Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid
Luciano Panzani, già Presidente della Corte d’Appello di Roma
25 Agosto 2021
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Sommario:
1 . Introduzione con qualche valutazione
2 . Il rinvio del codice della crisi. L’importante è non dirsi addio
4 . L’avvio della composizione negoziata
5 . Ruolo dell’esperto e doveri delle parti
6 . L’autonomia negoziale dell’imprenditore. Limiti
7 . Misure protettive e cautelari
8 . La sospensione degli obblighi di conservazione del capitale sociale
9 . Finanziamenti e cessione d’azienda
10 . La rinegoziazione dei contratti
11 . L’esito della composizione negoziata
12 . Il concordato semplificato
Com’è ben noto, è improbabile che l’imprenditore che accede alla composizione negoziata possa ottenere finanziamenti che non siano assistiti dalla prededuzione, il che spiega le ragioni della previsione normativa. Il legislatore vincola l’autorizzazione alla funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori. Questo è l’unico caso in cui il legislatore vincola la destinazione di un atto di gestione al miglior soddisfacimento dei creditori, oltre che al perseguimento della continuità aziendale. Come si è visto, il dissenso dell’esperto in ordine agli atti di straordinaria amministrazione compiuti dall’imprenditore e ai pagamenti, non tiene conto di questi requisiti, ma dell’andamento delle trattative, delle prospettive di risanamento, del possibile pregiudizio dei creditori, non del loro miglior soddisfacimento. L’art. 10 non precisa se i finanziamenti debbono essere erogati in relazione alla gestione interinale in pendenza della composizione negoziata o se possono riguardare anche la futura gestione all’esito delle trattative. Propendiamo per la soluzione più ampia perché l’esito delle trattative sarà condizionato non soltanto dalla finanza interinale, ma dalle possibilità di esecuzione del piano di risanamento.
L’autorizzazione del tribunale può riguardare, oltre ai finanziamenti, anche la cessione d’azienda. Anche in questo caso la cessione non richiede l’autorizzazione del tribunale per essere valida ed efficace. L’autorizzazione consente però di derogare al disposto dell’art. 2560, comma 2, c.c. in forza del quale l’acquirente risponde dei debiti dell’azienda ceduta che risultano dai libri contabili obbligatori. La deroga non si estende però ai crediti di lavoro ai sensi dell’art. 2112 c.c.
L’autorizzazione è di competenza del tribunale del luogo in cui ha sede l’impresa ai sensi dell’art. 9 L. fall. in composizione monocratica. Il giudice provvede sentite le parti interessate ed assunte le informazioni necessarie. Può avvalersi di un proprio esperto ai sensi dell’art. 68 c.p.c. Anche se l’art. 10 del D.L. non lo dice espressamente, pare evidente che il tribunale sentirà l’esperto negoziatore il quale comunque dovrà essere informato preventivamente dall’imprenditore trattandosi sia nel caso di cessione d’azienda che di finanziamenti (per questi nella maggior parte dei casi) di atti di straordinaria amministrazione.
Poiché la cessione d’azienda deve essere funzionale (art. 10, comma 1, primo periodo) alla continuità aziendale ed alla migliore soddisfazione dei creditori pare evidente che la cessione dovrà avvenire in ipotesi di continuità indiretta e quindi di prosecuzione dell’impresa in capo all’acquirente, salvo il caso di cessione di rami d’azienda di valore marginale. Il vincolo rappresentato dal miglior soddisfacimento dei creditori imporrà un controllo delle condizioni di vendita per accertare che essa avvenga al meglio. Il legislatore non ha invece previsto il ricorso alla gara previa adeguata pubblicità.
Va sottolineato che ai sensi dell’art. 12 del D.L. gli atti autorizzati dal tribunale conservano i propri effetti se successivamente intervengono un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, un concordato preventivo omologato, il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa, l’amministrazione straordinaria o il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui tratteremo in prosieguo.
La prededuzione ha ben poco significato in pendenza della composizione negoziata sia perché l’imprenditore è in bonis sia perché ordinariamente saranno state richieste le misure protettive che impediranno comunque al finanziatore di agire esecutivamente. Ben diverso è invece il discorso per le procedure che possono aprirsi all’esito della composizione negoziata. In tutte tali procedure la prededuzione potrà essere fatta valere, con l’unico limite che nel caso di accordo di ristrutturazione o di concordato preventivo dovrà essere intervenuta l’omologa. Il limite non danneggia i creditori perché verosimilmente in caso di diniego dell’omologazione seguirà una procedura liquidatoria dove ugualmente la prededuzione potrà essere riconosciuta.
Analoghe conseguenze riguardano la liberazione del cessionario dell’azienda dai debiti pregressi anche se in questo caso non è tanto questione dell’opponibilità della cessione nelle procedure che seguiranno a carico dell’imprenditore cedente, quanto piuttosto dell’opponibilità dell’effetto purgativo della vendita ai creditori del cedente che intendano agire nei confronti del cessionario, che è comunque prevista dall’art. 10, comma 1, lett. d).
Il procedimento di autorizzazione del tribunale segue le forme del rito camerale (artt. 737 e ss. c.p.c.) richiamato in quanto compatibile, con la precisazione che il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.
Il secondo comma dell’art. 10 prevede che l’esperto possa invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia. Ove non sia possibile raggiungere un accordo in questo senso tra le parti, l’imprenditore può rivolgersi al tribunale che, anche in questo caso, è quello competente ai sensi dell’art. 9 L. fall. e che provvede in composizione monocratica.
Il tribunale provvede dopo aver acquisito il parere dell’esperto e tenuto conto delle ragioni dell’altro contraente, rideterminando equamente le condizioni del contratto, per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale. Occorre dunque che il tribunale in via equitativa ripristini l’equilibrio del sinallagma contrattuale alterato dalla pandemia e che lo faccia, trattandosi di contratti a prestazione continuata, periodica o ad esecuzione differita, per l’arco temporale strettamente necessario. Soprattutto la revisione delle condizioni contrattuali deve essere indispensabile per assicurare la continuità aziendale. Se questa non è in gioco il contratto pertanto proseguirà secondo le condizioni originarie.
La norma introdotta dal decreto legge non prende quindi posizione sul generale problema dell’ammissibilità di una revisione per ordine del giudice della disciplina negoziale in rapporto alle conseguenze della pandemia, perché limita la possibilità d’intervento al solo caso che sia in gioco la continuità aziendale.
A nostro avviso il tribunale dovrà anche considerare le prospettive del piano di risanamento. Se tale piano comporta l’accesso ad una procedura che, come il concordato preventivo, consente all’imprenditore di sciogliersi dai contratti pendenti (art. 169 bis L. fall.), la revisione della disciplina contrattuale non sarà indispensabile tutte le volte in cui il contratto non sia strategico per la prosecuzione dell’attività e l’imprenditore possa quindi sciogliersene con il consenso degli organi della procedura.
Se il tribunale accoglie la domanda assicura l’equilibrio delle prestazioni anche attraverso un indennizzo a favore dell’altro contraente. Indennizzo, com’è noto, non significa ristoro totale della minor prestazione ricevuta. Nella sua determinazione il tribunale ha, nel silenzio della legge, un ampio margine di discrezionalità, utile nel momento in cui si deve ritoccare l’originario equilibrio contrattuale con una valutazione che ha necessariamente limiti di opinabilità.
Nella determinazione dell’indennizzo il tribunale dovrà anche considerare che è in gioco la continuità aziendale e che pertanto l’indennizzo non deve rappresentare a sua volta un ostacolo per il ripristino dell’equilibrio economico-finanziario dell’impresa. Il risultato potrà essere ottenuto anche differendo nel tempo la prestazione indennitaria.
Per evidenti ragioni la rinegoziazione non si applica alle prestazioni di lavoro dipendente.
Anche in questo caso il tribunale decide sentite le parti interessate e assunte le informazioni necessarie, provvedendo, ove occorre, ai sensi dell’articolo 68 del codice di procedura civile alla nomina di un ausiliario. Il rito è quello camerale previsto dagli artt. 737 e ss. c.p.c. e contro l’ordinanza del tribunale è ammesso reclamo al tribunale in composizione collegiale. Del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.
La prima ipotesi è che l’esperto sia riuscito a trovare un accordo tra le parti sì che viene individuata una soluzione idonea al superamento della situazione di pericolo di crisi o di insolvenza. In tal caso le parti possono alternativamente:
a) concludere un contratto con uno o più creditori che la relazione conclusiva dell’esperto valuta idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni. In questo caso l’imprenditore beneficia delle misure premiali previste dall’art. 14 del D.L. non soltanto nel periodo in cui è in atto la composizione negoziata, ma anche successivamente.
b) concludere una convenzione di moratoria ai sensi dell’art. 182 octies L. fall. nel testo introdotto dall’art. 20 del D.L. Va precisato che la disciplina della convenzione di moratoria è ripresa dall’art. 62 CCII, con alcuni miglioramenti.
c) concludere un accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produce gli effetti del piano attestato senza però la necessità dell’attestazione. In questo caso la partecipazione dell’esperto ed il fatto che l’accordo nasce dalla composizione negoziata sostituiscono la garanzia rappresentata dall’attestazione.
E’ stato osservato[26] che con la sottoscrizione dell’accordo l’esperto “diventa garante dell’esecuzione degli impegni assunti dal debitore con possibili inquietanti scenari di responsabilità”. Non condividiamo tale conclusione che non trova fondamento in alcuna previsione espressa di legge.
Tutte e tre le ipotesi previste dall’art. 10, comma 1, del decreto legge hanno in comune il presupposto che “sia individuata una soluzione idonea al superamento della situazione” che ha determinato il ricorso alla composizione negoziata, la probabilità cioè di crisi o di insolvenza. E’ certamente responsabilità dell’esperto verificare che la soluzione raggiunta consenta effettivamente di superare la crisi o l’insolvenza. Se tale condizione non è soddisfatta, l’esperto non può esprimere il suo consenso all’atto negoziale.
Egli non assume però alcuna specifica responsabilità in ordine all’adempimento da parte dell’imprenditore e delle altre parti delle obbligazioni assunte. Non è il garante di questi impegni.
Nel caso del contratto concluso dall’imprenditore con uno o più creditori, l’idoneità ad assicurare la continuità aziendale deve essere certificata dall’esperto nella relazione conclusiva. Diversamente l’imprenditore non potrà beneficiare delle misure premiali, ma il contratto produrrà comunque effetti negoziali vincolanti tra le parti che l’hanno sottoscritto.
Nel caso dell’accordo l’esperto lo sottoscrive in ragione della sua funzione di negoziatore, attestando che l’intesa raggiunta, frutto della composizione negoziata, è idonea a porre rimedio alla crisi o all’insolvenza. Egli esercita la sua funzione di garanzia nello svolgimento delle trattative, imponendo il rispetto dei doveri di correttezza e buona fede che gravano su tutte le parti, degli obblighi dell’imprenditore per quanto concerne gli atti di straordinaria amministrazione ed i pagamenti, delle altre parti per quanto concerne il dovere di riservatezza. La conseguenza della violazione di tali obblighi è l’interruzione della procedura di composizione negoziata.
All’esperto non è richiesto di rendere l’attestazione prevista dall’art. 67, comma 3, lett. d) L. fall.. Verifica però che l’accordo sia idoneo a porre rimedio alla situazione di crisi o insolvenza, accertamento concettualmente non dissimile dall’attestazione della fattibilità del piano prevista dall’art. 67 L. fall. perché tale fattibilità è un presupposto della soluzione della situazione di crisi o insolvenza.
Ove poi l’imprenditore si renda inadempiente alle obbligazioni assunte, la responsabilità dell’esperto sussisterà soltanto nel caso in cui l’accertamento dell’idoneità dell’accordo a porre fine alla situazione di crisi o di insolvenza non sia stato compiuto secondo prudenza e diligenza.
La seconda ipotesi disciplinata dall’art. 11 è che l’imprenditore all’esito delle trattative domandi l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, che può essere l’accordo disciplinato dall’art. 182 bis L. fall. ovvero l’accordo ad efficacia estesa previsto dall’art. 61 CCII, inserito dall’art. 20 del D.L. nella legge fallimentare sotto la rubrica dell’art. 182 septies, ovvero ancora l’accordo agevolato regolato dall’art. 182 novies L. fall., anch’esso introdotto nel corpo della legge fallimentare dall’art. 20 del D.L. sulla scorta del testo dell’art. 60 CCII.
Va precisato che la disciplina degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e agevolati è sostanzialmente mutuata dal codice della crisi con alcune modifiche che non alterano la fisionomia dei due istituti.
In questo caso il legislatore non richiede che l’accordo di ristrutturazione sia idoneo ad assicurare il superamento della situazione di crisi o di insolvenza. L’esperto non partecipa alla redazione e stipulazione della parte negoziale dell’accordo di ristrutturazione. Tale accordo è esclusivamente atto dell’imprenditore. Tuttavia ove si tratti di accordo ad efficacia estesa, se l’esperto dà atto nella relazione finale del raggiungimento dell’accordo, che è quindi direttamente connesso con le trattative della composizione negoziale, la percentuale di consensi che permette di rendere l’accordo vincolante anche per i creditori non aderenti che appartengono alla medesima categoria è ridotta dal 75 al 60%.
Infine la terza ipotesi è che le trattative non siano andate a buon fine e che tuttavia rimangano margini per la composizione della crisi. In questo caso l’imprenditore potrà redigere un piano attestato di risanamento, che non beneficerà dell’esenzione dall’attestazione di un esperto indipendente. Potrà in alternativa presentare una domanda di concordato preventivo, eventualmente anche nella forma del concordato con riserva ovvero accedere al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio previsto dall’art. 18 del decreto legge. Ove tutte queste soluzioni si rivelino non praticabili l’imprenditore avrà ancora la possibilità di domandare l’apertura della procedura liquidatoria e quindi il fallimento ovvero, nei casi previsti dalla legge, l’amministrazione straordinaria.
Va sottolineato che l’esito negativo delle trattative non esclude che alcuni creditori si siano manifestati disponibili ad una soluzione negoziale. Il loro parziale consenso potrà costituire la premessa per la redazione di un piano attestato che coinvolga i soli creditori adesivi. Potrà invece essere la base per una domanda di concordato preventivo. In tutte queste ipotesi la valutazione compiuta dall’esperto nella relazione finale redatta al termine dell’incarico potrà costituire la premessa ed il fondamento per le nuove proposte del debitore. Può essere invece che la relazione finale rappresenti il bagno di realtà che fa comprendere all’imprenditore che rimane a disposizione la sola soluzione liquidatoria e quindi il fallimento o l’amministrazione straordinaria.
Com’è noto, il legislatore ha guardato con sfavore il concordato liquidatorio già nella legge fallimentare vigente e in misura maggiore nel codice della crisi. L’art. 160, ult. comma, L. fall. dispone che nel concordato liquidatorio la proposta di concordato debba prevedere che i creditori chirografari siano soddisfatti almeno nella misura del 20%. Tale regola non si applica al concordato in continuità aziendale. Nel codice della crisi l’art. 84 regola il concordato in continuità richiedendo che ove sia prevista la liquidazione di parte dell’attivo e si tratti quindi di un concordato misto, il soddisfacimento dei creditori avvenga in misura prevalente con il provento della prosecuzione dell’attività d’impresa. Diversamente se il concordato è liquidatorio non soltanto i creditori chirografari debbono percepire almeno il 20% dei loro crediti, ma la proposta deve loro garantire un soddisfacimento maggiore di quello che sarebbe possibile in caso di liquidazione concorsuale, almeno nella misura del 10%. A favore dei creditori debbono essere cioè vincolate risorse aggiuntive rispetto all’attivo dell’impresa che consentano questa maggior percentuale di soddisfacimento.
Il legislatore ha ora ritenuto che queste condizioni, anche quelle previste dalla legge fallimentare, siano troppo rigorose a fronte della situazione ingenerata dalla pandemia ed ha pertanto previsto la possibilità per il debitore di proporre un concordato liquidatorio, le cui uniche condizioni sono che:
a) la composizione negoziata si sia conclusa senza che sia stato raggiunto un accordo con i creditori e senza che il debitore abbia potuto proporre un accordo di ristrutturazione. Spetta all’esperto dichiarare che queste soluzioni, che, come abbiamo visto, sono disciplinate dall’art. 11, commi 1 e 2, del D.L. non sono praticabili.
b) che la proposta di concordato rispetti l’ordine delle cause di prelazione e che il piano di concordato sia fattibile;
c) che la proposta non arrechi pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare e che quindi i creditori non vengano a percepire meno di quanto potrebbero ottenere in caso di fallimento;
d) che sia assicurata un’utilità, non necessariamente in denaro, a ciascun creditore.
L’assenza di pregiudizio per i creditori consente il sacrificio del diritto di voto e nel contempo tutela il diritto di credito quale diritto assoluto, così come riconosciuto dalla giurisprudenza CEDU[28].
L’utilità diversa dal denaro potrebbe anche essere rappresentata dalla prosecuzione dei rapporti negoziali in corso ( cfr. art. 84 CCII), ipotesi questa improbabile quando la liquidazione non si traduca nella cessione dell’impresa a terzi con conseguente mantenimento della continuità aziendale in via indiretta. A differenza dall’art. 84 CCII, come modificato dal decreto correttivo 147/2020, e dall’art. 161, comma 2, lett. e) L. fall. il legislatore non ha tuttavia richiesto che l’utilità sia specificamente individuata ed economicamente valutabile, il che sembra lasciare qualche maggior margine all’interprete.
I tratti più significativi del nuovo concordato liquidatorio sono certamente rappresentati dalla mancanza della fase di apertura della procedura con il conseguente potere di delibazione dell’ammissibilità della domanda da parte del tribunale e dalla previsione che i creditori non votino e che l’approvazione della proposta dipenda soltanto dall’omologazione del tribunale, ferma restando la possibilità per i creditori di proporre opposizione all’omologazione.
La scelta di non far votare i creditori ed il fatto che l’accesso al concordato liquidatorio è possibile soltanto in caso di esito negativo delle trattative instaurate in sede di composizione negoziata attribuisce all’imprenditore una posizione di maggior forza proprio nella sede negoziale. I creditori, infatti, debbono essere consapevoli che all’esito negativo l’imprenditore potrà liberarsi delle sue obbligazioni con un concordato liquidatorio che deve rispettare soltanto le cause di prelazione e che non lo vincola a riconoscere ai creditori più di quanto essi potrebbero ottenere in caso di fallimento. Essi sono pertanto stimolati a recedere da posizioni attendiste o da pretese eccessive.
Va poi sottolineato che il legislatore detta una disciplina particolare per l’ipotesi che la proposta di concordato preveda la cessione di azienda, favorendo l’esecuzione della vendita in tempi ravvicinati. L’art. 19, comma 2, del D.L. dispone che quando il piano di liquidazione concordatario comprende un’offerta da parte di un soggetto individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologazione, dell'azienda o di uno o più rami d'azienda o di specifici beni, il liquidatore giudiziale, verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato, vi dà esecuzione. Alla vendita si applicano gli articoli da 2919 a 2930 c.c. con la conseguenza che si tratta a tutti gli effetti di un’esecuzione forzata.
Nel caso in cui il piano preveda che l’offerta debba essere accettata prima dell’omologazione, all’offerta dà esecuzione l’ausiliario nominato dal tribunale ai sensi dell’art. 68 c.p.c., previa autorizzazione da parte del tribunale stesso, dopo aver verificato l’assenza di soluzioni migliori sul mercato. E’ sufficiente confrontare queste norme con la disciplina delle offerte concorrenti dettata dall’art. 163 bis L. fall. e dall’art. 91 CCII per rendersi conto che la soluzione oggi scelta dal legislatore è molto più snella e può essere più rapida.
Il concordato senza voto dei creditori è figura non nuova nel nostro ordinamento, che lo prevede in materia bancaria (art. 93 t.u.b.) ed assicurativa (art. 262 codice assicurazioni), nella liquidazione coatta amministrativa (art. 214 L. fall.), nell’amministrazione straordinaria (art. 78 l. 270/1999) e nel caso del piano del consumatore in tema di sovraindebitamento (art. 12 bis l. 3/2012). Prescindendo dall’ultima ipotesi considerata, si tratta dei c.d. concordati coatti - per i quali la dottrina esclude il carattere negoziale, in ragione della natura degli interessi pubblicistici perseguiti – caratterizzati sotto il profilo sostanziale dall’interferenza dell’interesse pubblico rispetto a quello del ceto creditorio e dalla necessità dell’autorizzazione alla presentazione del concordato da parte dell’Autorità amministrativa che vigila sulla procedura, oltre che dall’assenza di voto dei creditori. Nel piano del consumatore la mancanza del voto dei creditori è in funzione di agevolare una soluzione concordataria altrimenti troppo complessa e costosa in rapporto alle possibilità del consumatore.
Nei concordati coatti al giudice viene riservato il compito, in sede di opposizione dei creditori, di effettuare una valutazione bilanciata tra il pregiudizio delle ragioni dei creditori e la prosecuzione dell’attività d’impresa. Nel concordato semplificato al giudice è rimessa una valutazione analoga che può riguardare la prosecuzione dell’impresa in continuità indiretta, tramite la cessione di azienda, o la praticabilità e convenienza di una sistemazione in chiave liquidatoria della situazione di crisi o di insolvenza verosimilmente già prospettata durante la composizione negoziata e che non si è tradotta in un accordo. In questo caso l’approvazione del concordato trova il limite del soddisfacimento dei creditori in termini non deteriori rispetto alla liquidazione concorsuale.
Il concordato semplificato non può dirsi in contrasto con la Direttiva 1023/2019 ed in particolare con l’art. 9, par. 2 che dispone che gli Stati membri provvedono affinché le parti interessate abbiano diritto di voto sull’adozione di un piano di ristrutturazione. La procedura regolata dagli artt. 18 e 19 del decreto legge è infatti una procedura liquidatoria, anche se la possibilità della cessione d’azienda può configurare un’ipotesi di continuità indiretta. La Direttiva in ogni caso prevede che almeno un procedimento tra quelli previsti dalla legislazione dello Stato membro deve essere conforme alla Direttiva (art. 4, par. 1), ma non impedisce che lo stesso Stato membro possa prevedere altre procedure con caratteristiche differenti.
Privare i creditori della possibilità di votare sulla proposta ( ferma restando però la possibilità di opposizione all’omologazione sia per ragioni di legittimità che di merito) rappresenta una rottura con una tradizione consolidata. E’ quindi evidente il carattere eccezionale di questa scelta del legislatore che, verosimilmente, se condivisa dal Parlamento in sede di conversione in legge del decreto, dovrà essere valutata nuovamente al momento dell’entrata in vigore del codice della crisi.
La proposta di concordato semplificato va presentata entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’esperto della relazione finale a conclusione dell’incarico. Alla proposta debbono essere allegati il piano di liquidazione ed i documenti indicati dall’art. 161, comma 2, lettere da a) a d) L. fall. La domanda è presentata al tribunale del luogo in cui l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa. Il ricorso è comunicato al P.M. e pubblicato dal cancelliere nel registro delle imprese entro il giorno successivo alla sua presentazione. Dalla data della pubblicazione del ricorso si applicano gli artt. 111, 167, 168 e 169 L. fall. con riferimento alla graduazione dei crediti ed alla disciplina della prededuzione, allo spossessamento attenuato dell’imprenditore, alla sospensione delle azioni esecutive, alla cristallizzazione della massa passiva, all’inopponibilità delle formalità non iscritte.
Il tribunale valuta la ritualità della proposta, acquisita la relazione finale e il parere dell’esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte. Quindi con decreto nomina un ausiliario ai sensi dell’articolo 68 c.p.c. Con il medesimo decreto il tribunale ordina che la proposta, unitamente al parere dell’ausiliario e alla relazione finale dell’esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall’elenco che questi deve depositare, ove possibile a mezzo posta elettronica certificata, specificando dove possono essere reperiti i dati per la sua valutazione e fissa la data dell’udienza per l’omologazione.
Tra il giorno della comunicazione del provvedimento e quello dell’udienza di omologazione devono decorrere non meno di trenta giorni. I creditori e qualsiasi interessato possono proporre opposizione all’omologazione costituendosi nel termine perentorio di dieci giorni prima dell’udienza fissata.
L’opposizione spetta ad ogni creditore, diversamente da quanto prevede per il concordato preventivo l’art. 180, comma 4, L. fall. che la consente, in difetto di classi, soltanto ai creditori chirografari dissenzienti che rappresentino almeno il 20% dei crediti.
Il tribunale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio, omologa il concordato alle condizioni che già si sono esaminate. A tanto provvede con decreto motivato, immediatamente esecutivo. Il decreto è pubblicato a norma dell’art. 17 l. fall. ed è comunicato dalla cancelleria alle parti che, nei successivi trenta giorni, possono proporre reclamo alla corte di appello ai sensi dell’art. 183. Il provvedimento della corte è ricorribile per cassazione.
Si applicano in quanto compatibili gli artt. 173 (atti in frode ai creditori), 184 (effetti del concordato per i creditori), 185 (esecuzione del concordato), 186 (risoluzione ed annullamento) sostituito al commissario giudiziale l’ausiliario nominato ai sensi dell’art. 68 c.p.c.
In tema di responsabilità penale dell’imprenditore è richiamato l’art. 236 L. fall.
Il procedimento non prevede la pronuncia di un decreto di apertura della procedura perché in questo caso non è prevista la fase di ammissione. Di conseguenza il legislatore dispone che ai fini della disciplina dell’art. 173 L. fall. il decreto che dispone la comunicazione della proposta ai creditori tenga luogo del decreto di apertura.
E’ stato osservato[29] che il richiamo dell’art. 173 L. fall. consente di colpire i comportamenti fraudolenti precedenti, ma non i pagamenti di debiti scaduti, anteriori al deposito del ricorso e in ipotesi non strategici ai fini della continuità aziendale o le cessioni di beni o le prestazioni di servizi non bilanciate dall’incasso dei corrispettivi (bensì con appostazione dei relativi crediti per il prezzo). Si tratta della logica conseguenza del fatto che l’imprenditore è in bonis e può compiere gli atti non soltanto di ordinaria, ma anche di straordinaria amministrazione e può procedere ai pagamenti per scongiurare che il relativo blocco possa determinare effetti sistemici. Va peraltro ricordato che l’esperto può esprimere il proprio dissenso sui pagamenti e sugli atti che possono arrecare pregiudizio ai creditori, alle trattative o alle prospettive di risanamento. L’iscrizione del dissenso nel registro delle imprese, con conseguente interruzione della composizione negoziata, è obbligatorio quando l’atto compiuto pregiudica gli interessi dei creditori.
Non pare pertanto che rimanga molto spazio per atti lesivi che possano esser qualificati in frode ai creditori sui quali non si sia appuntato il dissenso dell’esperto. Ove, tuttavia, tale ipotesi si verificasse, la mancata espressione del dissenso non pregiudica la qualificazione dell’atto come in frode ai creditori con tutte le conseguenze previste dall’art. 173, ove naturalmente vi siano elementi che possano far ritenere che sia in atto un disegno fraudolento.
La fase di liquidazione prevede la nomina di un liquidatore da parte del tribunale con il decreto di omologazione. Si applicano di conseguenza in quanto compatibili le disposizioni dell’art. 182 L. fall.
Alla domanda debbono essere allegati parte dei documenti indicati all’art. 5, comma 3, del decreto e specificamente:
d) la dichiarazione sulla pendenza di ricorsi per la dichiarazione di fallimento o per l’accertamento dello stato di insolvenza;
e) il certificato unico dei debiti tributari di cui all’articolo 364, comma 1, del codice della crisi;
f) la situazione debitoria complessiva richiesta all’Agenzia delle entrate-Riscossione;
g) il certificato dei debiti contributivi e dei premi assicurativi di cui all’articolo 363, comma 1, del codice della crisi oppure, se non disponibile, il documento unico di regolarità contributiva;
h) un estratto delle informazioni presenti nella Centrale dei rischi gestita dalla Banca d’Italia non anteriore di tre mesi rispetto alla presentazione dell’istanza.
Dal tenore dell’art. 17, comma 8, che riguarda la competenza alla liquidazione del compenso dell’esperto, si ricava che la nomina spetta all’OCC o al segretario generale della camera di commercio, in questo caso su designazione della apposita Commissione prevista dall’art. 3, comma 6, del decreto. In difetto di diversa previsione deve ritenersi che la nomina debba riguardare un soggetto iscritto nell’elenco formato dalla Commissione.
L’esperto, dopo aver accettato l’incarico, sente l’imprenditore e acquisisce i bilanci dell’ultimo triennio, se disponibili, le dichiarazioni fiscali e la documentazione contabile ritenuta necessaria per redigere, ove non disponibile, una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale ed economico-finanziaria dell’imprenditore nonché un elenco aggiornato dei creditori e dei relativi diritti. In buona sostanza in ragione delle modeste dimensioni dell’impresa, il legislatore affida all’esperto un ruolo, oltre che di facilitatore di un accordo con i creditori, di ausiliario dell’imprenditore in difficoltà nell’accertamento della situazione dell’impresa e dell’entità del passivo. Ciò spiega perché l’elenco dei documenti che vanno presentati insieme all’istanza di accesso alla composizione negoziata è ridotto rispetto all’ipotesi ordinaria.
Per il resto la composizione negoziata si svolge secondo i medesimi criteri che la regolano per le imprese maggiori. L’art. 17, comma 7, richiama infatti in quanto compatibili gli articoli da 4 a 16 del decreto, eccezion fatta per l’art. 11 che disciplina la conclusione delle trattative. A questo proposito il legislatore ha dettato una disciplina parzialmente differente. L’art. 17, comma 4, prevede infatti che le parti possono, quando è individuata una soluzione idonea al superamento della crisi o dell’insolvenza:
a) concludere un contratto privo di effetti nei confronti dei terzi idoneo ad assicurare la continuità aziendale. Si tratta evidentemente di una fattispecie a contenuto libero, nella quale possono confluire parziali rinunce al credito, dilazioni di pagamento, revisioni della disciplina contrattuale ecc. tali comunque da consentire la prosecuzione dell’attività dell’impresa in regime di equilibrio;
b) concludere una convenzione di moratoria ai sensi dell’art. 182-octies L. fall. nel testo introdotto dal decreto legge.
c) concludere un accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto, senza necessità di attestazione, idoneo a produrre gli effetti di un piano attestato ex art. 67, terzo comma, lettera d) L. fall.
d) proporre l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 7 della legge 27 gennaio 2012, n. 3 sul sovraindebitamento.
d) chiedere la liquidazione dei beni ai sensi dell’articolo 14-ter della legge 27 gennaio 2012, n. 3;
e) proporre la domanda di concordato semplificato.
Se all’esito delle trattative non è possibile raggiungere l’accordo, l’esperto, su richiesta dell’imprenditore, svolge i compiti di gestore della crisi secondo la disciplina del sovraindebitamento.
L’esito della negoziazione viene comunicato dall’esperto al tribunale che dichiara cessati gli effetti delle eventuali misure protettive e cautelari concesse.
Si tratta di un intervento significativo perché indica la volontà del legislatore di mantenere ferma la disciplina dei gruppi prevista dal codice, anche se si è ritenuto di non poterne anticipare gli effetti per quanto concerne il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione e la liquidazione giudiziale di gruppo.
Va ricordato che la disciplina della crisi o dell’insolvenza di gruppo è diretta in linea di principio a ripristinare l’unitarietà del gruppo ai fini della risoluzione della crisi o della gestione dell’insolvenza, come appare evidente dall’impianto dell’amministrazione straordinaria nella legge Prodi bis e dell’amministrazione straordinaria speciale regolata dal decreto Marzano, ma anche dalle norme all’uopo previste nel Regolamento UE 848/2015 in tema di insolvenza transfrontaliera. Principi non diversi valgono per le procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza di gruppo nel codice della crisi[30]. Se non fosse per le norme che riguardano il gruppo insolvente o il gruppo in crisi, infatti, la decisione di accedere ad una procedura di composizione della crisi o dell’insolvenza, per usare la formula adottata dal codice, non varrebbe a ripristinare l’unitarietà del gruppo, lesa in modo irreparabile dalla necessità di garantire la separazione delle masse attive e passive delle singole imprese che lo compongono, facendo venire meno quella che, sinché è in bonis è la caratteristica peculiare del gruppo, vale a dire la gestione unitaria di più soggetti nell’ambito di un unico progetto imprenditoriale.
Ovviamente ciò può avvenire soltanto quando il gruppo è un gruppo integrato, caratterizzato per l’appunto dalla gestione unitaria delle imprese che lo costituiscono, gestione unitaria che le procedure di gruppo consentono, entro certi limiti, di ricostituire. Entro certi limiti perché la partecipazione all’accordo di ristrutturazione o al concordato di gruppo o alla composizione negoziata è pur sempre fondata sulla volontà di ogni singolo soggetto facente parte del gruppo e perché, nel caso della liquidazione giudiziale di gruppo, occorre ugualmente che “risultino opportune forme di coordinamento nella liquidazione degli attivi, in funzione dell'obiettivo del migliore soddisfacimento dei creditori delle diverse imprese del gruppo”, come recita l’art. 287, comma 1, CCII.
Com’è stato autorevolmente osservato[31], la nozione di gruppo presa a riferimento dal codice della crisi, mutuata dalla disciplina del codice civile in tema di direzione unitaria, si muove in una prospettiva diversa dall’estensione necessaria del medesimo tipo di procedura concorsuale a tutte le imprese o società del gruppo quand’anche prive individualmente dei requisiti per accedervi. Il legislatore ha voluto caso per caso stabilire quando le modalità e la misura dei collegamenti tra le diverse società del gruppo reagiscano, in caso di crisi o di insolvenza, al principio di separatezza e reciproca autonomia delle masse, consentendo soluzioni difformi da quelle che discenderebbero dalla rigida applicazione di quel principio.
La composizione negoziata di gruppo estende questi principi ad una fase anteriore all’apertura della procedura concorsuale propriamente detta. Nel codice della crisi, la procedura di gruppo, finalizzata alla definizione della crisi, se ed in quanto la ricostruzione dell’unitarietà del gruppo sia compatibile con la separazione ed autonomia delle masse, non ha nulla a che fare con il diverso problema della tempestiva intercettazione della crisi al fine di evitarne le conseguenze negative e consentirne comunque la tempestiva composizione. La previsione di regole specifiche con riferimento alla composizione negoziata affronta quest’ultimo problema, adeguando le regole del codice ad un’esigenza in parte diversa ed altrettanto fondamentale.
L’art. 13 del decreto legge fornisce una definizione di gruppo che corrisponde soltanto in parte a quella contenuta nell’art. 2, comma 1 lett. h) CCII. A questo proposito è bene ricordare che il nostro ordinamento non offre una nozione univoca di gruppo[32]. Anche restando ancorati alla disciplina della crisi e dell’insolvenza, il criterio scelto nella formulazione dell’art. 2497 c.c., che fa perno sul concetto di direzione unitaria attraverso l’attività di direzione e coordinamento posta in essere da una società od un ente, ha certamente ispirato la definizione di gruppo cui fa riferimento il codice della crisi, ma tale definizione non corrisponde a quella adottata dal legislatore nell’ambito della disciplina dell’amministrazione straordinaria (art. 80 d.lgs. 270/1999)[33] né a quella impiegata dagli artt. 100 e ss. t.u.b., come modificato dal d.lgs. 181/2015, né alla nozione offerta dall’art. 2 del Regolamento UE 848/2015 in materia di insolvenza transfrontaliera o dall’art. 2 della Model Law on Enterprise Group Insolvency approvata dall’Uncitral (2019)[34].
Se ciò che rileva ai fini della nozione di gruppo è la direzione unitaria così come prevista dall’art. 2497 c.c., la norma del codice civile si riferisce soltanto alle società che sono oggetto di attività di direzione e coordinamento. L’art. 2497, inoltre, non considera il caso in cui la direzione ed il coordinamento siano esercitati da una persona fisica, mentre tale ipotesi non può essere esclusa a priori nel nostro caso, perché l’art. 2 lett. h) CCII offre una definizione di gruppo nell’ambito del codice della crisi che comprende “l'insieme delle società, delle imprese e degli enti, …. che, ai sensi degli articoli 2497 e 2545-septies del codice civile, esercitano o sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica…”. Con l’espresso richiamo alla persona fisica la norma del nuovo codice amplia la definizione di gruppo offerta dal codice civile, aggiungendo alle ipotesi della direzione e coordinamento di una società od ente, anche quella dell’esercizio da parte di una persona fisica. Già si era osservato che il denominatore comune della riforma societaria del 2003 e della riforma della disciplina della crisi d’impresa è rappresentato dallo spostamento dell’angolo visuale verso l’impresa, sia nella fase fisiologica che in quella della crisi, dove il richiamo dell’art. 2497 alle sole società quali componenti del gruppo non può più ritenersi esaustivo[35]. La direzione unitaria postula che i soggetti che costituiscono il gruppo abbiano natura di impresa, mentre la forma di società non è più un requisito imprescindibile, almeno con riferimento alla disciplina della crisi. Lo testimonia la già ricordata menzione nell’ambito del gruppo dell’imprenditore individuale da parte dell’art. 2 lett. h) CCII, ma già dall’art. 80, comma 1, lett. a) e comma 2 del d.lgs. 270/1999 sull’amministrazione straordinaria e l’utilizzo del termine “impresa” e “gruppo di imprese” nelle norme del codice della crisi che si riferiscono ai gruppi (art. 284 e ss. CCII)[36].
Come per il codice, anche nel caso della composizione negoziata di gruppo costituisce gruppo di imprese l’insieme delle società, delle imprese e degli enti, esclusi lo Stato e gli enti territoriali, che, ai sensi degli articoli 2497 e 2545-septies del codice civile, esercitano o sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica. Manca però la precisazione che l’esercizio della direzione e coordinamento debba avvenire in base ad un vincolo partecipativo o ad un contratto, a dire il vero abbastanza pleonastica perché esclude soltanto i casi in cui la direzione e coordinamento discende da vincoli di fatto (il rapporto esclusivo di clientela o di fornitura, l’identica composizione degli organi gestori). La norma in commento ripropone inoltre la presunzione semplice, prevista oltre che dal codice della crisi, dall’art. 2497 sexies c.c., di sussistenza della direzione e coordinamento da parte della società od ente tenuto al consolidamento dei bilanci e nei casi di controllo diretto o indiretto, ivi comprese le ipotesi di controllo congiunto. Va sottolineato che in questo caso la presunzione ha una funzione diversa da quella che gioca nel codice civile. Non si tratta infatti di agevolare la prova della sussistenza della direzione e coordinamento a tutela dei soci e dei creditori delle società del gruppo, ma di semplificare la presentazione dell’unica istanza di accesso alla composizione negoziata.
La nomina dell’esperto può essere richiesta da più imprese appartenenti al medesimo gruppo che si trovino in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza, cioè nelle condizioni che legittimano in ogni caso l’accesso alla composizione negoziata. La composizione negoziata di gruppo richiede quindi in ogni caso la domanda di parte per tutte le imprese del gruppo che intendono partecipare, come del resto avviene secondo il codice della crisi per il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione di gruppo.
La camera di commercio competente è individuata seguendo lo stesso criterio previsto dall’art. 286 CCII e cioè, quella nel cui territorio si trova la sede dell’impresa che, in base alla pubblicità prevista dall'articolo 2497-bis del codice civile, esercita l’attività di direzione e coordinamento oppure, in mancanza, l'impresa con sede nel territorio dello Stato che presenta la maggiore esposizione debitoria. Il legislatore questa volta ha però meglio precisato la definizione di maggior esposizione debitoria, chiarendo (art. 13, comma 3) che occorre guardare alla “voce D del passivo nello stato patrimoniale prevista dall’articolo 2424 del codice civile in base all'ultimo bilancio approvato ed inserito nella piattaforma telematica” in cui va inserita la domanda di composizione negoziata.
Anche la competenza per la pronuncia delle misure protettive e cautelari è regolata nello stesso modo. Essa è attribuita al tribunale competente ai sensi dell’art. 9 L. fall. in base alla sede dell’impresa che in base alla pubblicità ex art. 2497 bis c.c. esercita la direzione e il coordinamento o che presenta la maggior esposizione debitoria.
Come nel caso della disciplina di gruppo nel codice della crisi la domanda può essere presentata soltanto dalle imprese che hanno sede nel territorio dello Stato. Tuttavia in questo caso il rigore della regola, che escluderebbe tutte le imprese del gruppo che abbiano sede in uno Stato diverso, è attenuato dal fatto che, ai sensi del comma 7 dell’art. 13, “le imprese partecipanti al gruppo che non si trovano nelle condizioni indicate nell’articolo 2, comma 1, possono, anche su invito dell’esperto, partecipare alle trattative”.
La norma si riferisce alle imprese del gruppo che non si trovano in condizioni di squilibrio economico finanziario o patrimoniale e la cui partecipazione alle trattative può agevolare la conclusione di un accordo con i creditori e con altre parti, ad esempio tramite la concessione di una garanzia in favore delle imprese del gruppo che hanno avviato la composizione negoziata. In questo caso, peraltro, il legislatore non ha richiesto che si tratti di imprese aventi sede nel territorio dello Stato. E’ pertanto da ritenere che potranno partecipare alle trattative anche le imprese del gruppo che abbiano la loro sede all’estero ed il cui coinvolgimento possa in qualche modo consentire di raggiungere un accordo con i creditori, ad esempio quando occorra procedere alla dismissione di asset che si trovano fuori Italia. Anche la disciplina del regolamento 848/2015 UE in materia di insolvenza transfrontaliera potrà incidere quando le trattative possano sfociare in una procedura che rientri nell’ambito della previsione dell’allegato A al regolamento. E non va dimenticato che il regolamento in parola contiene una disciplina delle procedure di coordinamento di gruppo (artt. 61 e ss.) che non si estende alla composizione negoziata, ma può rappresentare uno sbocco della composizione medesima.
La domanda di composizione negoziata di gruppo è proposta dalle imprese interessate nelle forme ordinarie, per il tramite dell’inserimento nella piattaforma telematica prevista dall’art. 3 del D.L. In questo caso ai documenti normalmente richiesti si aggiunge “una relazione contenente informazioni analitiche sulla struttura del gruppo e sui vincoli partecipativi o contrattuali, l’indicazione del registro delle imprese o dei registri delle imprese in cui è stata effettuata la pubblicità ai sensi dell'articolo 2497-bis del codice civile e il bilancio consolidato di gruppo, ove redatto”.
In concreto la composizione negoziata di gruppo implica un unico svolgimento delle trattative da parte dell’esperto designato. L’art. 13, comma 6 stabilisce infatti che l’esperto assolve ai compiti di cui all’articolo 2, comma 2, in modo unitario per tutte le imprese che hanno presentato l’istanza, salvo che lo svolgimento congiunto non renda eccessivamente gravose le trattative. In tal caso può decidere che le trattative si svolgano per singole imprese. Si tratta di valutazioni che sono rimesse all’esperto, che dovrà evidentemente tener conto delle peculiarità del caso concreto, anche in relazione all’atteggiamento assunto dai creditori di ogni impresa.
Nel caso in cui le imprese del gruppo abbiano presentato più istanze di accesso alla composizione negoziata individuale e siano stati pertanto nominati più esperti, se gli esperti nominati, dopo aver sentito i richiedenti ed i creditori, propongono che la composizione negoziata si svolga in modo unitario oppure per più imprese appositamente individuate e dunque per sottoinsiemi del gruppo, la composizione prosegue con l’esperto designato di comune accordo dalle parti tra quelli che sono stati nominati. Nel caso in cui non si raggiunga l’accordo, la composizione prosegue con l’esperto che è stato nominato per primo. Occorre in ogni caso che gli esperti concordino che la composizione prosegua in modo unitario, ma anche che le imprese istanti aderiscano. La composizione negoziata di gruppo si apre infatti soltanto su istanza delle imprese del gruppo. Si tratta di una regola generale che non pare possa ritenersi derogata nel caso in esame.
Tenendo conto della natura del gruppo e delle finalità dei finanziamenti infragruppo in pendenza della composizione negoziata, l’art. 13, comma 9 li esclude dalla postergazione quando si tratta di finanziamenti effettuati in favore di società controllate o sottoposte a comune controllo. Occorre però, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione, che l’imprenditore abbia informato preventivamente l’esperto e che questi, dopo aver eventualmente segnalato che l’operazione può arrecare pregiudizio ai creditori, non abbia iscritto il proprio dissenso nel registro delle imprese. L’imprenditore potrà anche chiedere al tribunale l’autorizzazione prevista dall’art. 10, comma 1, lett. b) trattandosi di finanziamenti dai soci. In questo caso il credito potrà essere assistito dalla prededuzione, anche in questo caso esclusa l’ipotesi del dissenso dell’esperto.
Quanto all’esito della composizione negoziata, esso non differisce sostanzialmente dall’ipotesi della composizione individuale. L’art. 13, comma 10, precisa però che, oltre ad accedere separatamente alle diverse soluzioni indicate dall’art. 11 del D.L., le imprese del gruppo possono stipulare in via unitaria uno dei contratti previsti dall’art. 11 e quindi l’accordo con uno o più creditori idoneo ad assicurare la continuità aziendale per almeno due anni; la convenzione di moratoria ex art. 182 octies, L. fall.; l’accordo che ha gli stessi effetti del piano attestato, ma senza necessità di attestazione.
Ad oggi il legislatore non può prevedere l’accesso a conclusione della composizione negoziata ad una delle procedure di gruppo previste dal codice della crisi, perché si tratta di istituti non ancora vigenti, ma è evidente che la situazione cambierà quando il codice entrerà in vigore. In quel momento, salvo mutamenti della legislazione, le imprese del gruppo ricorrendone i presupposti potranno accedere a tutte le procedure di gruppo.
A differenza della composizione negoziata e del concordato semplificato queste modifiche urgenti entrano in vigore immediatamente.
Vi è anzitutto una correzione al testo dell’art. 180, comma 4, L. fall. nel periodo aggiunto dall'art. 3 del decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, convertito con modificazioni dalla legge 27 novembre 2020, n. 248. Si tratta, com’è noto, della sterilizzazione della mancata adesione alla proposta di concordato da parte dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali quando l’adesione sia determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di legge, a condizione che la proposta sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria. E’ noto il dibattito giurisprudenziale e dottrinale sorto in relazione all’uso indiscriminato da parte del legislatore delle espressioni “voto” e “adesione”. Nel caso disciplinato dall'art. 48, comma 5, CCII per gli accordi di ristrutturazione ed il concordato preventivo, il legislatore ha usato la medesima formula prevista dall'art. 12, comma 3 quater, legge 3/2012, in tema di accordo di composizione della crisi nel sovraindebitamento facendo riferimento alla mancata adesione dell'amministrazione. E la stessa formula è stata utilizzata nell'art. 80, comma 3, CCII, per il concordato minore. Anche l’art. 182 bis, comma 4, L. fall. parla di adesione. Si tratta di scelta inevitabile nel caso degli accordi di ristrutturazione perché il consenso dei creditori deve essere raggiunto al di fuori di un procedimento di votazione per cui i creditori o aderiscono all'accordo o debbono essere considerati estranei all'accordo stesso.
Invece l’art. 180 L. fall. faceva riferimento alla mancanza di voto dell'Amministrazione e quindi anche al caso in cui essa non si fosse espressa sulla proposta. La modifica contenuta nel decreto legge rende il testo dell’art. 180 conforme alle altre ipotesi analoghe che si sono richiamate.
Il legislatore interviene anche sul quarto comma dell’art. 182 bis chiarendo che l’adesione dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali deve pervenire non oltre novanta giorni dal deposito della proposta di soddisfacimento. La mancata adesione configura, secondo i compilatori della norma, di un’ipotesi di silenzio-diniego che può pertanto essere superato dal tribunale ove non ne derivi un trattamento deteriore per il creditore rispetto alla liquidazione fallimentare.
Viene anche modificato l’ottavo comma del medesimo art. 182 bis al fine di uniformare la disciplina delle modifiche del piano che si rendano necessarie prima e dopo l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione al testo dell’art. 61 CCII. Anche in questo caso viene anticipata una parte della disciplina del codice della crisi ponendo rimedio al fatto che il preesistente testo dell’ottavo comma dell’art. 182 bis, soltanto recentemente aggiunto dalla legge 21 maggio 2021, n. 69 di conversione del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41, non prevedeva modifiche al piano che si rendessero necessarie prima dell’omologazione.
Vengono introdotte due modifiche al testo dell’art. 182 quinquies. Con la prima, intervenendo sul quinto comma della norma che regola il pagamento di debiti anteriori se essenziali per la prosecuzione dell’attività e funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori, si rende possibile, su autorizzazione del tribunale, il pagamento delle retribuzioni dovute per le mensilità antecedenti al deposito della domanda di concordato ai lavoratori addetti all’attività di cui è prevista la continuazione. Non si tratta ancora dell’attuazione della Direttiva 1023/2019 che, non consentendo la sospensione delle azioni esecutive per quanto concerne le retribuzioni dei lavoratori, rende in ogni caso legittimo tale pagamento senza necessità di autorizzazioni da parte del tribunale.
Viene inoltre aggiunto un comma all’art. 182 quinquies dopo il quinto, anticipando il disposto dell’art. 100, comma 2, CCII. E’ quindi possibile il rimborso alla scadenza convenuta, in deroga al principio per cui i debiti s’intendono scaduti alla data di apertura della procedura e sono soggetti al regime dei debiti pregressi, delle rate a scadere del mutuo con garanzia reale su beni strumentali dell’impresa, se non vi sono rate insolute alla data di apertura della procedura o se il tribunale autorizza il pagamento del debito scaduto. Occorre l’attestazione che il credito garantito potrebbe essere soddisfatto integralmente con il ricavato della liquidazione del bene effettuata a valore di mercato e che il rimborso delle rate a scadere non lede i diritti degli altri creditori.
Come si è già accennato, l’art. 20 del decreto legge interviene anche riscrivendo l’art. 182 septies, ed aggiungendo tre ulteriori articoli alla legge fallimentare, il 182 opties, novies e decies. Tali norme inseriscono nel testo della legge gli istituti degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, della convenzione di moratoria, degli accordi agevolati così come regolati dal codice della crisi. Viene inoltre ripresa la disciplina degli effetti degli accordi per i soci illimitatamente responsabili di società di persone, prevista dall’art. 59 CCII.
Anche in questo caso, dunque, il legislatore anticipa istituti del codice della crisi, ritenendo urgente la loro applicazione nelle more della revisione del testo del codice.
La disciplina degli accordi ad efficacia estesa non viene sostanzialmente modificata rispetto a quella contenuta nell’art. 61 CCII. Al di là di aggiustamenti lessicali e di differenze dovute al coordinamento con la restante disciplina della legge fallimentare, l’intervento di maggior rilievo riguarda l’indicazione che i creditori non aderenti cui vengono estesi gli effetti dell’accordo debbono essere soddisfatti in misura non inferiore alle alternative concretamente praticabili invece che al solo trattamento previsto in sede di liquidazione fallimentare.
La conseguenza più importante dell’anticipazione della disciplina dettata dal codice è che gli accordi ad efficacia estesa consentono di vincolare la minoranza dissenziente dei creditori appartenenti ad una data categoria, individuata per posizione giuridica ed interessi economici omogenei, anche quando non si tratti di banche o intermediari finanziari, come invece stabiliva la legge fallimentare. Occorre che il 75% dei creditori della categoria abbia espresso il suo consenso ed i dissenzienti possano esser soddisfatti in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili, fallimento o altra ipotesi di concordato. E’ fatta salva l’opposizione al tribunale. Occorre però che il concordato preveda la continuazione diretta o indiretta dell’impresa.
Nel caso in cui l’imprenditore addivenga all’accordo all’esito della composizione negoziata (e l’esperto ne abbia dato atto nella relazione finale) la percentuale di consensi scende al 60%.
Come si è detto, la legge fallimentare prevedeva questo tipo di accordi, ma li limitava ai crediti delle banche e degli altri intermediari finanziari. Ora per questi soli creditori, se l’indebitamento nei loro confronti è inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo, gli accordi ad efficacia agevolata non debbono necessariamente prevedere la continuità aziendale.
Anche la convenzione di moratoria, oggetto del nuovo art. 182 octies che anticipa l’art. 62 CCII, che riguarda la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative e ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito, che la legge fallimentare limitava ai crediti delle banche e degli intermediari finanziari viene ora estesa a tutte le categorie di creditori e riguarda, circostanza non trascurabile, anche gli imprenditori non commerciali, primi tra tutti le imprese agricole. Occorre che tutti i creditori appartenenti alla categoria, individuati sempre per posizione giuridica ed interessi economici omogenei, siano stati informati delle trattative e messi in condizione di partecipare; che i creditori aderenti rappresentino il 75% dei crediti della categoria; che un professionista indipendente attesti la veridicità dei dati aziendali, l’idoneità della convenzione a disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi e che i creditori non aderenti “subiscano un pregiudizio proporzionato e coerente con le ipotesi di soluzione della crisi o dell’insolvenza in concreto perseguite”. L’art. 62 CCII si limitava a richiedere che essi venissero soddisfatti in misura non inferiore a quanto previsto in caso di liquidazione giudiziale. La nuova formula consente di prendere in considerazione ipotesi diverse dalla liquidazione giudiziale e lascia maggior discrezionalità al tribunale, in sede di opposizione dei creditori non aderenti, nel valutare la tollerabilità del sacrificio imposto.
Gli accordi agevolati previsti dal nuovo art. 182 novies non erano previsti dalla legge fallimentare. Erano stati introdotti per la prima volta dall’art. 60 CCII e non erano quindi ancora in vigore.
La percentuale di creditori aderenti viene ridotta dal 60 al 30% se il debitore rinuncia alla dilazione di pagamento di 120 giorni altrimenti consentita, non ha chiesto il concordato con riserva di presentazione del piano (optando poi per l’accordo di ristrutturazione) e rinuncia a domandare la sospensione delle azioni esecutive. Egli dovrà ovviamente soddisfare regolarmente alla scadenza il 70% dei creditori che rimane al di fuori dell’accordo, vincolo che renderà l’accordo agevolato non facilmente praticabile. Il nuovo art. 182 novies si differenzia dall’art. 60 CCII nel prevedere tra le condizioni di ammissibilità di siffatti accordi che il debitore oltre a rinunciare alle misure protettive, che nel testo della nuova norma divengono la sospensione prevista dall’art. 182 bis sesto comma, abbia rinunciato a presentare la domanda con riserva ai sensi dell’art. 161, comma sesto, L. fall.
La nuova disciplina degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa ed agevolata e delle convenzioni di moratoria si applica soltanto alle procedure introdotte in data successiva all’entrata in vigore del decreto legge. Altrettanto vale per le modifiche all’art. 182 quinquies.
Ancora il legislatore interviene sul testo dell’art. 186 bis portando a due anni il termine per la moratoria per il pagamento dei creditori assistiti da privilegio, pegno ed ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni oggetto della prelazione. In tal modo il termine viene equiparato a quello previsto dall’art. 86 CCII, recentemente portato a due anni dall’art. 13, comma 2, del decreto correttivo del codice della crisi (D.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147). Diversamente dall’art. 86 si mantiene la previsione che i creditori non abbiano diritto di voto nonostante la moratoria per la differenza tra il loro credito maggiorato degli interessi ed il valore attuale dei pagamenti previsti nel piano. Si tratta peraltro di regole che probabilmente dovranno essere riviste per adeguarle alla nuova disciplina del voto prevista dalla Direttiva 1023/2019, che attribuisce il diritto di voto a tutte le parti interessate, intendendosi per tali i creditori “sui cui rispettivi crediti o interessi incide direttamente il piano di ristrutturazione” (art. 2 par.1, n. 2) e quindi, in questo caso, la moratoria.
Anche la proroga della moratoria sui debiti privilegiati da un anno a due anni si applica soltanto ai piani presentati successivamente a tale entrata in vigore.
Si è intervenuti anche sul testo dell’art. 236, comma 3, L. fall. estendendo la responsabilità penale per i reati fallimentari di amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori di società, oltre che dei creditori, alle ipotesi di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, convenzioni di moratoria e accordi di ristrutturazione omologati nonostante la mancata adesione dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali. Si tratta delle previsioni già contenute nell’art. 341 CCII, norma che nella parte in cui non è meramente riproduttiva della disciplina penale già prevista dalla legge fallimentare, è sospetta di illegittimità per eccesso di delega, non comprendendo la delega contenuta nella legge 155/2017 alcuna previsione in materia penale.
Con l’art. 21 del decreto legge il legislatore ha prorogato sino al 31 dicembre 2022 la possibilità di presentare un piano attestato c.d. rafforzato per il debitore che si sia avvalso della facoltà di presentare una domanda con riserva ai sensi dell’art. 161 L. fall. e decida di optare prima della scadenza per la presentazione del piano per la rinuncia alla domanda e la redazione di un piano attestato.
Va ricordato che sino ad oggi, a quanto ci risulta, la facoltà di optare per il piano attestato rafforzato, utilizzando il termine per la presentazione del piano di concordato come uno spatium temporis assistito dalla sospensione delle azioni esecutive e cautelari per negoziare con i creditori e raggiungere eventualmente un accordo nelle forme del piano attestato di risanamento, ha avuto scarsissimo utilizzo.
Con l’art. 22 si è previsto, fino alla cessazione dello stato di emergenza Covid e dunque attualmente sino al 31 dicembre 2021 che il termine regolato dall’art. 161 L. fall. per la presentazione del piano nelle procedure con riserva sia compreso tra 60 e 120 giorni anche quando pendano istanze per la dichiarazione di fallimento. Tale termine è inoltre prorogabile, per giustificati motivi, di ulteriori 60 giorni.
Ai sensi dell’art. 23 del D.L. sono infine dichiarati improcedibili fino al 31 dicembre 2021 i ricorsi per la risoluzione del concordato preventivo e per la dichiarazione di fallimento proposti nei confronti di imprenditori che hanno presentato domanda di concordato preventivo in continuità ai sensi dell’art. 186 bis L. fall. che sia stato omologato in data successiva al 1 gennaio 2019. Si tratta di un’altra norma emergenziale che tiene conto della difficoltà di esecuzione dei piani di concordato a fronte della crisi pandemica, accordando un certo lasso di tempo all’imprenditore per porre rimedio alla situazione di particolare difficoltà.
Note: