Va per cominciare notato che l’ordinamento già prevede particolari obblighi di protezione e di solidarietà in capo alle banche: tuttavia, solo in parte ciò è oggetto di norme specifiche, trattandosi piuttosto di principi estraibili dal sistema. Invero, le fonti risultano assai eterogenee, rilevando non solo leggi settoriali, ma anche il Codice Civile e la Costituzione (basti pensare alle disposizioni che regolano la tutela del risparmio e la libertà di iniziativa economica).
Proviamo di seguito a riepilogare – seppur in maniera estremamente compendiosa – i “ruoli” attribuiti dall’ordinamento al sistema bancario.
Ruolo delle banche e attività riservata di rilevo costituzionale. Innanzitutto, il ruolo istituzionale delle banche promana dalla Carta Costituzionale, su tutti gli artt. 41, 42 e 47. In specie, attraverso l’art. 41, si ascrive a valore costituzionale l’efficienza e la competitività del mercato dei capitali, mentre con l’art. 47 si rimarca il valore generale del risparmio, poi modellato dal Legislatore nella tutela sia del singolo risparmiatore/investitore sia, più in generale, dell’efficienza del mercato [3].
A ben vedere, poi, una lettura “moderna” dell’art. 47, Cost., non può prescindere dall’auspicata efficienza e trasparenza dei mercati finanziari: solo in presenza di un mercato che rispecchia in maniera fedele il valore degli indici azionari si può giungere ad una tutela vera e concreta di risparmiatori e investitori.
Non bastasse, va poi ricordato: (i) che il T.U.B. (D.Lgs. n. 385/1993) forgia il principio secondo cui l’attività bancaria e finanziaria è riservata a soggetti che rispondono a peculiari requisiti strutturali e assolvono a specifici obblighi di autorizzazione e di registrazione, (ii) che l’art. 91 del T.U.F. (D.Lgs. n. 58/1998) reca una “sintesi” tra i valori “in opposizione” previsti dai predetti artt. 41 e 47, mirando ad equilibrare il rapporto esistente tra principi costituzionali aventi eguale dignità, ossia (a) il principio dell’efficienza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali e (b) il principio di tutela degli investitori.
In definitiva, le più alte fonti ordinamentali riservano un riconosciuto ruolo istituzionale e di responsabilità alle banche, in quanto soggetti dotati di peculiari prerogative.
Ruolo delle banche e dovere di protezione. La concessione abusiva del credito. L’attività bancaria, con riferimento tanto alle contrattazioni volte all’accesso ed all’esercizio del credito ed alla raccolta del risparmio, quanto, più in generale, ad ogni tipologia di atto o di operazione posta in essere, richiede un grado di diligenza “qualificato” (quella del c.d. bonus argentarius, perimetrato nell’ambito del principio normativo di cui all’art. 1176 c.c.); ciò, stante l’alto grado di professionalità dei soggetti agenti.
Perciò, l’ordinamento appresta guarentigie particolari, come detto fondate su un peculiare sistema di autorizzazioni, di vigilanza e di trasparenza, in uno con un articolato e stringente assetto sanzionatorio: insomma, la funzione economico-sociale dell’attività bancaria impone una stretta riserva di operatività, presidiata anche da norme di carattere penale [4].
L’esigenza di un alto grado di prudenza e di attenzione trova giustificazione nell’interesse pubblicistico sotteso: oltre alla Costituzione, il già citato T.U.B., e poi il Codice Civile e quello Penale, integrano le fondamenta normative, su cui si innesta l’attività della Banca d’Italia.
Di questo substrato sostanziale, procedurale e sanzionatorio fornisce un indefettibile apporto esegetico la giurisprudenza. Infatti, la Corte di Cassazione, ad esempio con le sentenze 15 aprile 1992, n. 4571; 8 gennaio 1997, n. 72; 27 settembre 2001, n. 12093, ha statuito il principio secondo cui il comportamento della banca deve essere giudicato in modo più rigoroso e specifico rispetto ad un soggetto “ordinario”, richiedendo un grado elevato di diligenza necessario per evitare il verificarsi di eventi dannosi per la clientela.
Una delle maggiori articolazioni di ciò è costituita dalla fattispecie del cd “concessione abusiva al credito”, che come noto attiene alla violazione del dovere di diligenza e di accortezza nello svolgimento di tutte le attività preliminari e propedeutiche alla concessione di finanziamento. L’obbligo di valutare e verificare il merito creditizio da parte della banca finanziatrice discende dalla disciplina primaria e secondaria prevista dal nostro ordinamento bancario, dal principio della sana e corretta gestione, che permea l’intera disciplina bancaria, e dalla normativa sovranazionale diretta al controllo ed alla ponderazione dei rischi. Ora, l’interesse alla stabilità del sistema creditizio esige una ponderata disamina della solidità del debitore, di talché la condotta abusiva si configura allorché una banca conceda, rinnovi o proroghi un finanziamento ad un’impresa in stato di grave crisi economica, pur avendo piena contezza di questa situazione. Infatti, differendo l’emersione dello stato di insolvenza e, verosimilmente, anche l’apertura di una procedura concorsuale a carico dell’azienda, la banca potrebbe concorrere nel conservare in vita un’impresa dissestata, “decotta”, che non dovrebbe più operare, così nuocendo non solo ai propri creditori ma anche agli altri operatori del mercato di elezione. In altri termini, se vogliamo più semplicistici, l’erogazione o conservazione di un finanziamento “immeritevole” non costituisce un arricchimento per il soggetto affidato, trattandosi in realtà di posta che non solo aumenta l’indebitamento, ma pure altera il sistema di pagamento dei creditori, tipicamente venendo utilizzate tali somme per finalità contingenti, non “strutturali”.
In ogni caso, sul tema del ricorso abusivo al credito, costituisce senz’altro un riferimento imprescindibile la nota Cass. SS UU, 28 marzo 2006, n. 7030.
Ruolo delle banche nella concessione e nel mantenimento del credito. Ulteriore elemento di riflessione emerge da altra faccia della stessa medaglia, ossia il comportamento delle banche nella concessione e nella gestione del rapporto di credito in essere, ed in particolare nel momento in cui questo sia oggetto di interruzione.
La cd “rottura brutale” del credito è integrata dall’arbitraria decisione della banca di negare al cliente la concessione o la prosecuzione del credito concesso, e di imporre alla controparte il rientro repentino dalla propria esposizione debitoria: trattasi di una condotta che, oltre a danneggiare direttamente la propria controparte contrattuale, potrebbe diventare la causa stessa del suo dissesto.
Talvolta, infatti, la prassi bancaria ha registrato comportamenti illegittimi ed arbitrari, tali da esporre l’affidato ad evidenti pregiudizi, costringendolo ad una improvvisa e repentina crisi di liquidità e, conseguentemente, all’insolvenza [5].
Peraltro, va considerato che le posizioni del cliente e della banca sono contrassegnate da una significativa “asimmetria informativa”, assunta la mole di dati a disposizione dell’istituto a discapito del debitore, nonché la possibilità riconosciuta all’istituto stesso di predisporre unilateralmente le clausole contrattuali (incluse quelle di recesso) da utilizzare nell’erogazione delle somme.
Si noti che il comportamento censurato in questa ipotesi è contrassegnato dal rispetto “formale” degli accordi pattizi, ma da un impiego “sostanziale” da parte della banca delle proprie prerogative contrattuali non in buona fede o, quanto meno, non secondo la qualificata diligenza che deve essere utilizzata dal bonus argentarius, concretando comportamenti idonei a creare difficoltà finanziarie (e conseguenti danni) a clienti che meriterebbero, invece, il mantenimento della linea creditoria [6].
Tra le pronunce più recenti, spicca Cass. 20 dicembre 2020, n. 29317, secondo cui: “il recesso di una banca da un rapporto di apertura di credito in cui non sia stato superato il limite dell’affidamento concesso, benché pattiziamente previsto anche in difetto di giusta causa, deve considerarsi illegittimo, in ragione di un’interpretazione del contratto secondo buona fede, ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, contrastando, cioè, con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale di quelli in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e non sia, dunque, pronto alla restituzione, in qualsiasi momento, delle somme utilizzate. Il debitore il quale agisce per far dichiarare l’arbitrarietà del recesso ha l’onere di allegare l’irragionevolezza delle giustificazioni date dalla banca, dimostrando la sufficienza della propria garanzia patrimoniale così come risultante a seguito degli atti di disposizione compiuti (Cass. Sez. I, Sentenza n. 17291 del 24/08/2016)”. Di analogo tenore, ex multis, Cass. 14 luglio 2000, n. 9321; 21 maggio 1997, n. 4538; 24 agosto 2016, n. 17291.
Ruolo delle banche e contratto sociale. A supporto di quanto fin qui illustrato, si consideri altresì il convincente filone esegetico che incasella la concessione del credito nell’ambito della responsabilità da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., da cui derivano, a carico delle parti, reciproci obblighi di correttezza, di buona fede, di protezione e di informazione, giusta, inter alia, gli artt. 1175 e 1375 c.c. (cfr., per tale ricostruzione, quanto statuito in maniera cristallina dalla recentissima Cass. 30 giugno 2021, n. 18610, la quale attinge anche a precedenti pronunce, quali Cass. 12 luglio 2016, n. 14188; Cass. 25 luglio 2018, n. 19775; Cass. SS UU, 28 aprile 2020, n. 8236, nonché Cons. Stato, ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5).
Ancora, in merito agli obblighi di condotta in buona fede a cui è tenuto l’intermediario, è significativa Cass. 10 aprile 2015, n. 7181: “In riferimento all’esecuzione di un contratto, ciascuna delle parti del rapporto contrattuale ha l’obbligo di agire in buona fede cooperando con l’altra parte in vista della realizzazione del comune intento perseguito con la conclusione del contratto, per cui, sotto tale profilo, anche la mera inerzia può costituire inadempimento degli obblighi di correttezza e buona fede. Ciò in quanto correttezza e buona fede, che operano con criterio di reciprocità costituiscono doveri giuridici autonomi a carico delle parti contrattuali, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o da quanto espressamente stabilito dalle norme”.
Il contratto sociale, quindi, può essere definito come un rapporto in cui un soggetto, pur in assenza di un contratto, ma in forza delle sue qualità tecniche e professionali, è gravato di obblighi di protezione verso un altro soggetto, il quale, a sua volta, nutre verso il primo un legittimo affidamento all’osservanza di prescrizioni. Elementi caratterizzanti della figura sono, quindi, l’assenza di specifiche prescrizioni contrattuali, un principio di affidamento e una relazione qualificata idonea a produrre obblighi di protezione.
In estrema sintesi, la valenza generale del dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede risulta “rafforzata”, più pregnante, laddove tra i consociati si instaurino momenti relazionali socialmente o giuridicamente qualificati, ed in specie ove l'elemento ricorrente, che contribuisce a qualificare il rapporto come fonte di specifici doveri di correttezza, è rappresentato dal peculiare status professionale ricoperto e dall’esigenza di rafforzamento della tutela dei soggetti a rischio, in situazioni in ci il pericolo di lesione di interessi giuridicamente tutelati è elevato.
Ciò si inserisce in un’evoluzione del diritto civile coerente con i valori costituzionali fondamentali, tra cui il dovere si solidarietà imposto dall’art. 2, Cost. [7].
Ruolo delle banche ed imprese in crisi. Quanto sin qui illustrato trova poi un ideale approdo proprio con riferimento al finanziamento delle imprese in crisi: anche su questo punto, pare particolarmente convincente Cass. 30 giugno 2021, n. 18610, la quale, dopo aver operato un puntuale riferimento alla normativa concorsuale ed agli istituti specifici apprestati per la soluzione della crisi, fissa alcuni principi chiarissimi, tra cui: (i) il Legislatore da tempo mostra un netto favore verso il sostegno finanziario dell'impresa, ai fini della risoluzione della crisi attraverso istituti che ne scongiurino il fallimento, per l’effetto promuovendo la maggiore soddisfazione dei creditori; (ii) le disposizioni normative vengono dettagliatamente modellate in relazione allo strumento di risoluzione della crisi prescelto ed alla funzione svolta dal finanziamento; (iii) in sostanza, quel che rileva non è più il fatto in sè che l'impresa finanziata sia in stato di crisi o di insolvenza, pur noto al finanziatore, onde questi abbia così cagionato un ritardo nella dichiarazione di fallimento: quel che rileva per negare/interrompere il finanziamento è unicamente l'insussistenza di fondate prospettive, in base a criteri di ragionevolezza e ad una valutazione, ex ante, di superamento di quella crisi.
In definitiva, non si rimane più sospesi in un limbo indefinito tra responsabilità (a) da concessione abusiva o (b) da interruzione abusiva, in quanto la distinzione del finanziamento “meritevole” dal finanziamento “abusivo” si fonderà sulla ragionevolezza e fattibilità di un piano aziendale di risanamento [8] Il sistema, quindi, è ispirato al principio della meritevolezza dell’ausilio creditizio dell’impresa in crisi, allo scopo di evitarne il fallimento e soddisfare meglio i creditori, basandosi su meccanismi procedimentalizzati, fondati su precisi presupposti e controlli, idonei a renderli utili, per definizione, allo scopo di un progetto economico-finanziario volto al recupero della continuità aziendale.
Il lecito finanziamento all’impresa in crisi potrà essere sviluppato anche fuori dall’ambito dei negozi connotati da un formalizzato progetto di sostegno alla medesima, e sarà compito del giudice del merito riscontrare la liceità e la meritevolezza del finanziamento, pur se concesso in presenza di una situazione di difficoltà economico-finanziaria dell'impresa, qualora sussistevano ragionevoli prospettive di risanamento. A tutela del finanziatore, infatti, secondo Cass. 30 giugno 2021, n. 18610 “ogni accertamento, ad opera del giudice del merito, dovrà essere rigoroso e tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, secondo il suo prudente apprezzamento, soprattutto ai fini di valutare se il finanziatore abbia (a parte il caso del dolo) agìto con imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell'art. 43 c.p., o abbia viceversa, pur nella concessione del credito, attuato ogni dovuta cautela, al fine di prevenire l'evento” [9].