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Commento

L’azione del curatore per abusiva concessione di credito

Bruno Inzitari, Professore nell’Università Bocconi e già Professore ordinario nell’Università Milano-Bicocca

5 Agosto 2021

Visualizza: Cass., Sez. 1, 30 giugno 2021, n. 18610, Pres. Genovese, Est. Nazzicone

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La conferma, operata dalla Corte di Cassazione, in punto di piena legittimazione del curatore all’azione per abusiva concessione di credito quale azione di massa nell’interesse di tutti i creditori, offre lo spunto per una ricostruzione funditus del paradigma della responsabilità del soggetto finanziatore e dell’assetto delle sue regole. 
Riproduzione riservata
1 . La responsabilità della banca nell’esercizio del credito obbligazioni ex art. 1173 e responsabilità professionale ex art. 1176, secondo comma c.c.
Con l’ordinanza 30 giugno 2021, n. 18610, la Cassazione segna una nuova, significativa e crediamo definitiva tappa nella elaborazione e ricostruzione sistematica dell’intera tematica della responsabilità della banca per abusiva concessione di credito e nella definizione della categoria delle azioni di massa [1]. La pronuncia ammette la piena legittimazione del curatore, fornisce una completa definizione della natura dell’azione, del danno subito dall’impresa a seguito del finanziamento e del pregiudizio all’intero ceto creditorio per la perdita della garanzia patrimoniale.
La condotta suscettibile di causare il danno risarcibile si manifesta nel comportamento degli amministratori, direttori generali, liquidatori, imprenditori individuali che ricorrono a abusivamente al credito (art. 218 L. fall., art. 325 CCII), dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza e simmetricamente nella condotta del pari illecita della banca, che eroga o rinnova o mantiene linee di credito all’impresa che versa in stato di insolvenza o di crisi conclamata.
La responsabilità della banca discende, come già messo in luce dalla dottrina e dalla stessa giurisprudenza[2] dal mancato rispetto di specifici criteri di comportamento che devono essere seguiti dalla banca nell’esercizio del credito.
Il dovere di valutare e verificare il merito creditizio del soggetto sovvenuto discende sia dagli specifici obblighi previsti dall’ordinamento bancario per l’esercizio del credito, sia dal più generale principio della sana e corretta gestione che permea l’intera disciplina bancaria, sia dalla disciplina anche sovranazionale volta al controllo e alla ponderazione dei rischi riferita dalla pronuncia agli accordi di Basilea, ma indirettamente anche dalla disciplina della crisi bancaria. 
La configurazione dell’illegittimità della condotta della banca nella ingiustificata erogazione del credito viene ricondotta alla violazione delle regole professionali che sovraintendono l’attività del bonus argentarius.
A questo riguardo va tenuto conto della mancata o inadeguata valutazione di tutti gli elementi che le stesse istruzioni di Banca d’Italia (particolarmente la circolare n. 229 del 1999 e successive modificazioni) stabiliscono al fine del corretto esercizio della erogazione del credito.
Il rischio di credito infatti, secondo la citata normativa di settore, deve essere effettuato secondo un processo stabilito nel regolamento interno della banca periodicamente sottoposto a verifica ed aggiornato. L’erogazione del credito può essere quindi effettuata sulla base di un processo di valutazione che, nelle diverse fasi previste (istruttoria, erogazione monitoraggio delle posizioni, revisione delle linee di credito, interventi in caso di anomalia), consentono alla banca di valutare il merito creditizio del sovvenuto, sotto il profilo patrimoniale e reddituale, che peraltro deve tenere anche conto di una corretta remunerazione del rischio assunto. Tanto nella fase istruttoria che in quella dell’erogazione del credito, come pure nelle successive fasi di monitoraggio e di revisione, le informazioni fornita dalla Centrale dei rischi costituiscono una ulteriore base informativa continuamente aggiornata, che la banca ha il dovere di acquisire per conoscere l’evoluzione della esposizione debitoria del sovvenuto, le connessioni con altri soggetti ed istituti bancari, il valore ed il ruolo delle garanzie, le diverse manifestazione di tensione o di crisi attraverso le segnalazioni di sconfinamenti del credito accordato.
È peraltro nota l’attenzione che, particolarmente a seguito della costruzione ed entrata in vigore della disciplina europea sul settore bancario, viene riservata al carattere pregiudizievole non solo per la banca ma anche per il sistema, della crescita del volume dei crediti deteriorati, per buona parte derivante da un non corretto esercizio della erogazione del credito, le cui conseguenze investono la stessa idoneità dei patrimoni di vigilanza delle banche[3].
L’insieme di questi obblighi, che costituiscono un quanto mai vasto reticolo di prescrizioni tese ad informare nella sostanza ogni aspetto della attività della banca, viene assunto dalla pronuncia quale fonte di obbligazioni comportamentali e, se violati, di obbligazioni risarcitorie verso i soggetti danneggiati.
Soccorrono, secondo la pronuncia, i principi sistematici alla base dell’art. 1173 c.c. che apre il quarto libro Delle obbligazioni. La norma ha l’ambizione di disegnare l’intero perimetro del diritto delle obbligazioni nel determinare le fonti delle obbligazioni. A questo riguardo, accanto alle fonti tipiche costituite dal contratto e dal fatto illecito, è prevista la possibilità di fonti atipiche delle obbligazioni che derivino da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità con l’ordinamento giuridico.
I principi e le regole dell’ordinamento settoriale del credito, secondo la pronuncia, costituiscono la fonte di obblighi comportamentali, la cui violazione è a sua volta fonte di obbligazioni risarcitorie della banca nei confronti dei soggetti in vario modo danneggiati.
La responsabilità della banca si declina quindi attraverso il generale riferimento alle regole che sovraintendono l’obbligo della diligenza ed in particolare l’obbligo di diligenza professionale di cui al secondo comma dell’art. 1176 c.c.. Questa, secondo la più adeguata e moderna interpretazione consiste nella osservanza delle regole tecniche dettate o comunque riconosciute nell’esercizio della specifica attività professionale.
I principi e le disposizioni dell’ordinamento settoriale del credito articolato nella legislazione primaria e secondaria, costituiscono pertanto le regole tecniche che sovraintendono l’attività della banca. Esse gravano su di essa per il proprio status e conseguentemente la mancata osservanza anche con comportamento omissivo, configura la violazione dell’obbligo di diligenza professionale della banca, ai sensi dell’art. 1176, c.c., e costituisce atto idoneo….. in conformità dell’ordinamento giuridico a costituire fonte dell’obbligazione risarcitoria, in quanto sulla banca gravano obblighi di comportamento più specifici di quello del comune neminem laedere. 
Si tratta di una ricostruzione innovativa e convincente che libera l’art. 1173 c.c. da un ruolo meramente introduttivo e definitorio, per riconoscergli una portata direttamente operativa. È una ricostruzione gravida di conseguenze perché, attraverso l’atipicità della fonte dell’obbligazione, apre spazi di grande flessibilità al riconoscimento di obbligazioni non direttamente riconducibili al contratto o all’illecito, anche per dare appropriata attuazione a principi e regole non sempre riconducibili a rapporti direttamente negoziali. 
2 . Il danno: aggravamento del dissesto, diminuzione della consistenza del patrimonio
Le conseguenze dell’abusivo ricorso al credito e dell’abusiva concessione di credito incidono direttamente sul patrimonio sociale comportando su di esso la diminuzione della consistenza e l’aggravamento delle perdite indotte dalla continuazione dell’attività d’impresa.
Il credito erogato in violazione dei principi di sana e prudente gestione ed in assenza dei presupposti di meritevolezza, ben lungi dal costituire un arricchimento del sovvenuto, come talora in passato è stato tentato di affermare, aumenta l’indebitamento dell’impresa per il rilevante debito restitutorio assunto come pure per gli ulteriori oneri finanziari che si accompagnano.
Del tutto prive di consistenza risultano le affermazioni talora avanzate, secondo le quali si dovrebbe escludere il carattere pregiudizievole del finanziamento non correttamente erogato a soggetto immeritevole di credito in quanto il finanziamento, anche se erogato a soggetto immeritevole o in dissesto, di per sé comporterebbe un vantaggio piuttosto che un danno per chi la riceve.
In realtà il finanziamento per sua natura non comporta un’attribuzione patrimoniale definitiva e gratuita bensì, nel momento stesso in cui viene effettuato, fa sorgere una obbligazione restitutoria non solo del capitale ma anche del corrispettivo in termini di interessi e altre voci del finanziamento. I finanziamenti concessi vengono iscritti all’attivo quali disponibilità liquide e risultano bilanciati al passivo dalla corrispondente voce debiti verso banche, aumentata rispetto alla prima del valore attuale del debito per interessi ed oneri. Di conseguenza, neanche sulla base della più approssimativa semplificazione il finanziamento, potrà mai essere considerato come un evento che arricchisce e incrementa il patrimonio del sovvenuto.
Va infine considerato che, mentre l’impresa efficiente e meritevole di credito potrà utilizzare le risorse acquisite attraverso il finanziamento, per destinazioni effettivamente produttive con possibile vantaggio e rafforzamento del patrimonio, il soggetto immeritevole di credito assai difficilmente potrà attuare un adeguato piano di utilizzazione della liquidità ottenuta con il finanziamento. Essa verrà destinata a pagare i debiti a breve secondo un criterio opportunistico di mera e contingente urgenza, con l’effetto di occultare il dissesto e permettere agli amministratori quella pregiudizievole continuazione della attività, che altrimenti senza il supporto della banca non sarebbe stata possibile.
A questo si aggiunge il pregiudizio conseguente alla continuazione dell’attività che al contrario avrebbe dovuto essere arrestata con l’adozione degli opportuni provvedimenti societari e se possibile di ristrutturazione o comunque governo della crisi al fine di evitare l’insolvenza o contenerne gli effetti dannosi.
L’illiceità del comportamento della banca si salda infatti solitamente con il comportamento degli amministratori che, in violazione di principi fondamentali del governo societario, art. 2449, 2484, c.c. ed ora 378 CCI e 2086 cc, anche per effetto dei finanziamenti ricevuti, sono indotti e comunque sono messi in grado di non far emergere o occultare la crisi o l’insolvenza, di compiere nuove operazioni, e comunque causare una progressiva ed irreversibile compromissione dei patrimonio netto, che subisce una diminuzione sino all’arresto dell’attività. 
I presupposti della responsabilità del finanziatore risiedono, secondo la pronuncia, nella legittimazione della società o di terzi a far valere la responsabilità delle banche finanziatrici per l’illecita concessione del credito dei danni loro cagionati. La condotta della banca dolosa o colposa diretta a mantenere artificiosamente in vita un imprenditore in istato di dissesto, cagiona infatti un danno pari all’aggravamento del dissesto, in forza degli stessi interessi passivi del finanziamento non compensati dagli utili da questo propiziati, nonché dalle perdite generate dalle nuove operazioni così favorite. 
Il finanziamento, infatti, come si è visto, a differenza da quanto del tutto erroneamente talora (con apparente ingenuità) ipotizzato, non comporta un arricchimento per il soggetto che lo riceve ma piuttosto ne allarga l’indebitamento e aggrava il patrimonio per il sorgere di nuovi impegni finanziari. Inoltre il pregiudizio si incrementa ulteriormente per l’innescarsi della distruttiva propensione alla continuazione dell’attività alimentata dallo svolgimento di nuove operazioni.
3 . La diversa tipologia e finalità del finanziamento funzionale alla ristrutturazione secondo la leg-ge fallimentare ed il Codice della crisi
Il finanziamento, al contrario, può costituire una risorsa quando è effettivamente erogato per il risanamento dell’impresa ai fini della risoluzione della crisi attraverso istituti che ne scongiurino il fallimento.
Il riferimento è dunque a tutto il complesso della disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui agli artt. 182 quater, 182 quinquies l.fall. e ora 99 e 101 del codice della crisi[4], ai piani attestati ex art. 67 , comma 3, lett. d, ed art. 56 e 284 codice della crisi, alla esenzione della revocatoria di cui all’art. 67 , comma 3, lett. e), per gli atti compiuti in esecuzione del concordato o dell’ accordo omologato di ristrutturazione ai sensi dell’art. 182 bis, l. fall. ed ora 166, comma 3 codice della crisi, alla convenzione di moratoria di cui all’art. 182 septies l.fall. ed ora art. 62 codice della crisi, come pure alle previsioni che nella procedura di allerta prevista nel codice della crisi esclude che essa possa costituire causa di revoca degli affidamenti bancari. 
Il confine tra finanziamento lecito e finanziamento abusivo non deve presentare profili di incertezza, in quanto la meritevolezza del finanziamento deve necessariamente basarsi sulla ragionevolezza e fattibilità del piano aziendale di risanamento secondo criteri che la pronuncia vede opportunamente enunciati nel testo ad es. dell’art. 67 l. fall. che menziona il piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria, come pure dell’art. 69 quinquiesdecies TUB, che nell’ambito del sostegno finanziario infragruppo indica le condizioni per cui esso è lecito secondo il criterio per cui si può ragionevolmente prospettare che il sostegno fornito ponga sostanziale rimedio alle difficoltà finanziarie del beneficiario e che vi è la ragionevole aspettativa …che sarà pagato un corrispettivo e rimborsato il prestito da parte della società beneficiaria[5].
La valutazione di meritevolezza deve pertanto essere compiuta ex ante in relazione alle possibilità di effettivo risanamento aziendale ed alla idoneità del soggetto finanziato di utilizzare il credito per il risanamento attraverso un progetto chiaro, oggettivo, ragionevole e fattibile.
Tutto questo è del resto in linea, osserva significativamente la Corte, con i principi e le finalità che sovraintendono la direttiva UE n. 1023/2019 di prossima attuazione anche nel nostro ordinamento. 
Essa è infatti volta alla precoce individuazione della crisi attraverso quadri di ristrutturazione che gli Stati membri sono tenuti ad attuare, secondo strumenti chiari e trasparenti che consentano l’emersione della probabilità di insolvenza e la conseguente realizzazione di efficaci strumenti di ristrutturazione preventiva.
Con questa pronuncia, dunque la Corte tratteggia con diffuse indicazioni anche prospettiche l’oggettiva diversità tra finanziamento pregiudizievole perché oneroso per l’impresa e dannoso per i creditori e terzi e il finanziamento che costituisce risorsa anche necessaria per l’attuazione della ristrutturazione del debito, secondo piani in grado di governare l’impresa nei suoi rapporti con i creditori ed il mercato per il superamento della crisi o, in mancanza, per l’ordinata risoluzione nel miglior interesse dei creditori.
Il contesto in cui in forma più affidabile può svolgersi l’operazione di finanziamento dell’impresa in crisi non può quindi che essere quello procedimentalizzato del complesso di istituti e norme prima richiamati. È questo un passaggio fondamentale nella individuazione delle corrette modalità in cui il bonus argentarius può e deve svolgere l’attività caratteristica di esercizio del credito. I limiti della sua attività non possono essere contenuti nel solo confronto con il rischio di credito, in quanto la correttezza del comportamento non si misura soltanto nell’evitare il danno derivante dall’insolvenza del soggetto affidato, ma piuttosto anche con il dovere di non pregiudicare lo stesso patrimonio del sovvenuto e conseguentemente di coloro che come terzi sulla integrità di tale patrimonio facevano giustificato affidamento.
4 . La piena legittimazione del curatore all’azione per abusiva concessione di credito
All’esercizio dell’azione risarcitoria è chiamato il curatore, in quanto legittimato a far valere il danno subito dalla società fallita e nello stesso tempo il danno subito di creditori fallimentari. 
Il primo viene fatto valere quale successore dello stesso fallito, il secondo in funzione della protezione dell’interesse dei creditori concorsuali alla soddisfazione su un attivo, la cui consistenza è stata compromessa ed alterata dal comportamento contra legem della banca.
La pronuncia, con chiara ed adeguata motivazione, consente di consolidare i risultati interpretativi già raggiunti dalla giurisprudenza di legittimità e di merito secondo una complessiva ricostruzione sistematica che assorbe le ultime tralatizie e, a dir vero, anche confuse incertezze.
Il curatore è legittimato a far valere il danno causato dal finanziatore nel patrimonio della società fallita per effetto dell’attività di non corretto finanziamento. Esso si trova nella posizione di successore ai sensi dell’art. 43 l. fall. nei rapporti con il fallito, e può far valere tutti i diritti rinvenuti nel patrimonio dell’impresa fallita, come tra gli altri, il diritto al risarcimento del danno per la lesione del patrimonio sociale.
La circostanza secondo cui la società non potrebbe essere nello stesso tempo autore e vittima dell’illecito, peraltro solo accennata in un obiter dictum dalla sentenza della Cass. sez. un. 28 marzo 2006, nn. 7029, 7030, 7031, non ha pregio. La società subisce un danno per effetto dei più diversi atti che gli amministratori possono compiere nell’esercizio delle loro funzioni sociali, quali, ad esempio, attività negoziale svantaggiosa o in conflitto di interessi o distrattiva, inosservanza di obblighi fiscali che comportino l’applicazione di sanzioni alla società, ecc.. Dell’abusiva concessione di credito e abusivo ricorso al credito, rispondono in via solidale gli amministratori con i finanziatori per il credito concesso contra legem del danno causato al patrimonio sociale[6].
Il curatore è sicuramente legittimato a far valere contro gli amministratori e, se ne ricorrono i presupposti anche in via solidale contro i terzi, la responsabilità per i danni causati per effetto di tali comportamenti, al fine di reintegrare le perdite subite dal patrimonio della società da tali atti pregiudizievoli.
Tale legittimazione rientra nella legittimazione del curatore alla proposizione delle azioni di massa, volte alla ricostituzione della garanzia patrimoniale con la quale il debitore risponde verso tutti i creditori.
5 . L’azione per abusiva concessione di credito è ricompresa nelle azioni di massa che il curatore fa valere nell’interesse di tutti i creditori
La categoria delle azioni di massa è come è noto, di formazione giurisprudenziale e ricomprende le azioni dirette alla ricostituzione del patrimonio del fallito operando, una volta aperto il concorso, nell’interesse di tutti i creditori[7]. 
Esse non possono essere limitate a quelle azioni di stretta competenza del curatore e che sorgono e sono proponibili solo in seguito alla dichiarazione di fallimento, quali le azioni revocatorie, come nella sostanza è stato in passato sostenuto per escludere la legittimazione del curatore all’azione per abusiva concessione di credito.
Le azioni di massa, in realtà sempre che si ritenga effettivamente utile utilizzare questa categoria che comunque ha un valore e portata descrittiva, comprendono tutte le azioni con le quali il curatore agisce per la ricostituzione della garanzia patrimoniale offerta ai creditori e quindi per la ricostituzione del patrimonio sociale che, per effetto dei più diversi atti compiuti da terzi con o meno la partecipazione attiva od omissiva degli amministratori, ha depauperato il patrimonio sociale, distrutto o indebolito la garanzia patrimoniale. Il curatore agisce al fine di reintegrarla e consentire la soddisfazione dei creditori e realizzare anche l’interesse della stessa società che, attraverso la soddisfazione dei creditori, si libera dagli oneri dell’indebitamento.
Questo è confermato dalle finalità ed i significati sottesi all’art. 124 l.fall. novellato che prevede la cessione a terzi delle azioni della massa in quanto dirette ad incrementare il patrimonio. Oggetto dell’azione possono essere le azioni revocatorie con le azioni di responsabilità contro gli organi sociali ed appunto le azioni di responsabilità per abusiva concessione di credito volte tutte alla ricostituzione della integrità del patrimonio destinato alla soddisfazione dei creditori.
L’espressione azioni di massa deve quindi ricomprendere indistintamente tutte le possibili azioni volte a far valere un danno al patrimonio dell’impresa. La lesione del patrimonio inevitabilmente comporta la diminuzione alla garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. e quando questa diminuzione è conseguente alla concessione abusiva di credito comporta solitamente si verifica anche la ingiustificata continuazione dell’attività, l’artificiosa protrazione della presenza sul mercato ed il conseguente aumento del dissesto con danno per tutti creditori.
6 . L’abusiva concessione di credito danneggia tutti i creditori concorrenti indipendentemente dal momento in cui è sorto il credito
Con l’azione per abusiva concessione di credito il curatore fa valere due connessi profili di danno: il ristoro del danno subito dalla società e nello stesso tempo dalla massa dei creditori pregiudicati dalla diminuita garanzia patrimoniale.
Vengono pertanto superati perché privi di effettivo fondamento quegli argomenti, volti ad escludere o limitare la configurabilità dell’azione di concessione di credito sulla base di una distinzione tra creditori per credito sorto anteriormente al compimento di atti di abusiva concessione di credito e creditori per credito sorto successivamente al compimento dei medesimi atti.
Una siffatta differenziazione non trova alcuna giustificazione, in quanto il danno causato dalla banca comporta, come abbiamo visto una lesione della garanzia patrimoniale offerta ai creditori. Conseguentemente il pregiudizio si riverbera indistintamente su tutti i creditori anteriori o posteriori all’operazione bancaria, ammessi al passivo o a ciò aventi diritto.
La diminuzione della garanzia patrimoniale viene a ledere indistintamente tutti i partecipanti al concorso, perché incide e compromette l’idoneità della stessa garanzia patrimoniale a soddisfare i crediti concorrenti. La circostanza che il credito sia sorto prima o dopo l’ingiustificata concessione di credito potrebbe eventualmente rilevare sotto un profilo del tutto diverso, quello puramente individuale della falsa informazione che direttamente o indirettamente è pervenuta al creditore che, avendo ricevuto l’informazione che la banca o il ceto bancario assisteva la società con linee di credito è stato indotto a ritenere ,contrariamente alla realtà, che la società fosse solida ed affidabile, mentre le negoziazioni svoltesi prima della erogazione abusiva di credito non sarebbero state influenzate dal comportamento della banca.
Questo potrebbe quindi rilevare per consentire a questi ultimi di far valere individualmente il danno per il mancato adempimento di rapporti contrattuali che il creditore non avrebbe concluso se il comportamento della banca nell’assistere con erogazioni di credito la società non avesse occultato il dissesto già in atto, imputando quindi alla banca un comportamento di fatto decettivo.
Del tutto diverso da un siffatto danno del tutto individuale, che andrebbe provato in relazione agli specifici eventi che hanno caratterizzato la contrattazione e la eco che può aver avuto il comportamento della banca, è il danno che fa valere il curatore che investe appunto la massa dei creditori che subiscono uniformemente il pregiudizio della diminuzione del patrimonio del debitore. L’aggravamento del dissesto e l’annacquamento della garanzia patrimoniale si ripercuotono uniformemente su tutti i creditori concorrenti diminuendo o azzerando le possibilità di soddisfazione percentuale sia dei creditori per titolo anteriore alla abusiva concessione di credito, sia dei creditori per titolo posteriore.
7 . Natura contrattuale della responsabilità della banca: artt. 1337 e 1218 c.c., contatto sociale qualificato
La classificazione del titolo della responsabilità della banca, viene dettagliatamente articolata dalla pronuncia secondo una stretta relazione alle diverse modalità attraverso le quali la banca ha realizzato l’abusiva concessione di credito. 
Quando la banca, in violazione delle regole e dei principi della sana e prudente gestione ha effettuato erogazioni a soggetto privo immeritevole di credito, la responsabilità verso il fallito deve intendersi a titolo precontrattuale ex art. 1337 c.c.: la banca ha infatti effettuato una contrattazione che non avrebbe dovuto intraprendere per le ragioni più volte ricordate. 
Quando la banca ha proseguito un finanziamento in corso, mantenendo ingiustificatamente linee di credito che avrebbero dovuto essere sospese o revocate per l’aggravarsi delle condizioni del sovvenuto tali da far venir meno l’idoneità dello stesso a continuare ad essere assistito da linee di credito, si tratterà di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. per diretta violazione di obblighi che governavano i contratti di credito in corso.
Con la costruzione di questi rinnovati profili delle norme citate, la responsabilità della banca viene definitivamente ricondotta nell’ambito della responsabilità contrattuale. In particolare viene valorizzato il profilo della responsabilità precontrattuale, della quale viene ricordata la portata innovativa, già messa in luce in relazione alla responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione dal Consiglio di Stato [8]. A tale riguardo vengono ripresi passi della Relazione al codice civile[9] che intende la responsabilità precontrattuale quale presidio contro comportamenti che compromettono il corretto svolgimento di momenti relazionali socialmente o giuridicamente qualificati, impedendo il buon fine di operazioni negoziali, rispetto alle quali particolarmente operatori qualificati come le banche, sono tenuti all’osservanza di un complessivo comportamento di correttezza professionale. 
I riferimenti si arricchiscono poi con la riconduzione della natura contrattuale della responsabilità al contatto sociale qualificato, da intendere come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., per comportamenti svolti dalla banca in violazione non solo del già descritto tessuto normativo e regolamentare sul corretto esercizio del credito, ma anche dei reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione di cui agli artt. 1175, 1375 c.c..
Il risultato per la classificazione della natura della responsabilità della banca è rilevante. La stipulazione di un contratto di finanziamento c.d. abusivo viola gli artt. 1337 e 1338 c.c. che vengono intesi come clausole generali che l’operatore professionale qualificato deve rispettare nella negoziazione delle operazioni di credito, e viola l’art. 1218 c.c. se il comportamento contra legem si manifesta nel corso di un contratto di finanziamento già in corso nel quale la banca rinnovando o mantenendo abusivamente il credito, è colpevole dell’inadempimento delle regole che disciplinano il contratto di credito stesso.
Dalla qualificazione come contrattuale della responsabilità della banca derivano conseguenze importanti in relazione all’applicazione della disciplina dell’art. 1218 c.c., quanto all’onere della prova per il creditore danneggiato ed il termine di prescrizione.
Il curatore quando fa valere i danni arrecati dalla banca al ceto dei creditori, piuttosto agisce ex art. 2043 cc Tali danni, come si è detto, consistono nel pregiudizio subito dalla massa dei creditori per la diminuzione della garanzia patrimoniale offerta dal debitore per effetto degli oneri finanziari di vario genere conseguenti al finanziamento e soprattutto nell’allargamento del passivo che annacqua la complessiva consistenza del patrimonio, riducendo sino a dissolvere i livelli percentuali di soddisfazione della massa dei creditori concorrenti. 
In ogni caso è del tutto ammissibile l’azione contro responsabili a vario titolo, con concorso nel medesimo soggetto di diverse tipologie di responsabilità, quando lo stesso comportamento sia suscettibile di essere ricondotto alla violazione di principi e regole contrattuali e nello stesso tempo extracontrattuali. 
Al curatore vengono così riconosciuti ampi e flessibili spazi di legittimazione. Al fine di tutelare gli interessi dei creditori e della stessa società fallita, è stata riconosciuta, anche la legittimazione di agire quale terzo ex art. 2395 c.c. contro gli amministratori, quando questi con il loro comportamento hanno ad esempio, svuotato il patrimonio della società, rendendo impossibile la soddisfazione e causando il fallimento del terzo creditore, i cui diritti il curatore fa valere agendo in giudizio[10].
8 . La responsabilità risarcitoria della banca non è contraddetta e coesiste con il credito per restituzione del finanziamento erogato
Né l’operatività della azione del curatore per abusiva concessione di credito può trovare limiti o contraddizioni nella circostanza della duplice posizione della banca quale creditore per il finanziamento effettuato e debitore per il risarcimento del danno.
La pronuncia supera definitamente le ultime invero del tutto artificiose incertezze che talora si erano manifestate. Lungi dal costituire una contraddizione, il fatto che la banca possa risultare ammessa al passivo per il finanziamento o per le linee di credito rimaste insolute e nello stesso tempo obbligata per il debito risarcitorio conseguente alla concessone abusiva di credito, costituisce piuttosto una conferma del comportamento abusivo tenuto dalla stessa nella erogazione del credito. L’erogazione è infatti avvenuta a favore di un soggetto che per l’insufficienza delle capacità patrimoniali e produttive, per lo stato di crisi o di insolvenza in cui versava, non sarebbe stato in grado di restituire i finanziamenti ingiustificatamente ottenuti.
La stessa natura dei due contrapposti crediti rispecchia peraltro una situazione tutt’altro che inconsueta nella storia dei rapporti tra banca e fallimento, contrassegnati come è noto da un credito sovente chirografario della banca ammesso al passivo e da un opposto credito del fallimento per restituzione a seguito dell’esercizio della revocatoria, o di altre azioni restitutorie per addebiti ingiustificatamente operati dalla banca sul conto del fallito (interessi non correttamente pattuiti, usi su piazza, anatocismo, commissioni massimo scoperto, ecc.).
Lo stesso legislatore fallimentare ha del resto previsto all’art. 70 l.fall. un principio volto a governare gli effetti della revocazione attraverso la possibilità di ammissione al passivo del credito per le somme revocate.
Questo meccanismo è possibile solo per la revocatoria mentre tutti crediti del fallimento risarcitori come nel caso di abusiva concessione di credito o restitutori, come nel caso di addebiti ingiustificati, la banca sarà obbligata a risarcire il danno e, se ne ricorrono le condizioni, potrà ottenere la soddisfazione in moneta fallimentare del credito ammesso al passivo.
In conclusione, lungi dal costituire una contraddizione, corrisponde ad una situazione di piana normalità, l’ipotesi della coesistenza in capo al creditore fallimentare del diritto di credito per la partecipazione al concorso, e nello stesso tempo del debito per obblighi risarcitori o restitutori a qualsiasi titolo, quali gli obblighi cui la banca è tenuta per abusiva concessione di credito.
9 . Inopponibilità della eccezione ex art. 1227 c.c. all’azione di massa per abusiva concessione di credito fatta valere dal curatore nell’interesse di tutti i creditori concorrenti
Allo stesso modo l’eventuale concorrenza della società sovvenuta con la condotta della banca non contraddice la configurabilità della responsabilità della banca, né la risarcibilità del danno.
Il profilo del concorso della società fallita nella causazione del danno merita però una rilevante distinzione.
Quando il curatore agisce, succedendo nei diritti della società, facendo valere contro la banca l’azione risarcitoria che trova nel patrimonio della fallita, la banca potrebbe eccepire il concorso del creditore ex art. 1227 c.c. nel verificarsi del fatto dannoso, qualora fornisca la prova che la condotta della società è stata causa efficiente nell’aggravamento del dissesto, in quanto ad es. gli amministratori hanno reiterato la richiesta di finanziamento in assenza di condizioni di merito di credito e di idonei piani che ne giustificassero l’efficiente e produttiva utilizzazione, come pure hanno proseguito infruttuosamente ed in modo pregiudizievole l’attività sociale. In questo caso, essendo stata la condotta del danneggiato concorrente nella produzione dello stesso danno, il risarcimento dovuto dalla banca potrà essere ridotto in proporzione della misura dell’apporto che la condotta della società ha avuto con la condotta della banca.
Ma se il curatore fa valere un interesse terzo rispetto a quello della società, perché agisce per la massa dei creditori, vale a dire per l’intero ceto creditorio - il cui interesse è esclusivamente rivolto alla partecipazione al concorso e quindi alla reintegrazione della garanzia patrimoniale costituita dal patrimonio della fallita pregiudicato dall’abusiva concessione di credito -, la circostanza che la società tramite la condotta illecita dei suoi amministratori abbia contribuito nelle formazione dell’illecito non rileva. In questo caso, che costituisce l’ipotesi più diffusa e frequente di esercizio dell’azione da parte del curatore il diritto che questi fa valere è volto alla ricostituzione della massa attiva per tutelare e realizzare un diritto risarcitorio collettivo proprio ed esclusivo di ciascuno dei partecipanti alla massa dei creditori, il quale risulta del tutto autonomo e distinto rispetto al diritto risarcitorio che può essere sorto in capo al fallito per effetto della condotta della banca.
Questa limpida distinzione scolpisce nettamente il ruolo spettante al curatore non solo nell’esercizio dell’azione per concessione abusiva di credito, ma più un generale nell’esercizio delle azioni che questi deve far valere nell’interesse della massa dei creditori concorsuali, per la salvaguardia e ricostruzione della garanzia patrimoniale, che costituisce la massa indefinita (l’aggettivo è della pronuncia) destinata alla soddisfazione dei creditori.
La pronuncia ha dunque il merito di aver offerto una completa ricostruzione anche sistematica dei poteri e dei compiti del curatore cui viene riconosciuta la piena legittimazione alla azione contro la banca per abusiva concessione di credito, al pari di ogni altra azione volta alla ricostruzione del patrimonio concorsuale, superando definitivamente e con chiare parole gli ultimi residui preconcetti che al di fuori di ogni concreto presupposto normativo e sistematico, confinava nella sostanza la legittimazione alle sole azioni revocatorie che nascono nel fallimento.

Note:

[1] 
I primi approfondimenti sul tema sono stati di A. Nigro, La responsabilità della banca per concessione “abusiva” di credito, in PORTALE (a cura di) Le operazioni bancarie, I, Milano, 1978, p. 301 ss.; ID., Revocatoria delle rimesse in conto corrente posizione della banca nei rapporti di concessioni del credito, in Giur. Comm., 190, I, 290 ss.; successivamente INZITARI, Concessione del credito: irregolarità del fido, false informazioni e danni conseguenti alla lesione dell’autonomia contrattuale, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 1993, II, 412, ove ampie indicazioni bibliografiche in relazione alla elaborazione della dottrina francese.
[2] 
Inzitari, La responsabilità della banca nell’esercizio del credito: abuso nella concessione di credito e rottura del credito, in Banca borsa e titoli di credito, 2001; ID, L’abusiva concessione di credito: pregiudizio per i creditori e per il patrimonio del destinatario del credito, in Le società, 2007; Id, Il curatore è legittimato all’azione di responsabilità verso gli amministratori e la banca per abusiva concessione di credito e aggravamento del dissesto, in Dir. Fall., n. 3-4/2017.; ID, Abusiva concessione di credito, legittimazione del curatore, danno alla massa ed al soggetto finanziario, in Dir. Fall.,II, 2018; Cfr. P. Piscitello, Concessione abusiva del credito e patrimonio dell'imprenditore, in Riv. dir. civ., 2010, 5, 664 ss.; C. Esposito, L’azione risarcitoria «di massa» per «concessione abusiva di credito», in Fallimento, 2005, 8, 861; V. anche Cass. 30 giugno 2021, n. 18610; Cass. SSUU 28 marzo 2006, n. 7029,70,30,7031; Cass. 1 giugno 2010, n. 13413, Trib. Prato 15 febbraio 2017, n. 2116, in Ildirittodegliaffari.it; Corte d’App. di Firenze, Sez. I, 11 novembre 2019, su Il Fallimento n. 6/2020.
[3] 
Sulla disciplina della crisi bancaria secondo la disciplina della risoluzione introdotta con la direttiva 2014/59/UE v. B. Inzitari, BRRD, bail in, risoluzione della banca in dissesto, condivisione concorsuale delle perdite (D.lgs. n. 180 del 2015), in Dir. Fall. 2016, I, p. 629 ss.; v. anche Inzitari, Crediti deteriorati (NPL) aiuti di stato nella BRRD e nella comunicazione sul settore bancario del 30.7.2013 della commissione europea, in Banca, borsa, tit. cred., Milano, fasc. 6-2006, p. 641ss.
[4] 
V. Inzitari, Crisi, insolvenza, insolvenza prospettica, allerta: nuovi confini della diligenza del debitore, obblighi di segnalazione e sistema sanzionatorio nel quadro delle misure di prevenzione e risoluzione, in Dir. fall., I, p. 541, 3-4/2020.
[5] 
L’insieme di queste previsioni non esclude la rilevanza del comportamento abusivo della banca quando il finanziamento non sia collegato funzionalmente al risanamento ragionevolmente possibile sulla base di un adeguato piano dell’impresa in crisi. In termini C. Aquilino, Sostegno finanziario delle imprese in crisi e responsabilità della banca: brevi riflessioni alla luce della riforma della legge fallimentare, in Dir. fall., 2008, 5, I, 601 ss.; F. Di Marzio, Sulla fattispecie ‘concessione abusiva di credito’, in Banca borsa tit. cred., 2009, 3, II, 393 ss.; Id., Ancora sulla fattispecie ‘concessione abusiva di credito’, in Banca borsa tit. cred., 2012, 5, II, 695 ss.; S. Fortunato, La concessione abusiva di credito dopo la riforma delle procedure concorsuali, in Fallimento, 2009, 1, 68.
[6] 
La condotta della banca può concorrere con la condotta illecita degli amministratori dando vita ad una responsabilità solidale. Il curatore può agire ex artt. 146 e 2393 contro la banca quale responsabile solidale del danno cagionato dal ricorso abusivo al credito da parte dell’amministratore. Sulla base dell’art. 2055, considerato che l’unico evento dannoso è imputabile a più persone, fa sorgere una responsabilità causale, il curatore può chiedere l’adempimento per intero ad uno solo dei responsabili con azione separata non sussistendo nei confronti dei coobbligati in solido un’ipotesi di litisconsorzio necessario. Cfr. Inzitari, Abusiva concessione di credito, legittimazione del curatore, cit. p. 1063 e v. Cass. n. 13413/2010; v. anche Esposito, L’azione risarcitoria “di massa” per concessione abusiva di credit, in Fall. 2005, 8, p. 861; v. inoltre, Cass. Sez. Unite, 23 gennaio 2017, n. 1641, che ha stabilito il principio di diritto «il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all'esercizio di qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori»
[7] 
Cfr. Battaglia, Le azioni di massa. Tra garanzia patrimoniale e concorso in atmosfera protetta, Torino, 2012; I Pagni, Le azioni di massa e la sostituzione del curatore ai creditori, in Fall., 2007, 9, p. 1037; N. Rascio, La legittimazione attiva alle azioni risarcitorie del curatore nel fallimento, in Giur. Comm., 2013, I, p. 147; Fabiani, art. 24, competenza del Tribunale fallimentare, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio, coordinato da Fabiani, Tomo I, Torino, 2006, p. 427.
[8] 
Cons. Stato, ad. Plen. 4 maggio 20 18, n. 5.
[9] 
Relazione al codice civile n. 612: è dominata dall’obbligo di correttezza e da quello di buona fede (in senso oggettivo) la materia delle trattative contrattuali e quella concernente i contratti c.d. per adesione. L’obbligo predetto è richiamato in via generale nell’art. 1337 come base di comportamento delle parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. Questo obbligo esige dai soggetti di un rapporto contrattuale, nella sfera del rapporto stesso, un comportamento ispirato dal senso della probità, sia nella rappresentazione leale e non cavillosa dei diritti e degli obblighi che ne derivano, sia nel modo di farli valere o di osservarli, con riguardo in ogni caso allo scopo che il contratto vuol soddisfare, all’armonia degli interessi delle parti e di quelli superiori della Nazione, i quali richiedono una pacifica collaborazione produttiva. Esso, riferito alla fase precontrattuale, sbocca in una responsabilità in contraendo quando una parte conosca e non rivela all’altra l’esistenza di una causa di invalidità del contratto (art. 1338; n. 638). 
[10] 
Cass. 13 gennaio 1993, n. 343.

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