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Il quadro regolamentare delle esposizioni bancarie

Salvatore Rizzo, Dottore di Ricerca di Diritto dei Mercati nell’Università degli Studi di Siena

28 Settembre 2023

Il contributo illustra i principali profili regolamentari e di Vigilanza attualmente vigenti che disciplinano l'esercizio del credito da parte delle Banche nella prospettiva di valutarne limiti ed opportunità rispetto all'ipotesi di accesso delle imprese alle "nuove" procedure di crisi di cui al CCII.
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1 . IFRS9 staging e criteri di valutazione contabile dei crediti bancari
[1]Quando si discute di crediti bancari e, in particolare, ai fini del presente lavoro, di crediti c.d. NPL (non performing loans), intendendosi per tali i crediti deteriorati vantanti dalle banche e dagli altri intermediari finanziari, trova applicazione, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2 del D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, la disciplina contabile di cui ai principi contabili internazionali IAS/IFRS.
Tra questi spicca – ai fini del presente lavoro – il principio contabile internazionale IFRS9 (International Financial Reporting Standard 9) recepito nella nuova versione dal Reg. UE n. 2016/2067 del 22 novembre 2016 [2] la cui adozione è divenuta obbligatoria per gli Stati membri dell’Unione a partire dal 1° gennaio 2018, e con il quale si è provveduto a sostituire il previgente principio contabile internazionale IAS 39 (Financial Instruments: Recognition and Measurement) [3].
L’esigenza di procedere con una revisione dello stesso, emerse prepotentemente dopo la crisi del 2007-2008, allorquando la comunità degli enti regolatori riconobbe che i meccanismi di assorbimento delle perdite disponibili all’epoca avevano fallito nel cogliere tempestivamente il deterioramento della qualità del credito dell’industria bancaria. In particolare, il ritardato riconoscimento delle perdite su crediti, secondo l’approccio sottostante al citato principio contabile IAS 39, venne criticato come un elemento di significativa debolezza negli standard contabili.
Le perdite sui crediti (e sulle altre attività finanziarie) venivano infatti registrate in ritardo: il criterio della “perdita subita” (incurred loss) – proprio dello IAS 39 – legava, infatti, le svalutazioni all’insorgere di un “fatto nuovo” (il c.d. trigger event) che dimostrasse la dubbia esigibilità dei flussi di cassa originariamente concordati: così, di fatto, andando a limitare la costituzione di riserve utilizzabili in futuro [4]. Pertanto, a seguito di queste considerazioni, agli enti regolatori (sia prudenziali che contabili) venne richiesta l’implementazione di misure che riducessero la prociclicità delle capacità di assorbimento delle perdite.
Senza la pretesa di voler esaminare l’intero principio contabile, ci si vuole soffermare in questa sede sull’impatto che l’IFRS9 ha rispetto ai crediti bancari ed alla loro relativa valutazione (c.d. impairment). Come noto, questi ultimi possono essere raggruppati – ai fini della relativa esposizione in bilancio nonché per il loro monitoraggio gestionale – in due distinte macro-categorie: i crediti performing (ovvero i crediti in bonis) ed i crediti non performing (ovvero i crediti deteriorati, a loro volta differenziabili tra crediti scaduti deteriorati, inadempienze probabili e sofferenze). Nella vigenza dello IAS 39 l’approccio valutativo (c.d. impairment) dei crediti era basato su di un modello incurred loss (criterio della perdita subita) e poteva essere cosi riassunto:
a)  per i crediti performing veniva richiesto di implementare una metodologia che fosse in grado di identificare e determinare le riduzioni di valore connesse al rischio di credito, sostenute ma non riportate (incurred but not reported). Trattandosi, dunque, di crediti in bonis, la logica delle perdite sostenute ma non contabilizzate richiedeva di appostare contabilmente un fondo svalutazione a fronte dei crediti che avevano già subito un evento di perdita, ma che il sistema di monitoraggio interno di ciascuna banca, a causa di ritardi fisiologici nel meccanismo di identificazione delle perdite occorse, considerava ancora in bonis. Le prassi sviluppate nel tempo da ciascun intermediario hanno portato a quantificare detto fondo svalutazione sulla base dell’esperienza storica sulle perdite effettivamente conseguite per attività con caratteristiche tra loro omogenee su di un orizzonte temporale relativamente breve, ovvero 12 mesi (per completezza espositiva, va precisato, che dette serie storiche potevano arrivare sino ad una durata di 8 anni);
b)  i crediti non performing, invece, dovevano essere valutati imputando una stima di perdita ben maggiore, individuale per ciascuna esposizione, valutando il credito in base alla stima dell’importo recuperabile.
Rispetto a tutto ciò, il nuovo approccio valutativo introdotto dall’IFRS9 – c.d. expected loss – prevede un modello caratterizzato da una visione prospettica, che può richiedere la rilevazione immediata di tutte le perdite previste nel corso della vita di un credito. Tali perdite vanno stimate sulla base di informazioni supportabili, disponibili senza oneri o sforzi irragionevoli, e che includano dati storici attuali e prospettici.
In tale contesto le perdite attese (intese come il valore attuale di tutti i futuri mancati incassi o pagamenti, rilevato attraverso una stima pesata per le probabilità) possono dover essere contabilizzate subito indipendentemente dalla presenza o meno di un trigger event; e le stime devono essere continuamente adeguate anche in considerazione delle variazioni del rischio di credito della controparte, sulla base non solo di fatti e dati passati e presenti, ma anche e soprattutto di previsioni future, anche di tipo macroeconomico (c.d. foward looking approach) [5]. Le differenze con lo IAS 39 non potrebbero, pertanto, essere più significative [6]. Più in dettaglio, il modello di impairment previsto dall’IFRS9 prevede la classificazione dei crediti in tre livelli (o “stage”), a cui corrispondono distinte metodologie di calcolo delle perdite da rilevare.
Nel primo stage dovranno essere ricompresi i crediti sani (in bonis), quindi non deteriorati (ovvero performing), per i quali la valutazione di bilancio viene effettuata prevedendo un accantonamento pari alla perdita attesa misurata entro un orizzonte temporale di 12 mesi.
Nel secondo stage, verranno classificati i crediti che hanno subito un significativo incremento della rischiosità creditizia [7] rispetto alla rilevazione iniziale (ovvero alla data di loro erogazione) ma, comunque, non tale da divenire dei crediti deteriorati; in ordine a tali crediti, la perdita attesa verrà misurata su un orizzonte temporale che copre l’intera durata del credito sino alla sua scadenza (lifetime expected loss). In altri termini, ed è questa la vera novità introdotta dall’IFRS9, l’accantonamento che gli intermediari saranno chiamati ad effettuare per le posizioni di credito allocate in detto stage, sarà ben più consistente giacché lo stesso – ovvero la stima di perdita attesa – non sarà calcolata su di un orizzonte temporale di 12 mesi (come nello stage 1) ma sull’intera durata residua del credito. Per esemplificare, per i rapporti di durata pluriennale, quali contratti di mutuo o contratti di leasing, questo significa che la perdita attesa, una volta accertato il significativo aumento del rischio, andrà calcolata sulla durata residua del finanziamento e, quindi, gli accantonamenti richiesti alle banche saranno ben più consistenti.
Nel terzo stage, infine, rientreranno tutti quei crediti per i quali l’aumento della rischiosità, dal momento della rilevazione iniziale (ovvero alla data di loro erogazione), è stato così alto da far considerare le attività impaired, per le quali si sono verificati eventi tali da incidere negativamente sui flussi di cassa stimati futuri, come un mancato o ritardato pagamento [8].
Ciò accade in ragione di eventi successivi che rendano fondatamente incerta la esigibilità del credito come, ad esempio, ripetuti inadempimenti da parte del debitore rispetto alle proprie obbligazioni contrattuali, se non, addirittura, la cessazione dei pagamenti o la sua insolvenza. Per tale categoria di crediti la perdita di valore – di tipo lifetime – andrà valutata in maniera analitica sulla base delle previsioni di recupero stimate, considerando i termini contrattuali dei crediti e le eventuali garanzie che assistono l’esposizione creditizia. Più in dettaglio, banche ed intermediari saranno chiamati ad applicare il principio della rappresentazione veritiera e corretta sia per la stima dei flussi di cassa futuri sia per la valutazione delle garanzie reali. Il valore recuperabile stimato dovrà corrispondere all’importo calcolato tramite i criteri seguenti: a) il valore attuale dei flussi di cassa futuri stimati (escluse le perdite future non sostenute) attualizzato al tasso di interesse effettivo originale dell’attività finanziaria; b) la stima del valore recuperabile di un’esposizione assistita da garanzia riflette i flussi di cassa che possono derivare dalla liquidazione della garanzia. La stima dei flussi di cassa futuri andrà effettuata sulla base di due approcci generali:
1.  in uno scenario di continuità operativa (going concern), si assume che i flussi di cassa operativi del debitore, o del garante “effettivo”, continuino a essere prodotti e possano essere utilizzati per rimborsare il debito finanziario a tutti i creditori. Tale approccio implica che le banche debbano svolgere un esame molto approfondito della situazione finanziaria del debitore, dei flussi di cassa disponibili, degli indicatori finanziari, dei piani aziendali, per determinare i flussi di cassa futuri più realisticamente percepibili (così di fatto rendendo fondamentale la disponibilità di previsioni finanziarie per la valutazione delle esposizioni, in altri termini un costante e continuo flusso informativo tra impresa e banca);
2.  in uno scenario di cessazione dell’attività (gone concern) le garanzie sono invece escusse e i flussi di cassa operativi del debitore vengono meno.
Da ultimo considerate, l’IFRS9 (unitamente alle Linee Guida BCE) ha introdotto anche in maniera esplicita il concetto di write-off per cui, in relazione ad una esposizione creditizie, ove non sussistano ragionevoli aspettative di recuperare integralmente o parzialmente il valore contabile lordo di un’attività finanziaria (ovvero, ai ns fini, di una esposizione di credito allocata a deteriorato) la stessa dovrà essere contabilmente cancellata.
2 . "Guidelines" sul credito deteriorato; definizioni di NPE, nonché di sofferenze, UTP ed esposizioni sconfinate/scadute
La problematica dei crediti deteriorati ha avuto il suo punto di emersione a partire dal 2007 con l’avvitarsi della crisi economica e finanziaria che si è abbattuta sui paesi dell’Unione Europea e per via della quale si è assistito ad un forte deterioramento della qualità degli attivi creditizi. Il fenomeno ha coinvolto ciascun paese europeo con intensità diversa, arrivando ad assumere una certa rilevanza anche per il sistema bancario italiano intorno all’anno 2013 [9].
La situazione di sofferenza delle imprese, manifestatasi in maniera evidente nel 2015, ha prodotto nei bilanci delle banche un appesantimento della situazione patrimoniale con un significativo incremento del rischio di rientro dei capitali prestati con conseguente diretta riduzione del grado di patrimonializzazione [10].
Il proliferare dei crediti deteriorati ed in particolare le gravi crisi di liquidità delle banche sono stati affrontanti in un primo momento con interventi di natura per lo più pubblica [11]; gran parte dei governi dell’area euro ha fornito un sostegno finanziario considerevole alle istituzioni finanziarie con lo scopo di salvaguardare la stabilità del settore ed evitare una stretta creditizia [12].
A partire dal 2017 è seguita una fase di ripresa economica che ha comportato un miglioramento del sistema bancario italiano che si è tradotto in una dinamica positiva nella concessione del credito alle famiglie e alle imprese e nella riduzione del flusso/stock dei nuovi crediti deteriorati stabilizzatosi intorno ai valori pre-crisi [13].
In base ai dati forniti dal rapporto sulla stabilità finanziaria di Banca d’Italia, la percentuale dei crediti deteriorati al lordo delle rettifiche di valore nei bilanci delle banche al 31 dicembre 2017 era pari al 14,5% sul totale dei prestiti, al 31 dicembre 2016 era pari al 17,3% ed al 31 dicembre 2015 era pari al 18,1% [14].
Nel secondo semestre del 2017 numerosi intermediari hanno effettuato ingenti cessioni al portafoglio di prestiti in sofferenza (26,5 miliardi, contro 5,7 nel primo semestre), realizzate per quasi due terzi attraverso operazioni di cartolarizzazione, in molti casi avvalendosi della garanzia pubblica [15].
Le cessioni effettuate hanno favorito un calo significativo delle consistenze dei crediti deteriorati, sia al lordo sia al netto delle svalutazioni (rispettivamente di 40 e 16 miliardi) e una riduzione della loro incidenza sul totale dei prestiti.
L’accelerazione da parte dell’industria dello smaltimento degli stock di crediti deteriorati iscritti a bilancio è stata sospinta dai numerosi interventi regolamentari ad opera delle Autorità di vigilanza europee intervenute su più fronti con molteplici effetti benefici sul sistema finanziario. Innanzitutto, vi è stato un miglioramento in termini di oggettivo abbassamento dei rischi e di un rafforzamento patrimoniale, anche nella prospettiva di riportare gli intermediari su un piano di equilibrio volto ad una ripresa della normale operatività e una fisiologica erogazione del credito [16].

I principali provvedimenti regolamentari e di vigilanza a livello europeo
La crisi ha messo in luce le debolezze del precedente sistema di regolamentazione e vigilanza sui mercati dell’Eurozona comportando la necessità di una profonda revisione al sistema e contribuendo (i) alla costituzione di nuove istituzioni quali, tra le altre, le tre Autorità Europee di Vigilanza (AEV) [17] (con lo specifico compito di armonizzare la vigilanza finanziaria in seno all’UE mediante lo sviluppo di un corpus unico di norme, ossia di un insieme di standard prudenziali per le singole istituzioni finanziarie), (ii) e all’attribuzione alla BCE di funzioni in materia di vigilanza, nell’ambito del Meccanismo di Vigilanza Unica (MVU) [18]. Il MVU, nell’ambito della vigilanza ed a partire dalla sua costituzione, ha seguito con particolare attenzione il monitoraggio dell’elevato livello di stock di crediti deteriorati presenti nei bilanci di alcuni istituti bancari europei in particolare delle aree del sud Europa/periferiche, ritenute all’origine del minore afflusso di credito all’economia e deleterio per la ripresa economica reale [19].
La problematica ha spinto le autorità politiche a farsi carico del problema (istituendo un modello diverso dall’intervento pubblico standard), così il Consiglio Europeo, nel corso del 2017, ha avviato un piano contenente direttive rivolte alle Istituzioni Europee per adottare azioni finalizzate ad affrontare la questione dei crediti deteriorati.
Nell’ambito degli sviluppi politico istituzionali succintamente descritti nel mese di marzo 2018 l’Europea Banking Authority (EBA) ha emanato le “Linee guida sulla gestione delle esposizioni deteriorate e soggette a forbearance”. Il documento, in linea con il piano di azione del Consiglio Europeo avviato nel luglio 2017, ha mirato ad assicurare che le banche disponessero di adeguati strumenti e sistemi per gestire in maniera efficace le esposizioni deteriorate (NPE) e per ridurre in maniera sostanziale la loro presenza nei bilanci.
Parallelamente il MVU si è attivato mediante la produzione di soft regulation – di carattere non vincolante – al fine di fornire alle banche indicazioni e best practise di mercato rispetto alle proprie aspettative di vigilanza. In tale contesto, la BCE nel 2017 è intervenuta attraverso la predisposizione di “Linee guida per le banche sui crediti deteriorati (NPL), a cui fece seguito nel 2018 l’“Addendum to Guidance to banks on non performing loans: Prudential provisioning backstop for non performing exposures”, meglio trattati anche nei successivi paragrafi con maggior dettaglio, volte ad istituire un quadro d’azione armonizzato a livello europeo in ambito di gestione dei crediti deteriorati e al fine di consentire alle banche di disporre di procedure e flussi informativi interni adeguati allo scopo permettendo così “di individuare e gestire potenziali clienti con posizioni deteriorate in uno stadio molto precoce” [20].
Questi interventi normativi hanno comportato per le banche una più affinata classificazione dei prestiti, una strategia di emersione precoce delle perdite, una gestione in modo attivo dei crediti deteriorati nonché la creazione di un mercato secondario degli NPL. Il mercato è ancora ad una fase di consolidamento con tutte le conseguenti storture in termini di funzionamento competitivo del sistema dei prezzi ivi formatisi.
Attualmente, anche in ragione della “superata” pandemia Covid-19, si attende un nuovo aumento dei crediti deteriorati, tuttavia, rispetto alla crisi del debito sovrano il rapporto tra capitale di migliore qualità e attivi ponderati per il rischio delle banche è più che raddoppiato [21]; rispetto al picco negativo del 2015, lo stock dei crediti deteriorati si è ridotto di oltre due terzi. Questi progressi sono il risultato delle riforme regolamentari realizzate a livello internazionale e all’azione di vigilanza svolta dalla Banca d’Italia, sia in autonomia sia in quanto componente del MVU istituito presso la BCE [22].

Le diverse definizioni di credito deteriorato
In linea generale, si possono far rientrare nel perimetro dei c.d. crediti deteriorati (o crediti non performing) tutti quei crediti la cui riscossione, da parte del creditore, sia incerta/improbabile sia con riguardo al rispetto della scadenza temporale del credito, sia con riguardo al rimborso dell’intero ammontare dell’esposizione debitoria. Tuttavia, tale ampia definizione abbraccia eterogenee categorie la cui classificazione è mutata nel tempo e ancora oggi non risulta perfettamente coincidente ed omogenea nei vari paesi dell’Unione Europea.
Nel contesto europeo vi sono tutt’ora sostanzialmente tre differenti nozioni di credito deteriorato, concettualmente simili ma non sovrapponibili, ognuna rilevante per una diversa disciplina normativa: 
–   la definizione di credito impaired, relativa al concetto di impairment contabile e disciplinata nei principi contabili internazionali emanata dallo IASB mediante l’IFRS9; 
–   la definizione di credito defaulted, emanata dal Comitato di Basilea e fatto proprio nell’ambito del Capital Requirements Regulation (CRR – recepimento di Basilea 3 in chiave europea, art. 178 del Reg. UE n. 575/2013); 
–   la definizione di non performing exposures (NPE), utilizzata nell’ambito del MVU ed emanata dall’EBA mediante le Implement Technical Standard (ITS).
Di seguito, verranno dapprima brevemente analizzate le definizioni di credito impaired e defaulted, nel proseguo si svolgeranno considerazioni in merito alla definizione armonizzata di NPE fornita dall’EBA.
Con la definizione di credito impaired – rilevante ai fini della redazione del bilancio civilistico – viene introdotto un unico modello di impairment proposto dall’IFRS9; quest’ultimo come abbiamo già avuto modo di descrivere nei paragrafi precedenti prevede che la rilevazione degli accantonamenti avvenga in funzione del grado di deterioramento del rischio creditizio di controparte, senza dunque attendere la manifestazione di un esplicito segnale di perdita effettiva al fine di garantire un corretto e veritiero trattamento in bilancio dei crediti nel corso del tempo [23]. La significatività del deterioramento è misurata dall’entità delle variazioni del rischio di inadempimento lungo l’intera durata contrattuale residua del credito valutato. Sebbene, tuttavia, il processo di revisione sia un processo con ampi margini di discrezionalità, la normativa contabile fornisce alcune caratteristiche esplicative di mero carattere qualitativo, sintomatiche della presenza di una obiettiva evidenza di deterioramento, come ad esempio significative difficoltà del debitore, violazione del contratto mediante inadempimenti e/o mancato pagamento degli interessi, ecc.
Sebbene il principio in esame tenti di uniformare i principi contabili del sistema bancario ai fini della comparabilità dei bilanci, il Reg.to (CE) n. 1606/2002, relativo all’applicazione dei principi contabili internazionali, ha lasciato agli Stati membri ampi margini di discrezionalità nello scegliere a quali intermediari imporre la redazione del bilancio secondo i suddetti principi, comportando notevoli problematiche di comparabilità dei bilanci secondo i criteri contabili.
Diversamente, maggior grado di omogeneità è riscontrabile nella definizione di default contenuta all’art. 178 del CRR. Infatti, il comma 1 di tale articolo prevede una classificazione per debitore, il quale viene considerato in stato di default allorquando: 
–   l’adempimento integrale delle obbligazioni creditizie da parte del debitore vie­ne giudicato improbabile senza ricorso all’escussione delle garanzie (unlikelyness to pay) (criterio soggettivo); 
–   il debitore è in ritardo nei pagamenti di oltre 90 giorni (criterio oggettivo).
La definizione di non performing exposures (NPE), emanata dall’EBA, ha avuto sin dal suo esordio l’obiettivo di ridurre i margini di discrezionalità esistenti nella definizione di natura contabile e prudenziale applicati ai diversi Paesi europei, agevolando la confrontabilità dei dati e incrementando l’efficienza anche in termini di costi, della vigilanza europea e tentando di azzerare fenomeni di asimmetria tra paesi [24].
L’EBA ha adottato un approccio “ad ombrello” [25], analizzando preliminarmente le definizioni di credito deteriorato nazionali e sovranazionali al fine di superare le pregresse differenze ed ampliare il perimetro riordinando la pregressa eterogeneità.
In particolare, l’EBA, a seguito dell’approvazione della Direttiva 2013/36/UE (Capital Requirements Directive – CRD) e del CRR, è stata deputato all’emanazione della regolamentazione secondaria al fine di creare un corpus unico ed armonizzato[26] di norme che assicurasse condizioni di parità e tutela degli stakeholders europei, il c.d. Single Bookrule. In questo ambito, una delle principali novità emanate dall’EBA è stata la pubblicazione, in data 24 luglio 2014, della versione definitiva del FINAL draft ITS contenente le norme tecniche di attuazione in materia di forbearance (FBE) e non performing exposures.
Gli ITS sono stati approvati e adottati dalla Commissione Europea il 9 gennaio 2015 e pubblicati in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 14 febbraio 2015, con entrata in vigore il giorno successivo alla loro pubblicazione. Pertanto, le nuove definizioni di NPE e di FBE sono applicabili all’informativa finanziaria predisposta a partire da gennaio 2015 e sono state recepite nelle disposizioni di vigilanza nazionali mediante la pubblicazione del 7º agg.to della Circolare n. 272/2015 (“Matrice dei Conti”) da parte di Banca d’Italia.

Il raccordo tra nozioni effettuato dalla BCE
La BCE, per mezzo delle Linee guida per le banche sui crediti deteriorati, ha affrontato per l’Eurozona la questione della pluralità di definizioni di credito deteriorato presenti nel panorama europeo effettuando un raccordo ad hoc tra definizioni di NPE, di derivazione EBA, di esposizioni in stato di default ed esposizioni che hanno subito una riduzione di valore ai sensi dei principi contabili IAS/IFRS.
Secondo le suddette Linee guida, la definizione di NPE adottata dall’EBA si è posta l’obiettivo di accrescere la raffrontabilità dei dati superando le differenze di definizione riguardanti i concetti di “riduzione di valore” e di “default” all’interno dell’UE ed in questo senso costituisce una nozione armonizzata per quanto concerne la qualità degli attivi [27]. Anche le analisi effettuate dalla BCE convergono nel ritenere che il concetto di NPE è potenzialmente più ampio di quelli di “esposizione che ha subito una riduzione di valore” e di “esposizione in stato di default”.
Tutte le esposizioni che hanno subito una riduzione di valore e tutte le esposizioni in stato di default sono necessariamente NPE, ma le NPE possono anche includere esposizioni non rilevate come esposizioni che hanno subito una riduzione di valore o esposizioni in stato di default nella disciplina contabile o regolamentare applicabile [28].
NPE. La definizione è contenuta al § 145 degli ITS emanati dall’EBA. La nozione in esame ricomprende le esposizioni per cassa di debito (loans and advances and debt securities) e tutte le esposizioni fuori bilancio revocabili ed irrevocabili (garanzie rilasciate, impegni revocabili e irrevocabili ad erogare fondi, ecc.), mentre esclude gli strumenti finanziari allocati nel portafoglio contabile e gli strumenti derivati. Si tratta di esposizioni (crediti, titoli di debito, voci fuori bilancio) diverse da quelle detenute per la negoziazione che soddisfano entrambi i seguenti criteri o uno di essi: a) esposizioni rilevanti scadute da più di 90 giorni; b) si giudica improbabile che il debitore, senza il ricorso all’escussione delle garanzie reali, adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie, indipendentemente dalla presenza di importo scaduto o dal numero di giorni di scaduto. Le esposizioni deteriorate includono le esposizioni in stato di default e le esposizioni che hanno subito una riduzione di valore. Il totale delle NPE è dato dalla somma di crediti deteriorati, titoli di debito deteriorati e voci fuori bilancio deteriorate.
Come anticipato, nell’ordinamento italiano la definizione armonizzata di attività finanziarie deteriorate è stata recepita dalla Circolare n. 272 del 30 luglio 2008 che ha mantenuto alcune particolarità della vecchia definizione pur rispettando le prescrizioni della normativa [29]. Difatti, mentre l’EBA contempla un’unica categoria di esposizioni non performing, le attività finanziarie deteriorate nella Circolare n. 272 di Banca d’Italia, sono ripartite nelle seguenti categorie di: sofferenze, inadempienze probabili, esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate.

Sofferenze
Vengono considerate sofferenze, così previsto nella Circolare n. 272 di Banca d’Italia, il complesso delle esposizioni per cassa e fuori bilancio nei confronti di un soggetto in stato di insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalla banca. Sono incluse anche: a) le esposizioni nei confronti degli enti locali (comuni e province) in stato di dissesto finanziario per la quota parte assoggettata alla pertinente procedura di liquidazione; b) i crediti acquistati da terzi aventi come debitori principali soggetti in sofferenza, indipendentemente dal portafoglio di allocazione contabile; c) le esposizioni nei confronti di soggetti per i quali ricorrono le condizioni per una loro classificazione fra le sofferenze e che presentano una o più linee di credito che soddisfano la definizione di “non-performing exposures with forbearance measures” [30].

Inadempienze probabili (
Unlikely To Pay)
Nella definizione dei c.d. unlikeliness to pay sono ricomprese tutte le esposizioni per le quali risulta, a giudizio della banca, l’improbabilità che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente (in linea capitale e/o interessi) alle sue obbligazioni creditizie. In merito si esplicita che la valutazione dell’intermediario deve essere indipendente dalla presenza di eventuali importi (o rate) scaduti e non pagati.
Laddove sussistano elementi che implicano una situazione di rischio di inadempimento del debitore (ad esempio, una crisi del settore industriale in cui opera il debitore) non è necessario attendere il sintomo esplicito di anomalia (il mancato rimborso). Il complesso delle esposizioni per cassa e fuori bilancio verso un medesimo debitore che versa nella suddetta situazione è denominato “inadempienza probabile”, salvo che non ricorrano le condizioni per la classificazione del debitore fra le sofferenze. Un’esposizione creditizia originariamente allocata tra le esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate va ricondotta fra le inadempienze probabili (sempreché non ricorrano le condizioni per la classifica fra le sofferenze) qualora tale classificazione rappresenti meglio il successivo peggioramento del merito creditizio del debitore.
Sono incluse anche le esposizioni nei confronti di soggetti per i quali ricorrono le condizioni per una loro classificazione fra le inadempienze probabili e che presentano una o più linee di credito oggetto di “misure di concessione” meglio descritte nei successivi paragrafi.

Esposizioni scadute o sconfinate
Le esposizioni scadute e/o sconfinate, sono quelle esposizioni per cassa, diverse a quelle classificate tra sofferenze ed UTP che alla data di riferimento della segnalazione sono scadute o sconfinanti. Le stesse potranno altresì essere determinate facendo riferimento, alternativamente, al singolo debitore o alla singola transazione (ma solo verso soggetti retail) secondo le regole meglio descritte nei successivi paragrafi.
3 . Segnalazioni in Centrale dei Rischi
Le regole contabili finora descritte in ordine alla gestione e classificazione delle esposizioni creditizie si riflettono tout court nell’ambito della disciplina delle segnalazioni di vigilanza, a cui banche e intermediari sono tenuti. In via preliminare occorre ribadire che – a seguito dell’entrata in vigore delle Linee Guida EBA (EBA/GL/2016/07) [31] sull’applicazione della nuova definizione di default e del Reg. delegato UE n. 171/2018 della Commissione Europea del 19 ottobre 2017 [32] –, la classificazione delle esposizioni creditizie deteriorate dovrà essere effettuata in maniera univoca tra gli intermediari ricompresi nel perimetro delle segnalazioni di vigilanza su base consolidata e la valutazione sullo stato di deterioramento del debitore dovrà tener conto di tutti gli elementi informativi a disposizione del gruppo. Nelle segnalazioni di vigilanza su base individuale il debitore esposto verso più componenti di un gruppo bancario o finanziario sarà dunque classificato nella medesima categoria di deterioramento.
In questa prospettiva Banca d’Italia ha provveduto, mediante l’aggiorna­mento n. 20 dell’ottobre 2021, ad adeguare la disciplina di cui alla Circolare 139 dell’11 febbraio 1991, recante le disposizioni di vigilanza in materia di segnalazione presso la Centrale dei Rischi [33].
Così, ferma restando la segnalazione di ciascuna esposizione creditizia nella competente categoria di censimento tra quelle previste dalla disciplina della Centrale dei Rischi (ovvero, rischi autoliquidanti, rischi a revoca, rischi a scadenza), al netto dell’eventuale segnalazione a sofferenza di una esposizione creditizia deteriorata – segnalazione che costituisce categoria a sé stante del tutto indipendente dalla categoria di originaria provenienza – ai fini della disciplina in esame, rileveranno in particolare le informazioni aggiuntive desumibili dalla c.d. “variabili di classificazione”, ovvero qualificatori che connotano più dettagliatamente la natura e le caratteristiche delle operazioni che confluiscono nelle rispettive categorie di censimento. In altri termini, la classificazione di una esposizione creditizia come scaduta/sconfinate deteriorata o come inadempienza probabile non è oggetto di specifica e distinta segnalazione presso la Centrale dei Rischi quanto, piuttosto, il dato informativo viene fornito, all’interno delle citate variabili di classificazione nella segnalazione mensile che ogni banca e intermediario effettuano. Dette variabili arricchiscono, pertanto, il contenuto informativo della rilevazione, ampliando il novero degli elementi di valutazione della posizione globale di rischio dei soggetti censiti.
All’interno delle variabili di classificazione, nella sezione “stato del rapporto” – funzionale a fornire informazioni sulla situazione qualitativa delle esposizioni creditizie segnalate –, troveranno allora evidenza le esposizioni creditizie classificate da ciascun intermediario segnalante come inadempienze probabili e/o gli inadempimenti (crediti scaduti e/o sconfinanti) persistenti. In particolare, saranno classificati rispettivamente: a) come inadempienze probabili, le linee di credito concesse ad un debitore sul quale l’intermediario abbia espresso un giudizio circa l’improbabilità che adempia integralmente alle proprie obbligazioni (in linea capitale e/o interessi) senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie [34]; b) come inadempimenti persistenti, i crediti scaduti o sconfinanti in via continuativa da oltre 90 giorni (rectius crediti scaduti sconfinanti deteriorati) precisando che per tale classificazione si si tiene conto del solo requisito della continuità e non si considerano né compensazioni con margini disponibili, esistenti su altre linee di credito concesse al medesimo debitore, né soglie di rilevanza. Da ultimo, con riguardo al­l’at­tri­buto forborne performing o non performing, nessuna evidenza sarà desumibile dalla Centrale dei Rischi, in quanto detto attributo, ove presente, viene alimentato da ciascuna banca o intermediario finanziario nelle diverse ed ulteriori segnalazioni di vigilanza.
4 . Misure di concessione "performing" e "non performing"
La disciplina prudenziale che interessa le esposizioni creditizie (anche deteriorate), per come sinora descritto, si caratterizza anche per un ulteriore rilevante profilo, costituito dalle previsioni in tema di “misure di concessione performing e non performing”.
È bene partire da una premessa fondamentale: quando parliamo di misure di concessione performing e non performing, non alludiamo ad un terzo genus di classificazione di esposizione creditizia (sia essa o meno deteriorata) che venga ad aggiungersi alla tradizionale classificazione delle esposizioni creditizie in posizioni in bonis o deteriorate (queste ultime tripartite in scadute e/o scon­fi­nanti deteriorati; inadempienze probabili (c.d. unilkely to pay); e “sofferenze”). Piuttosto, dette misure di concessione sono qualificabili più correttamente come “attribuzioni”, che come tali possono caratterizzare tanto esposizioni creditizie in bonis – ed allora parleremo di esposizioni in bonis oggetto di misure di con­cessione (performing) –, quanto di esposizioni deteriorate ed allora parleremo di esposizioni deteriorate -oggetto di misure di concessione (non performing) –. Il primario riferimento normativo in tale ambito è rappresentanto dagli ITS EBA, in particolare da quanto previsto dagli artt. 163 e seguenti dell’Allegato V del Reg. UE 680/2014, che stabilisce norme tecniche di attuazione per quanto riguarda le segnalazioni degli enti a fini di vigilanza conformemente al Reg. UE 575/2013 (CRR), per come successivamente modificato dal Reg. UE 227/2015 del 9 gennaio 2015 [35]. A tali previsioni hanno poi fatto seguito gli Orientamenti EBA in materia di gestione delle esposizioni deteriorate ed oggetto di con­ces­sione (EBA/GL/2018/06) [36] del 31 ottobre 2018 ed applicabili a far tempo dal 30 giugno 2019, nonché – più recentemente – il Reg. UE 630/2019 del 17 aprile 2019 [37] con il quale sono state apportate ulteriori modifiche al CRR ed in particolare, ai fini che qui rilevano, introducendo i nuovi articoli 47 bis (E­spo­si­zioni deteriorate) e 47 ter (Misure di concessione). Pertanto, si definiscono forborne le esposizioni nei confronti delle quali sono state accordate misure di for­bearance, ossia misure di sostegno, in favore di: «debitori che affrontano, o sono in procinto di trovarsi in difficoltà ad adempiere ai propri impegni finanziari» (c.d. stato di difficoltà finanziaria). In linea generale, le possibili misure di forbearance accordate al debitore possono ricadere nelle seguenti fattispecie: a) una modifica dei termini e delle condizioni contrattuali su un’esposizione che la controparte non sarebbe in grado di ripagare, senza la concessione di nuovi termini o condizioni contrattuali che non sarebbero stati accordati se il cliente non si fosse trovato in difficoltà finanziaria; b) il rifinanziamento parziale o totale di un contratto di debito problematico che non sarebbe stato accordato in assenza di difficoltà finanziaria della controparte.
A sua volta l’art. 47 ter del CRR, innanzi menzionato, ha integrato tale definizione, disponendo che – in ogni caso – si dovrà ritenere di essere dinanzi ad una misura di forbearance, a titolo esemplificativo, in una o più delle seguenti ipotesi:
1) vengono convenuti nuovi termini contrattuali più favorevoli per il debitore rispetto ai termini contrattuali precedenti, nel caso in cui il debitore incontri o possa verosimilmente incontrare difficoltà nel rispettare i propri impegni finanziari; 
2) vengono convenuti nuovi termini contrattuali più favorevoli per il debitore rispetto ai termini contrattuali offerti nello stesso momento dallo stesso intermediario a debitori con lo stesso profilo di rischio, nel caso in cui il debitore incontri o possa verosimilmente incontrare difficoltà nel rispettare i propri impegni finanziari; 
3) ai sensi dei termini contrattuali iniziali l'esposizione è stata classificata come esposizione deteriorata prima della modifica dei termini contrattuali o sarebbe stata classificata come esposizione deteriorata in assenza di modifica dei termini contrattuali; 
4) la misura comporta la cancellazione totale o parziale dell'obbligazione; 
5) la banca creditrice approva l'applicazione delle clausole che consentono al debitore di modificare i termini contrattuali e l'esposizione è stata classificata come esposizione deteriorata prima dell'applicazione delle relative clausole, o sarebbe classificata come esposizione deteriorata se le clausole non fossero esercitate.

Risulta, quindi, subito chiaro che l’obiettivo ultimo delle misure di forbearance è quello di permettere di riportare l’esposizione creditizia in una situazione di rimborso sostenibile e, per le esposizioni classificate a credito deteriorato (tipicamente le inadempienze probabili), porre le basi per una regolarizzazione stabile nel tempo e successivo rientro in bonis [38]. 
Potremo, allora, avere due distinte ipotesi operative. La prima avrà per oggetto la concessione di misure di forbearance rispetto a debitori classati in bonis che tuttavia, anche prospetticamente, rischiano di tro­varsi (anche per ragioni esterne, quale ad esempio il cambio dello scenario ma­croeconomico) nella potenziale difficoltà di adempiere ai propri impegni di rimborso del debito [39]. Ebbene, ricorrendo detta ipotesi, la banca potrebbe va­lu­tare di concedere della misure di forbearance (tipicamente, ad esempio, una moratoria sull’ammortamento del finanziamento) ma comunque mantenere la posizione in bonis con l’evidenza delle misura di forbearance accordata, be­nin­teso sempre che non ricorrano valutazioni ulteriori che inducano la banca a classificare la posizione di rischio come credito deteriorato. 
Dall’altro lato, occorre distinguere la seconda e diversa ipotesi operativa nella quale la banca arrivi a riconoscere ad una propria controparte una misura di concessione senza che quest’ultima si trovi in una situazione attuale o po­ten­ziale di “difficoltà finanziaria”. Queste concessioni, spesso, hanno come ratio non già una situazione di difficoltà del debitore quanto, piuttosto, rivestono i caratteri di concessioni di natura puramente “commerciale” che le banche possono valutare di riconoscere nell’ambito dell’ordinaria relazione commerciale tra le parti. Ad esempio, la banca potrebbe concedere al proprio cliente una ri­duzione del tasso di interesse sul finanziamento ipotecario in regolare ammor­tamento perché il cliente ha manifestato la propria volontà di surrogare il fi­nanziamento presso altro intermediario (che ha offerto condizioni economiche più vantaggiose). In simili casi nessuna misura di forbearence è da ritenersi assegnata e, quindi, nessun attributo deve essere valorizzato sulla posizione di rischio.
Decisamente articolata, invece, risulta essere l’ipotesi operativa avente per oggetto la concessione di misure di forbearence rispetto a debitori classati a credito deteriorato. Le esposizioni deteriorate oggetto di misure di concessione cessano di essere classificate come esposizioni deteriorate se sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) le esposizioni non sono più in una situazione che ne determinerebbe la classificazione come esposizioni deteriorate; b) è trascorso almeno un anno (c.d. cure period) dalla data in cui sono state accordate le misure di concessione o, se posteriore, dalla data in cui le esposizioni sono state classificate come esposizioni deteriorate; c) dopo l’applicazione delle misure di concessione non vi sono importi in arretrato e la banca, sulla base dell'analisi della situazione finanziaria del debitore, è convinta che verosimilmente vi sarà il rimborso integrale dell’esposizione alla scadenza [40]. Una volta che tutte le predette condizioni saranno state rispettate l’esposizione deteriorata che ha cessato di essere classificata come tale sarà in prova” fino a quando siano soddisfatte tutte le seguenti ulteriori condizioni: a) saranno trascorsi almeno due anni (c.d. probation period) dalla data in cui l'esposizione oggetto di misure di concessione è stata riclassificata come esposizione in bonis; b) sono stati effettuati pagamenti regolari e a scadenza per almeno la metà del periodo in cui l’e­spo­sizione è in prova, con conseguente pagamento di un sostanziale importo aggre­gato di capitale o interessi; c) nessuna delle esposizioni verso il debitore è scaduta da oltre 30 giorni. Se, poi, le condizioni di cui sopra non risulteranno soddisfatte alla fine del periodo di prova (di due anni), l’esposizione continuerà ad essere indicata come esposizione in bonis oggetto di misure di forbearance in prova, fino a quando sono soddisfatte tutte le condizioni. Le condizioni dovranno essere valutate almeno su base trimestrale.
5 . Valutazione, monitoraggio e gestione dei crediti deteriorati
Il complesso della disciplina prudenziale che riguarda i crediti bancari deteriorati non si limita unicamente a perseguire gli obiettivi di una puntuale rilevazione del deterioramento delle esposizioni creditizie e conseguente cor­retta classificazione (e svalutazione) a fini di bilancio ma, e non potrebbe essere diversamente, mira a perseguire un ulteriore fondamentale obiettivo: ovvero far sì che le banche e gli intermediari finanziari siano sufficientemente attrezzati per assicurare una efficiente gestione e monitoraggio dei crediti deteriorati, nella duplice prospettiva di assicurare, ove concretamente fattibile, il rientro in bonis di esposizioni deteriorate e, in caso di definitivo default, massimizzare il recovery, anche escutendo le eventuali garanzia che assistono il credito [41]. 
Le Linee Guida per le banche sui crediti deteriorati emanate dalla BCE nel marzo 2017 hanno cura di richiedere alle banche (soprattutto, ma non solo, per quelle con elevati stock di NPL) la definizione di una propria strategia di gestione dei crediti deteriorati che – in modo chiaro, credibile e praticabile – definisca gli obiettivi strategici ai fini della loro riduzione, fissando precise scadenze, ovvero in un orizzonte temporale prefissato che sia realistico ma anche sufficientemente ambizioso [42]. A tal fine, l’impianto di base richiesto per l’ela­borazione e l’attuazione della strategia di gestione degli NPL dovrà includere, de minimis
1. una valutazione del contesto operativo, fra cui capacità interna di gestione degli NPL, condizioni esterne aventi un impatto sul recupero degli NPL e implicazioni patrimoniali per la banca; 
2. l’elaborazione della strategia in termini di sviluppo della capacità operativa (sul piano qualitativo) e riduzioni previste degli NPL (sul piano quantitativo) in un orizzonte rispettivamente di breve, medio e lungo termine; 
3. qualsiasi modifica necessaria nella struttura organizzativa della banca funzionale ad assicurare l’attuazione del piano operativo; 
4. la piena integrazione della strategia per gli NPL nei processi gestionali della banca, con regolare riesame e monitoraggio indipendente [43].
La valutazione del contesto operativo, sia interno che esterno [44], richiederà che siano adeguatamente considerati molteplici aspetti, tra i quali spiccano, in particolare, la conduzione di un preliminare esercizio di autovalutazione, fina­lizzato ad individuare i punti di forza, le lacune significative e qualsiasi ambito di miglioramento per poter conseguire i rispettivi obiettivi di riduzione dello stock di NPL. Più in dettaglio, l’esercizio di autovalutazione dovrà tenere in debita considerazione la dimensione e l’evoluzione dello stock di NPL, l’esito delle misure di gestione degli NPL adottate nel passato, nonché le capacità operative (quali procedure, strumenti, qualità dei dati, informatizzazione/automa­zio­ne, personale/competenze professionali, processo decisionale, politiche interne e qualsiasi altro aspetto rilevante per l’attuazione della strategia) per le varie fasi del processo di lavorazione degli NPL, che considerino anche i seguenti ambiti: 
a) strumenti di early warning [45] (allerta precoce) e individuazione/rilevazione degli NPL; 
b) misure di concessione (forbearance); 
c) accantonamenti; 
d) valutazione delle garanzie; 
e) recupero dei crediti/procedimenti giudiziari/escussione delle garanzie; 
f) gestione delle garanzie escusse (se rilevante); 
g) segnalazione e monitoraggio degli NPL ed efficacia delle misure di recupero.
Una volta terminata la fase preliminare di assestment, ciascun inter­mediario sarà in condizione di procedere con la definizione della “propria” strategia di gestione degli NPL, incorporante gli obiettivi quantitativi da conseguirsi entro un limite di tempo ed accompagnati dal relativo piano operativo completo. Circa quest’ultimo, la stessa BCE ha cura di formulare diversi esempi di piani operativi adottabili dagli intermediari, ribadendo, tuttavia, il suggerimento che gli stessi non si limitino ad adottare un unico (rigido) piano operativo ma, piuttosto, includano una composizione di strategie/opzioni atte a conseguire nel miglior modo i rispettivi obiettivi a breve, medio e lungo termine, eventualmente vagliando quali opzioni siano più vantaggiose per i diversi portafogli di NPL e nelle diverse circostanze. 
A quel punto, identificate le strategie da seguire nella gestione dei crediti NPL, ciascun intermediario potrà procedere con la definizione del proprio piano operativo (approvato dal Consiglio di amministrazione [46]) che dovrà chiaramente definire le modalità con le quali le banche attueranno sul piano operativo le rispettive strategie di gestione, in un orizzonte di almeno 1-3 anni (a seconda del tipo di misure operative richieste). Il piano operativo dovrà poggiare su politiche e procedure adeguate, una chiara attribuzione delle competenze e strutture di governance idonee (incluse procedure di escalation, ovvero di comunicazione con la gerarchia superiore), e governare dettagliatamente tutti i seguenti profili: 
1. chiare finalità e chiari obiettivi con precise scadenze; 
2. attività da svolgere articolate sulla base della segmentazione di portafoglio; 
3. assetto di governance, inclusi attribuzioni e meccanismi di reportistica per le attività identificate e i relativi risultati; 
4. standard qualitativi che possano assicurare il conseguimento di risultati;
5. eventuali esigenze in termini di organico e risorse; 
6. piano per il necessario rafforzamento dell’infrastruttura tecnica; 
7. previsioni di spesa a livello granulare e consolidato per l’attuazione della strategia per gli NPL; 
8. piano di interazione e comunicazione con controparti interne ed esterne (ad esempio per le cessioni, per il servicing, per il miglioramento dell’ef­ficienza).
Ovviamente, sia la strategia che il connesso piano operativo dovranno essere riesaminati periodicamente, al fine di verificarne tempo per tempo l’efficacia rispetto agli obiettivi definiti. L’aspetto gestionale dei crediti NPL rappresenta, evidentemente, una delle principali chiavi di successo (o insuccesso) nella realizzazione della strategia e del piano operativo di gestione dei crediti NPL. In questo senso le possibilità operative per le banche si sono decisamente ampliate in questi ultimi anni. Rispetto infatti ad un modello standard di gestione “interna” [47] dei crediti deteriorati sono cresciute esponenzialmente so­luzioni alternative, quali ad esempio la gestione c.d. “esterna” (in outsourcing), comportante l’assegnazione dei crediti (soprattutto per le “sofferenze”) a società di recupero del credito; nonché la cessione di crediti deteriorati a terzi operatori specializzati (ad es. banche specializzate in gestione di Npl) [48], ovvero ancora, più recentemente, la finanziarizzazione dei crediti deteriorati mediante processi di cartolarizzazione (ex legge n. 130/1999), eventualmente assistite da garanzie pubbliche, c.d. GACS [49]. Nella stessa direzione va la cessione a fondi comuni di investimento alternativi cosiddetti “ad apporto” di crediti deteriorati (sia UTP che sofferenze).
Anche la Banca d’Italia, in analogia con quanto disposto dalle Linee Guida BCE, ha provveduto ad emanare nel gennaio 2018 le proprie Linee guida per le banche italiane less significant (ovvero non soggette, per ragioni dimensionali, alla vigilanza della BCE) per la gestione dei crediti deteriorati. Il documento riproduce puntualmente lo schema seguito dalla BCE, seppur con talune semplificazioni che, in applicazione del principio di proporzionalità, tengono conto delle esigenze di maggiore semplicità dell’assetto organizzativo delle banche sottoposte alla vigilanza diretta della Banca d’Italia. Sebbene si tratti ancora una volta di disposizioni non vincolanti, le banche sono comunque tenute a spie­gare e motivare, dietro richiesta dell’Autorità di vigilanza, gli eventuali scostamenti tra la gestione aziendale dei crediti deteriorati e quella auspicata dalle Linee guida [50].
6 . Definizione di "default", "calendar provisioning" e relative conseguenze sulle politiche creditizie
Con l’adozione del Reg. UE n. 575/2013, CRR (Capital Requirement Regulation) [51] è stata introdotta una nuova definizione prudenziale di default a cui le banche e gli altri intermediari sono tenuti ad uniformarsi. L’art. 178 del CRR, in particolare, prevede che ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali minimi obbligatori, i debitori siano classificati in default al ricorrere di almeno una delle seguenti condizioni: a) condizione oggettiva: il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni nel pagamento di un’obbligazione rilevante; b) condizione soggettiva: la banca giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quali l’e­scussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alla sua obbligazione (unlikeliness to pay), assegnando, nel contempo, ad EBA ed alla Commissione UE il compito di definire ed adottare le ulteriori regole di dettaglio. In esecuzione di tale delega, le citate Autorità hanno provveduto, rispettivamente, ad emanare le ulteriori regole che hanno concorso a definire il nuovo framework in tema di classificazione in default di posizioni di rischio, ovvero: le Linee Guida EBA sull’applicazione della definizione di Default (EBA/GL/ 2016/07), in vigore dal 1° gennaio 2021 ed il Reg. delegato UE n. 171/2018, che individua la c.d. “soglia di rilevanza” delle obbligazioni creditizie in arretrato. Si giunge così ad una struttura normativa complessa in forza della quale, stante il combinato disposto di più norme, si definiscono condizioni oggettive e soggettive affinché un debitore possa considerarsi in default e soglie di rilevanza il cui superamento rende effettivo lo status nelle disposizioni menzionate definito. 
Venendo ad esaminare, alla luce del nuovo quadro regolamentare, la prima ipotesi di default introdotta dall’art. 178 del CRR, un debitore verrà considerato e, conseguentemente, classificato in default, da una banca o da intermediario, allorquando risulti in arretrato – per un termine di oltre 90 giorni (beninteso consecutivi) [52] – nel pagamento di una obbligazione rilevante (c.d. credito scaduto o sconfinante deteriorato). Ci si deve in primo luogo interrogare cosa si voglia intendere per “obbligazione rilevante” e quando, per l’appunto, possa dirsi verificata detta rilevanza. 
Le Linee Guida EBA e, soprattutto, il Reg. delegato n. 171/2018, hanno provveduto a definire – in concreto – dette soglie di rilevanza, differenziando le stesse a seconda della natura della controparte (clientela retail alla quale, per certi versi sono equiparate anche le PMI, e clientela non retail). 
Più in dettaglio, il Reg. delegato ha definito due soglie di rilevanza espresse: i) in termini assoluti: 100 euro per le esposizioni al dettaglio (retail) e 500 euro per le altre esposizioni; ii) in termini relativi: 1% dell’importo complessivo di tutte le esposizioni verso il debitore facenti capo agli intermediari creditizi e finanziari appartenenti a un medesimo perimetro di consolidamento prudenziale [53] (non rilevando le esposizioni in strumenti di capitale); questa soglia è la stessa sia per le esposizioni al dettaglio che per le altre diverse esposizioni [54]. 
Pertanto, sarà essere considerata in default la complessiva esposizione di un debitore verso una banca o un intermediario finanziario allorquando le due soglie sub i) e ii) siano state entrambe superate per un periodo di tempo continuativo di 90 giorni. Ricorrendo questi presupposti l’esposizione creditizia assumerà la qualificazione di “credito scaduto/sconfinante deteriorato” ovvero in default, con conseguente allocazione della stessa da parte dell’intermediario, ai sensi dell’IFRS9, in stage 3 [55].
Le Guidelines EBA hanno, altresì, previsto la facoltà per le banche e gli intermediari di adottare per le sole esposizioni al dettaglio (retail) una modalità alternativa di applicazione della definizione di default. Infatti, viene ammessa la possibilità che le esposizioni scadute/sconfinanti possano essere determinate anziché a livello di singolo debitore (quindi ricomprendendo il complesso delle esposizioni che il debitore ha verso l’intermediario), a livello di singola transazione. In tal caso, avremo che l’esposizione scaduta o sconfinante deve essere rilevata come scaduta e/o sconfinante qualora superi entrambe le seguenti soglie di rilevanza: a) limite assoluto pari a 100 euro; b) limite relativo dell’1%, dato dal rapporto tra l’ammontare complessivo scaduto o sconfinante e l’im­porto complessivo dell’intera esposizione creditizia, fermo restando che il requisito del superamento delle soglie deve persistere per 90 giorni consecutivi. Qualora, poi, l’intero ammontare di un’esposizione creditizia scaduta e/o sconfinante da oltre 90 giorni, rapportato al complesso delle esposizioni verso il me­desimo debitore, sia pari o superiore al 20%, il complesso delle esposizioni creditizie per cassa e “fuori bilancio” verso tale debitore va considerato come esposizione scaduta e/o sconfinante (c.d. “pulling effect”) [56].
Le nuove regole sulla definizione di default introducono significative novità anche con riferimento al tema dei cc.dd. past due tecnici, ovvero quelle situazioni di scaduto/sconfinamento prolungato che tuttavia non rappresentano un reale default della controparte. Le Guidelines EBA circoscrivono tale fattispecie a situazioni nelle quali i ritardi nei pagamenti da parte del debitore sono connessi esclusivamente a problemi tecnici di registrazione nei sistemi informativi della banca, e non a ragioni legate al rischio di credito della controparte o al suo comportamento nella gestione dei pagamenti prescrivendo che detti problemi siano identificati, registrati e rettificati [57].
Un simile radicale cambiamento di impostazione avrebbe potuto generare impatti molto rilevanti e non sono mancate vibranti proteste anche a livello associativo. Gli effetti, invece, sono risultanti meno significativi alla luce delle evo­luzioni degli ultimi anni, in cui sono stati sviluppati (e tuttora sono in continuo affinamento) da parte di banche e intermediari specifici sistemi di early warning che intercettano le posizioni in arretrato ben prima della scadenza dei 90 giorni, permettendo il rientro, prima del superamento delle soglie, delle situazioni non caratterizzate da effettive difficoltà di rimborso.
Come innanzi precisato, l’art. 178 del CRR prevede un’ulteriore ipotesi di default quando la banca, sulla base di una propria autonoma valutazione, giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alla sua obbligazione (UTP – Unlikeliness To Pay). In questa prospettiva, le Guidelines EBA individuano una serie di fattispecie (c.d. “UTP trigger”) nelle quali si può presumere che il requisito soggettivo sia verificato, cosi di fatto armonizzando (o forse sarebbe più corretto dire eliminando) la discrezionalità riconosciuta agli intermediari circa la possibilità di ricondurre una posizione unlikely to pay nel novero di quelle in default. Tra queste si segnalano, in particolare, le ipotesi nelle quali si sia verificata una “ristrutturazione onerosa” [58] del debito che comporti una remissione sostanziale di questo ovvero un differimento dei pagamenti in linea capitale, interessi o commissioni con una perdita superiore all’1% del debito originario, ovvero il fallimento del debitore, la presenza di accantonamenti specifici sull’esposizione secondo i principi contabili IFRS 9, nonché la perdita di fonti di reddito e l’au­mento del livello di leva finanziaria. 
Peraltro, rispetto agli UTP trigger dell’EBA meritano di essere menzionate anche le ulteriori indicazioni fornite, sotto il cappello delle previsioni di cui all’art. 178 del CRR, dalla Banca d’Italia nella Circolare n. 272/2008 (Matrice dei Conti) alla Sezione B), Capitolo 2, “Qualità del credito”, § 2.1, “Esposizioni creditizie deteriorate”, con specifico riguardo alle ipotesi in cui il debitore faccia ricorso a procedure di concordato preventivo ex art. 160 L. fall. ovvero Accordo di Ristrutturazione ex art. 182 bis L. fall. Ricorrendo simili circostanze, infatti, secondo Banca d’Italia, il complesso delle esposizioni verso debitori che hanno proposto il ricorso per concordato preventivo c.d. “in bianco” (art. 161 L. fall.) andrà segnalato tra le inadempienze probabili (unlikely to pay) dalla data di presentazione della domanda e sino a quando non sia nota l’evoluzione del­l’istanza [59]. 
Resta comunque fermo che le esposizioni in questione dovranno essere classificate tra le “sofferenze”: a) qualora ricorrano elementi obiettivi nuovi che inducano gli intermediari, nella loro responsabile autonomia, a classificare il debitore in tale categoria; b) le esposizioni erano già in “sofferenza” al momento della presentazione della domanda. 
Analoghi criteri, prosegue Banca d’Italia, si applicheranno nel caso di domanda di concordato con continuità aziendale (art. 186 bis L. fall.), dalla data di presentazione, sino a quando non siano noti gli esiti della domanda. In quest’ultimo caso la classificazione delle esposizioni andrà modificata secondo le regole ordinarie [60]. Un’ulteriore novità connessa alla nuova definizione di default attiene al c.d. “contagio del default”, in forza del quale, qualora sia applicata la nozione di default non a livello di singola linea ma a livello di singolo debitore – in caso di obbligazioni congiunte –, se il rapporto cointestato è in default il contagio si estende alle esposizioni dei singoli cointestatari, mentre se tutti i cointestatari sono in default il contagio si estende automaticamente alle esposizioni oggetto della cointestazione, salvo le eccezioni prevista dal § 97 delle Guidelines EBA [61]. Ciò anche alla luce del fatto che ora, se un cliente viene qualificato come in default presso una società del gruppo bancario, tale qualificazione si estende a tutte le società del gruppo ricomprese nel consolidamento, con conseguente attribuzione della medesima classificazione anche alle altre esposizioni detenute dal medesimo cliente presso i diversi intermediari facenti parte del medesimo gruppo. 
Da ultimo, la disciplina in esame regola le ipotesi di rientro in bonis da una situazione di default,prevedendo specifiche attività di controllo e introducendo un periodo minimo di mantenimento delle condizioni di “regolarizzazione” – il c.d. cure period –, in analogia a quanto già previsto per le esposizioni oggetto di misure di forbearance (sebbene di durata inferiore). In particolare, viene introdotto un periodo di tre mesi dal momento della sistemazione degli elementi che hanno generato il default, ovvero il rientro dalla situazione di sconfinamento, nel corso del quale il cliente dovrà mantenere una situazione di regolarità, che l’intermediario sarà tenuto a monitorare. 
È chiaro, quindi, l’obiettivo della previsione: ridurre i rischi di eccessiva volatilità nei passaggi di stato (visto che, in assenza di validi e robusti elementi a sostegno del miglioramento della capacità di rimborso del cliente, vi è il concreto rischio di un successivo, ulteriore default). Il monitoraggio riguarderà anche le eventuali nuove esposizioni sorte successivamente al passaggio a default, in particolare nel caso in cui i crediti in default successivamente siano stati venduti o annullati. 
Anche tutte le posizioni “propagate” dal default del cliente, se non presentano propri elementi di criticità, seguiranno il medesimo iter. Le banche, pertanto, dovranno monitorare con grande attenzione l’intero percorso temporale di “sistemazione” del debitore principale e degli eventuali soggetti connessi, al fine di rilevare eventuali ulteriori sconfinamenti oltre le soglie di materialità. Analogamente, per le posizioni di rischio oggetto di “ristrutturazione onerosa”, i §§ 72 e 73 delle Guidelines EBA prescrivono che indipendentemente dal fatto che tale ristrutturazione sia stata effettuata prima o dopo l’individuazione del default, le banche dovrebbero considerare che nessun indicatore del default continui ad applicarsi a una esposizione precedentemente in stato di default, nel caso in cui sia trascorso almeno un anno dall’ultimo di uno dei seguenti eventi: a) il momento della concessione delle misure di ristrutturazione; b) il momento in cui la esposizione è classificata come in stato di default; c) la fine del periodo di tolleranza incluso negli accordi di ristrutturazione [62]. 

Calendar provisioning
Tutta la regolamentazione finora esaminata in tema di crediti bancari (e relativa classificazione) avrebbe poco o nessun pregio se non beneficiasse – a monte – di quello che, a tutti gli effetti, può essere ritenuto uno degli interventi regolatori più dirompenti e invasivi della Vigilanza europea, ovvero l’introduzione del Calendar provisioning [63]. 
Quest’ultimo nasce dall’esigenza della BCE di migliorare la qualità degli attivi delle banche riducendo le esposizioni non performing in modo sostenibile, attraverso un piano graduale di accantonamento prudenziale. Esso si inserisce, peraltro, in un percorso, iniziato con le Linee Guida per le banche sui crediti deteriorati del marzo 2017 [64], con cui la BCE richiamava le banche a porre particolare attenzione sulla identificazione delle esposizioni non performing, sulla gestione delle stesse, sulla governance e sull’assetto organizzativo del processo di recupero. 
In particolare, la BCE, nelle citate Linee Guida, sottolineava l’importanza di una “contaminazione virtuosa” tra le due fasi di vita del credito, erogazione e recupero, “attraverso un meccanismo di regolare interazione, ad esempio per lo scambio di informazioni rilevanti ai fini della pianificazione degli afflussi di NPL, oppure per la condivisione di esperienze nel recupero degli NPL di cui tenere conto nell’erogazione dei nuovi prestiti”. In sostanza, le banche dovrebbero tener conto delle evidenze delle attività di recupero nel predisporre strategie di erogazione più efficienti, volte a ridurre sia lo “scivolamento” verso lo stato di default che la perdita finale (ad esempio, limitando esposizione verso alcuni settori merceologici, richiedendo garanzie personali o reali per le operazioni più impattanti sulla stima della perdita attesa, ridisegnando i prodotti di finanziamento utilizzati nelle proprie politiche creditizie oppure limitandone l’erogazione solo a determinate tipologie di clientela). 
Pare corretto, pertanto, concludere che le misure previste dal calendar provisioning non riguardano solo la gestione delle esposizioni già deteriorate, ma indirettamente si pongono l’obiettivo di contribuire a prevenirle (o almeno di ridurne l’impatto) già in fase di erogazione del finanziamento. Esse rafforzano la necessità di sviluppare strumenti che, già in fase di valutazione di una richiesta di finanziamento, permettano, al tempo, di ridurre il rischio di un passaggio a non performing [65], e di contenerne l’impatto in termini di perdita attesa ed assorbimento di capitale, mitigando anche gli impatti dei coefficienti di copertura minimi predisposti dalla BCE (ad esempio, favorendo esposizioni coperte da garanzie ammissibili che beneficiano di un calendario di svalutazione più graduale). 
Le Linee Guida sono state successivamente integrate nel marzo 2018 dalla BCE mediante l’Addendum sui crediti deteriorati [66], il quale prevede che, in funzione del tempo trascorso dal momento della classificazione come non-per­forming, le esposizioni deteriorate siano soggette a requisiti minimi di copertura, da conseguirsi attraverso rettifiche di valore o tramite deduzione dal patrimonio di vigilanza. Si tratta, in ogni caso, di un sistema di aspettative di vigilan­za aventi valore non vincolante e suscettibili di modifica nell’ambito del “dia­logo” tra vigilanza e intermediari vigilati, ma che il Single Supervisory Mechanism (SSM) ha inteso applicare in modo tendenzialmente rigoroso e uniforme. Il meccanismo, concepito per essere applicato ai soli nuovi crediti deteriorati emersi a partire dall’aprile 2018, nel luglio del medesimo anno è stato esteso – con un comunicato del SSM – anche allo stock di non-performing loan preesistenti, che dovranno anch’essi essere assoggettati a piena copertura, tendenzial­mente, entro il 2026, secondo tempi diversi per le singole banche, da definire nell’ambito dell’annuale “supervisory review and evaluation process” (SREP) [67].In forza di ciò, i crediti deteriorati emersi a far tempo dall’aprile 2018 dovranno essere svalutati al 100% per la parte del credito non garantita entro 2 anni dalla classificazione come NPL. 
Di contro, per la parte del credito assistita da garanzie la svalutazione sarà più graduale secondo la seguente ripartizione: 1) al 40% dopo 3 anni dalla classificazione con NPL; 2) al 55% dopo 4 anni dalla classificazione con NPL; 3) al 70% dopo 5 anni dalla classificazione con NPL; 4) all’85% dopo 6 anni dalla classificazione con NPL; 5) al 100% dopo 7 anni dalla classificazione con NPL.
Le iniziative della BCE hanno successivamente suscitato riserve da parte del Legislatore europeo. Per questo, nell’aprile 2019, la materia è stata oggetto del Reg. UE n. 630/2019, che modificando in parte il Reg. UE n. 575/2013 (CRR) ha introdotto un sistema di calendar provisioning obbligatorio (detto “backstop”) sui soli crediti erogati successivamente all’entrata in vigore del provvedimento. In altri termini, con il Reg. UE n. 630/2019 [68] è stata introdotta una nuova disciplina in tema di copertura minima per gli NPL, la quale impone un sistema di deduzione dal common equity Tier 1 (CET1) di ciascuna banca nella misura in cui non siano stati raggiunti determinati livelli di copertura minimi previsti dalla nuova normativa. Tale quadro regolamentare, inserito nel “primo pilastro”, non prevede margini di flessibilità (al contrario, quindi, delle aspettative di vigilanza di cui all’Adden­dum del 2018 della BCE) e si applica ai soli NPL generati da crediti erogati a partire dal 26 aprile 2019. Tenuto conto delle modifiche introdotte dal Legislatore europeo, BCE, a sua volta, con l’obiettivo di realizzare un coordinamento tra le varie disposizioni, nonché rimediare alla sopravvenuta esistenza di due sistemi di regole sulla copertura minima delle NPL, non del tutto coerenti tra loro, ha provveduto, nel­l’agosto 2019, ad emanare un nuova Comunicazione in merito alle aspettative di vigilanza sulla copertura delle NPE [69], chiarendo gli aspetti inerenti agli orientamenti sulle NPL pubblicati dall’EBA, fornendo maggiori dettagli in merito alle aspettative di vigilanza sugli accantonamenti per le consistenze di NPL e, soprattutto, illustrando l’interazione tra le aspettative della BCE relative alla copertura delle NPL nell’ambito del “secondo pilastro” e le norme prudenziali di “primo pilastro” coordinando, nella tabella di seguito riprodotta, le tempistiche di svalutazione delle esposizioni creditizie deteriorate secondo i due approcci regolamentari.
  
Comparazione della calibrazione fra il trattamento delle NPE nell’ambito del primo pilastro (CRR) ed Addendum BCE.
7 . L’impatto degli strumenti di regolazione della crisi sull’erogazione del credito bancario
Con il D.L. 24 agosto 2021, n. 118[70], il Legislatore, oltre a disporre il rinvio del termine di entrata in vigore del Codice della Crisi e dell’Insolvenza e ad apportare talune rilevanti modifiche all’attuale legge fallimentare, aveva provveduto ad introdurre nell’ordinamento l’innovativa procedura della Composizione negoziata per la soluzione delle crisi d’impresa [71] (di seguito, per brevità la “Composizione negoziata”) quale strumento messo a disposizione dell’imprenditore versante in una situazione di “probabile crisi o insolvenza” finalizzato al superamento della stessa tramite un accordo con uno o più creditori da raggiungersi grazie all’intermediazione di un terzo, l’Esperto indipendente, ed alla messa a disposizione di una serie di benefici (in particolare per l’imprenditore) miranti a sollecitare l’in­teresse delle parti coinvolte al raggiungimento di una soluzione non conflittuale. La successiva esigenza di provvedere al recepimento della Direttiva UE 2019/2023 (cd. Direttiva Insolvency) ha determinato l’ennesimo intervento correttivo al Codice della Crisi, realizzato attraverso il D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83 a mezzo del quale si è provveduto all’integrale riformulazione del Titolo II (artt. 12 – 25 undecies) ove è stata fatta confluire l’intera disciplina della Composizione negoziata, anch’essa innovata sotto taluni profili di disciplina. 
Risulta pertanto interessante riflettere sull’impatto che il ricorso da parte dell’imprese a detta procedura può eventualmente avere rispetto alle esposizioni creditizie di banche ed intermediari  
In primo luogo, pur non essendo la Composizione negoziata una procedura propriamente “concorsuale”[72], approcciando la stessa dal punto di vista della regolamentazione prudenziale, non può non valorizzarsi il presupposto oggettivo della Composizione negoziata, ovvero “le condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’in­solvenza” [73]. 
È chiaro allora che, dal punto di vista bancario, una simile controparte non potrà certamente continuare ad essere classificata in bonis, e non potrà essere classificata tale sia nell’ipotesi in cui l’impresa che ricorre alla Composizione negoziata abbia già dei rapporti di finanziamento (è ininfluente la forma tecnica) del tutto regolari presso banche o intermediari finanziari; sia nella diversa ipotesi in cui l’impresa abbia dei rapporti di finanziamento con impegni scaduti/ sconfinanti (anche non deteriorati, ovvero da non oltre 90 gg.). Al riguardo, in dottrina[74] si è discusso circa tale conclusione ritenendola soltanto in parte condivisibile in quanto l’impresa che accede alla Composizione negoziata sarebbe ancora in bonis (visto e considerato che l’imprenditore mantiene la gestione della stessa) e, soprattutto, valorizzando la “probabilità” che la stessa sia in crisi e/o insolvente; in altri termini, la “mera difficoltà” in cui versa l’impresa non integrerebbe ancora in sè gli estremi di una crisi vera e propria e, pertanto, una classificazione dell’esposizione creditizia a default –soprattutto in assenza di una richiesta di misure protettive da parte dell’impresa - non sarebbe del tutto coerente con le finalità proprie della Composizione negoziata.
Orbene, simile interpretazione risulta essere solo in parte condivisibile; banche ed intermediari sono chiamati – secondo l’approccio forward looking innanzi precisato – a monitorare nel continuo la qualità dei propri attivi e, con specifico riguardo alle esposizioni creditizie, a verificare con un approccio “previsionale” la capacità dei propri prenditori di credito (nel caso di specie le imprese) di generare in maniera costante flussi di reddito a servizio della debitoria (tipicamente tramite lo strumento del DSCR –debit service coverage ratio). Ne consegue, pertanto, che all’atto di accesso alla Composizione negoziata, beninteso anche in assenza di ricorso a misure protettive, i creditori finanziari molto probabilmente hanno già intercettato – attraverso i propri sistemi di monitoraggio interno – i segnali più o meno manifesti di una situazione di crisi o, peggio, di insolvenza[75] ed i cui riflessi si sono verosimilmente già prodotti sui rapporti bancari intrattenuti[76].
Tuttavia anche nell’ipotesi, peraltro paventata dalla citata dottrina, in cui i creditori finanziari non siano stati in grado di intercettare preventivamente segnali di difficoltà e, quindi, l’esposizione creditizia all’atto dell’accesso alla Composizione negoziata fosse ancora allocata in bonis, va da sé che si tratterebbe di una classificazione ben poco “durevole” giacchè sarà sufficiente attendere l’evoluzione della Composizione negoziata (la cui durata temporale complessiva è contenuta) e, quindi, le proposte formulate dall’impresa debitrice perché i creditori finanziari procedano con l’immediata revisione della posizione di rischio e conseguente classificazione a default[77].
In una prospettiva più generale, emerge in maniera prepotente la diversità e connesso difettoso coordinamento tra gli obiettivi propri della disciplina concorsuale e quelli della disciplina “prudenziale”; per quest’ultima, poco o nulla interessa la corretta qualificazione giuridica dei presupposti di accesso alla Composizione negoziata, ciò che conta è la puntuale e tempestiva rilevazione degli eventi di rischio sulle esposizioni creditizie e, quindi, la necessità di adeguati accantonamenti a presidio del rischio di credito. Ritenere, pertanto, che banche d intermediari possano – anche dinanzi alla Vigilanza – sostenere la classificazione in bonis  e/o underperforming (stage 2 secondo il principio IFRS9) di esposizioni creditizie verso imprese che accedono alla Composizione negoziata, seppur limitatamente alla fase introduttiva della Composizione negoziata, rischia di essere non del tutto compliant rispetto alla disciplina prudenziale nonchè esporre i medesimi anche ad inutili rischi di tipo sanzionatorio/reputazionale.
Ciò precisato, il passaggio successivo sarà quello di comprendere quale sia lo status – in termini di classificazione a default – che dovrà essere assegnato dalle banche, secondo le policy creditizie di ciascuna, rispetto ad imprese clienti che accedono alla Composizione negoziata. 
Al riguardo, pur ribadendo che la Composizione negoziata non è una procedura concorsuale, si ritiene tuttavia verosimile replicare, in via analogica, anche per queste posizioni di rischio, quanto prescritto dalla disciplina di vigilanza [78] per le ipotesi di ricorso a procedure di concordato preventivo ex artt. 160 ss. L. fall. o di Accordi di Ristrutturazione ex art. 182 bis L. fall., ovvero la classificazione delle esposizioni dovrà essere quella ad inadempienza probabile (unlikely to pay), ovvero a default, perlomeno fintanto che non sarà noto l’esito della procedura e sempre che non ricorrano elementi oggettivi e diversi da indurre gli intermediari a classificare l’esposizione “a sofferenza” o, ancora, l’esposizione risultasse già classificata “a sofferenza” prima del ricorso alla procedura di Composizione negoziata. 
Ne consegue che la classificazione ad “inadempienza probabile” dell’esposi­zione bancaria comporterà per la banca, attraverso l’effettuazione di una revisione della posizione di rischio da parte delle strutture preposte alla gestione di crediti cosi classificati, la determinazione di accantonamenti sulla posizione sulla base della valutazione analitica che dovrà essere condotta al fine di determinare quale sarà la presumibile percentuale di recupero del credito, anche escutendo le eventuali garanzie che assistono l’esposizione. Alla medesima conclusione si arriverebbe anche nell’ulteriore ipotesi nella quale l’impresa facendo ricorso alla procedura di Composizione negoziata richiedesse alle banche creditrici, nelle more delle trattative condotte con l’ausilio dell’esperto, una moratoria (ad esempio in quota capitale) su tutti i finanziamenti. Anche in tale circostanza, ritenendo assorbente lo stato di crisi e/o di insolvenza che induce l’impresa a ricorrere alla Composizione negoziata, la posizione dovrebbe essere allocata da bonis ad “inadempienza probabile”: e, ove la richiesta di moratoria venisse accolta (non necessariamente da tutti gli intermediari) la classificazione sarebbe arricchita dall’attributo forborne non performing, trattandosi di una misura di forbearance concessa alla controparte. E’ di tutta evidenza, infatti, che pur in assenza di misure protettive, la semplice richiesta di una moratoria sui pagamenti altro non è che una autodichiarazione di crisi rispetto alla quale, le banche creditrici non potranno astenersi dal procedere con la classificazione da bonis a default dell’esposizione.
Sarebbe possibile ipotizzare un’ulteriore ipotesi operativa, in ragione della previsione di cui all’art. 22, comma 1, lett. d) del Codice della Crisi – norma che prevede la possibilità per l’impresa di richiedere al Tribunale – in modalità decisamente semplificata – l’autorizzazione a contrarre finanziamenti (bancari e non solo) prededucibili ex art. 6 del Codice della Crisi[79]. – È verosimile interpretare tale previsione come finalizzata ad assicurare all’impresa “in crisi” il necessario sostegno finanziario per proseguire nell’attività e, quindi, superare lo stato di crisi in cui versa. Tuttavia se simile finalità può, in linea generale, essere condivisibile, esaminando la fattispecie dal punto di vista della disciplina prudenziale, non ricorrono elementi nuovi e diversi per sostenere che la posizione di rischio possa essere classificata in bonis da parte dell’intermediario che decidesse di concedere la finanza in prededuzione. 
La circostanza per la quale i finanziamenti sono assistiti dal beneficio della prededuzione (giudizialmente assegnato) non può essere ritenuto elemento sufficiente né idoneo per escludere la classificazione ad inadempienza probabile (unlikely to pay) dell’esposizione, anche in ottica Calendar provisioning. Semmai la prededuzione potrà rilevare come “garanzia” che assiste l’esposizione creditizia e, quindi, nella valutazione analitica, ridurre gli accantonamenti da appostare sulla posizione di rischio. Ne consegue che l’intermediario finanziatore – per quanto eventualmente anche diverso ed ulteriore rispetto a quelli aventi già esposizioni verso l’impresa – difficilmente potrà essere interessato a concedere detto supporto finanziario in prededuzione, salva l’ipotesi di classificare l’esposizione comunque ad inadempienza probabile ma applicando accantonamenti “minimi” in ragione delle garanzie assunte (si pensi ad esempio all’ipotesi di concessione di finanziamenti autoliquidanti assistiti dalla cessione del credito notificata ed in prededuzione).
A ben riflettere, sarebbe stato preferibile che l’intervento legislativo si fosse limitato a replicare, nella disciplina della Composizione negoziata, con specifico riguardo alla autorizzazione giudiziale alla assunzione di finanziamenti prededucibili, quanto previsto dall’art. 182 quinquies, comma 3, ultimo periodo della L. fall., il quale prevede la possibilità di autorizzazione giudiziale al “mantenimento delle linee di credito” in prededuzione. Ciò per una duplice ragione (anche pratica): 
1.  simile previsione avrebbe maggiormente incentivato le banche e gli intermediari già esposti verso l’impresa a partecipare con ancora più interesse alla Composizione (la quale, lo ricordiamo, ha per fine ultimo quello di favorire il superamento della situazione di crisi o di insolvenza), in quanto avrebbero potuto, acquisendo “anche” la prededuzione, continuare a prestare il sostegno finanziario necessario[80]; 
2.  pare francamente difficile che l’impresa possa, nei termini di 180 giorni di durata massima della procedura di composizione negoziata, individuare sul mercato altre banche o intermediari interessati a concedere “nuova finanza” per il sol fatto di essere in prededuzione.
Particolarmente problematica, inoltre, risulta la previsione di cui all’art. 18, comma 5 del Codice della Crisi (misure protettive), il quale dispone che “i creditori interessati dalle misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori rispetto alla pubblicazione dell’istanza di cui al comma 1”. In virtù di tale previsione, risulta evidente che banche e intermediari finanziari esposti verso l’impresa che abbia fatto ricorso alla Composizione negoziata si troveranno, in forza di detto evento, nell’impossibilità di revocare le linee di credito o di modificarle o renderle più onerose (aumentano i tassi di interesse applicati) in danno dell’impresa. 
Diversamente pare plausibile ritenere che una revoca delle linee o un rifiuto di esecuzione del contratto pendente (ad es. la lavorazione di una nuova presentazione al “salvo buon fine” di portafoglio commerciale) o, ancora, una modifica della scadenza (passando da fidi a revoca a fidi a scadenza), od ancora un aumento delle condizioni economiche applicate, sarà comunque esperibile ove, a fondamento della stessa, vi siano ragioni ben diverse dal ricorso dell’impresa alla procedura di Composizione negoziata.
Nell’ipotesi nella quale, tuttavia, non vi siano ragioni distinte e sufficienti perché le banche possano procedere con la revoca degli affidamenti concessi, la conseguenza ulteriore sarà quella per cui, in ipotesi di finanziamenti il cui “accordato” non è – alla data di efficacia delle misure protettive richieste dal­l’im­presa – pienamente “utilizzato”, le banche non solo saranno costrette a consentire (subire) il loro successivo pieno utilizzo ma, soprattutto, si troveranno nella condizione di dover classificare “a credito deteriorato” l’intera esposizione e non già l’esposizione nelle misura (verosimilmente minore) pari all’utilizzato sussistente al momento dell’avvio della procedura di Composizione negoziata. In altri termini, per le banche, il danno sarebbe duplice: aumento dell’esposizione nominale da appostare a credito deteriorato e, di conseguenza, necessità di maggiori accantonamenti.
Un significativo miglioramento è stato invece apportato alla previsione – oggi riprodotta all’art. 16, comma 5 del Codice della Crisi – disciplinante le c.d. “misure impeditive” rivolte a banche ed intermediari finanziari laddove è stato precisato che sebbene l’accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisca di per sé causa di sospensione o di revoca degli affidamenti bancari concessi, «in ogni caso la sospensione o la revoca degli affidamenti possono essere disposte se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, con comunicazione che dà conto delle ragioni della decisione assunta»[81]. La ratio della previsione è chiara: poiché le banche sono, di regola, i principali creditori dell’impresa che dovesse accedere ad un percorso di ristrutturazione del proprio passivo, si è ritenuto indispensabile replicare anche all’interno del percorso “negoziale” della Composizione negoziata i medesimi meccanismi di automatic stay tipici delle procedure concorsuali propriamente dette, nel tentativo di evitare fughe in avanti dei creditori bancari e, soprattutto, assicurare una prospettiva di possibile concreta negoziazione tra l’imprenditore e le banche.
La previsione risulta interessante giacché pare plausibile interpretare la stessa nel senso che le banche ed intermediari non soltanto potranno disporre la revoca e/o la sospensione degli affidamenti per ragioni di ordine diverso rispetto al mero accesso alla Composizione negoziata da parte di un’impresa affidata (quali ad esempio percentuali anomale di insoluti sul portafoglio anticipato, ovvero distrazione di incassi su portafoglio anticipato che l’impresa abbia volutamente “decanalizzato” presso altro intermediario): ma, in aggiunta, potrebbero procedere con la revoca e/o la sospensione degli affidamenti anche per ragioni di ordine “prudenziale”, cosi evitando l’ulteriore effetto negativo che per le stesse potrebbe prodursi nel momento in cui l’impresa, contestualmente all’istanza di accesso alla Composizione negoziata, abbia pure fatto richiesta delle misure protettiva di cui all’art. 18 del Codice, ovvero il rischio di non poter “rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti” e, quindi, dover mantenere disponibile all’impresa l’eventuale margine di accordato presente (o che si dovesse nuovamente rendere disponibile dopo lo “scarico” di partite di portafoglio anticipate prima dell’istanza di accesso alla Composizione negoziata) sulle linee di credito pendenti.
Il combinato disposto di tali regole, unitamente alla rilevazione e conseguente classificazione della posizione di rischio come “credito a default”, comporterebbe infatti l’effetto di costringere le banche – sotto lo specifico profilo della disciplina prudenziale (tra tutti il principio di sana e prudete gestione) – ad apportare maggiori e crescenti accantonamenti in bilancio rispetto al momento iniziale di accesso alla Composizione negoziata.
Onde evitare abusi, la previsione in esame impone alle banche, nel momento in cui in forza della disciplina prudenziale e, quindi, al fine di assicurare una pronta e tempestiva rilevazione e classificazione dei crediti deteriorati, di precisare le motivazioni sottostanti nella comunicazione di revoca e/o la sospensione degli affidamenti. Un simile presidio è ragionevole quanto opportuno, fermo restando che sarà altrettanto verosimile che le palesate “ragioni prudenziali” sottese alla comunicazione di sospensione o revoca rimarranno poco o nulla comprensibili dal punto di vista dell’impresa.
8 . Casi pratici di interazione tra proposta del debitore e regolamentazione bancaria
Il ricorso dell’impresa alla procedura di Composizione negoziata ha per fine ultimo quello di superare la probabile situazione di crisi o di insolvenza in cui la stessa rischia di trovarsi. Chiare in tal senso sono le indicazioni desumibili dall’art. 12, comma 1 del Codice della Crisi nel momento in cui ammette la possibilità per l’imprenditore di accedere alla Composizione negoziata “(…) quanto risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa”, nonché dall’art. 17, comma 5 del Codice della Crisi ove viene assegnato all’esperto indipendente, una volta accettato l’incarico, il compito di convocare senza indugio l’imprenditore per valutare l’effettiva o meno esistenza di una concreta prospettiva di risanamento dell’impresa. Nell’ipotesi in cui queste prospettive non dovessero essere ravvisate, l’esperto sarà tenuto a darne notizia all’impren­ditore ed al Segretario della CCIAA, ai fini della conseguente archiviazione dell’istanza di Composizione negoziata. 
Ciò precisato, funzionale evidentemente a porre a monte un filtro di “meritevolezza” che in qualche maniera dovrebbe/potrebbe impedire un abuso da parte delle imprese nel ricorso alla procedura di Composizione negoziata, occorre a questo punto indagare quelle che potrebbero essere le possibili proposte – ai sensi dell’art. 23 del Codice della Crisi – formulabili dall’impresa [82] ai propri creditori (finanziari in particolare) ad esito delle trattative e, per quanto di nostro interesse, gli impatti che ciascuna proposta potrebbe avere dal punto di vista dei creditori finanziari.
La prima proposta, ad esito (evidentemente positivo) delle trattative condotte, potrebbe essere quella di concludere, con uno o più creditori (ad esempio con i soli creditori finanziari), un contratto (di natura privatistica) che porti ad una riduzione delle esposizioni debitorie complessive (ovvero che produca gli effetti premiali di cui al successivo art. 25 bis, comma 1 del Codice della Crisi) e che sia “idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferire a due anni”.
In prima lettura, una simile soluzione, dal punto di vista dei creditori finan­ziari, non appare particolarmente attraente per le ragioni di seguito specificate. Una volta ribadito che le esposizioni di rischio vantante da ciascun creditore finanziario coinvolto dovrebbe essere già classificata a default (inadempienza probabile) per il solo fatto che l’impresa ha attivato la procedura di Composizione negoziata, o comunque lo sarebbe subito dopo l’avvio della stessa, i due profili caratterizzanti detta proposta, ovvero la riduzione dell’esposizione creditizia e, soprattutto, la circostanza che detto “contratto” sia idoneo ad assicurare la continuità aziendale per almeno due anni [83], equivalgono a dire che le banche dovranno procedere a rinegoziare i finanziamenti in essere, stralciando nel contempo in quota capitale o in quota interessi una parte dei rispettivi crediti, e si troveranno con un’esposizione creditizia verso una controparte che, verosimilmente, ha un orizzonte temporale di “vita” di soli due anni [84]. A questo si aggiunga che l’eventuale utilizzo delle linee rinegoziate all’interno dell’accordo e, soprattutto, le nuove eventuali linee di credito, assistite da garanzie reali prestate dall’impresa ad esempio, che dovessero essere concesse alla stessa non potranno accedere neanche al beneficio della prededuzione [85], mentre saranno esposte al rischio di revocatoria fallimentare se, al termine dei due anni, interviene il fallimento dell’impresa con conseguente declaratoria di inefficacia dei pagamenti ricevuti e delle garanzie assunte nel “periodo sospetto” [86]. 
Dal punto di vista della regolamentazione bancaria, l’esposizione sarà verosimilmente da classificare a default, ovvero inadempienza probabile con attributo forborne non performing, fermo restando che ove nel corso del contratto, ovvero al termine dei 2 anni di durata di esso, la temporanea crisi che ha investito l’azienda non abbia trovato una soluzione positiva (e quindi dall’analisi dei bilanci e business plan non emerga la capacità dell’impresa di produrre flussi di cassa sufficienti a servizio del rimborso del debito), la posizione di rischio verrà verosimilmente classificata a sofferenza. 
Di contro, nell’auspicata ipotesi in cui, ad esito dei due anni di durata dell’accordo, l’azienda sia effettivamente riuscita a superare la situazione di crisi, non è da escludere che la posizione di rischio possa intraprendere il graduale percorso di rientro in bonis presso gli intermediari con decorrenza dei susseguenti periodi di cure period (1 anno) e successivo probation period (2 anni). Alle medesime conclusioni possiamo pervenire anche con riguardo alla seconda tipologia di “proposta” che, ad esito della Composizione negoziata, l’imprenditore potrebbe formulare ai suoi creditori (anche) finanziari, ovvero la Convenzione di moratoria ex art. 62 del Codice della Crisi (disposizione che ricalca quanto già previsto, proprio con riguardo ai creditori bancari, dall’art. 182 septies L. fall.). 
Lo strumento consente all’imprenditore di concludere con i suoi creditori una convenzione diretta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi ed avrà per oggetto la dilazione delle scadenze dei crediti; la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative, ed ogni altra misura che non comporti rinuncia al credito. La peculiarità dell’accordo così concluso è che, in deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c., questo è efficace anche nei confronti dei creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria, a condizione che gli aderenti costituiscano almeno il 75% di tutti gli appartenenti alla stessa. 
In questi termini, la Convenzione di moratoria appare, pertanto, più uno strumento finalizzato a “prendere tempo” per traghettare l’impresa verso una successiva e diversa procedura concorsuale. In ogni caso, con la Convenzione di moratoria, non potranno essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti. Pertanto le banche coinvolte potranno a quel punto revocare le linee di credito e procedere con l’escussione delle eventuali garanzie (di terzi) assunte a suo tempo.
La terza “proposta” formulabile dall’imprenditore è la possibilità – ad esito delle trattative condotte – di concludere un accordo con i creditori (e sottoscritto anche dall’esperto indipendente) che produce gli effetti di cui all’art. 166, comma 3, lett. d) e 324 del Codice della Crisi. Anche in tale ipotesi, benché la previsione nulla aggiunga in ordine alla preordinazione dell’accordo a consentire il risanamento dell’impresa, è di tutta evidenza che essendo la norma collocata all’interno del corpus della “Composizione negoziata della crisi d’impresa”; ed avendo quest’ultima l’obiettivo di risolvere (positivamente) la crisi, la finalità sia il medesima. Simili accordi risultano tuttora utilizzati e, quindi, dal punto di vista delle banche non costituiscono una effettiva novità. Si tratta di accordi che vengono adottati allorquando la situazione di potenziale crisi dell’impresa è ancora governabile e, quindi, la prospettiva di un rientro in bonis è fondata. 
Dal punto di vista delle banche, prevedendo detti accordi il beneficio della esenzione dalla revocatoria fallimentare per gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse dall’impresa in esecuzione del “Piano”, possono risultare interessanti soprattutto nella misura in cui rispetto a posizioni di credito chirografarie vengono assunte delle garanzie a maggior tutela del credito. Detti accordi possono, altresì, risultare di interesse per le banche creditrici se, ad esempio, riescano ad ottenere l’integrale rimborso delle esposizioni pregresse (eventual­mente acquisendo la cessione dei crediti e relativa notifica ai terzi debitori ceduti), erogando eventualmente nuove linee di credito che beneficino dell’esenzione dal rischio di revocatoria. L’eventuale successo di simili accordi si riverbera anche sulla classificazione di rischio, in quanto nella misura in cui l’accordo consente di riportare l’impresa in una condizione di normale esercizio e la stessa è in grado di generare reddito e, quindi, provvedere al regolare rimborso dei debiti, la posizione da “credito deteriorato” (eventualmente anche in questo caso assistito da misura di forbearance – ad es. la riduzione del tasso di interessi o l’allungamento dell’ammortamento dei finanziamenti –) potrà rientrare in bonis con il beneficio, per la banca, di recuperare gli accantona­menti inizialmente appostati.
Infine, merita di essere indagata l’assoluta novità, tra i possibili esiti della procedura di Composizione negoziata, rappresentata dal Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Si tratta, come detto, di una innovazione molto rilevante introdotta dal legislatore, che tuttavia rischia di essere particolarmente pericolosa per i creditori finanziari. Nell’ipotesi in cui, ad esito delle trattative condotte nel procedimento di Composizione negoziata, non si riesca a raggiungere alcun accordo tra l’impresa e, per quanto di interesse in questa sede, i creditori finanziari, viene riconosciuta all’imprenditore la possibilità, nei 60 giorni successivi al deposito della relazione finale dell’esperto indipendente, a chiusura del procedimento di Composizione negoziata, di presentare innanzi al Tribunale una proposta di concordato “per cessione dei beni, unitamente al piano di liquidazione” ed alla documentazione a corredo. 
Una prima considerazione risulta già formulabile: la previsione di legge prevede soltanto un concordato di tipo liquidatorio: quindi, per le banche creditrici, lo scenario è assolutamente gone concern, con conseguente immediata classificazione della posizione a default. A ciò si aggiunga che la nuova procedura di Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, a differenza della procedura di concordato preventivo ex art. 160 della previgente legge fallimentare – la quale prevedeva, all’ultimo comma, in ogni caso una soglia minima di soddisfo per i creditori chirografari del 20% – nulla dispone in tal senso. Il ché equivale ad ammettere che la procedura di Concordato semplificato possa anche prevedere percentuali di pagamento ben inferiori alla predetta soglia minima del 20%! 
Non solo, la procedura di Concordato semplificato si connota anche per il fatto che i creditori non saranno chiamati a votare sulla proposta ma il Tribunale, nel momento in cui rileva che la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare, procederà, salvo opposizioni dei creditori, con l’omologa della proposta concordataria. È di tutta evidenza che una simile soluzione sia nefasta per i creditori finanziari, non tanto perché viene eliminata la percentuale minima di soddisfo ma soprattutto perché in un arco temporale decisamente breve (stimabile all’incirca in un anno) saranno costretti, in assenza di garanzie capienti che assistano l’esposizione creditizia, a procedere alla sua integrale svalutazione, con i conseguenti effetti negativi sui bilanci delle banche, paradossalmente anche anticipando le tempistiche definite con il Calendar provisioning.
Risulta, in conclusione, evidente che l’introduzione del nuovo procedimento di composizione negoziata della crisi d’impresa si riverbererà – in senso ancora più restrittivo – sulle politiche creditizie di banche ed intermediari finanziari in quanto questi ultimi, nell’ottica di salvaguardare i propri ratios patrimoniali, saranno costretti a indagare in maniere ancora più approfondita lo stato di salute delle imprese richiedenti credito e, nel contempo, applicheranno condizioni di pricing che saranno tanto più elevate quanto minori saranno le garanzie acquisibili a tutela del credito.

Note:

[1] 
Il presente lavoro rappresenta la integrazione di un contributo che è destinato a confluire, con gli eventuali aggiornamenti ed integrazioni del caso, nella seconda edizione - di prossima pubblicazione per i tipi di Giappichelli Editore - dell'opera collettanea "Il ruolo dell'esperto nella composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa", curata da S. Bonfatti, R. Guidotti e M. Tarabusi. In particolare, il paragrafo 2 del contributo riproduce integralmente il paragrafo 3 dell'opera collettanea, scritto dai co-autori Sergio di Nola e Lucia Sonnati. I riferimenti contenuti in talune note hanno per l'appunto riguardo all'opera collettanea menzionata.
[2] 
Pubblicato nella GUUE 29 novembre 2016, n. L. 323, p. 5 ss.
[3] 
A. Lionzo, L’impairment nelle banche: l’evoluzione dei principi contabili e le loro implicazioni organizzative e di bilancio, in F. Cesarini (a cura di), I crediti deteriorati nelle banche italiane, Giappichelli, Torino, 2017, p. 23 ss.; L. De Angelis, Le regole contabili degli NPL, in Dir. banca, 2019, 1, II, p. 15 ss.
[4] 
D. Busso, IAS 39. Strumenti finanziari: rilevazione e valutazione, in IAS/IFRS, a cura di F. Dezzani, P.P. Biancone, D. Busso, Ipsoa, Assago, 2016, p. 1547 ss.
[5] 
Il principio IFRS9 richiede di utilizzare per la determinazione del significativo deterioramento del rischio di credito tutte le informazioni disponibili in banca. Tali informazioni includono anche previsioni sulle future condizioni economiche, avendo comunque cura di precisare che il riferimento è alle sole informazioni disponibili “senza sforzi o costi eccessivi” (5.5.9), per esempio perché già utilizzate a fini di financial reporting (B5.5.49). Viene inoltre specificato che non è necessario intraprendere una “exhaustive search per determinare se il rischio di credito è aumentato in maniera significativa a partire dalla rilevazione iniziale dello strumento (B5.5.5.15).
[6] 
AIFIRM – Associazione Italiana Financial Industry Risk Managers, Il principio contabile Ifrs 9 in banca: la prospettiva del Risk Manager, Position Paper n. 8, dicembre 2016, consultabile nel sito www.aifirm.it; U. Bocchino, Recepimento dell’Ifrs 9: semplificazione e complessità, gli opposti che si attraggono per le problematiche degli operatori domestici, in www.diritto bancario.it, 2018, p. 1 ss.;  A. Guiotto, Il finanziamento bancario e i rapporti tra banca e impresa, in Fallimento, 2021, 10, p. 1199 ss.
[7] 
Al § 5.5.11 del principio contabile IFRS 9, nel definire il concetto di “aumento significativo del rischio di credito” ai fini della classificazione delle esposizioni performing in stage 2, si afferma che “l’entità può utilizzare le informazioni sul livello dello scaduto per stabilire se vi sono aumenti significativi del rischio di credito […] indipendentemente dal modo in cui l’entità valuti aumenti significativi del rischio di credito, vi è una presunzione relativa che il rischio di credito dell’attività finanziaria è aumentato significativamente dopo la rilevazione iniziale quando i pagamenti contrattuali sono scaduti da oltre 30 giorni. L’entità può confutare tale presunzione qualora abbia informazioni ragionevoli e dimostrabili, disponibili senza eccessivi costi o sforzi, che dimostrano che il rischio di credito non è significativamente aumentato dopo la rilevazione iniziale anche se i pagamenti contrattuali sono scaduti da oltre 30 giorni”.
[8] 
Occorre precisare che, ai sensi dell’IFRS9, rientrano in detto Stage 3 anche le esposizioni che risultano deteriorate alla data del loro acquisto (ad esempio da altra banca o intermediario finanziario) o a quella in cui sono originate, anche se proveniente da aggregazione aziendale (fusioni tra banche); vengono denominate “Attività finanziarie impaired acquisite o originate” (POCI – Purchese or Originated Credit Impaired).
[9] 
I bilanci degli istituti di credito nazionali hanno risentito inferiormente della crisi iniziale dei mutui subprime e Alt-A in quanto, come emerso da una rilevazione di Banca d’Italia, soltanto poche banche italiane avevano erogato mutui verso il mercato immobiliare americano o con tecniche finanziarie similari. Sul punto si veda, Banca d’Italia, Relazione annuale per l’anno 2007, 31 maggio 2008 p. 247 ss.
[10] 
Sull’appesantimento della situazione patrimoniale sul rischio di credito connesso al rientro dei capitali prestati si veda, M. Affinito, L’Europa delle banche, Laterza, Roma-Bari, 2019, p. 108 ss.; G. De Laurentis, Il rischio di credito. I fidi bancari nel nuovo contesto teorico, normativo e di mercato, Egea, Milano, 1994, p. 21 ss.
[11] 
G. Napolitano, Uscire dalla crisi. Politiche pubbliche e trasformazioni istituzionali, il Mulino, Bologna, 2012.
[12] 
G. Fonderico, G. Vesperini, Il salvataggio pubblico delle banche, in G. Napolitano, Uscire dalla crisi. Politiche pubbliche e trasformazioni istituzionali, il Mulino, Bologna, 2012, p. 197 ss.
[13] 
Banca d’Italia, Italian Banks: where they stand and the challenges ahead, 19 febbraio 2018, p. 3 ss.
[14] 
Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziari al 31 dicembre 2017 (01/2018), 31 dicembre 2016 (01/2017), 31 dicembre 2015 (01/2016).
[15] 
G. Gallo, I crediti deteriorati. Tecniche di gestione negoziale: cessione e ristrutturazione, in dirittobancario.it.
[16] 
A. Sciarrone Alibrandi, I non performing Loan. Un quadro d’insieme, in F. Cesarini, I Crediti Deteriorati nelle banche italiane, Giappichelli, Torino, p. 3. Sul tema dell’eccessiva assunzione dei rischi e sottovalutazione dell’incertezza in modo sistematico da parte degli intermediari finanziari risultano molto penetranti le osservazioni di F. Denozza, I conflitti di interesse nei mercati finanziari e il risparmiatore “imprenditore di sé stesso”, in Aa.Vv., I servizi del mercato finanziario. In ricordo di Gerardo Santini, Giuffrè, Milano, 2009.
[17] 
Le autorità europee di vigilanza (AEV) ricomprendono l’Autorità bancaria europea (ABE), l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (European Insurance and Occupational Pensions Authority, EIOPA) e l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (European Securities and Markets Authority, ESMA). L’AEV compone il Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF) assieme al Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS) e le autorità nazionali di vigilanza. Per un approfondimento si veda F. Capriglione, L’ordinamento finanziario italiano, I, Cedam, Padova, 2010.
[18] 
Il Single Supervisory Mechanism (o MVU) è il sistema europeo di vigilanza bancaria che comprende la BCE (la BCE esercita la vigilanza diretta su 113 banche significative dei paesi partecipanti, che detengono quasi l’82% degli attivi bancari totali, c.d. “significant”) e le autorità di vigilanza nazionali dei paesi partecipanti (che esercitano vigilanza diretta sugli enti meno significativi, c.d. “less significant”) (Fonte: https://www.bankingsupervision.europa.eu/about/thessm/html/index.it.html). Sul punto si veda M. Affinito, L’Europa delle banche, Laterza, Roma-Bari, 2019, p. 148 ss.
[19] 
BCE, Linee guida per le banche sui crediti deteriorati − Governance e assetto operativo nella gestione degli NPL, marzo 2017, p. 4, ove vengono richiamati studi della BCE e di altri organismi internazionali, come ad esempio il documento di discussione del Fondo monetario internazionale (FMI) dal titolo Strategy for Resolving Europe’s Problem Loans.
[20] 
BCE, Linee guida per le banche sui crediti deteriorati − Governance e assetto operativo nella gestione degli NPL, marzo 2017, p. 39 ss.
[21] 
Sul ruolo del capitale del patrimonio di vigilanza e dei coefficienti patrimoniali, si veda M. Comana, Vigilanza sul capitale e gestione strategica della banca, i coefficienti patrimoniali, Egea, Milano, 1990; Commissione Parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario, Le norme europee sul calendar provisioning e sulla classificazione della clientela da parte delle banche, Audizione del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, 10 febbraio 2021. 
[22] 
Per un approfondimento si veda Market Watch NPL, Banca IFIS, settembre 2021, che stima che nel biennio 2022-2023 il nuovo deteriorato nelle banche italiane su famiglie e imprese residente sia in crescita (circa 70 mld € nei due anni), senza però raggiungere i livelli del 2013 sia in valore assoluto che in termini percentuali.
[23] 
A. Brugnoli, Impairment test. Profili applicativi e contabili secondo i principi OIC e IFRS, Giuffrè, Milano, 2021; A. Lionzo, Il giudizio di impairment. Profili valutativi e riflessi sui processi organizzativi e gestionali, Franco Angeli, Milano, 2007.
[24] 
M. Rutigliano, op. cit., p. 127 ss.
[25] 
M. Giannantonio C. Mutti, op. cit.
[26] 
L’obiettivo è stato quello di creare una macro-categoria che superasse le pregresse differenze e ne ampliasse il perimetro. Non a caso, la definizione di NPE ricomprende sia la nozione di credito impairment sia quella regolamentare di credito default.
[27] 
BCE, Linee guida per le banche sui crediti deteriorati − Governance e assetto operativo nella gestione degli NPL, marzo 2017, p. 54.
[28] 
BCE, Linee guida per le banche sui crediti deteriorati − Governance e assetto operativo nella gestione degli NPL, marzo 2017, p. 54.
[29] 
R. Costi, L’ordinamento bancario, il Mulino, Bologna, 2012.
[30] 
Si veda Allegato V, Parte 2, § 262 degli ITS.
[31] 
EBA/GL/2016/07, Orientamenti sull’applicazione della definizione di default ai sensi del­l’articolo 178 del regolamento (UE) n. 575/2013, consultabile all’indirizzo https://eba.europa.eu/sites/default/documents/files/documents/10180/1721448/bd010ddec3084057ae9c842c2462a7ec/Guidelines%20on%20default%20definition%20(EBA-GL-2016-07)_IT.pdf.
[32] 
Regolamento delegato UE 171/2018, Standard Tecnico di Regolamentazione sulla soglia di mate rialità dei crediti scaduti (past due) ai sensi dell’art. 178 del Regolamento europeo N° 575/2013(EBA/ RTS/2016/06) consultabile all’indirizzo web https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32018R0171&from=en. 
[33] 
Disponibile all’indirizzo https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/circolari/c139/. 
[34] 
Tale valutazione deve essere operata in modo indipendente dalla presenza di eventuali importi (o rate) scaduti e non pagati.
[35] 
Pubblicato in G.U.U.E. del 20 febbraio 2015 n. L. 48.
[36] 
Disponibile al seguente indirizzo internet: https://www.eba.europa.eu­/docu­ments/10180/2668883/EBA+BS+2018+358+Final+report+on+GL+on+NPE_FBE_IT.pdf/0f53b86c-9ca54099-9f08-a67940be7d39.
[37] 
Pubblicato in G.U.U.E. del 25 aprile 2019 n. L. 111.
[38] 
La BCE nelle proprie Linee Guida per le Banche sui crediti deteriorati del marzo 2017 ha trattato, al capitolo 4, il tema delle misure di concessione distinguendo le stesse tra misure di breve termine (ovvero misure di durata non eccedente i 2 anni e finalizzate a fronteggiare difficoltà finanziare nel breve periodo), e misure di lungo termine, di durata maggiore.
[39] 
Indicativo in tale senso è il paragrafo 150 delle GDL/EBA/2018/06 il quale dispone: «Allo scopo di attuare le misure di concessione, gli enti creditizi dovrebbero essere capaci di individuare in una fase precoce i segnali di possibili difficoltà finanziarie future. A questo scopo, la valutazione della situazione finanziaria del debitore non dovrebbe limitarsi alle esposizioni con segnali evidenti di difficoltà finanziarie. Una valutazione sulla sussistenza di difficoltà finanziarie dovrebbe essere condotta anche per le esposizioni per le quali il debitore non ha difficoltà finanziarie apparenti, ma le condizioni di mercato sono cambiate in misura significativa tanto da poter incidere sulla capacità di rimborso (ad es. prestiti bullet nei quali il rimborso si basa sulla vendita di beni immobili, oppure prestiti in valuta estera).».
[40] 
Il rimborso integrale alla scadenza non deve essere considerato verosimile a meno che il debitore abbia effettuato pagamenti regolari e a scadenza pari ai seguenti importi: a) l’importo in arretrato prima che la misura di concessione fosse accordata, nei casi in cui vi erano importi arretrati; b) l’importo che è stato cancellato contabilmente in forza delle misure di concessione, se non vi erano importi in arretrato.
[41] 
Per completezza espositiva deve evidenziarsi che rispetto agli anni passati, nei quali la vigilanza ha concentrato la propria attenzione sulla gestione dei crediti Npl, attualmente l’interesse della Vigilanza è invece concentrato sulla fase di erogazione del credito. Significative in tale senso sono le Guidelines/GDL/EBA/2020/06 del 29 maggio 2020 recanti Orientamenti in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti. Per un esame approfondito del contenuto delle Guidelines di EBA si rinvia a AIFIRM, Rischio di Credito 2.0., Position Paper n. 30, agosto 2021, consultabile in www.aifirm.it.
[42] 
Al Capitolo 2, § 2.6 delle Linee Guida BCE è peraltro precisato che le banche con NPL elevati devono comunicare la propria strategia per gli NPL, incluso il piano operativo, ai rispettivi gruppi di vigilanza congiunti (GVC) nel primo trimestre di ciascun anno solare. Per un esame del documento si rinvia a Callegaro, Le novità delle Linee Guida BCE sulla gestione degli NPL. Analisi del documento di consultazione, in rivista on line www.dirittobancario.it, 2016.
[43] 
Alle Linee Guida BCE hanno poi fatto seguito gli Orientamenti sulla gestione delle esposizioni deteriorate e oggetto di concessione emanati dall’EBA in data 31 ottobre 2018 con le GDL/EBA/2018/06 reperibili all’indirizzo https://www.eba.europa.eu/documents/10180/2668883/ 
[44] 
Al riguardo, le Linee Guida BCE hanno cura di precisare che “Le condizioni macroeconomiche svolgeranno un ruolo chiave nella definizione della strategia per gli NPL; un approccio dinamico è il metodo più appropriato per tenerne conto. Confluiscono in questo quadro anche gli andamenti del mercato immobiliare e dei suoi segmenti specifici rilevanti. Per le banche che presentano particolari concentrazioni settoriali nei propri portafogli di NPL (ad esempio trasporti o agricoltura), andrebbe svolta un’analisi esaustiva e costante delle dinamiche di settore da incorporare nella strategia. Una riduzione del rischio derivante dagli NPL può essere realizzata e dovrebbe essere perseguita anche in condizioni macroeconomiche meno favorevoli”.
[45] 
Si rinvia in particolare all’Allegato 4 delle Linee Guida BCE nel quale sono riportati, in via esemplificativa e non esaustiva, le tipologie di indicatori di allerta precoce suggeriti dalla Vigilanza.
[46] 
Le Linee Guida BCE, sotto il profilo specifico della governance, prescrivono che l’Organo di Amministrazione abbia il pieno controllo sul processo di ideazione ed esecuzione della strategia e piano operativo in tema di NPL.
[47] 
Le banche, secondo le Linee Guida BCE, sono chiamate a costituire unità di gestione e definizione degli NPL separate e specializzate, per contribuire ad eliminare i potenziali conflitti di interesse con le unità preposte alla concessione dei prestiti e per assicurare sufficienti competenze sugli NPL nonché, al contempo, creare diverse unità dedicate agli NPL per le diverse fasi del ciclo di vita degli NPL con chiari e definiti criteri di passaggio di attribuzione da un’unità all’al­tra di: a) posizioni che presentano lievi ritardi di pagamento; b) posizioni scadute con maggiore anzianità/ristrutturate/oggetto di concessioni; c) liquidazioni/crediti a recupero/procedi­menti giudiziari/escussioni; d) gestione delle garanzie escusse (o di altre attività derivanti dagli NPL).
[48] 
La cessione di portafogli a operatori specializzati può rappresentare la soluzione più veloce per ridurre e/o eliminare i crediti deteriorati dai bilanci aziendali, ma il differenziale di valore può generare un significativo impatto negativo sul conto economico delle banche e, conseguentemente, sull’adeguatezza patrimoniale. A ben vedere, la cessione sul mercato dei crediti deteriorati rappresenta un’opzione perseguibile nel breve termine da quelle banche che: a) hanno già svalutato ampiamente i crediti deteriorati; b) hanno redditi sufficienti per assorbire il costo delle svalutazioni, che incide negativamente su una redditività già molto bassa per l’intero sistema bancario; c) hanno sufficiente capitale per assorbire le eventuali perdite derivanti dalle svalutazioni.
[49] 
Le GACS (garanzie sulla cartolarizzazione delle sofferenze) sono garanzie concesse dallo Stato, in conformità a decisioni della Commissione europea, finalizzate ad agevolare lo smobilizzo dei crediti in sofferenza dai bilanci delle banche e degli intermediari finanziari aventi sede legale in Italia.
[50] 
Il documento è disponibile all’indirizzo https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/orientamenti-vigilanza/Linee-Guida-NPL-LSI.pdf.
[51] 
Pubblicato in GUUE 27 giugno 2013, n. L. 176.
[52] 
Il conteggio dei giorni consecutivi di scaduto inizia dal giorno successivo alla data contrattualmente prevista per un pagamento (es. singola rata), indipendentemente dal momento in cui è superata la soglia di rilevanza.
[53] 
Il § 79 delle GDL/EBA/2016/07 sul punto cosi dispone: “Gli enti dovrebbero adottare adeguati meccanismi e procedure al fine di assicurare che la definizione di default sia applicata e utilizzata in modo corretto e, in particolare, dovrebbero garantire: (a) che il default di un singolo debitore sia identificato in modo uniforme in tutto l’ente con riferimento a tutte le esposizioni verso il suddetto debitore in tutti i relativi sistemi informatici, compresi tutti i soggetti giuridici all’interno del gruppo e in tutte le aree geografiche (…); (b) che ricorra una delle seguenti condizioni: i. la stessa definizione di default è utilizzata uniformemente da parte di un ente, di un’impresa madre o di una delle sue filiazioni e per tutti i tipi di esposizioni; ii. nel caso in cui diverse definizioni di default si applichino all’interno di un gruppo o per tipologie di esposizioni, l’ambito di applicazione di ciascuna delle definizioni di default è stabilito in modo chiaro”.
[54] 
La Banca d’Italia ha provveduto a recepire detta regolamentazione mediante l’aggiorna­mento n. 13 del 23 dicembre 2020 della Circolare 272 del 30 luglio 2008 (Matrice dei Conti). A tale aggiornamento ha fatto successivamente seguito la Nota di Chiarimenti emanata dal Banca d’Italia il 15 febbraio 2021 recante – sotto forma di Q&A– una serie di chiarimenti circa l’appli­cazione della definizione di default ai sensi dell’art 178 del Reg. UE n. 575/2013 e adeguamento delle definizioni di esposizioni creditizie deteriorate, reperibile all’indirizzo https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/circolari/c285/Nota-chiarimenti-15 -febbraio-2021.pdf.
[55] 
Pertanto, ipotizzando un cliente non retail, che abbia in essere un’unica posizione debitoria con l’istituto di credito, a cui sia stato erogato un finanziamento di € 200.000 da restituirsi attraverso rate mensili da € 2.000 cadauna, la condizione richiesta dalla c.d. “componente assoluta” si verificherà a seguito del mancato pagamento di una sola rata (poiché superiore ad € 500), e, parimenti, la c.d. “componente relativa” (i.e. 1% dell’esposizione debitoria nei confronti dell’in­termediario) sarà anch’essa raggiunta in quel frangente. Dal momento in cui entrambe le soglie di rilevanza saranno superate decorrerà il termine di 90 giorni, all’esito del quale si avrà il default. Non può, non evidenziarsi l’estrema rigidità del meccanismo apprestato, che comporterà la classificazione “a deteriorati” di posizioni per piccoli sconfinamenti, la cui significatività – ai fini della tutela della solidità patrimoniale degli intermediari (obiettivo della Vigilanza) – potrà essere risibile.
[56] 
Si aggiunga che, indipendentemente dall’approccio adottato da ciascun intermediario (ovvero per singolo debitore o per singola transazione) non è più consentito – al fine di evitare il superamento delle soglie – impiegare le somme ancora disponibili su una o più linee di credito per compensare gli sconfinamenti in essere su altre linee relative alla medesima controparte.
[57] 
A titolo di esempio, tali situazioni possono verificarsi quando vi siano comprovati errori nelle procedure della Banca o malfunzionamenti nel sistema dei pagamenti, o quando l’attri­buzione di un pagamento al conto interessato avviene con qualche ritardo rispetto alla ricezione del flusso relativo. Nelle more di simili interventi (che in generale possono risultare abbastanza complessi o onerosi), alcune banche potrebbero orientarsi su una soluzione “tattica” di breve periodo, eliminando di fatto la possibilità di past due tecnici e trattando quindi tutti gli scaduti “sopra soglia” come se fossero veri e propri default.
[58] 
Il CRR, all’art. 178, § 3, lett. d) stabilisce che è indicativo dell’improbabile adempimento il fatto che un istituto acconsenta “a una ristrutturazione onerosa del credito, che implica verosimilmente una ridotta obbligazione finanziaria dovuta a una remissione sostanziale del debito o al differimento dei pagamenti del capitale, degli interessi o, se del caso, delle commissioni”. Ne consegue che, quando si verifica una misura di concessione a favore di un cliente in difficoltà finanziaria, il debitore viene considerato in stato di default se la ristrutturazione implica una riduzione nel valore dell’obbligazione finanziaria verso la banca. In particolare, le Guidelines EBA sulla definizione di default specificano che ciò accade quando la riduzione percentuale nel valore attuale netto del credito è superiore all’1%. A tal fine, i flussi di cassa (ante e post concessione) vanno attualizzati utilizzando il tasso di interesse effettivo originario. Il valore attuale netto ante concessione va inoltre calcolato guardando a tutti i flussi di cassa (compresi gli interessi e le commissioni non pagati) previsti dal contratto originario. Anche se la riduzione di valore fosse inferiore allo 1%, gli enti dovrebbero comunque valutare se vi siano altre possibili indicazioni di improbabile adempimento. Tra queste, la presenza di precedenti ristrutturazioni onerose, il fatto che il nuovo piano di rimborso preveda il pagamento di una ingente somma finale o pagamenti iniziali particolarmente ridotti, o ancora un significativo periodo di tolleranza iniziale. Questo specifico trigger può rappresentare un aspetto critico della nuova definizione di default, che potrebbe determinare, nel tempo, una riclassificazione significativa dei crediti da bonis a deteriorati soprattutto in ragione della soglia, particolarmente bassa, dell’1%. D’altro canto, si pensi all’ipotesi nella quale una banca decida di consolidare le passività a breve di un proprio cliente in linee di credito a medio e lungo termine, in tale ipotesi la riduzione del tasso di interesse applicato sulla linea a medio e lungo termine: non esprime una “remissione del debito”, quanto piuttosto una riduzione del premio di rischio in ragione delle maggiori garanzie assunte o, per assurdo, l’esigenza di dover rispettare il TEG previsto per quella specifica forma tecnica dalla disciplina nella usura!
[59] 
Ad esempio, trasformazione in concordato con continuità aziendale ai sensi dell’art. 161 o in Accordo di Ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182 bis L. fall.
[60] 
Qualora, in particolare, il concordato con continuità aziendale si realizzi con la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il suo conferimento in una o più società (anche di nuova costituzione) non appartenenti al gruppo economico del debitore, l’esposizione va riclassificata nel­l’ambito delle attività non deteriorate. Tale possibilità è invece preclusa nel caso di cessione o conferimento a una società appartenente al medesimo gruppo economico del debitore, nella presunzione che nel processo decisionale che ha portato quest’ultimo a presentare istanza di concordato vi sia stato il coinvolgimento della capogruppo/controllante, nell’interesse dell’intero gruppo. In tale situazione, l’esposizione verso la società cessionaria continua a essere segnalata nell’ambito delle attività deteriorate.
[61] 
Il § 97 delle GDL/EBA/2016/07 cosi dispone: “Nel caso in cui le condizioni di cui all’art. 178, paragrafo 1, lettere a) o b) o a) e b), del Reg. UE 575/2013 siano soddisfatte con riferimento a un’obbligazione creditizia congiunta di due o più debitori, gli enti dovrebbero considerare tutte le altre obbligazioni creditizie congiunte verso il medesimi insieme di debitori e tutte le singole esposizioni verso tali debitori come in stato di default, a meno che possano giustificare che il riconoscimento del default delle singole esposizioni non sia appropriato, a ragione di almeno una delle seguenti condizioni: (a) il ritardo nel pagamento di un’obbligazione creditizia congiunta risulta da una controversia tra i singoli obbligati che partecipano a tale obbligazione creditizia congiunta, che sia stata presentata dinanzi a un giudice o sia stata trattata in un altro procedimento formale di un organo esterno competente che si sia tradotta in una decisione vincolante in conformità al quadro giuridico applicabile nella relativa giurisdizione, e non sussistano timori circa la situazione finanziaria dei singoli debitori; (b) un’obbligazione creditizia congiunta che costituisce una parte irrilevante delle obbligazioni totali di un debitore”.
[62] 
Altresì, il § 73 delle GDL/EBA/2016/07 ha cura di precisare che: “Gli enti dovrebbero riclassificare l’esposizione in stato di non default una volta trascorso almeno un anno, come al paragrafo precedente, qualora siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: (a) nel corso di tale periodo è stato effettuato un pagamento significativo da parte del debitore. Un pagamento significativo può essere considerato effettuato quando il debitore abbia rimborsato, tramite pagamenti regolari secondo gli accordi di ristrutturazione, un totale pari all’importo che era precedentemente scaduto (se vi erano importi scaduti) o che era stato annullato (se non vi erano importi scaduti) nell’ambito delle misure di ristrutturazione; (b) durante tale periodo, sono stati effettuati pagamenti regolari, in base al programma applicabile successivamente agli accordi di ristrutturazione; (c) non vi sono obbligazioni creditizie scadute secondo il programma applicabile successivamente agli accordi di ristrutturazione; (d) non sussistono indicazioni dell’impro­babile adempimento ai sensi dell’art. 178, paragrafo 3, del Reg. UE 575/2013 o qualsiasi ulteriore indicazione del­l’im­probabile adempimento stabilito dall’ente; (e) l’ente non ritiene improbabile che il debitore adempia integralmente alle proprie obbligazioni creditizie secondo il programma successivo agli accordi di ristrutturazione senza l’escussione di garanzie. Nella presente valutazione gli enti dovrebbero esaminare in particolare le situazioni in cui è previsto il pagamento di una consistente somma forfettaria o pagamenti significativamente maggiori alla fine del piano di rimborso; (f) dovrebbero essersi verificate le condizioni di cui alle lettere da a) a e) anche con riferimento alle nuove esposizioni verso il debitore, in particolare nel caso in cui le precedenti esposizioni in stato di default verso detto debitore, oggetto di ristrutturazione onerosa, siano state cedute o annullate”.
[63] 
AIFIRM – Associazione Italiana Financial Industry Risk Managers, Implementare il Calendar provisioning: regole e impatti, Position Paper n. 23, ottobre 2020, consultabile in www.aifirm.it.
[64] 
Le Linee Guida sui crediti deteriorati della BCE del 2017 sono reperibili al seguente indirizzo https://www.bankingsupervision.europa.eu/ecb/pub/pdf/guidance_on_npl.it.pdf.
[65] 
Ad esempio, attraverso migliore capacità di stima e selezione del rischio oppure agendo su parametri del finanziamento come la durata e/o l’importo dello stesso.
[66] 
Reperibile all’indirizzo https://www.bankingsupervision.europa.eu/ecb/pub/pdf/ssm.npl_addendum_201803.it.pdf.
[67] 
Reperibile all’indirizzo https://www.bancaditalia.it/media/bce-comunicati/documenti/2018/ ecb2018.07.11.it.pdf.
[68] 
Pubblicato in GUUE 25 aprile 2019, n. L. 111, p. 4 ss. 
[69] 
Reperibile all’indirizzo https://www.bankingsupervision.europa.eu/press/letterstobanks/shared/pdf/2019/ssm.supervisory_coverage_expectations_for_NPEs_201908.it.pdf. BCE ha avuto cura di illustrare le tre le principali differenze tra il trattamento delle NPE nell’ambito del “primo pilastro”, ai sensi del CRR, e l’approccio di “secondo pilastro”. Innanzitutto, il trattamento di “primo pilastro” definito dal CRR impone a tutte le banche di effettuare una deduzione dai fondi propri in modo automatico ove le esposizioni deteriorate non siano sufficientemente coperte da accantonamenti o altre rettifiche. Non hanno invece natura vincolante e seguono un approccio in tre fasi le aspettative di vigilanza della BCE riguardo agli accantonamenti prudenziali nell’ambito del “secondo pilastro”. In particolare, le aspettative comunicate 1) costituiscono il punto di partenza del dialogo di vigilanza e 2) dipendono da una valutazione caso per caso sulla scorta di una discussione approfondita nel corso del dialogo di vigilanza (inclusa un’analisi delle circostanze specifiche della singola banca); infine, 3) una misura di vigilanza di secondo pilastro può essere applicata nel contesto del ciclo SREP. In secondo luogo, il trattamento di “primo pilastro” definito dal CRR e l’approccio di vigilanza relativo agli NPL nuovi e pregressi nell’ambito del “secondo pilastro” differiscono leggermente in termini di calibrazione del calendario: 2/7 anni di anzianità per le NPE non garantite/garantite nell’ambito del “secondo pilastro” rispetto a 3/7/9 anni di anzianità per le NPE non garantite/garantite (con garanzie non immobiliari)/garantite con garanzie immobiliari. Inoltre differiscono anche i percorsi per la realizzazione degli aggiustamenti nel caso del­l’approccio di secondo pilastro della BCE e la piena applicazione nell’ambito del “primo pilastro” (ossia copertura al 100%). In terzo luogo, vi è una significativa differenza in termini di ambito di applicazione; il trattamento di “primo pilastro” riguarda, infatti, soltanto le NPE che deriveranno da nuovi prestiti erogati a partire dal 26 aprile 2019, mentre non si applicherà mai 1) alle consistenze già esistenti di NPE e 2) all’intera popolazione dei crediti in bonis presenti nei bilanci degli enti creditizi che sono stati generati prima del 26 aprile 2019 e in futuro potrebbero diventare NPE. Tale differenza acquista particolare rilevanza se si considerano i tempi necessari affinché una banca realizzi il portafoglio di crediti in bonis corrente: nell’arco di tale periodo, shock macroeconomici potrebbero avere un impatto avverso sulla qualità creditizia delle esposizioni in bonis sorte prima del 26 aprile 2019.
[70] 
Successivamente convertito dalla legge 21 ottobre 2021, n. 147, pubblicata in G.U., Serie generale n. 254 del 23 ottobre 2021.
[71] 
A. Ghedini e M.L. Russotto, L’istituto della composizione negoziata della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 2021. 
[72] 
Cfr. art. 2, comma 2, lett. m bis) del D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14. In dottrina, vedasi V. Zanichelli, Commento a prima lettura del decreto legislativo 17 giugno 2022 n. 83 pubblicato in GU il 1 luglio 2022, in Dirittodellacrisi.it, 2022. 
[73] 
Cfr. art. 12, comma 1, D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14.
[74] 
Cfr. L. Panzani, I contratti pendenti nella composizione negoziata con speciale riferimento ai rapporti di credito bancario, in Dirittodellacrisi.it, 2023; E. Bissocoli, A. Turchi, Il ruolo dei creditori finanziari nella composizione negoziata: opportunità, rischi e proposta di linee guida, in Ristrutturazioni aziendali, 2022, 29 ss.; G. Presti, Le banche e la composizione negoziata della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 2023. 
[75] 
Significative in questo senso sono le indicazioni fornite dall’EBA nelle propri Orientamenti (ABE/GL/2020/06) del 29/05/2020 in tema di concessione e monitoraggio dei prestiti.
[76] 
Non sfugga peraltro che tipicamente i primi impegni finanziari che vengono sospesi da un’impresa in crisi sono proprio quelli verso le banche (perlomeno quelle con esposizioni residuali e/o che si stima non possano essere interessate a supportare l’azienda verso un percorso di ristrutturazione) ed il fisco.
[77] 
Peraltro molto frequentemente le esposizioni creditizie interessate da procedure di ristrutturazione (quale che sia la riconduzione definitoria delle stesse nel perimetro delle procedure concorsuali) comportano il passaggio – in termini gestionali – a strutture organizzative interne (o service specializzati) il cui presupposto è tipicamente la revisione della posizione con conseguente classificazione a default.
[78] 
Il riferimento più immediato è alla Circolare 272/2008 di Banca d’Italia, Avvertenze generali, Sezione B, § 2, “Qualità del Credito”. Si precisa che la regolamentazione citata non è ancora stata oggetto di aggiornamento da parte di Banca d’Italia al fine di fornire indicazioni puntuali agli intermediari con riguardo alla disciplina in esame.
[79] 
Per una puntuale ricognizione sul punto vedasi S. Bonfatti, Il sostegno finanziario alle imprese in crisi, finanziamenti pendenti e nuove erogazioni, Pisa, 2022.
[80] 
Infatti, detti intermediari certamente subirebbero l’effetto di trascinamento sulle pregresse esposizioni in ragione dell’applicazione delle regole del Calendar provisioning operante con le nuove linee in prededuzione ma, di certo, acquisendo detto beneficio sulle pregresse esposizioni chirografarie (ad esempio) potrebbero avere maggiori garanzie di rimborso nonché più margine temporale per effettuare i connessi accantonamenti.
[81] 
Per un primo commento vedasi S. Bonfatti, S. rizzo, La vigilanza prudenziale nel Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, dicembre 2022. 
[82] 
V. Zanichelli, Gli esiti probabili della composizione negoziata. Un’analisi dettagliata dei possibili sbocchi della composizione negoziata. Un’indagine critica sugli strumenti, le regole, le criticità, in Dirittodellacrisi.it, 2021.
[83] 
Profilo, quest’ultimo, che fa presumere che questa soluzione abbia per obiettivo quello di superare situazioni di difficoltà dell’impresa dovute ad una crisi temporanea e non strutturale.
[84] 
Rispetto a questo aspetto pare stridente il contenuto della previsione in esame rispetto al­l’obiettivo della procedura di composizione negoziata. Un conto infatti è assicurare la continuità per due anni, e altro è il risanamento, stabile ci si augura, dell’impresa, che presuppone una soluzione tendenzialmente definitiva della situazione economica deteriorata tramite la prosecuzione dell’attività, in prospettiva di permanenza nel mercato da parte dello stesso imprenditore, purché nel rispetto di quanto previsto dall’art. 12, comma 2, D.L. n. 118/2021.
[85] 
Per un esame della finanza bancaria nella procedura di composizione negoziata della crisi d’impresa vedasi S. Bonfatti, La nuova finanza bancaria, in rivista on line Dirittodellacrisi.it, 2021. 
[86] 
Dal punto di vista degli intermediari esposti in via chirografaria (ovvero in assenza di garanzie) verso l’impresa che abbia avviato il procedimento di composizione, stante la già ribadita natura non concorsuale della stessa, è più verosimile che nel corso delle trattative – da condurre secondo buona fede – gli stessi possano adottare soluzione “tattiche” finalizzate ad acquisire garanzie (anche consolidando l’esposizione) che, ad esito negativo delle trattative, tenuto conto dei termini decorsi, si sarebbero nelle more consolidate (rispetto ad un’eventuale successiva procedura concorsuale).

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