti dell’impresa in crisi e i riflessi sulle scelte degli istituti di credito
Quanto ora previsto dal Codice della crisi può fornire un contributo significativo allo sforzo di assicurare maggiore certezza alle scelte delle banche. Nel contempo, tuttavia, v'è il rischio di innescare valutazioni più severe e stringenti delle condotte degli operatori, facendo emergere limiti precisi al sostegno finanziario delle imprese in difficoltà.
Già nella versione del Codice precedente a quella in vigore dal luglio 2022 i più acuti commentatori avevano individuato nella disciplina sugli adeguati assetti dell'impresa uno snodo significativo per valutare se questa potesse vantare ancora un merito creditizio.
I doveri di lealtà e collaborazione che - alla luce dell’art. 4 CCII – devono ispirare sia il debitore sia i creditori venivano letti come “strumenti suscettibili di imprimere ulteriori sviluppi interpretativi alla questione del concorso fra la banca e l'organo amministrativo della sovvenuta”[52]; specie se connessi all'obbligo di dotare l'impresa di adeguati assetti ovvero di criteri organizzativi, amministrativi e contabili finalizzati a individuare con tempestività l'emersione delle disfunzioni aziendali (art. 2086 c.c.), contribuendo a definire gli strumenti per superarle[53].
L'art. 3 CCII, con lo scopo di definire in cosa concretamente consistano gli adeguati assetti, indica i segnali di crisi che tali assetti dovrebbero percepire. Delinea così soglie d’indebitamento che rappresentano sicuri indici sintomatici dello squilibrio dell’impresa.
Tra i quattro distinti livelli di indebitamento indicati dal legislatore (nei confronti di dipendenti, fornitori, banche e creditori istituzionali) quello che appare più avanzato - ovvero in grado di segnalare con maggior anticipo la difficoltà finanziaria - riguarda proprio i rapporti con gli istituti di credito. Nella prospettiva di una tempestiva emersione della crisi sarà perciò l'indice più significativo ed efficace.
Secondo l'art. 3 comma 4 lett. c) gli adeguati assetti dovrebbero, infatti, rilevare la “esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni”.
Muovendo dal presupposto che ciascun istituto di credito sia (o comunque possa essere) informato sull’esposizione complessiva dell'impresa mediante un semplice esame della Centrale Rischi, sarà relativamente agevole verificare se – quanto meno rispetto ai rapporti intrattenuti con l'istituto chiamato a verificare la sussistenza del merito creditizio – vi sia stato il superamento della soglia (5% del totale indebitamento) e dei termini di tolleranza (60 giorni) previsti dalla disposizione menzionata[54].
Ciò consentirà alla banca di avere contezza della situazione di difficoltà dell'impresa, ma al contempo le imporrà di agire con la dovuta cautela; quindi di assumere un atteggiamento critico non solo rispetto alla stipula di nuovi accordi finalizzati alla concessione di nuove linee di credito, ma soprattutto rispetto alla prosecuzione dei rapporti in essere.
Sicché, se si aderisse alla recente impostazione della Cassazione già descritta, non sarebbe azzardato qualificare come probabilmente abusivo il mantenimento di linee di credito nei confronti di un imprenditore che abbia superato la soglia normativa d’indebitamento, quanto meno sino a quando non abbia assunto iniziative concrete e formali per superare tale condizione, ovvero non abbia attivato la procedura di composizione negoziata di cui all’art. 12 CCII.
Prima del Codice della crisi costituiva conclusione condivisa quella secondo cui la banca poteva lecitamente concedere credito a un'impresa in difficoltà anche al di fuori di una normale procedura di risoluzione della crisi[55]. Oggi però una simile conclusione nella sua assolutezza deve forse essere rivista, perché superata dal presidio che gli adeguati assetti devono assicurare non solo nell'interesse degli imprenditori, ma anche di coloro che con questi intrattengono rapporti negoziali[56].
Allorché siano emersi segnali di crisi ignorati prima dall'imprenditore e quindi dalla banca (che abbia, ben inteso, i mezzi per avvedersene), si potrebbe così anche configurare una sorta di rovesciamento dell'onere della prova o una presunzione iuris tantum di abuso della concessione del credito e quindi pure dell'invariato mantenimento delle linee di credito già accordate.
7 . Il sostegno creditizio all’impresa in difficoltà nella fase di composizione negoziata
Alla radicalità delle conclusioni poc’anzi suggerite si potrebbe replicare che in tal modo si escludono dall'accesso al finanziamento bancario proprio le imprese che, essendo in difficoltà, ne hanno maggior bisogno per uscire dallo stato di squilibrio in cui versano o nel quale rischiano di cadere. 
In più, come adombrato nei paragrafi precedenti, potrebbe sostenersi che l’abusiva concessione di credito – che legittima azioni risarcitorie – non presuppone una mera valutazione erronea del merito creditizio, occorrendo pure un concorso consapevole della banca nella mala gestio degli amministratori.    
Le obiezioni non considerano però quello che è di certo uno degli obiettivi primari del nuovo impianto codicistico: la tempestiva emersione della crisi dell'impresa. Se si muove dal condivisibile presupposto che solo affrontando la crisi nella fase di esordio, quando ancora esistono reali margini di manovra, si può sperare di superarla, bisogna trarne le necessarie conseguenze.
Senza contare che pure gli istituti di credito dovrebbero avere interesse alla gestione tempestiva delle disfunzioni aziendali, visto che la tempestività d’intervento può permettere all’impresa di recuperare un equilibrio tale da consentirle il progressivo rimborso dei finanziamenti bancari[57].
Allora è evidente che l'interruzione delle linee di credito alle imprese in difficoltà - che ancora non hanno formalizzato il proprio accesso alla composizione negoziata o ad uno strumento di regolazione del dissesto - diventa un forte incentivo a tale accesso e alla conseguente e auspicata emersione tempestiva della crisi. Del resto, il sistema assicura effettiva protezione alle esigenze finanziarie delle aziende, ma solo una volta che siano state assunte iniziative formali per risolvere le loro disfunzioni[58].
Limitando la nostra attenzione alla zona grigia in cui lo squilibrio patrimoniale o economico/finanziario dovrebbe essere al primo stadio - e più ampi quindi i margini di manovra per una sua soluzione - ovvero alla fase della composizione negoziata, è l'art. 16 comma 5 CCII che garantisce un bilanciamento tra le contrapposte istanze.
La norma prevede che “l'accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di sospensione e di revoca degli affidamenti bancari concessi all'imprenditore”. Dunque, non solo si evita qualsiasi automatismo tra l'emersione della crisi e l'interruzione del sostegno finanziario[59], ma si indica la necessità di un diretto coinvolgimento degli istituti di credito nella decisiva (almeno nelle intenzioni del legislatore) fase di composizione negoziata.
Per quanto la previsione si riallacci al generale dovere di comportamento di buona fede e correttezza che grava tanto sul debitore quanto sui creditori (art. 4 CCII), è indubbio che la tutela sia in questo caso ben più concreta e tale forse da generare l'opposto tema - a cui si è accennato nel secondo paragrafo - della responsabilità per brutale interruzione del credito bancario.
Del succitato “divieto” di revoca o sospensione dei fidi (art. 16 comma 5) è indispensabile precisare i confini. Secondo autorevole dottrina non si estende alle prestazioni ancora da eseguire: quindi, ad esempio, non riguarderà le aperture di credito solo parzialmente utilizzate e nemmeno i margini di affidamento che si ripresentassero in ragione del parziale rientro rispetto al fido utilizzato nelle ipotesi di finanziamenti rotativi o autoliquidanti[60]. Ma questa soluzione non convince appieno, perché il parziale rientro dell'imprenditore in un finanziamento autoliquidante rappresenta un’esecuzione normale del rapporto, tanto che penalizzare l'impresa adempiente rischia di essere, prima ancora che ingiusto, controproducente[61].
Il passaggio verso la formalizzazione della crisi solleva la banca da molti rischi, soprattutto per la presenza di figure di garanzia (l'esperto ed il tribunale o il commissario giudiziale in caso di concordato preventivo) che rendono più difficile affermare ex post l’abusiva concessione di credito pure quando, nonostante gli sforzi profusi, si approdi alla liquidazione giudiziale.
Sarebbe però semplicistico concludere che con l'apertura della composizione negoziata gli istituti di credito siano sollevati da qualsiasi responsabilità ed onere di controllo circa il merito creditizio dell'azienda finanziata. Anche senza considerare condotte dolose o fraudolente, infatti, il comma 5 dello stesso art. 16 aggiunge che comunque la revoca o la sospensione degli affidamenti possono essere assunte “se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale[62], con comunicazione che dà conto delle ragioni della decisione assunta”. 
E' chiaro che questo avverrà solo se le condizioni dell'impresa, nonostante la nomina dell'esperto e le iniziative assunte dall'imprenditore, non offrano alcuna garanzia di restituzione del fido accordato e quindi la prognosi sul futuro dell'impresa (alla luce delle indicazioni di vigilanza prudenziale) sia decisamente infausta[63].
Nell’ambito della composizione negoziata emerge però con nettezza la centralità degli interessi dell’impresa in crisi nelle scelte della banca, la quale non dovrebbe poter decidere la revoca di affidamenti alla luce di mere considerazioni di convenienza economica[64]. Per essere più chiari, essa non potrebbe insomma negare il credito in quanto non più remunerativo, ma solo se le prospettive di salvataggio dell’impresa non fossero più realistiche, come dimostra la necessità ex lege di motivare e condividere la decisione assunta[65].
Né può essere tralasciato il tema della durata della composizione negoziata, che può protrarsi sino a 360 giorni (art. 17, comma 7, CCII) e quindi per un tempo non trascurabile, che può portare di frequente a un’involuzione della crisi e quindi imporre una periodica verifica delle prospettive di superamento della stessa.
Infine, va menzionata – in termini problematici – l'assenza di tempestivi ed efficaci rimedi in caso di ingiustificata revoca degli affidamenti. È vero che la decisione della banca dev’essere motivata e condivisa (e come tale suscettibile almeno in linea teorica di essere controllata), ma la precarietà degli equilibri finanziari dell'impresa non consentirà alcuna realistica reazione, perché lo stato di dissesto - in assenza di sostegno finanziario - diventerà ben presto irreversibile, con conseguente pregiudizio dell'intero ceto creditorio.
Non è facile trovare strumenti che garantiscano il raggiungimento di un equilibrio in tali situazioni, ma il tema - che si inquadra nel più ampio obbligo di lealtà dei creditori imposto dall'art. 4 CCII - va considerato con attenzione, aprendo il campo ad una responsabilità di carattere diametralmente opposto a quella per concessione abusiva di credito.
In particolare, le norme sin qui esaminate (artt. 4 e 16 comma 5, ma v. anche l’art. 25 decies CCII) rendono plausibile che nell’ambito della composizione negoziata la banca venga in futuro chiamata a rispondere di atteggiamenti di indebita chiusura a ragionevoli soluzioni della crisi[66].
Sotto questo profilo va tenuto conto che le parti coinvolte nelle trattative devono collaborare lealmente con l’imprenditore e con l’esperto nominato (art. 16 comma 6 CCII). Senza contare più in generale che, come già accennato, in passato la giurisprudenza ha talvolta ravvisato una responsabilità bancaria per brutale interruzione dell’erogazione dei finanziamenti[67], tenendo presente che il recesso dal contratto di apertura del credito prima del termine richiede una giusta causa (art. 1845 c.c.).
In definitiva, allora, pure nel nuovo Codice riaffiora il c.d. dilemma del banchiere – che l’art. 16, comma 5, CCII non risolve in modo univoco – il quale è stretto tra l’accusa di concessione abusiva di credito (e il desiderio di risollevare l’impresa per consentirle il rimborso dei finanziamenti pregressi) e quella di interruzione abusiva del credito (e il desiderio di chiudere subito i rapporti per evitare la maturazione di ulteriori crediti non recuperabili).

Note:

[1] 
C’è però almeno una disposizione di carattere generale: l’art. 1856 c.c., in base al quale la banca risponde secondo le regole del mandato per l’esecuzione di incarichi ricevuti dal cliente.
[2] 
Vedi P. Gaggero, voce Responsabilità della banca, in Digesto, Disc. Priv., Sez. civ., Torino, 1998, p. 241 ss.
[3] 
Così Cass., 13 gennaio 1993, n. 343, in Giur. It., 1993, I, 1, p. 2129, con nota di G. Sicchiero; cfr. anche Cass., 31 marzo 2010, n. 7956, in Giur. Comm., 2011, II, p. 601, con nota di D. Scano.
[4] 
Cfr. Trib. Napoli, 12 ottobre 2016, in Giur. It., 2017, p. 1569, con nota di R. Bocchini; A. Barenghi, Diritto dei consumatori, Milano, 2020, p. 507 ss.; G. Azadi, Valutazione del merito creditizio, adeguatezza delle sanzioni e tutela microeconomica dei consumatori, in Giur. It., 2015, p. 285 ss.
[5] 
Cfr. Trib. Vicenza, 19 maggio 2022, in Ilcaso.it, p. 27542; Trib. Vicenza, 22 aprile 2021, in Ilcaso.it, p. 26428. Queste pronunce prendono le mosse da Cass., 5 agosto 2020, n. 16706, secondo cui “ai fini dell'applicazione della soluti retentio prevista dall'art. 2035 c.c., le prestazioni contrarie al buon costume non sono soltanto quelle che contrastano con le regole della morale sessuale o della decenza, ma sono anche quelle che non rispondo ai principi e alle esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico, dovendosi pertanto ritenere contraria al buon costume, e come tale irripetibile, l'erogazione di somme di denaro in favore di un'impresa già in stato di decozione integrante un vero e proprio finanziamento, che consente all'imprenditore di ritardare la dichiarazione di fallimento, incrementando l'esposizione debitoria dell'impresa trattandosi di condotta preordinata alla violazione delle regole di correttezza che governano le relazioni di mercato e alla costituzione di fattori di disinvolta attitudine predatoria nei confronti di soggetti economici in dissesto”.
[6] 
Vedi ad esempio F. Dimundo, Le azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali, Milano, 2019, p. 51 ss.
[7] 
In prima battuta il finanziamento costituisce un arricchimento per il sovvenuto e quindi un vantaggio, ma in un’impresa decotta difficilmente è suscettibile di proficuo investimento (essendo più probabilmente destinato a coprire i debiti in scadenza) e comunque aumenta l’indebitamento, visto che sorge l’obbligo di restituire il capitale, corrispondere gli interessi, anche moratori, e pagare le spese.
[8] 
Cfr. F. Galgano, Civile e penale nella responsabilità del banchiere, in Contr. e Impresa, 1987, p. 1 ss.; V. Di Stasio, La concessione abusiva di credito, in La disciplina dei rapporti bancari, a cura di F. Fiorucci, Padova, 2012, p. 569 ss., il quale parla di lesione della tutela della libertà contrattuale dei terzi e di responsabilità della banca per danno da informazione inesatta.
[9] 
Così F. Bonelli, “Concessione abusiva” di credito e “interruzione abusiva” di credito, in Studi in ricordo di Pier Giusto Jaeger, Milano, 2011, p. 840.
[10] 
A. Nigro, La responsabilità delle banche nell’erogazione del credito alle imprese in “crisi”, in Giur. Comm., 2011, I, p. 309, nota che “per i creditori anteriori (alla concessione abusiva), si tratta del danno derivante dall'aggravamento del dissesto del comune debitore e dalla conseguente diminuzione delle possibilità di soddisfacimento e, per i creditori successivi, del danno consistente nella perdita che possono subire per aver instaurato rapporti che non avrebbero posto in essere ove non vi fosse stata l'apparente solvibilità creata dal credito abusivamente concesso”.
[11] 
Ad esempio, il finanziamento potrebbe avvenire solo per ottenere il consolidamento di garanzie altrimenti revocabili in caso di tempestiva declaratoria d’insolvenza. Il fido potrebbe poi essere concesso solo per munire di garanzia un precedente credito chirografario e il mutuo fondiario potrebbe essere accordato in modo distorto solo per ripianare debiti preesistenti: cfr. ad esempio Cass., 10 febbraio 2020, n. 3024, in Giur.It., 2020, p. 1071, con nota di G. Salvi.
[12] 
Cfr. Cass., 16 aprile 2021, n. 10125; Cass., 24 agosto 2016, n. 17291; App. Milano, 10 maggio 2002, in Giur.It., 2003, p. 502. In dottrina cfr. A. Castiello D’Antonio, Crisi d’impresa e responsabilità della banca: «revoca brutale del fido», concessione abusiva di credito, in Dir. Fall., I, 2, 2009, p. 290 ss.; P. Bontempi, Diritto bancario e finanziario, Milano, 2016, p. 384 ss.; G. Cavalli – M. Callegari, Lezioni sui contratti bancari, Bologna, 2011, p. 171 ss. La fattispecie trova un fondamento nell’art. 1845 c.c., per il quale la banca non può recedere dal contratto di apertura del credito, prima del termine, in assenza di giusta causa.
[13] 
In quest’ottica Trib. Milano, 9 luglio 1998, in Giur. It., 1999, p. 2116, con nota di P. Censoni.
[14] 
In quest’ottica Cass., 20 novembre 2003, n. 17596.
[15] 
Come notano G. Cavalli – M. Callegari, op. cit., p. 177, la distinzione tra le due situazioni deve avvenire ponendosi in un’ottica ex ante.
[16] 
Per Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, in Giur.It., 2009, p. 2097, sono elementi costitutivi dell'abuso del diritto: 1) la titolarità di un diritto soggettivo; 2) la possibilità di plurime modalità di esercizio non predeterminate; 3) un esercizio concreto censurabile rispetto a un criterio di valutazione giuridico o extragiuridico; 4) una conseguente sproporzione ingiustificata tra il vantaggio ulteriore e diverso da quello indicato dal legislatore da parte del titolare e il sacrificio della controparte.
[17] 
Cfr. F. Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 2, Padova, 2004, p. 640 ss.; F. Gazzoni, Diritto privato, Napoli, 2009, p. 57 e 796 ss.
[18] 
Nel campo del diritto tributario c’è però l’art. 10 bis, comma 1, L. n. 212/2000, secondo cui “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni”.
[19] 
Va tuttavia segnalato che la giurisprudenza tende ormai ad affermare la presenza di un principio generale circa il divieto di abuso del diritto, anche in campo negoziale. Per Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, cit., il controllo giudiziale di un contratto deve essere condotto in base al principio della buona fede oggettiva, ciò che può consentire un intervento del giudice modificativo del regolamento pattuito. Si veda anche Cass., 31 maggio 2010, n. 13208, in Giur. It., 2011, p. 794, con nota di P. Rescigno.
[20] 
Cfr. Cass. ss.uu., 28 marzo 2006, n. 7029, in Giur.It., 2006, p. 1191, con nota di M. Spiotta. In precedenza, Cass., 20 maggio 1982, n. 3115, in Dir. Fall., 1982, II, p. 901, aveva invece riconosciuto la legittimazione attiva del curatore a proporre l’azione risarcitoria contro un terzo (una banca) per fatti anteriori e colposamente causativi dello stato di insolvenza e del conseguente fallimento, in quanto il credito risarcitorio era sorto prima del fallimento ed era entrato nelle sue componenti oggettive a far parte della massa.
[21] 
In ordine cronologico vedi Cass., 1 giugno 2010, n. 13413, in Giur.It., 2011, p. 109, con nota di M. Spiotta; Cass., 20 aprile 2017, n. 9983, in Dir. Fall., 2017, 3-4, p. 978, e in Fall., 2017, p. 1157, con nota di L. Balestra; Cass., 12 maggio 2017, n. 11798, in Fall., 2017, p. 905, con nota di G. Tarzia; Cass., 14 maggio 2018, n. 11695, in Giur. It., 2018, p. 1655, con nota di M. Spiotta.
[22] 
Cass., 30 giugno 2021, n. 18610; Cass., 14 settembre 2021, n. 24725; Cass., 18 gennaio 2023, n. 1387. Per un commento delle prime due sentenze cfr. B. Inzitari, L’azione del curatore per abusiva concessione di credito, in Dirittodellacrisi.it; R. Del Porto, Brevi note in tema di concessione abusiva di credito, in Ilcaso.it. Nella giurisprudenza di merito v. Trib. Palermo, 10 agosto 2021, in banca dati Dejure; App. Firenze, 11 novembre 2019, in Fall., 2020, p. 812, con nota di G. Falcone; Trib. Prato, 15 febbraio 2017, in Ilcaso.it, p. 17019. 
[23] 
Se si ammette che la concessione abusiva di credito può cagionare un danno diretto alla società, la legittimazione del curatore dovrebbe sussistere già sulla base dell’art. 43 L. fall. (ora art. 143 CCII).
[24] 
 Se si ammette che la concessione abusiva di credito può cagionare un danno alla massa dei creditori, la legittimazione del curatore dovrebbe sussistere già sulla base dell’art. 146 L. fall. (ora art. 255 CCII), laddove l’azione di responsabilità contro gli amministratori (ex artt. 2394 e 2476 comma 6 c.c.) sia estesa ex art. 2055 c.c. alla banca concorrente nell’illecito. Ma le cose si complicano se il danno ai creditori viene affermato senza configurare un illecito degli amministratori.
[25] 
Per A. Nigro, op. cit., p. 309, “una responsabilità diretta nei confronti del debitore appare difficilmente ammissibile visto che la concessione di credito viene normalmente richiesta dallo stesso debitore, il quale pertanto, in principio ed in generale, non avrebbe certo titolo per dolersi successivamente del pregiudizio che possa essergliene eventualmente derivato”. Secondo Cass. ss.uu., 28 marzo 2006, n. 7029, cit., l'art. 1227 c.c. non si applica se entrambe le parti del rapporto danno vita consapevolmente al medesimo illecito, riguardando il caso in cui distinte condotte, diversamente efficienti a produrre il danno, ma tuttavia l'una avente titolo nella colpa, concorrono a produrre il pregiudizio. Sul punto Cass., 20 marzo 1997, n. 2484, afferma che il danno che taluno arreca a sé non può porsi a carico dell'autore della causa concorrente, sia per il principio che il risarcimento va proporzionato all'entità della colpa di ciascun concorrente, sia per l'esigenza di evitare un indebito arricchimento. In tema C.M. Bianca, Diritto civile. La responsabilità, Milano, 2021, p. 155 ss., sostiene che il risarcimento è totalmente escluso solo quando la produzione del danno ricada interamente nella sfera di controllo del danneggiato mentre, quando l’omissione del danneggiato non si pone come causa prossima e assorbente del danno, la sua efficienza causale rileva secondo un calcolo di probabilità valutabile in via equitativa. In proposito L. Balestra, Concessione abusiva del credito e legittimazione del curatore: sulla non facile delimitazione perimetrale, in Fall., 2017, p. 1164, osserva che, onde escludere la responsabilità della banca, non rileva il comportamento attivo dell’impresa nel chiedere il finanziamento, che costituisce solo il presupposto dell’illecito, mentre la banca ha piena autonomia nel negare il prestito. Si noti che l’art. 1227 comma 2 c.c. contempla una vera e propria esclusione del risarcimento e non una mera diminuzione.
[26] 
Tale divieto viene ricavato da molteplici disposizioni del codice civile e delle leggi speciali: v. P. Gallo, Trattato di diritto civile, VI, Torino, 2017, p. 609 ss.
[27] 
Ad esempio secondo Cass., 14 giugno 2021, n.16743, “in tema di locazione di immobili ad uso abitativo, integra abuso del diritto la condotta del locatore, il quale, dopo aver manifestato assoluta inerzia, per un periodo di tempo assai considerevole in relazione alla durata del contratto, rispetto alla facoltà di escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del canone dovutogli, così ingenerando nella controparte il ragionevole ed apprezzabile affidamento nella remissione del debito per facta concludentia, formuli un'improvvisa richiesta di integrale pagamento del corrispettivo maturato; ciò in quanto, anche nell'esecuzione di un contratto a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata, trova applicazione il principio di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., quale canone generale di solidarietà integrativo della prestazione contrattualmente dovuta, che opera a prescindere da specifici vincoli contrattuali nonché dal dovere negativo di neminem laedere e che impegna ciascuna delle parti a preservare l'interesse dell'altra nei limiti del proprio apprezzabile sacrificio”.
[28] 
Vedi appunto F. Dimundo, op. cit., p. 62. Tuttavia, per Cass. ss.uu., 28 marzo 2006, n. 7029, cit., “l'abuso del credito affermato si è perfezionato mediante la conclusione di un contratto al quale la s.r.l. partecipò con i suoi organi, a tanto legittimati dai suoi statuti. Potrebbe, al più, ipotizzarsi una responsabilità di costoro per mala gestio, ma questa esclude comunque l'azione risarcitoria di cui si tratta per la ragione che alcun diritto di credito verso il proprio contraente in capo alla società finanziata abusivamente potette nascere, da un fatto illecito prodotto anche da attività infedele dei suoi rappresentanti”. D. Galletti, Abusiva concessione di credito e legittimazione della curatela, in Ilfallimentarista.it, ha opportunamente replicato che questa impostazione impedirebbe al danneggiato di agire contro i terzi che abbiano collaborato col suo rappresentante al fine di danneggiarlo, persino per titolo doloso, esentando così irrazionalmente i fiancheggiatori del proprio rappresentante, che invece dovrebbero rispondere in concorso con lo stesso, secondo i principi generali. In questo senso v. anche S. Sanzo, in Giur. It., 2008, p. 2507, relativamente a una vicenda in cui una società, tramite i propri organi, aveva creato un sistema di fondi neri per finanziare attività illecite.
[29] 
Così giustamente Cass., 30 giugno 2021, n. 18610 e B. Inzitari, op. cit.
[30] 
Invece per B. Inzitari, op.cit., la recente ricostruzione della Corte “libera l’art. 1173 c.c. da un ruolo meramente introduttivo e definitorio, per riconoscergli una portata direttamente operativa. È una ricostruzione gravida di conseguenze perché, attraverso l’atipicità della fonte dell’obbligazione, apre spazi di grande flessibilità al riconoscimento di obbligazioni non direttamente riconducibili al contratto o all’illecito, anche per dare appropriata attuazione a principi e regole non sempre riconducibili a rapporti direttamente negoziali”.
[31] 
L’art. 137 comma 2 TUB punisce il comportamento dell’amministratore della banca o del suo dipendente “che al fine di concedere o far concedere credito ovvero di mutare le condizioni alle quali il credito venne prima concesso ovvero di evitare la revoca del credito concesso, consapevolmente omettono di segnalare dati o notizie di cui sono a conoscenza o utilizzano nella fase istruttoria notizie o dati falsi sulla costituzione o sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria del richiedente il fido”.
[32] 
Cfr. A. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, p. 1425 e 1442. In senso opposto Cass., 20 aprile 2017, n. 9983, cit., con riguardo all’art. 218 L. fall. osserva che “se il ricorso abusivo al credito va oltre i confini dell'accorta gestione imprenditoriale quanto all'amministratore della società finanziata, la stessa erogazione del credito, ove (come dedotto nella specie) sia stata accertata la perdita del capitale di quella società, integra un concorrente illecito della banca”. Si ricorda che l’art. 218 presuppone la dissimulazione dolosa del dissesto, per cui il banchiere potrebbe forse concorrere se partecipa a tale dissimulazione: v. A. Nigro, op. cit., p. 315. Ma il reato sembra voler tutelare il patrimonio del finanziatore e non dei terzi.
[33] 
Ad es. per Cass. pen., 1 dicembre 1999, n. 2126, in Giur.It., 2002, p. 1259, con nota di S. Vinciguerra, risponde di concorso in bancarotta preferenziale per simulazione di un titolo di prelazione (art. 216, comma 2, L. fall.) il funzionario di banca che concede a un imprenditore insolvente (poi dichiarato fallito) un mutuo garantito da ipoteca, per consentirgli di ripianare uno scoperto di pari entità determinatosi sul conto corrente. Sul concorso di persone nei reati fallimentari v. A. Maffei Alberti, op. cit., p. 1414 ss.
[34] 
Sul fatto che basti la colpa v. A. Traversi – S. Gennai, Diritto penale commerciale, Padova, 2012, p. 113; P. Pajardi – A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, p. 1031; A. Maffei Alberti, op. cit., p. 1473 ss.
[35] 
Il risarcimento ex art. 185 c.p. è diverso da quello ex art. 2043 c.c., perché nel primo caso l'ingiustizia del danno è in re ipsa: cfr. Cass., 11 febbraio 1995, n. 1540, in Giust. Civ., 1996, I, p. 2395; C.M. Bianca, op. cit., p. 597; F. Gazzoni, op. cit., p. 732.
[36] 
Così Cass., 17 giugno 2013, n. 15112; Cass., 15 maggio 2018, n. 12126. Per Trib. Venezia, 11 dicembre 2015, in Ilcaso.it, p. 14763, “la responsabilità risarcitoria del fatto di reato previsto dagli artt. 217 e 224 L. fall. può essere accertata incidenter tantum dal giudice civile, onde fondarvi l’azione risarcitoria relativa ai danni conseguenti. L’illecito ex art. 217 L. fall. comporta la sussistenza di responsabilità civile ex art. 2043 c.c. e il conseguente danno va determinato nell’aggravamento del dissesto, inteso come maggiore indebitamento della società che ha pregiudicato i creditori, in riferimento al patrimonio della società su cui soddisfarsi in modo concorrente”.
[37] 
Nelle sentenze più recenti la Cassazione richiama pure gli artt. 120 undecies e 124 bis TUB sugli obblighi di verifica del merito creditizio, ma si tratta di disposizioni dettate solo per il credito al consumo.
[38] 
Vedi in tal senso G. Tarzia, La Cassazione torna sul tema dell’azione risarcitoria per “concessione abusiva di credito” che abbia ritardato la dichiarazione di fallimento, in Fall., 2017, p. 914. Nello stesso senso G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, in Dirittodellacrisi.it, rileva che “la disciplina bancaria, in effetti, non è scritta per agevolare il risanamento delle imprese debitrici in crisi, ma per migliorare gli attivi delle banche e pulire i loro bilanci”. 
[39] 
Cfr. V. Di Stasio, op. cit., p. 573 ss.; F. Dimundo, op. cit., p. 52; C.M. Bianca, op. cit., p. 578 (nt. 87), il quale colloca l’abusiva concessione di credito nel contesto del danno ingiusto quando il terzo ostacoli o renda impossibile l’adempimento.
[40] 
In tema di diritto bancario cfr. Cass., 13 giugno 2006, n. 13673, in Resp. civ., 2007, p. 900, con nota di A. Spangaro.
[41] 
Vedi di recente Trib. Roma, 20 aprile 2020, in Giur. It., 2021, p. 1900, con nota di P. Gobio Casali; Trib. Catania, 16 luglio 2015, in Ilcaso.it, p. 13158; Trib. Milano, 13 maggio 2011, in Soc., 2012, p. 511, con nota di M. Perrino; 7, in Giur. It., 2007, p. 1973, con nota di L. Ricolfi.
[42] 
Per Trib. Milano, 15 febbraio 2017, n. 1948, in banca dati Dejure, “non occorre la prova che le banche fossero consapevoli dello scopo perseguito dagli amministratori, che ad esse si sono rivolti per ottenere gli affidamenti: trattandosi di concorso a titolo di responsabilità extracontrattuale, ex art. 2043 c.c., è sufficiente che le condotte delle banche siano state connotate da colpa”; così pure Trib. Prato, 15 febbraio 2017, in Ilcaso.it, p. 17019. Nello stesso senso F. Dimundo, op. cit., p. 54. Secondo parte della dottrina, però, ammettere la responsabilità di un terzo per l’impossibilità della prestazione derivante da un suo fatto colposo farebbe gravare sulla generalità dei consociati un impegno diligente che è proprio del debitore: così C.M. Bianca, op. cit., p. 579 ss.
[43] 
L’argomento è trattato nell’ultima parte di Cass., 30 giugno 2021, n. 18610 e di Cass. 14 settembre 2021, n. 24725.
[44] 
Così sempre Cass., 30 giugno 2021, n. 18610. Si segnala che per Cass., 31 marzo 2010, n. 7956, cit., “in presenza di un'operazione manifestamente anomala, tale da compromettere palesemente l'interesse della società correntista che abbia affidato alla banca i propri depositi stipulando una convenzione di assegno, rientra nei doveri di esecuzione di buona fede gravanti sulla banca quello di rifiutare il compimento dell'operazione o quanto meno di informarne preventivamente gli organi competenti della società”. Per Cass. ss.uu., 26 giugno 2007, n. 14712, in Giur. It., 2008, p. 864 con nota di L. Buffoni e p. 1150 con nota di G. Cottino, la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione della legge assegni, l'incasso di un assegno non trasferibile a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione operante verso tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione.
[45] 
Per Cass., 11 luglio 2012, n. 11642, la responsabilità da contatto sociale, soggetta alle regole della responsabilità contrattuale pur in assenza d'un vincolo negoziale tra danneggiante e danneggiato, “è configurabile non in ogni ipotesi in cui taluno, nell'eseguire un incarico conferitogli da altri, nuoccia a terzi, come conseguenza riflessa dell'attività espletata, ma solo quando il danno sia derivato dalla violazione di una precisa regola di condotta, imposta dalla legge allo specifico fine di tutelare i terzi potenzialmente esposti ai rischi dell'attività svolta dal danneggiante, tanto più ove il fondamento normativo della responsabilità si individui nell'art. 1173 c.c.”.
[46] 
In tema si veda C. Scognamiglio, Sulla responsabilità dell’impresa bancaria per violazione di obblighi discendenti dal proprio status, in Giur.It., 1995, IV, p. 385 ss., che parla tra l’altro dell'affidamento “sul corretto contegno della banca, tenuta - in relazione al suo status - a porre in essere quanto meno tutti quei comportamenti in grado di evitare danni al soggetto nei cui confronti si sia verificata un'occasione di contatto sociale e che non si risolvano in un pregiudizio apprezzabile per la banca stessa”.
[47] 
Salvo per alcuni aspetti particolari nell’ambito della ristrutturazione dei debiti del consumatore (artt. 69 comma 2 e 80 comma 4).
[48] 
In termini generali N. Abriani – L. Benedetti, Finanziamenti all’impresa in crisi e abusiva concessione di credito: un ulteriore frammento della disciplina speciale dell’impresa in crisi, in Banca, Borsa, 2020, p. 41 ss., osservano correttamente che “la possibilità di ascrivere profili di responsabilità in capo alle banche risulta tanto più remota, quanto più avanzati sono l'attività di predisposizione del piano di risanamento, da un lato, e il processo di attestazione dello stesso da parte dell'esperto indipendente dall'altro”.
[49] 
Giurisprudenza e dottrina paiono concordi circa la possibilità che la concessione abusiva di credito si configuri anche mediante la semplice prosecuzione indebita di un finanziamento in corso. Si veda Cass., 30 giugno 2021 n. 18610 (che ravvisa in tali casi una ipotesi di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.), ma anche N. Abriani – L. Benedetti, op.cit. Si tratta di esito al quale la dottrina è pervenuta da molto tempo: cfr. M. Perrone, Insolvenza, pactum de non petendo e creditori pretermessi, in Fall., 1992, p. 664; B. Inzitari, L'abusiva concessione del credito: pregiudizio per i creditori e per il patrimonio del destinatario del credito, in Ilcaso.it; F. Tassinari, Il finanziamento della società mediante mezzi diversi dal conferimento, in La riforma delle società a responsabilità limitata, a cura di C. Caccavale – F. Magliulo – M. Maltoni – F. Tassinari, Milano, 2007, p. 151.
[50] 
Per puntuali richiami alla disciplina della vigilanza bancaria ed alle sue fonti si veda la chiara ricostruzione operata da S. Bonfatti – S. Rizzo, La “vigilanza prudenziale” nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Dirittodellacrisi.it, Nonché P. Bontempi, op. cit., p. 74 ss.; G. Presti, op.cit. 
[51] 
Così la già citata Cass., 30 giugno 2021, n. 18610, in motivazione, punto 3.5.3.
[52] 
Così in particolare N. Abriani – L. Benedetti, op. cit.
[53] 
Per alcune considerazioni, per il vero espresse in epoca precedente all'emanazione dell'attuale versione del Codice della crisi, sulle conseguenze che la nuova normativa può avere sulla concessione abusiva del credito si veda F. Pacileo, Concessione “abusiva” di credito e “sana e prudente gestione”: linee-guida giurisprudenziali, in Banca Borsa, 2019, p. 2203; M. Spiotta, Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio: osservazioni sulla concessione abusiva di credito, Giur. It., 2018, p. 1661. Si veda anche V. Caridi, Concessione di credito e informazioni al mercato, in Diritto banc. merc. finanz., 2017, p. 785.
[54] 
Non sfuggirà la sostanziale divergenza rispetto ai succitati criteri che definiscono un credito in default, secondo la normativa di origine europea, sotto il profilo temporale (90 giorni anziché 60) e sotto il profilo percentuale (1% dell'esposizione verso il singolo istituto, in luogo del 5% dell'esposizione complessiva). E' ragionevole ritenere che un'omogeneità tra le due soglie sarebbe stata auspicabile.
[55] 
Come già ricordato, sul punto Cass., 30 giugno 2021, n. 18610 si esprime così: “non integra abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell'impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell'intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un'impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi”. Nello stesso senso R. Del Porto, op. cit.
[56] 
G. Fauceglia, Riflessioni sulla responsabilità delle banche nel Codice della crisi con particolare riguardo all’abusiva concessione del credito, in Dirittodellacrisi.it, osserva che “se gli obblighi di adeguato assetto organizzativo competono esclusivamente all’imprenditore, nulla esclude la compartecipazione di un terzo – specie se qualificato, in ragione dell’attività esercitata, come è la banca – in relazione al fatto determinativo del danno, allorquando, nella istruttoria del credito, non siano stati analizzati dati di immediata rilevanza. In tal caso, pare rilevante che la tutela apprestata non resti limitata solo ed esclusivamente alla posizione degli altri creditori, quanto a quella dell’impresa, nella delineata prognosi di un’utile continuazione dell’attività”.
[57] 
D’altra parte, la tempestiva emersione della crisi può consentire di arrestare senza indugio un’attività in perdita, prima che l’imprenditore non sia più in grado di rimborsare i prestiti: cfr. S. Pacchi – S. Ambrosini, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2022, p. 14, i quali notano che la normativa di derivazione europea è volta a prevenire l’accumulo di crediti deteriorati. Come si è detto in precedenza, però, la banca potrebbe anche avere interesse a ritardare l’emersione della crisi ove intenda porre al riparo da azioni revocatorie i pregressi rientri e la costituzione di diritti di prelazione.
[58] 
La legge contempla l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili sia nell’ambito della composizione negoziata (art. 22 CCII), sia nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 99 ss. CCII).
[59] 
Come nota G. Presti, op. cit., l’accesso alla composizione negoziata non comporta automaticamente che il credito bancario possa qualificarsi come deteriorato, salvo che l’imprenditore chieda misure protettive che denotano il rischio di inadempimenti diffusi.
[60] 
Il tema è puntualmente affrontato da S. Bonfatti, La nuova finanza in progress nella Composizione negoziata della crisi d'impresa, in Bancaria, 9, 2022, p. 99. Si vedano snche A. Rossi, I presupposti della Cnc, tra debiti dell'imprenditore e risanamento dell'impresa, in Dirittodellacrisi.it; L. Stanghellini, I finanziamenti al debitore e le crisi, in Fall., 2021, p. 1183, che sottolineano l’esclusione di qualsiasi obbligo di finanziamento.
[61] 
In senso contrario v. anche G. Presti, op. cit. Una completa valutazione del tema non può peraltro prescindere da quanto prevede l'art. 18 comma 5 CCII, che consente all'imprenditore in fase di composizione negoziata di ottenere, sotto il vaglio dell'autorità giudiziaria, misure protettive che impediscano di rifiutare l'adempimento dei contratti in essere o provocarne la risoluzione. Secondo S. Bonfatti, La nuova finanza, op. cit., è questo l'unico strumento mediante il quale si potrebbe ottenere l’utilizzo di un affidamento bancario non ancora sfruttato per intero o il ripristino di quanto accordato per estinzione di precedenti utilizzi, trattandosi di una forma di finanziamento coercitivo che impone un intervento del tribunale.
[62] 
Per S. Bonfatti – S. Rizzo, op. cit., “la disciplina di vigilanza prudenziale” è quella del TUB ma anche quella di derivazione europea.
[63] 
Chiaramente in questo senso S. Bonfatti – S. Rizzo, op. cit., secondo cui, qualora l'obiettivo di recuperare un equilibrio economico e finanziario non fosse perseguibile, “le banche – proprio in virtù della necessità di assicurare il rispetto della disciplina prudenziale – potranno … revocare/sospendere gli affidamenti, nonostante l'accesso dell'impresa alla CNC”. Un potere che pare rappresentare piuttosto un dovere quando la disciplina di vigilanza lo imponga.
[64] 
Il fatto che il mantenimento o meno delle linee di credito si inserisca in un contesto più complesso è confermato dall’art. 17 comma 5 CCII, secondo cui “nel corso delle trattative l'esperto può invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa o se è alterato l'equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute. Le parti sono tenute a collaborare tra loro per rideterminare il contenuto del contratto o adeguare le prestazioni alle mutate condizioni”.
[65] 
Peraltro, secondo G. Presti, op. cit., la norma si limita a escludere che, di per sé, l'istanza di nomina dell’esperto “sia sufficiente per giustificare il recesso della banca e, dunque, a fortiori, che sia possibile il recesso ad nutum. Esso rimane invece possibile per ogni ipotizzabile giusta causa attinente al merito del rapporto contrattuale e, in ogni caso, se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale. In definitiva, si tratta solo di un obbligo di motivazione (scritta, benché la norma non preveda espressamente una forma sacramentale) – che, per quanto concerne l'ipotesi residuale, deve essere coerente con la disciplina di vigilanza prudenziale – e di un'inversione dell'onere della prova sull'abuso”.
[66] 
Cfr. S. Pacchi – S. Ambrosini, op. cit., p. 64-65.
[67] 
Vedi supra i riferimenti indicati alla nota 12.

informativa sul trattamento dei dati personali

Articoli 12 e ss. del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR)

Premessa - In questa pagina vengono descritte le modalità di gestione del sito con riferimento al trattamento dei dati personali degli utenti che lo consultano.

Finalità del trattamento cui sono destinati i dati personali - Per tutti gli utenti del sito web i dati personali potranno essere utilizzati per:

  • - permettere la navigazione attraverso le pagine web pubbliche del sito web;
  • - controllare il corretto funzionamento del sito web.

COOKIES

Che cosa sono i cookies - I cookie sono piccoli file di testo che possono essere utilizzati dai siti web per rendere più efficiente l'esperienza per l'utente.

Tipologie di cookies - Si informa che navigando nel sito saranno scaricati cookie definiti tecnici, ossia:

- cookie di autenticazione utilizzati nella misura strettamente necessaria al fornitore a erogare un servizio esplicitamente richiesto dall'utente;

- cookie di terze parti, funzionali a:

PROTEZIONE SPAM

Google reCAPTCHA (Google Inc.)

Google reCAPTCHA è un servizio di protezione dallo SPAM fornito da Google Inc. Questo tipo di servizio analizza il traffico di questa Applicazione, potenzialmente contenente Dati Personali degli Utenti, al fine di filtrarlo da parti di traffico, messaggi e contenuti riconosciuti come SPAM.

Dati Personali raccolti: Cookie e Dati di Utilizzo secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio.

Privacy Policy

VISUALIZZAZIONE DI CONTENUTI DA PIATTAFORME ESTERNE

Questo tipo di servizi permette di visualizzare contenuti ospitati su piattaforme esterne direttamente dalle pagine di questa Applicazione e di interagire con essi.

Nel caso in cui sia installato un servizio di questo tipo, è possibile che, anche nel caso gli Utenti non utilizzino il servizio, lo stesso raccolga dati di traffico relativi alle pagine in cui è installato.

Widget Google Maps (Google Inc.)

Google Maps è un servizio di visualizzazione di mappe gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine.

Dati Personali raccolti: Cookie e Dati di Utilizzo.

Privacy Policy

Google Fonts (Google Inc.)

Google Fonts è un servizio di visualizzazione di stili di carattere gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine.

Dati Personali raccolti: Dati di Utilizzo e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio.

Privacy Policy

Come disabilitare i cookies - Gli utenti hanno la possibilità di rimuovere i cookie in qualsiasi momento attraverso le impostazioni del browser.
I cookies memorizzati sul disco fisso del tuo dispositivo possono comunque essere cancellati ed è inoltre possibile disabilitare i cookies seguendo le indicazioni fornite dai principali browser, ai link seguenti:

Base giuridica del trattamento - Il presente sito internet tratta i dati in base al consenso. Con l'uso o la consultazione del presente sito internet l’interessato acconsente implicitamente alla possibilità di memorizzare solo i cookie strettamente necessari (di seguito “cookie tecnici”) per il funzionamento di questo sito.

Dati personali raccolti e natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati e conseguenze di un eventuale rifiuto - Come tutti i siti web anche il presente sito fa uso di log file, nei quali vengono conservate informazioni raccolte in maniera automatizzata durante le visite degli utenti. Le informazioni raccolte potrebbero essere le seguenti:

  • - indirizzo internet protocollo (IP);
  • - tipo di browser e parametri del dispositivo usato per connettersi al sito;
  • - nome dell'internet service provider (ISP);
  • - data e orario di visita;
  • - pagina web di provenienza del visitatore (referral) e di uscita;

Le suddette informazioni sono trattate in forma automatizzata e raccolte al fine di verificare il corretto funzionamento del sito e per motivi di sicurezza.

Ai fini di sicurezza (filtri antispam, firewall, rilevazione virus), i dati registrati automaticamente possono eventualmente comprendere anche dati personali come l'indirizzo IP, che potrebbe essere utilizzato, conformemente alle leggi vigenti in materia, al fine di bloccare tentativi di danneggiamento al sito medesimo o di recare danno ad altri utenti, o comunque attività dannose o costituenti reato. Tali dati non sono mai utilizzati per l'identificazione o la profilazione dell'utente, ma solo a fini di tutela del sito e dei suoi utenti.

I sistemi informatici e le procedure software preposte al funzionamento di questo sito web acquisiscono, nel corso del loro normale esercizio, alcuni dati personali la cui trasmissione è implicita nell'uso dei protocolli di comunicazione di Internet. In questa categoria di dati rientrano gli indirizzi IP, gli indirizzi in notazione URI (Uniform Resource Identifier) delle risorse richieste, l'orario della richiesta, il metodo utilizzato nel sottoporre la richiesta al server, la dimensione del file ottenuto in risposta, il codice numerico indicante lo stato della risposta data dal server (buon fine, errore, ecc.) ed altri parametri relativi al sistema operativo dell'utente.

Tempi di conservazione dei Suoi dati - I dati personali raccolti durante la navigazione saranno conservati per il tempo necessario a svolgere le attività precisate e non oltre 24 mesi.

Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

Il TITOLARE

del trattamento dei dati personali

Società per lo studio del diritto della crisi

REV 02