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Saggio

Brevi spunti ricostruttivi sugli obblighi delle banche nella crisi d’impresa, alla luce della nuova composizione negoziata della crisi*

Emanuele Artuso e Renato Bogoni, Dottori Commercialisti in Padova

28 Gennaio 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Tra le disposizioni di maggior rilievo recate dal D.L. n. 118/2021, dedicate alla composizione negoziata della crisi d’impresa, spiccano quelle riservate al ruolo giuocato dalle banche e dagli intermediari finanziari in seno al nuovo istituto [1] 
In specie, l’art. 4, co. 6, prevede che “Le banche e gli intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari dei loro crediti sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato. L’ accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di revoca degli affidamenti bancari concessi all'imprenditore” [2]
Tale disposizione si colloca in un ordito normativo volto a disciplinare il comportamento dei vari ed eterogenei soggetti coinvolti nella negoziazione (cfr., ex multis, art. 4, co. 4, in punto di buona fede e correttezza delle parti; art. 4, co. 7, sul dovere di collaborazione; art. 6, co. 5, sul contegno dei creditori in relazione ai contratti pendenti, ecc.), ma non prevede un dettagliato assetto sanzionatorio.
Pertanto, limitatamente alle banche ed ai soggetti finanziari, latamente intesi, in questa sede si cercherà di comprendere la concreta portata applicativa della norma, in specie quali siano gli effettivi obblighi di comportamento, filtrando ciò pure in un’ottica sistematica, ossia facendo leva anche su altre disposizioni e sulle interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali.
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1 . Il quadro ordinamentale di riferimento
Va per cominciare notato che l’ordinamento già prevede particolari obblighi di protezione e di solidarietà in capo alle banche: tuttavia, solo in parte ciò è oggetto di norme specifiche, trattandosi piuttosto di principi estraibili dal sistema. Invero, le fonti risultano assai eterogenee, rilevando non solo leggi settoriali, ma anche il Codice Civile e la Costituzione (basti pensare alle disposizioni che regolano la tutela del risparmio e la libertà di iniziativa economica).
Proviamo di seguito a riepilogare – seppur in maniera estremamente compendiosa – i “ruoli” attribuiti dall’ordinamento al sistema bancario.
Ruolo delle banche e attività riservata di rilevo costituzionale. Innanzitutto, il ruolo istituzionale delle banche promana dalla Carta Costituzionale, su tutti gli artt. 41, 42 e 47. In specie, attraverso l’art. 41, si ascrive a valore costituzionale l’efficienza e la competitività del mercato dei capitali, mentre con l’art. 47 si rimarca il valore generale del risparmio, poi modellato dal Legislatore nella tutela sia del singolo risparmiatore/investitore sia, più in generale, dell’efficienza del mercato [3]. 
A ben vedere, poi, una lettura “moderna” dell’art. 47, Cost., non può prescindere dall’auspicata efficienza e trasparenza dei mercati finanziari: solo in presenza di un mercato che rispecchia in maniera fedele il valore degli indici azionari si può giungere ad una tutela vera e concreta di risparmiatori e investitori. 
Non bastasse, va poi ricordato: (i) che il T.U.B. (D.Lgs. n. 385/1993) forgia il principio secondo cui l’attività bancaria e finanziaria è riservata a soggetti che rispondono a  peculiari requisiti strutturali e assolvono a specifici obblighi di autorizzazione e di registrazione, (ii) che l’art. 91 del T.U.F. (D.Lgs. n. 58/1998) reca una “sintesi” tra i valori “in opposizione” previsti dai predetti artt. 41 e 47, mirando ad equilibrare il rapporto esistente tra principi costituzionali aventi eguale dignità, ossia (a) il principio dell’efficienza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali e (b) il principio di tutela degli investitori. 
In definitiva, le più alte fonti ordinamentali riservano un riconosciuto ruolo istituzionale e di responsabilità alle banche, in quanto soggetti dotati di peculiari prerogative.
Ruolo delle banche e dovere di protezione. La concessione abusiva del credito. L’attività bancaria, con riferimento tanto alle contrattazioni volte all’accesso ed all’esercizio del credito ed alla raccolta del risparmio, quanto, più in generale, ad ogni tipologia di atto o di operazione posta in essere, richiede un grado di diligenza “qualificato” (quella del c.d. bonus argentarius, perimetrato nell’ambito del principio normativo di cui all’art. 1176 c.c.); ciò, stante l’alto grado di professionalità dei soggetti agenti. 
Perciò, l’ordinamento appresta guarentigie particolari, come detto fondate su un peculiare sistema di autorizzazioni, di vigilanza e di trasparenza, in uno con un articolato e stringente assetto sanzionatorio: insomma, la funzione economico-sociale dell’attività bancaria impone una stretta riserva di operatività, presidiata anche da norme di carattere penale [4]. 
L’esigenza di un alto grado di prudenza e di attenzione trova giustificazione nell’interesse pubblicistico sotteso: oltre alla Costituzione, il già citato T.U.B., e poi il Codice Civile e quello Penale, integrano le fondamenta normative, su cui si innesta l’attività della Banca d’Italia. 
Di questo substrato sostanziale, procedurale e sanzionatorio fornisce un indefettibile apporto esegetico la giurisprudenza. Infatti, la Corte di Cassazione, ad esempio con le sentenze 15 aprile 1992, n. 4571; 8 gennaio 1997, n. 72; 27 settembre 2001, n. 12093, ha statuito il principio secondo cui il comportamento della banca deve essere giudicato in modo più rigoroso e specifico rispetto ad un soggetto “ordinario”, richiedendo un grado elevato di diligenza necessario per evitare il verificarsi di eventi dannosi per la clientela. 
Una delle maggiori articolazioni di ciò è costituita dalla fattispecie del cd “concessione abusiva al credito”, che come noto attiene alla violazione del dovere di diligenza e di accortezza nello svolgimento di tutte le attività preliminari e propedeutiche alla concessione di finanziamento. L’obbligo di valutare e verificare il merito creditizio da parte della banca finanziatrice discende dalla disciplina primaria e secondaria prevista dal nostro ordinamento bancario, dal principio della sana e corretta gestione, che permea l’intera disciplina bancaria, e dalla normativa sovranazionale diretta al controllo ed alla ponderazione dei rischi. Ora, l’interesse alla stabilità del sistema creditizio esige una ponderata disamina della solidità del debitore, di talché la condotta abusiva si configura allorché una banca conceda, rinnovi o proroghi un finanziamento ad un’impresa in stato di grave crisi economica, pur avendo piena contezza di questa situazione. Infatti, differendo l’emersione dello stato di insolvenza e, verosimilmente, anche l’apertura di una procedura concorsuale a carico dell’azienda, la banca potrebbe concorrere nel conservare in vita un’impresa dissestata, “decotta”, che non dovrebbe più operare, così nuocendo non solo ai propri creditori ma anche agli altri operatori del mercato di elezione. In altri termini, se vogliamo più semplicistici, l’erogazione o conservazione di un finanziamento “immeritevole” non costituisce un arricchimento per il soggetto affidato, trattandosi in realtà di posta che non solo aumenta l’indebitamento, ma pure altera il sistema di pagamento dei creditori, tipicamente venendo utilizzate tali somme per finalità contingenti, non “strutturali”.
In ogni caso, sul tema del ricorso abusivo al credito, costituisce senz’altro un riferimento imprescindibile la nota Cass. SS UU, 28 marzo 2006, n. 7030.
Ruolo delle banche nella concessione e nel mantenimento del credito. Ulteriore elemento di riflessione emerge da altra faccia della stessa medaglia, ossia il comportamento delle banche nella concessione e nella gestione del rapporto di credito in essere, ed in particolare nel momento in cui questo sia oggetto di interruzione. 
La cd “rottura brutale” del credito è integrata dall’arbitraria decisione della banca di negare al cliente la concessione o la prosecuzione del credito concesso, e di imporre alla controparte il rientro repentino dalla propria esposizione debitoria: trattasi di una condotta che, oltre a danneggiare direttamente la propria controparte contrattuale, potrebbe diventare la causa stessa del suo dissesto. 
Talvolta, infatti, la prassi bancaria ha registrato comportamenti illegittimi ed arbitrari, tali da esporre l’affidato ad evidenti pregiudizi, costringendolo ad una improvvisa e repentina crisi di liquidità e, conseguentemente, all’insolvenza [5]. 
Peraltro, va considerato che le posizioni del cliente e della banca sono contrassegnate da una significativa “asimmetria informativa”, assunta la mole di dati a disposizione dell’istituto a discapito del debitore, nonché la possibilità riconosciuta all’istituto stesso di predisporre unilateralmente le clausole contrattuali (incluse quelle di recesso) da utilizzare nell’erogazione delle somme. 
Si noti che il comportamento censurato in questa ipotesi è contrassegnato dal rispetto “formale” degli accordi pattizi, ma da un impiego “sostanziale” da parte della banca delle proprie prerogative contrattuali non in buona fede o, quanto meno, non secondo la qualificata diligenza che deve essere utilizzata dal bonus argentarius, concretando comportamenti idonei a creare difficoltà finanziarie (e conseguenti danni) a clienti che meriterebbero, invece, il mantenimento della linea creditoria [6].
Tra le pronunce più recenti, spicca Cass. 20 dicembre 2020, n. 29317, secondo cui: “il recesso di una banca da un rapporto di apertura di credito in cui non sia stato superato il limite dell’affidamento concesso, benché pattiziamente previsto anche in difetto di giusta causa, deve considerarsi illegittimo, in ragione di un’interpretazione del contratto secondo buona fede, ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, contrastando, cioè, con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale di quelli in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e non sia, dunque, pronto alla restituzione, in qualsiasi momento, delle somme utilizzate. Il debitore il quale agisce per far dichiarare l’arbitrarietà del recesso ha l’onere di allegare l’irragionevolezza delle giustificazioni date dalla banca, dimostrando la sufficienza della propria garanzia patrimoniale così come risultante a seguito degli atti di disposizione compiuti (Cass. Sez. I, Sentenza n. 17291 del 24/08/2016)”. Di analogo tenore, ex multis, Cass. 14 luglio 2000, n. 9321; 21 maggio 1997, n. 4538; 24 agosto 2016, n. 17291.
Ruolo delle banche e contratto sociale. A supporto di quanto fin qui illustrato, si consideri altresì il convincente filone esegetico che incasella la concessione del credito nell’ambito della responsabilità da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., da cui derivano, a carico delle parti, reciproci obblighi di correttezza, di buona fede, di protezione e di informazione, giusta, inter alia, gli artt. 1175 e 1375 c.c. (cfr., per tale ricostruzione, quanto statuito in maniera cristallina dalla recentissima Cass. 30 giugno 2021, n. 18610, la quale attinge anche a precedenti pronunce, quali Cass. 12 luglio 2016, n. 14188; Cass. 25 luglio 2018, n. 19775; Cass. SS UU, 28 aprile 2020, n. 8236, nonché Cons. Stato, ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5).
Ancora, in merito agli obblighi di condotta in buona fede a cui è tenuto l’intermediario, è significativa Cass. 10 aprile 2015, n. 7181: “In riferimento all’esecuzione di un contratto, ciascuna delle parti del rapporto contrattuale ha l’obbligo di agire in buona fede cooperando con l’altra parte in vista della realizzazione del comune intento perseguito con la conclusione del contratto, per cui, sotto tale profilo, anche la mera inerzia può costituire inadempimento degli obblighi di correttezza e buona fede. Ciò in quanto correttezza e buona fede, che operano con criterio di reciprocità costituiscono doveri giuridici autonomi a carico delle parti contrattuali, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o da quanto espressamente stabilito dalle norme”.
Il contratto sociale, quindi, può essere definito come un rapporto in cui un soggetto, pur in assenza di un contratto, ma in forza delle sue qualità tecniche e professionali, è gravato di obblighi di protezione verso un altro soggetto, il quale, a sua volta, nutre verso il primo un legittimo affidamento all’osservanza di prescrizioni. Elementi caratterizzanti della figura sono, quindi, l’assenza di specifiche prescrizioni contrattuali, un principio di affidamento e una relazione qualificata idonea a produrre obblighi di protezione.
In estrema sintesi, la valenza generale del dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede risulta “rafforzata”, più pregnante, laddove tra i consociati si instaurino momenti relazionali socialmente o giuridicamente qualificati, ed in specie ove l'elemento ricorrente, che contribuisce a qualificare il rapporto come fonte di specifici doveri di correttezza, è rappresentato dal peculiare status professionale ricoperto e dall’esigenza di rafforzamento della tutela dei soggetti a rischio, in situazioni in ci il pericolo di lesione di interessi giuridicamente tutelati è elevato. 
Ciò si inserisce in un’evoluzione del diritto civile coerente con i valori costituzionali fondamentali, tra cui il dovere si solidarietà imposto dall’art. 2, Cost. [7].
Ruolo delle banche ed imprese in crisi. Quanto sin qui illustrato trova poi un ideale approdo proprio con riferimento al finanziamento delle imprese in crisi: anche su questo punto, pare particolarmente convincente Cass. 30 giugno 2021, n. 18610, la quale, dopo aver operato un puntuale riferimento alla normativa concorsuale ed agli istituti specifici apprestati per la soluzione della crisi, fissa alcuni principi chiarissimi, tra cui: (i) il Legislatore da tempo mostra un netto favore verso il sostegno finanziario dell'impresa, ai fini della risoluzione della crisi attraverso istituti che ne scongiurino il fallimento, per l’effetto promuovendo la maggiore soddisfazione dei creditori; (ii) le disposizioni normative vengono dettagliatamente modellate in relazione allo strumento di risoluzione della crisi prescelto ed alla funzione svolta dal finanziamento; (iii) in sostanza, quel che rileva non è più il fatto in sè che l'impresa finanziata sia in stato di crisi o di insolvenza, pur noto al finanziatore, onde questi abbia così cagionato un ritardo nella dichiarazione di fallimento: quel che rileva per negare/interrompere il finanziamento è unicamente l'insussistenza di fondate prospettive, in base a criteri di ragionevolezza e ad una valutazione, ex ante, di superamento di quella crisi.
In definitiva, non si rimane più sospesi in un limbo indefinito tra responsabilità (a) da concessione abusiva o (b) da interruzione abusiva, in quanto la distinzione del  finanziamento “meritevole” dal finanziamento “abusivo” si fonderà sulla ragionevolezza e fattibilità di un piano aziendale di risanamento [8] Il sistema, quindi, è ispirato al principio della meritevolezza dell’ausilio creditizio dell’impresa in crisi, allo scopo di evitarne il fallimento e soddisfare meglio i creditori, basandosi su meccanismi procedimentalizzati, fondati su precisi presupposti e controlli, idonei a renderli utili, per definizione, allo scopo di un progetto economico-finanziario volto al recupero della continuità aziendale.
Il lecito finanziamento all’impresa in crisi potrà essere sviluppato anche fuori dall’ambito dei negozi connotati da un formalizzato progetto di sostegno alla medesima, e sarà compito del giudice del merito riscontrare la liceità e la meritevolezza del finanziamento, pur se concesso in presenza di una situazione di difficoltà economico-finanziaria dell'impresa, qualora sussistevano ragionevoli prospettive di risanamento. A tutela del finanziatore, infatti, secondo Cass. 30 giugno 2021, n. 18610 “ogni accertamento, ad opera del giudice del merito, dovrà essere rigoroso e tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, secondo il suo prudente apprezzamento, soprattutto ai fini di valutare se il finanziatore abbia (a parte il caso del dolo) agìto con imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell'art. 43 c.p., o abbia viceversa, pur nella concessione del credito, attuato ogni dovuta cautela, al fine di prevenire l'evento” [9].
2 . Il ruolo del D.L. n. 118/2021
L’inquadramento appena effettuato costituisce il terreno ideale sul quale inserire le specifiche considerazioni riguardanti il ruolo delle banche nella composizione negoziata della crisi, movendo dall’ineliminabile assunto di fondo che l’obiettivo del D.L. n. 118/2021 è costituito (i) dal favorire l’emersione anticipata della crisi, (ii) così da poterla gestire e coordinare in maniera professionale, tecnicamente adeguata, in specie attraverso il “dialogo” tra l’esperto compositore e gli altri interlocutori del debitore; ciò, soprattutto, in ipotesi di continuità aziendale [10].
Al fine di meglio comprendere anche le ricadute operative, appare opportuno, prima di definire il contenuto giuridico della norma, descrivere brevemente quale sia il comportamento tenuto dalle banche nell’ambito dei cd “tavoli interbancari” e quali possano essere gli elementi che, in alcune situazioni, condizionano negativamente la riuscita delle trattative.
Le trattative negoziali nel corso della crisi. In merito, va precisato che all’avvio di un progetto di risanamento ex art. 67 o 182-bis l.f., vengono generalmente invitati a partecipare alle trattative tutti i componenti del ceto bancario (solo in limitati casi, invece, vengo chiamati gli altri creditori, salvo quelli con rilevanti esposizioni). L’accordo proposto prevede normalmente la richiesta di stralci o allungamenti dei termini di adempimento. Sovente è necessario assicurare, durante le trattative, il mantenimento delle linee di credito in utilizzo. Da questo punto di vista, talvolta si assiste alla disponibilità del ceto bancario nel “fotografare” il livello di impiego delle linee a breve, per mantenerlo (secondo le ripartizioni effettivamente in essere) durante la fase della negoziazione, mentre è più complesso ottenere la possibilità di maggiori utilizzi, o addirittura un’espansione delle linee di credito. 
Nei casi in cui ciò risulti necessario (a mero titolo esemplificativo, si pensi alla ristrutturazione delle attività imprenditoriali caratterizzate da alta stagionalità), appare alquanto complesso identificare le modalità di suddivisione tra il ceto bancario di questo maggiore supporto finanziario. In generale, l’approccio delle banche ai tavoli è guidato dal perseguimento del “mantra” della “par condicio”, da non intendere come rigida applicazione dei principi degli artt. 2740 e 2741 c.c. [11], ma più semplicemente come criterio di ripartizione dell’onere da sopportare, secondo un principio di equa e ragionevole suddivisione dei rischi. 
In concreto, talvolta proprio l’atteggiamento opportunistico di alcuni istituti rende particolarmente gravosa la realizzazione delle negoziazioni. Da questo punto di vista, ad esempio, può risultare difficile la comparazione delle condizioni offerte, in presenza di forme tecniche di finanziamento complesse e diversificate. In generale, poi, si assiste alla volontà degli istituti meno esposti di sganciarsi dal tavolo delle trattative, forti della ridotta dannosità che potrebbe generare il mancato salvataggio.
Tanto precisato, ad avviso di chi scrive la valutazione del comportamento delle banche dovrà considerare che l’intero sistema concorsuale – come detto – si caratterizza per il chiaro intento di favorire il sostegno finanziario del progetto di risanamento dell’impresa. 
Gli addentellati normativi e la necessaria “visione d’insieme”. Il substrato normativo che milita in tal senso, ed in cui si colloca la novella oggetto di commento, è estremamente rilevante ed organico, includendo, tra l’altro, le norme in materia di finanziamenti prededucibili nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, di cui agli artt. 182-quater e 182-quinquies l.f., o in materia di piani attestati di risanamento ex art. 67, co. 3, lett. d), quelle relative alla generale esenzione da revocatoria di cui all’art. 67, co. 3, lett. e), per gli atti compiuti in esecuzione del concordato o dell’accordo omologato di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis l.f., la normativa in materia di convenzione di moratoria di cui all’art. 182-septies l.f.. In specie, poi, si consideri l’art. 3, co. 1-bis, del D.L. del 7 ottobre 2020, n. 125 [12], con cui sono stati modificati gli artt. 180 e 182-bis, sui quali peraltro si tornerà a breve [13], per tacere poi delle specifiche disposizioni penali.
Tali principi, inoltre, trovano sostegno in altri contesti normativi [14], e sono destinati ad essere confermati e rafforzati nel Codice della crisi e dell’insolvenza [15]. 
Insomma, l’interpretazione della nuova normativa va sistematicamente ad inserirsi in un complesso ed organizzato compendio di norme destinate a favorire il sostegno delle imprese in crisi, ma meritevoli.
Ed ancora, sempre in una prospettiva sistematica, non va sottaciuto che il fine di favorire la precoce emersione delle difficoltà finanziarie discende dalla normativa comunitaria [16], e che le modifiche qui esaminate si collocano nell’ambito di una serie di interventi destinati a superare comportamenti ostruzionistici di alcuni soggetti coinvolti nella ristrutturazione, che con i loro atteggiamenti negativi o semplicemente attendisti, hanno compromesso le possibilità di risanamento dell’impresa. 
Tra di essi, certamente, vanno annotati alcuni comportamenti assunti nell’ambito dei tavoli delle trattative da parte degli istituti di credito, contraddistinti da mero attendismo se non di ingiustificato intralcio agli accordi, con la conseguente compromissione dei processi di risanamento aziendale [17].
Non si tratta, quindi, di un intervento “estemporaneo”, rapsodico, ma di un preciso tassello normativo incluso in un insieme di provvedimenti diretti a favorire il raggiungimento del risanamento. 
In questo filone, spiccano le già citate disposizioni intervenute – peraltro in un ristrettissimo arco di tempo – direttamente nel corpo dell’art. 180, co. 4, l.f., che consentono ora al Tribunale di superare il voto negativo (o la mancata adesione) dell’Amministrazione finanziaria o degli Enti previdenziali, in presenza di una vantaggiosità della proposta del debitore. Su ciò merita soffermarsi, seppur per un breve istante.
Infatti, anche l’ultimo intervento normativo, recato dall’art. 20 dello stesso D.L. n. 118/2021, ricollega il testo normativo alla ratio sottesa tanto al precedente D.L. n. 125/2020, convertito in L. n. 159/2020, quanto allo stesso D.L. n. 118/2021, ossia quella di ampliare la possibilità per le imprese di accedere a procedure concorsuali e, più in generale, a tutti gli strumenti alternativi al fallimento, nella prospettiva della continuità aziendale (anche in via indiretta) quale reazione alla crisi economica derivante dalla pandemia da Covid-19.
A tal proposito, in una imprescindibile opera di esegesi volta a valorizzare anche i cd “lavori preparatori”, si deve ricordare la Relazione Illustrativa al D.Lgs. n. 14/2019, secondo cui la predetta modifica è stata introdotta “al fine di superare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate, spesso registrare nella prassi” dall’Amministrazione finanziaria e dagli enti previdenziali e assistenziali. 
Ad evidenza, quindi, le modifiche in punto “transazione fiscale” sono state introdotte seguendo una duplice direttrice: (i) evitare che i creditori pubblici continuino ad impiegare tempi irragionevoli ed incompatibili con il percorso risanatorio del debitore per pronunciarsi sulle proposte di transazione; (ii) impedire che alcune di queste vengano rigettate, sebbene convenienti per l’Erario [18].
Come non vedere significative affinità con quanto da ultimo introdotto anche in relazione al comportamento che devono tenere gli istituti di credito? Ciò, a conferma quindi di un disegno legislativo unitario, razionale, coerente.
La nuova normativa, quale ideale “suggello” di un percorso condiviso da normativa e giurisprudenza. In definitiva, la normativa in commento opportunamente ribadisce e rafforza l’obbligo di correttezza e buona fede che si traduce, per i creditori, nel dovere di collaborare lealmente in modo sollecito con il debitore e l’esperto, sulle iniziative da questi programmate. Pertanto, come già illustrato sopra, essa va interpretata alla luce dei principi sanciti dalla giurisprudenza in tema di dovere di solidarietà e di protezione delle banche, nonché dello scopo riconosciuto di favorire la negoziazione nei processi di risanamento, proprio a fronte dei comportamenti spesso inadeguati delle banche. Essa si inserisce nell’ambito delle molteplici situazioni dalle quali emerge, e si rafforza, il generale dovere di attivarsi al fine di impedire eventi di danno e che impongono doveri e regole d’azione, la cui inosservanza integra gli estremi di un’omissione imputabile e la conseguente responsabilità civile, in termini di culpa in omitendo
Si tratta, quindi, di applicare il generale principio di buona fede previsto dall’art. 1375 c.c. e, nel nostro caso, specificamente rafforzato dall’art. 4, co. 4 del D.L. n. 118/2021, che, trasfigurato sul piano costituzionale, diviene specificazione degli inderogabili doveri di solidarietà sociale imposti dall’art. 3 della Costituzione; la cui rilevanza si esplica nell’imporre, a ciascuna delle parti del rapporto contrattuale, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra parte – a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuale – e al giudice di applicare in senso modificativo o integrativo lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli interessi delle parti.
Tali principi valgono per tutte le parti coinvolte nel progetto di risanamento ma, per quanto esposto nei paragrafi precedenti, trovano il loro terreno elettivo di applicazione in relazione al comportamento imposto alle banche.
Infatti, per quanto sopra evidenziato, sia la normativa (tanto generale, quanto sistematica), sia la giurisprudenza, impongono alle banche, nel rapporto con le imprese affidate, particolari criteri comportamentali, “rafforzati” nella diligenza e nella buona fede rispetto ai parametri contrattuali ordinari. 
Ora, le disposizioni di carattere speciale introdotte dal D.L. n. 118/2021 (art. 4, co. 4; art. 4, co. 6, ecc.) di fatto espandono ulteriormente questi obblighi, ritagliandoli peraltro “su misura” per le imprese in crisi, tanto da rendere definitivo e necessario il mantenimento degli affidamenti, secondo buona fede contrattuale e valutazioni di diligenza professionale: non solo: la banca non può limitarsi ad un ruolo improntato ad inerzia, ma ha un vero e proprio obbligo di proporre, attivamente, contenuti ragionevoli nella negoziazione.
Sia chiaro: con quanto appena affermato, non si vuole certo propugnare che le banche non possano interrompere i finanziamenti, far decadere dal beneficio del termine, chiedere ulteriore supporto di garanzie; tuttavia, se si muovono in tal senso, devono agire in buona fede, quindi solo in presenza di chiari e fondati motivi, adeguatamente istruiti e giustificati. Diversamente, infatti, potranno incorrere nei danni da responsabilità civile emergenti dai principi civilistici, secondo i quali le fonti delle obbligazioni possano derivare dal contratto, ma anche da altre fattispecie (art. 1173, c.c.) nelle quali ben potrà configurarsi il comportamento non responsabile delle banche e degli intermediari finanziari nel sostegno delle imprese in crisi, in presenza di un progetto avallato dall’esperto [19]. 
D’altro canto, tale situazione pare già prevista dalla Relazione Illustrativa al D.L. n. 118/2021, che non manca di osservare quanto segue: “se l’impresa non riesce a perseguire il risanamento e viene dichiarata fallita per la mancata collaborazione delle parti chiamate al tavolo delle trattative o, peggio ancora, per comportamenti ostruzionistici, le conseguenti responsabilità potranno essere oggetto di accertamento giudiziale”.
Su tali aspetti, in ogni caso, pare opportuno indugiare ulteriormente, come immediatamente segue.
3 . Un’ulteriore prospettiva sistematica: l’art. 6, co. 5.
Le disposizioni in commento (in specie l’art. 4, commi 4 e 6), vanno lette, poi, in via sistematica, in strettissima connessione con l’art. 6, co. 5, secondo cui “i creditori interessati dalle misure protettive non possono, unilateralmente, rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione, ne' possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell'imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori”.
Questa norma ribadisce – estendendolo in maniera decisa – il principio introdotto con l’art. 186-bis, co. 3, l.f. stando al quale “i contratti in corso di esecuzione … non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura. Sono inefficaci eventuali patti contrari”. 
In merito all’art. 186-bis, secondo la più attenta dottrina risulta preferibile un’esegesi estesa del precetto normativo, secondo cui la tassatività della regola della prosecuzione dei contratti è assicurata dalla prescrizione dell’inefficacia di qualsivoglia patto contrario [20]. Per l’effetto, mentre l’imprenditore in concordato con continuità può sciogliersi dai contratti e può sospenderne gli effetti, il terzo contraente è obbligato ad attendere le decisioni del debitore, non potendosi sciogliere unilateralmente dal contrato neppure quando ciò gli sia consentito dalla disciplina generale dei contratti, ovvero da specifiche clausole negoziali [21].
Maggiori dubbi sorgono in merito alla possibilità di ritenere che per effetto del terzo comma dell’art 186 - bis gli inadempimenti anteriori all’avvio della procedura possano essere sterilizzati ai fini della successiva esecuzione del contratto [22].  Tale aspetto potrebbe avere una certa rilevanza nell’ambito dei rapporti bancari, posto che se si ritenesse che la disposizione in parola non impedisse di attivare i rimedi di cui agli articoli 1460 e 1461 c.c., le banche finanziatrici potrebbero sospendere l’esecuzione del contratto, privando il proprio cliente del futuro supporto finanziario [23]. 
Peraltro, tali comportamenti, spesso riscontrati in pratica [24], in genere non compromettono l’equilibrio finanziario aziendale, posto che dopo la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, eventuali successive notifiche delle cessioni dei crediti anticipati (in applicazione delle clausole contrattuali che consentono alle banche di trasformare gli anticipi su crediti in cessione degli stessi in garanzia) non sarebbero opponibili alla procedura  per effetto dell’art. 45 l.f., per cui le imprese, decanalizzando i flussi già anticipati, si possono assicurare una provvista finanziaria generalmente idonea al sostegno della continuità operativa. In concreto, quindi, per le procedure di concordato, e non nell’ambito della composizione negoziata, l’applicabilità dell’art. 45 l.f. mitiga i possibili effetti devastanti della mancanza di continuità negli affidamenti delle linee di circolante.
Constatata l’inapplicabilità di quest’ultima disposizione nell’ambito di cui al D.L. n. 118/2021, si deve rilevare che tale assenza non pare compromettere l’efficacia della composizione negoziata. 
Va osservato, infatti, che pur avendo la medesima matrice, l’art. 6, co. 5, espande notevolmente la tutela del debitore che avvia la composizione rispetto a quanto previsto dall’art. 186-bis, co. 3, l.f. nell’ambito del concordato. Ciò in quanto, nella composizione negoziata con l’attivazione delle misure protettive le banche creditrici non possono “rifiutare l'adempimento dei contratti”, anticiparne la scadenza o modificarli “per il solo fatto del mancato pagamento dei loro crediti anteriori”. In concreto, l’art. 6, co. 5, fuga ogni dubbio sull’obbligo la banca di proseguire l’adempimento dei contratti di finanziamento, senza poter attivare i rimedi di cui all’art. 1460, 1461, 1822 [25]. In altri termini, nell’ambito della composizione negoziata, a fronte della richiesta di misure protettive, non dovrebbero giudicarsi legittimi il recesso, o la sospensione da parte dell’istituto di credito delle linee di credito, per effetto degli inadempimenti pregressi.
Appare, quindi, che la normativa sulla composizione negoziata evidenzi una coerenza sistematica ed abbia posto al centro del progetto di risanamento il sostegno finanziario dell’impresa in crisi, con due strumenti di diversa ampiezza: 
-          in linea generale, si impone alle banche un rafforzamento del proprio ruolo professionale a supporto della continuità aziendale delle imprese che presentino un piano ragionevole;
-          in linea specifica, tale sostegno viene ampliato se si richiedono  le misure protettive, posto che in tal caso al debitore non potranno essere opposti neppure gli inadempimenti antecedenti, al fine di attivare i rimedi previsti dagli artt. 1460 e 1461 c.c.. 
4 . Osservazioni conclusive
In definitiva, tirando le fila del ragionamento, si può ragionevolmente sintetizzare che:
-      sono già presenti nell’ordinamento, tanto in base alle norme espresse (Costituzione, Codice Civile, disposizioni di settore, ecc.), quanto in base ai principi sistematici, penetranti obblighi di protezione e solidarietà in capo alle banche, pena il risarcimento del danno, anche debordando dai contorni delineati dal mero contratto sottoscritto tra le parti; 
-      il D.L. n. 118/2021 si colloca in un quadro volto a favorire l’emersione anticipata della crisi e la sua risoluzione grazie a particolari strumenti tecnici, ponendo al centro del sistema il dialogo tra l’esperto compositore e gli altri interlocutori del debitore;
-      a fronte di questa situazione delle imprese, viene previsto l’obbligo per tutti gli stakeholders del debitore, ma in particolare per le banche – stante il loro dovere istituzionale già cesellato da autorevole e copiosa giurisprudenza e dalla norma espressa a loro riservata (art. 4, co. 6) – di agire secondo buona fede in un’accezione particolarmente rafforzata; ciò implica che in presenza di un progetto serio, avallato dall’esperto, gli istituti di credito (i) devono assumere un comportamento “proattivo” ed informato, (ii) e, per l’effetto, tantomeno possono interrompere repentinamente il supporto finanziario (insomma, il D.L. n. 118/2021 riposa su una visione centrale del dovere di solidarietà [26]. Diversamente, risulterebbe configurabile un’azione risarcitoria verso la banca.
Infine, sia consentita un’ultimissima riflessione, proprio sul contenuto del “supporto finanziario”: l’art. 4, comma 6, con una formulazione “atecnica”, si concentra sugli “affidamenti” (ma ciò dovrebbe ragionevolmente valere per ogni linea di credito, mutuo, ecc.), perché costituiscono il terreno elettivo dello scopo della norma, ossia le situazioni in cui si ha stretta necessità di mantenimento del supporto.
In concreto, il problema riguarda le linee a breve parzialmente inutilizzate di cui si è già trattato: si deve intendere che queste in presenza di un piano affidabile dovrebbero essere mantenute, eventualmente concordando un utilizzo secondo un approccio di “par condicio” di condivisione dell’impegno finanziario tra gli istituti, che dovrebbe guidare il progetto di risanamento secondo buona fede.
Pertanto, ad avviso di chi scrive, in un’ottica di composizione quale quella che ora occupa, una possibile ipotesi ispirata a criteri di ragionevolezza ed equità sarebbe quella di mantenere gli utilizzi in essere, secondo la ripartizione esistente al momento di avvio della composizione, e permettere eventuali maggiori impieghi sull’importo lordo concesso, tuttavia proporzionando tali utilizzi su basi omogenee tra i vari istituti partecipanti al tavolo della negoziazione, in rapporto ai rispettivi importi. Per l’effetto, non risulterebbe violata la parità di condizione tra gli stessi, in ossequio ai principi ispiratori tanto della materia concorsuale quanto del novellato istituto.

Note:

[1] 
E’ in concreto impossibile elencare tutti i numerosi contributi che si sono efficacemente soffermati sulle nuove disposizioni di cui al D.L. n. 118/2021. Data la ricchezza tematica e l’autorevolezza degli Autori, si veda per tutti lo Speciale Riforma di Diritto Della Crisi (a cura di L. De Simone, M. Fabiani e S. Leuzzi), Le nuove misure di regolazione della crisi d’impresa - Commento al D.L. n. 118 del 2021 conv. con L. n. 147 del 2021, Novembre 2021, in www.dirittodellacrisi.it, https://dirittodellacrisi.it/file/6fUxIaQtN3Cx33qrNkLwryHN276aRRADoRoTCueO.pdf
Inoltre, si veda il Dossier Senato della Repubblica e Camera dei Deputati 6 settembre 2021, Misure urgenti in materia di crisi d'impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia.
[2] 
Particolarmente incisivo ed autorevole appare quanto scritto da L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in Diritto Della Crisi, 25 Agosto 2021, https://dirittodellacrisi.it/articolo/il-d-l-pagni-ovvero-la-lezione-positiva-del-covid#param4: “L’obbligo di correttezza e buona fede si traduce per i creditori e le altre parti nel dovere di collaborare lealmente e in modo sollecito con l’imprenditore e con l’esperto e di rispettare l’obbligo di riservatezza sulla situazione dell’imprenditore, sulle iniziative da questi assunte o programmate e sulle informazioni acquisite nel corso delle trattative. Il dovere di collaborazione non si traduce nella necessità di prestare consenso alle iniziative dell’imprenditore, ma di non ostacolare le trattative con un comportamento ostruzionistico o rifiutando il contraddittorio sulle proposte del debitore. Si spiega pertanto il precetto contenuto nell’ultima parte dell’art. 4, comma 7, che impone alle parti, tutte e dunque anche allo stesso imprenditore, di dare “riscontro alle proposte e alle richieste ….durante le trattative con risposta tempestiva e motivata”.  La regola, che non è espressamente contenuta nel codice della crisi, trae origine dal rilievo che sovente le trattative si arenano perché le proposte del debitore non trovano risposta o ricevono scarsa attenzione da parte dei creditori o di altri soggetti interessati. Questa è anche una delle ragioni per cui nel nostro Paese le trattative per la composizione della crisi durano mediamente più che nel resto dell’Unione Europea. Il precetto è articolato in modo più specifico per quanto concerne le banche, gli intermediari finanziari, i loro mandatari ed i cessionari dei loro crediti. A tutti questi soggetti il comma 6 dell’art. 4 impone di partecipare alle trattative in modo attivo ed informato. Anche in questo caso la regola deriva da un comportamento riscontrato nel sistema bancario in cui la disattenzione e la lentezza che deriva da un’organizzazione che talvolta è eccessivamente burocratica, costituisce un ostacolo al raggiungimento di un accordo su un piano di ristrutturazione. Il legislatore ha fatto specifico riferimento all’ipotesi di cessione dei crediti bancari perché anche qui è accaduto, a seguito della cessione ai servicer degli NPL e degli UTP, che il debitore ceduto non sia stato in grado di trovare un interlocutore valido, in condizioni di riscontrare le sue proposte”.
Inoltre, sulle ragioni legislative alla base dell’intervento, si vedano ad esempio A. Guiotto, Il ruolo dell’esperto nelle trattative con i soggetti rilevanti, in Speciale Riforma di Diritto Della Crisi, cit., 52 e ss. ed in particolare 54, oltre agli ulteriori scritti citati dallo stesso Autore; P. Rinaldi, La composizione negoziata della crisi e i rapporti con gli intermediari creditizi, in Ristrutturazioni aziendali, 9 settembre 2021 https://ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it/uploads/admin_files/rinaldi-09-09-21-RA.pdf.
[3] 
Per un convincente inquadramento sul tema, cfr. Gioacchino Amato, L'informazione finanziaria price-sensitive, Firenze, 2013, 13 e ss., oltre agli studi di matrice costituzionale ampiamente citati dall’Autore.
[4] 
Per un approfondito inquadramento delle regole civilistiche rilevanti nel definire il perimetro degli obblighi bancari, si veda il recente contributo di B. Inzitari, L’azione di massa per abusiva concessione di credito nella giurisprudenza della Cassazione, in Contratto e impresa n. 4/2021, 1125 e ss., che non solo commenta Cass., 30 giugno 2021, n. 18610 (sulla quale ci si intratterrà nel prosieguo), ma anche tratteggia in maniera esaustiva la “cornice legislativa” sulla quale riposa la responsabilità bancaria, altresì offrendo amplissimi riferimenti bibliografici e giurisprudenziali (in particolare, note a piè di pagina n. 1, n. 2 e n. 5).
[5] 
In concreto, quindi, il recesso non dovrà essere effettuato in modo repentino, consentendo all’imprenditore “di continuare a operare sul conto corrente per un lasso temporale sufficiente a consentirgli di ricercare un’altra controparte contrattuale e a evitare eccessive difficoltà nello svolgimento dell’attività imprenditoriale”, Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Napoli, 29.5.2012, n. 1738.
[6] 
Cfr. Tribunale Milano, 8 settembre 2006, in Banca, borsa, titoli di credito, 2008, Parte II, 85 ss., con ampia nota di C. Marseglia, Rottura brutale del credito e responsabilità della banca. Tale pronuncia contribuisce a configurare gli elementi dello scorretto comportamento del finanziatore, in specie affrontando la questione della responsabilità della banca per “rottura brutale del credito’’ a fronte degli sconfinamenti del correntista, ripetutamente tollerati dall’istituto di credito. La reiterata tolleranza viene definita uso negoziale sul presupposto della presunta conoscenza da parte del correntista di tale prassi, inferibile da atteggiamenti concludenti di quest’ultimo, quali la possibilità di operare con massima libertà sul conto corrente e sulla ‘‘fiducia riposta nel cliente”. La violazione da parte dell’istituto di credito del preteso uso negoziale e l’assunzione di una condotta contraria a buona fede (consistite nell’interruzione arbitraria ed improvvisa del servizio bancomat), cui comunque deve informarsi il rapporto contrattuale cliente/banca, rendono illegittimo il comportamento dell’istituto di credito.
[7] 
Si consideri che la responsabilità derivante da “contratto sociale” è di tipo contrattuale, qualificata da fatti idonei a produrla ex art. 1173 c.c. (in questo senso, da ultima, cfr. ancora Cass. 30 giugno 2021, n. 18610).
[8] 
Sul delicatissimo profilo del finanziamento delle imprese in crisi cfr. M. Vitiello, Il ruolo delle banche nell’aggravamento e nella soluzione della crisi d’impresa, https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/il-ruolo-delle-banche-nell-aggravamento-e-nella-soluzione-della-crisi-d-impresa_478.php.
[9] 
 La banca, quindi, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell'impresa, potrà supportare il progetto di risanamento aziendale “erogando credito ad impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di razionale permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito allo scopo del risanamento aziendale, secondo un progetto oggettivo, ragionevole e fattibile”(così, ancora, Cass. 30 giugno 2021, n. 18610). 
[10] 
A. Jorio, Qualche ulteriore considerazione sul d.l. 118/2021, e ora sulla legge 21 ottobre 2021, n. 147, in Ilcaso.it, mette in evidenza che il sistema del D.L. n.118 è imperniato sul superamento della crisi e della situazione di insolvenza reversibile: “il recupero della continuità aziendale può essere uno degli obiettivi e, al tempo stesso, un mezzo per superare lo stato di insolvenza, ma l’uscita da una condizione di insolvenza potrebbe intervenire anche attraverso una liquidazione controllata o il trasferimento dell’azienda a terzi”. In altri termini, benché le operazioni in cui si realizza la continuità aziendale appaiano il terreno elettivo di applicazione della composizione assistita, non si deve escluderne l’applicazione anche nelle situazioni liquidatorie, qualora il progetto porti al superamento della crisi, eventualmente anche mediante la liquidazione e l’accettazione di pagamenti parziali.
[11] 
 In tal senso, quindi, i crediti bancari che godono di garanzie di terzi (ad esempio dell’ipoteca sui beni dei soci), spesso vengono trattati nei tavoli di trattativa come finanziamenti privilegiati, anche se, nell’ambito del patrimonio del soggetto giuridico oggetto di ristrutturazione, si tratta di meri crediti chirografari.
[12] 
 In merito a tale disposizione l’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 34/E del 2020, ha precisato che “Gli interventi normativi elencati in precedenza si collocano nel più ampio percorso, legislativo e giurisprudenziale, inaugurato con il citato decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, onde favorire la conservazione dell’impresa e, con essa, la salvaguardia dei livelli occupazionali e la tutela dei creditori, enfatizzando, al contempo, il ruolo, gli obblighi e i profili di responsabilità in capo ai professionisti incaricati di attestare la veridicità dei dati aziendali che supportano l’attuazione del piano di risanamento”.
[13] 
Come noto, con tale modifica – in estrema sintesi – si è consentito al Tribunale di procedere, in base ad una valutazione di maggior convenienza della proposta dell’imprenditore rispetto all’alternativa liquidatoria, all’omologazione del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, anche in caso mancata adesione dell'Amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie.
[14] 
Si pensi, ad esempio, a quanto previsto dall’art. 69 T.U.B. quinquiesdecies, relativo alle Condizioni per il sostegno delle stesse banche ove è previsto che “Il sostegno finanziario previsto dall'accordo è concesso se sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) si può ragionevolmente prospettare che il sostegno fornito ponga sostanziale rimedio alle difficoltà finanziarie del beneficiario; b) il sostegno finanziario è diretto a preservare o ripristinare la stabilità finanziaria del gruppo nel suo complesso o di una delle società del gruppo ed è nell'interesse della società del gruppo che fornisce il sostegno …”;
[15] 
Sulla rilevanza del Codice della crisi e dell’insolvenza, pur nel periodo della sua vacatio legis, si vedano Cass. SS UU, 24 giugno 2020 n. 12476; Cass. SS UU, 25 marzo 2021, n. 8504, nonché la recentissima Cass. SS UU, 31 dicembre 2021 n. 42093.
[16] 
M. Perrino, Disciplina italiana dell’allerta e Direttiva Insolvency: un’agenda per il legislatore, in Diritto Della Crisi, 31 Agosto 2021 https://dirittodellacrisi.it/articolo/disciplina-italiana-dellallerta-e-direttiva-insolvency-unagenda-per-il-legislatore
[17] 
Per usare le efficaci parole di autorevole dottrina “le proposte del debitore non trovano risposta o ricevono scarsa attenzione da parte dei creditori o di altri soggetti interessati. Questa è anche una delle ragioni per cui nel nostro Paese le trattative per la composizione della crisi durano mediamente più che nel resto dell’Unione Europea”: in ciò,si rinvia al chiarissimo pensiero di L. Panzani, già richiamato sub nota 2.
[18] 
Sulle modifiche apportate alla cd “transazione fiscale” è quasi impossibile citare non solo la dottrina, ma anche la stessa giurisprudenza che si sono occupate del tema. Pertanto, senza pretesa di esaustività, si ricordano G. Andreani, Le nuove norme della legge fallimentare sulla transazione fiscale, in Il Fallimentarista, gennaio 2021; L. Gambi, Questioni aperte sul cram down nella transazione fiscale, in Il Fallimentarista, gennaio 2021; Id., Alcune note sul nuovo cram down nella transazione fiscale e contributiva, 13 gennaio 2021, in ilcaso.it; E. De Mita, Con la nuova transazione al centro l’interesse fiscale, in Norme & Tributi de Il Sole 24 ore, febbraio 2021; D. Giuffrida – A. Turchi, Cram down fiscale e voto negativo dell’amministrazione finanziaria: Tribunale di Forlì, 16 marzo 2021, in ilcaso.it; F. Santangeli, Note sul nuovo ruolo del tribunale come giurisdizione di merito nel trattamento dei crediti tributari e contributivi nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza ed in più recenti disposizioni legislative, 18 marzo 2021, in ilcaso.it;  M. Monteleone – S. Pacchi, Il nuovo “cram down” del tribunale nella transazione fiscale, in www.ilcaso.it, febbraio 2021; L. De Bernardin, Brevi note a prima lettura sull’omologa dei piani di ristrutturazione con trattamento dei crediti tributari o contributivi, in www.ilcaso.it.; G. Acciaro –  A. Turchi, Il cram down fiscale dopo il D.L. 118/2021 e le prime pronunce di merito, in Diritto Della Crisi, 16 Dicembre 2021.
In giurisprudenza, sul tema cfr. ex pluribus: Trib. La Spezia 14 gennaio 2021; Trib. Forlì 15 marzo 2021; Trib. Teramo 19 aprile 2021; Trib. La Spezia 25 novembre 2021; Trib. Genova 13 maggio 2021; Trib. Pescara 27 maggio 2021; Trib. Roma 31 maggio 2021; Trib. Roma 30 giugno 2021.
[19] 
Pare ragionevole ritenere che gli obblighi in commento trovino fonte nel preesistente rapporto contrattuale instaurato con la banca, ed in quanto tale la violazione genererebbe una responsabilità di tipo contrattuale, con notevoli conseguenze in termini di prescrizione e, soprattutto, in termini di onere della prova.
[20] 
Cfr. ad esempio L. Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, in Fall., 2013,  1222 e ss. ed in specie 1228, secondo cui la ratio della norma sarebbe quella di "non compromettere i benefici derivanti dai contratti in corso di esecuzione alla data del deposito della domanda”.
[21] 
Secondo una consolidata interpretazione giurisprudenziale e dottrinale dell’art. 52 l.f. – principio ora tranquillamente applicabile anche alla procedura di concordato, in forza del combinato disposto dell’art. 186-bis l.f. (che sanziona la nullità delle clausole contrattuali di risoluzione espressa) e dell’art. 168 l.f. (che introduce principi analoghi a quelli dell’art. 52 l.f.) – si può sostenere quanto segue: nei contratti con prestazioni corrispettive, intervenuto il fallimento del contraente inadempiente, l’altro non può proporre l’azione di risoluzione contro la procedura, con effetti nei confronti della massa. Ciò, in quanto l’avvio della procedura determina la destinazione del patrimonio al soddisfacimento paritario di tutti i creditori e la cristallizzazione delle loro posizioni giuridiche, con la conseguenza che la pronuncia di risoluzione non può non produrre gli effetti restitutori e risarcitori suoi propri, che sarebbero lesivi della par condicio. Il creditore non può chiedere la risoluzione del rapporto dopo l’avvio della procedura con l’effetto di modificare a proprio favore e verso la massa dei creditori la situazione giuridica di cui è titolare. In tal senso si veda monolitica giurisprudenza nel corso del tempo: Cass. 24 ottobre 1967, n. 2622; Cass. 13 luglio 1971, n. 2252; Cass. 14 luglio 1971, n. 2295; Cass. 4 agosto 1977, n. 3471; Cass. 9 dicembre 1982, n. 6713; Cass. 5 gennaio 1995, n. 185; Cass. 16 gennaio 1998, n. 376.
[22] 
Secondo un primo orientamento dottrinale, la disposizione in commento non solo renderebbe inopponibile alla procedura eventuali clausole che consentano alla parte in bonis di sciogliere il contratto a fronte della sola apertura della procedura concorsuale, ma sarebbe idonea, in relazione alla esecuzione del contratto, a rendere irrilevanti gli inadempimenti anteriori: di conseguenza il debitore potrebbe pretendere, a fronte del proprio adempimento delle (sole) obbligazioni successive, che l’altra parte prosegua con l’adempimento dei propri obblighi (si pensi alla rilevanza di tale impostazione per i contratti ad esecuzione continuata). In tal senso A. Patti, Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento, in Fall., 2013, 266 e ss.; Stanghellini, Op. cit., 1228.
Il tema è specialmente affrontato con riguardo ai contratti di somministrazione, da parte della giurisprudenza di merito.
Infatti, trattandosi di contratto di durata per sua natura caratterizzato da prestazioni continuative, è orientamento consolidato che nel corso di un concordato prenotativo con continuità aziendale il contraente in bonis non possa per alcuna ragione sospendere l’esecuzione delle sue prestazioni, né pretendere il pagamento dei debiti pregressi (in tal caso si veda Tribunale di Vicenza 16.05.2014).
In data 18.01.2016 anche il Tribunale di Alessandria, ribadendo un precedente orientamento del Tribunale di Modena – di cui a breve – ha precisato che “nessuna risoluzione per inadempimento può essere invocata in relazione al mancato pagamento delle forniture anteriori, essendo tale pagamento inibito al debitore concordatario là ove invece il solo inadempimento per le forniture scadute ex post, i cui crediti sono estranei agli effetti di cui all’art. 184 l.f. e vanno pertanto pagati integralmente, potrebbe giustificare la risoluzione”.
Neppure si può chiedere al Tribunale l’autorizzazione al pagamento anticipato per la minaccia del fornitore di sospendere le forniture, in quanto lo stesso Tribunale ha precisato che “né, può sostenersi che anche la minaccia del fornitore di non adempiere al contratto o di risolverlo sarebbe sufficiente a consentire il pagamento immediato e integrale dei crediti pregressi in quanto è impensabile che il legislatore abbia potuto prevedere la possibilità di fronteggiare il rischio di una condotta illegittima (inadempimento contrattuale) di una delle parti del contratto autorizzando l’altra parte (il debitore in concordato) a derogare ad uno dei principi cardine delle procedure concorsuali e cioè il rispetto della par condicio creditorum”.
A nostro avviso, quindi, risulta impensabile che in una cornice normativa tutta volta a tutelare le prospettive di continuità aziendale non sia garantita la prosecuzione dei contratti giudicati indispensabili dall’imprenditore e possa quindi ammettersi la risoluzione per pregresso inadempimento, tanto più che l’altro contraente dalla prosecuzione non riceve danno, una volta che sia garantita adeguatamente la remunerazione in prededuzione dell’attività successiva (in tal senso, chiaramente, Tribunale di Modena 6 agosto 2015).
Secondo altro orientamento, invece, la norma non impedirebbe alla parte in bonis di eccepire l’inadempimento ai fini di attivare i rimedi previsti dagli articoli 1460, 1461, 1565, 1822 del Codice Civile. Di conseguenza la parte in bonis potrebbe promuovere un’eccezione di inadempimento ai fini di non proseguire con la propria prestazione, ovvero potrebbe chiedere un supplemento di garanzia a proprio favore. In questo senso V. Tavormina, Contratti bancari e preconcordato, in www.judicium.it,: “La modifica pare confermare l’ininfluenza, tradizionalmente ritenuta, dell’ammissione a concordato sui rapporti giuridici preesistenti (Maffei Alberti, sub art. 167, IX) al cui adempimento, appunto, il debitore può sottrarsi solo nei limiti e con gli effetti previsti dalla nuova disposizione (non si appli-cano cioè gli artt. 72 ss. l.f.). Reciprocamente, fuori di dette ipotesi, la controparte dovrebbe conser-vare la posizione pregressa e dunque, nei contratti in corso di esecuzione, dovrebbe conservare i relativi diritti ed obblighi (salva la falcidia concordataria dei crediti già sorti) e tutti i connessi poteri a cominciare da quelli volti a salvaguardare il sinallagma contrattuale (risoluzione del contratto, ecce-zioni di inadempimento ecc.)”.
[23] 
Peraltro, anche per effetto delle clausole generalmente inserite nei contratti di anticipazione che accordano alle banche la facoltà, più o meno insindacabile, di accettare le fatture che vengono proposte per gli anticipi, si assiste, dopo il deposito del concordato, al venire meno della possibilità di utilizzare le linee a breve in essere.
[24] 
Ciò merita di essere considerato posto che normalmente le linee di credito a breve prevedono la possibilità per la banca di beneficiare delle somme oggetto del patto di compensazione (cd annotazione ed elisione in conto). In sostanza, l’istituto di credito anticipa all’impresa gli importi dovuti dai clienti (integralmente, o più frequentemente in percentuale fissa) e alla scadenza, al momento del pagamento da parte del cliente alla banca, la stessa recupera quanto anticipato, in conformità ad un orientamento giurisprudenziale che appare maggioritario.
[25] 
D’altro canto, considerata la chiarezza della norma, un utilizzo spregiudicato della facoltà concessa alle banche di non accettare i singoli i crediti da anticipare rappresenterebbe un evidente comportamento abusivo, censurabile per tutte le ragioni sopra esposte.
[26] 
Sul tema, si veda il recentissimo ed illuminante scritto di M. Fabiani, Il valore della solidarietà nell’approccio e nella gestione delle crisi d’impresa, in Fall., 2022, 5 ss.

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I sistemi informatici e le procedure software preposte al funzionamento di questo sito web acquisiscono, nel corso del loro normale esercizio, alcuni dati personali la cui trasmissione è implicita nell'uso dei protocolli di comunicazione di Internet. In questa categoria di dati rientrano gli indirizzi IP, gli indirizzi in notazione URI (Uniform Resource Identifier) delle risorse richieste, l'orario della richiesta, il metodo utilizzato nel sottoporre la richiesta al server, la dimensione del file ottenuto in risposta, il codice numerico indicante lo stato della risposta data dal server (buon fine, errore, ecc.) ed altri parametri relativi al sistema operativo dell'utente.

Tempi di conservazione dei Suoi dati - I dati personali raccolti durante la navigazione saranno conservati per il tempo necessario a svolgere le attività precisate e non oltre 24 mesi.

Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

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