Con l’ordinanza 30 giugno 2021, n. 18610, la Cassazione segna una nuova, significativa e crediamo definitiva tappa nella elaborazione e ricostruzione sistematica dell’intera tematica della responsabilità della banca per abusiva concessione di credito e nella definizione della categoria delle azioni di massa [1]. La pronuncia ammette la piena legittimazione del curatore, fornisce una completa definizione della natura dell’azione, del danno subito dall’impresa a seguito del finanziamento e del pregiudizio all’intero ceto creditorio per la perdita della garanzia patrimoniale.
La condotta suscettibile di causare il danno risarcibile si manifesta nel comportamento degli amministratori, direttori generali, liquidatori, imprenditori individuali che ricorrono a abusivamente al credito (art. 218 L. fall., art. 325 CCII), dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza e simmetricamente nella condotta del pari illecita della banca, che eroga o rinnova o mantiene linee di credito all’impresa che versa in stato di insolvenza o di crisi conclamata.
La responsabilità della banca discende, come già messo in luce dalla dottrina e dalla stessa giurisprudenza[2] dal mancato rispetto di specifici criteri di comportamento che devono essere seguiti dalla banca nell’esercizio del credito.
Il dovere di valutare e verificare il merito creditizio del soggetto sovvenuto discende sia dagli specifici obblighi previsti dall’ordinamento bancario per l’esercizio del credito, sia dal più generale principio della sana e corretta gestione che permea l’intera disciplina bancaria, sia dalla disciplina anche sovranazionale volta al controllo e alla ponderazione dei rischi riferita dalla pronuncia agli accordi di Basilea, ma indirettamente anche dalla disciplina della crisi bancaria.
La configurazione dell’illegittimità della condotta della banca nella ingiustificata erogazione del credito viene ricondotta alla violazione delle regole professionali che sovraintendono l’attività del bonus argentarius.
A questo riguardo va tenuto conto della mancata o inadeguata valutazione di tutti gli elementi che le stesse istruzioni di Banca d’Italia (particolarmente la circolare n. 229 del 1999 e successive modificazioni) stabiliscono al fine del corretto esercizio della erogazione del credito.
Il rischio di credito infatti, secondo la citata normativa di settore, deve essere effettuato secondo un processo stabilito nel regolamento interno della banca periodicamente sottoposto a verifica ed aggiornato. L’erogazione del credito può essere quindi effettuata sulla base di un processo di valutazione che, nelle diverse fasi previste (istruttoria, erogazione monitoraggio delle posizioni, revisione delle linee di credito, interventi in caso di anomalia), consentono alla banca di valutare il merito creditizio del sovvenuto, sotto il profilo patrimoniale e reddituale, che peraltro deve tenere anche conto di una corretta remunerazione del rischio assunto. Tanto nella fase istruttoria che in quella dell’erogazione del credito, come pure nelle successive fasi di monitoraggio e di revisione, le informazioni fornita dalla Centrale dei rischi costituiscono una ulteriore base informativa continuamente aggiornata, che la banca ha il dovere di acquisire per conoscere l’evoluzione della esposizione debitoria del sovvenuto, le connessioni con altri soggetti ed istituti bancari, il valore ed il ruolo delle garanzie, le diverse manifestazione di tensione o di crisi attraverso le segnalazioni di sconfinamenti del credito accordato.
È peraltro nota l’attenzione che, particolarmente a seguito della costruzione ed entrata in vigore della disciplina europea sul settore bancario, viene riservata al carattere pregiudizievole non solo per la banca ma anche per il sistema, della crescita del volume dei crediti deteriorati, per buona parte derivante da un non corretto esercizio della erogazione del credito, le cui conseguenze investono la stessa idoneità dei patrimoni di vigilanza delle banche[3].
L’insieme di questi obblighi, che costituiscono un quanto mai vasto reticolo di prescrizioni tese ad informare nella sostanza ogni aspetto della attività della banca, viene assunto dalla pronuncia quale fonte di obbligazioni comportamentali e, se violati, di obbligazioni risarcitorie verso i soggetti danneggiati.
Soccorrono, secondo la pronuncia, i principi sistematici alla base dell’art. 1173 c.c. che apre il quarto libro Delle obbligazioni. La norma ha l’ambizione di disegnare l’intero perimetro del diritto delle obbligazioni nel determinare le fonti delle obbligazioni. A questo riguardo, accanto alle fonti tipiche costituite dal contratto e dal fatto illecito, è prevista la possibilità di fonti atipiche delle obbligazioni che derivino da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità con l’ordinamento giuridico.
I principi e le regole dell’ordinamento settoriale del credito, secondo la pronuncia, costituiscono la fonte di obblighi comportamentali, la cui violazione è a sua volta fonte di obbligazioni risarcitorie della banca nei confronti dei soggetti in vario modo danneggiati.
La responsabilità della banca si declina quindi attraverso il generale riferimento alle regole che sovraintendono l’obbligo della diligenza ed in particolare l’obbligo di diligenza professionale di cui al secondo comma dell’art. 1176 c.c.. Questa, secondo la più adeguata e moderna interpretazione consiste nella osservanza delle regole tecniche dettate o comunque riconosciute nell’esercizio della specifica attività professionale.
I principi e le disposizioni dell’ordinamento settoriale del credito articolato nella legislazione primaria e secondaria, costituiscono pertanto le regole tecniche che sovraintendono l’attività della banca. Esse gravano su di essa per il proprio status e conseguentemente la mancata osservanza anche con comportamento omissivo, configura la violazione dell’obbligo di diligenza professionale della banca, ai sensi dell’art. 1176, c.c., e costituisce atto idoneo….. in conformità dell’ordinamento giuridico a costituire fonte dell’obbligazione risarcitoria, in quanto sulla banca gravano obblighi di comportamento più specifici di quello del comune neminem laedere.
Si tratta di una ricostruzione innovativa e convincente che libera l’art. 1173 c.c. da un ruolo meramente introduttivo e definitorio, per riconoscergli una portata direttamente operativa. È una ricostruzione gravida di conseguenze perché, attraverso l’atipicità della fonte dell’obbligazione, apre spazi di grande flessibilità al riconoscimento di obbligazioni non direttamente riconducibili al contratto o all’illecito, anche per dare appropriata attuazione a principi e regole non sempre riconducibili a rapporti direttamente negoziali.