Saggio
Riflessioni sulla responsabilità delle banche nel Codice della crisi con particolare riguardo all’abusiva concessione del credito*
Giuseppe Fauceglia, Professore ordinario di Diritto commerciale presso l’Università degli Studi di Salerno
4 Gennaio 2023
*L'elaborato riprende, con modifiche, il contenuto della relazione tenuta dall'A. al Convegno "Stagflazione, guerra, pandemia: il Codice della Crisi alla prova dei fatti", tenutosi ad Alba (CN), il 26.11.2022, organizzato dall'Associazione Albese Studi di diritto commerciale, con il patrocinio tra gli altri di Diritto della crisi; lo scritto confluirà in una apposita raccolta degli atti del convegno.
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Pare opportuno premettere che la questione dovrà essere scrutinata in relazione all’ormai riconosciuta prevalenza che il Codice assegna alle ragioni dell’impresa, non solo con riferimento agli accessi agli strumenti di regolazione della crisi. La prevalenza è trasfusa in un principio più generale desumibile in considerazione della tutela dell’attività e dei mezzi impiegati per il suo svolgimento. Non può omettersi di considerare che, proprio in questa prospettiva, si inserisce l’obbligo di comunicazione, espressamente previsto per le banche, dall’art. 25 decies del Codice, a mente del quale le banche e gli altri intermediari finanziari di cui all’art. 106 Testo unico bancario, nel momento in cui comunicano al cliente variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti, ne danno notizia anche agli organi di controllo societario, se esistenti (si tratta di comunicazione funzionale alla tempestiva segnalazione dell’organo di controllo prevista dall’art. 25 octies, ai fini dell’anticipata emersione della crisi). Dalla previsione di detto obbligo possono trarsi conseguenze anche in tema di responsabilità della banca: (a) se la predetta comunicazione è prevista come obbligatoria, quale segnalazione di un “terzo qualificato” ai fini dell’anticipata emersione della crisi e alla verifica di sostenibilità del debito, resta altrettanto evidente che non possono, in conseguenza della stessa, essere concesse nuove linee di credito o ulteriori agevolazioni che resterebbero incompatibili (se non nel quadro autorizzatorio previsto per la composizione negoziata dall’art. 25 e per le procedure di soluzione della crisi dai citati artt. 99 e 101) con le variazioni, revisione o revoca degli affidamenti pregressi; (b) di conseguenza, qualora la banca non dovesse dar corso alla comunicazione prevista dall’art. 25 decies, continuando a far credito all’impresa, essa resterebbe responsabile per la condotta assunta. In tal caso, però, occorre una precisazione: se la banca ha assunto la determinazione di revocare gli affidamenti (che già di per sé richiede la segnalazione alla Centrale dei Rischi, con tutte le conseguenze che ne derivano), resta assolutamente illogico che possa disporre ulteriori linee di credito, in tal caso sussisterebbe, con tutta evidenza, un comportamento che potrebbe già di per sé qualificarsi come “abusiva concessione di credito”; nel mentre, nel caso di revisione o variazione delle linee di credito, non collegabili all’insolvenza del debitore, come qualificata alla luce delle norme in tema di segnalazione alla Centrale dei Rischi, potrebbe, in astratto, rinvenirsi uno spazio – limitato, però, dalla stessa disciplina prudenziale – antecedente all’accesso al procedimento negoziale, per la concessione di nuove agevolazioni finanziarie, se giustificate da evidenti ipotesi di risanamento dell’impresa; (c) ulteriore, ma diversa fattispecie di responsabilità, potrebbe rinvenirsi nel caso in cui la banca, in ragione dell’accesso del debitore ad un procedimento di composizione negoziale o ad altro strumento di soluzione della crisi, risolva il contratto di credito o preveda un aggravamento delle condizioni economiche (in violazione delle norme di legge, v., ad esempio, art. 16, comma 5° o l’art. 94 bis).
Restano, però, escluse dal perimetro delineato dalle summenzionate norme, le ipotesi in cui la banca – secondo i modelli delineati dalla giurisprudenza – continui a far credito ad un’impresa in crisi, ritardandone l’accesso agli strumenti di soluzione della crisi o determinando e aggravandone lo stato di insolvenza. Si ritorna, in tal modo, al sintagma rappresentativo dell’”abusiva concessione di credito”, delineato nell’erogazione di un credito effettuato, con dolo o colpa, ad impresa che già si palesi essere una situazione di difficoltà economica e finanziaria, nonché in mancanza di concreta prospettiva di superamento della crisi, laddove il confine tra finanziamento “meritevole” e finanziamento “abusivo” si fonderà sulla ragionevolezza e fattibilità di un “piano aziendale” [18] (in tal senso, può richiamarsi anche il piano attestato di cui all’art. 56). In questo caso, però, la valutazione della situazione dell’impresa non resta più attribuita esclusivamente ad indici desunti dal giudice nel caso concreto, ma va delineata sulla scorta delle definizioni rinvenienti nell’art. 2, lett. a) e nell’art. 3, comma 3°, del Codice, che sia pure dettato per il debitore non può ritenersi estraneo alla valutazione del comportamento di un “terzo qualificato” (come la banca), nonché dalle indicazioni rinvenienti nell’art. 13 (la piattaforma telematica risulterebbe consultabile anche dal soggetto finanziatore), oltre che dalla stringente previsione dello stesso art. 15, che assume la rilevanza della continuità nell’attività dell’impresa nel presupposto temporale ivi indicato; a cui si aggiunge, naturalmente, la necessaria cognizione e valutazione di indici più tradizionali, rinvenienti dai dati aziendali, dalla pendenza di debitorie tributarie risultanti dal c.d. cassetto fiscale, dalla sussistenza di protesti e da iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli o dalle risultanze della Centrale dei Rischi (si tratta di documentazione che la banca deve acquisire o richiedere e che deve essere opportunamente esaminata nella istruttoria del fido). In tal caso, qualora sia stata applicata la necessaria professionalità e diligenza, l’illecito non potrebbe sussistere qualora ex ante la banca, sulla base dei documenti e dei dati acquisiti, ravveda possibili prospettive di superamento della crisi. Sul tema, però, deve registrarsi la differenza con la precedente impostazione, richiamata nel contesto della legge fallimentare, posto che il Codice prevede l’accesso preventivo a strumenti regolatori della crisi, sì che un giudizio valutativo della banca in ordine al superamento dello stato di crisi deve conformarsi proprio ai presupposti di detti strumenti, sì da non essere lasciato (solo) alla mera discrezionalità valutativa di quest’ultima. Inoltre, la violazione delle regole di sana e prudente gestione, come concretizzate nella stessa normativa di Vigilanza, non possono più configurarsi come “mere norme interne”, posto che esse disciplinano anche l’esercizio dell’attività bancaria, e come tali restano rilevanti pure in ordine alla posizione del “cliente”, che con la banca stessa conclude contratti di credito, nonché dei “terzi”[19].
Ora, a parte singolari decisioni che assumono la illiceità, per violazione di norme di ordine pubblico, con riferimento a finanziamenti, da qualsiasi soggetto provenienti, ad imprese insolventi[20], non vi è dubbio che l’ampia gamma di soluzioni offerte all’imprenditore per far fronte alla crisi possa, in qualche modo, aver messo in discussione il risultato cui è pervenuta anche la recente giurisprudenza di Cassazione. In sostanza, è stato da questa ritenuto che “non integra una concessione abusiva di credito la condotta della banca che, al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi di impresa abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell’intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un’impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito a detti scopi”. E’ indubbio, infatti, che il complesso di norme volte all’emersione anticipata della crisi spostano “in avanti” il processo valutativo, nel senso che la sussistenza dei presupposti per accedere già in via preventiva ad una composizione negoziata della crisi e in assenza di qualsiasi iniziativa assunta dal debitore, il perimetro valutativo, riconosciuto alla banca dalla predetta giurisprudenza, finisce per restringersi, non potendo essere affidato esclusivamente alla discrezionalità di quest’ultima. Pare, in sostanza, che la “curvatura” da imprimere alla gestione dell’impresa ponga, anche con riferimento al tema qui esaminato, una qualche più compiuta riflessione. Se la gestione dell’impresa che si svolge nell’esclusivo interesse prioritario dei creditori si intende parametrato alla pendenza dei vari strumenti di soluzione della crisi e dell’insolvenza, in una graduazione conformativa progressivamente più intensa in ragione dell’approssimarsi di fenomeni che manifestano l’insolvenza, non vi è dubbio che il comportamento richiesto per l’imprenditore dal novellato art. 2086 c.c. e per gli amministratori dalle norme di cui agli artt. 375 e 377 del Codice, non possono limitare i principi protettivi esclusivamente in capo a questi soggetti, non escludendo il possibile comportamento causale del danno qualora un “terzo” contribuisca, sia pure nel preesistente difetto di un adeguato assetto organizzativo, in modo determinante ad impedire la rilevazione tempestiva della crisi, consentendone il rinvio o favorendo il suo aggravamento. Se gli obblighi di adeguato assetto organizzativo competono esclusivamente all’imprenditore, nulla esclude la compartecipazione di un “terzo” – specie se qualificato, in ragione dell’attività esercitata, come è la banca – in relazione al “fatto” determinativo del danno, allorquando, nella istruttoria del credito, non siano stati analizzati dati di immediata rilevanza. In tal caso, pare rilevante che la tutela apprestata non resti limitata solo ed esclusivamente alla posizione degli altri creditori, quanto a quella dell’impresa, nella delineata prognosi di un’utile continuazione dell’attività.
Note: