Loading…

Saggio

La distribuzione del valore nel concordato in continuità con attribuzioni ai soci: il difficile equilibrio tra principi di equa ripartizione e criteri di valutazione delle aziende in crisi*

Mauro Bini, Professore Ordinario di Finanza Aziendale Università Bocconi - Milano
Gianfranco Peracin, Dottore Commercialista in Padova

7 Novembre 2025

*Saggio sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’articolo analizza alcune criticità della disciplina introdotta dall’art. 120 quater del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza in tema di distribuzione del valore economico residuo nel concordato preventivo in continuità con attribuzioni in favore dei soci. Muovendo dal confronto con la disciplina previgente e dalla ratio ispiratrice della Direttiva (UE) 2019/1023, si affronta il tema del difficile bilanciamento tra tutela dei creditori e riconoscimento di una quota di valore agli azionisti preesistenti rispetto all’inizio della procedura concordataria. Particolare attenzione è dedicata alle problematiche connesse alla stima del “valore effettivo riservato ai soci” anche per effetto della recente modifica introdotta dal D.Lgs. n. 136/2024 (c.d. “Correttivo-ter”) che avrebbe dovuto semplificarne la determinazione. Da ultimo, viene affrontato l’aspetto dell’attribuzione del valore riservato ai soci, esaminando le possibili soluzioni operative.

The article examines certain critical issues arising from the provisions introduced by Article 120-quater of the Italian Code of Business Crisis and Insolvency, with particular regard to the distribution of residual economic value in compositions with creditors based on business continuity, where allocations are made in favor of shareholders. Drawing on a comparison with the previous regulatory framework and the underlying rationale of Directive (EU) 2019/1023, the analysis delves into the complex balancing act between the protection of creditors and the recognition—albeit residual—of a portion of value in favor of pre-existing shareholders at the time of the commencement of the composition proceedings. Specific attention is devoted to the valuation challenges inherent in determining the “actual value reserved for shareholders,” especially in light of the amendments introduced by Legislative Decree No. 136/2024 (the so-called “Correttivo-ter”), which, contrary to its intended purpose of simplification, appears to have introduced additional complexity in this respect. The article highlights technical inconsistencies and areas of legal uncertainty regarding the valuation methodology applicable to said value. Lastly, it addresses the issue of how the value reserved for shareholders is to be allocated, exploring possible operative solutions.

Premessa


Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (di seguito per brevità anche “CCII”), nell’ambito del concordato preventivo con continuità aziendale diretta, disciplina il caso in cui la distribuzione del valore economico veda come beneficiari, sia pur residualmente, i soci (o i “portatori di strumenti che attribuiscono il diritto di acquisire le partecipazioni”[1]) preesistenti rispetto alla presentazione della domanda. Obiettivo della disciplina è impedire che ai soci vengano attribuite utilità sproporzionate o ingiustificate rispetto all’entità del sacrificio imposto ai creditori. Sotto la previgente disciplina della legge fallimentare, nonostante il principio generale sancito dagli artt. 2740 e 2741 c.c. - secondo cui il debitore risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri e i creditori sono soddisfatti secondo il principio della par condicio creditorum, salve le cause legittime di prelazione - mancava una regolamentazione puntuale delle ipotesi in cui il piano con continuità potesse prevedere il mantenimento di valore in capo alla compagine sociale. Conseguentemente, l’unico limite sostanziale era rappresentato dalla funzionalità della continuità al miglior soddisfacimento dei creditori, principio oggi ripreso in forma sistematica dagli artt. 84 e 120 quater CCII. A ciò si affiancava una tesi di matrice giurisprudenziale, ancorché non generalizzata, secondo cui l’adempimento concordatario doveva comunque rispettare le percentuali promesse nel piano sottoposto al voto dei creditori.
Riproduzione riservata
1 . La ratio del riconoscimento del valore ai soci l’inquadramento come creditori di ultima istanza
In linea con la tradizione e la cultura di matrice statunitense, recepita non senza importanti distinguo in ambito europeo nella Direttiva 1023/2019[2], l’inquadramento dei soci (o dei portatori di strumenti partecipativi) come categoria di creditori, seppur di ultima istanza, a cui garantire la tutela di interessi economici nella fase di risanamento aziendale (cons. 57 dir. 1023/2019) si lega all’esigenza di evitare che gli stessi impediscano o siano disinteressati al successo del piano di ristrutturazione finalizzato alla “sostenibilità economica del debitore” (cons. 57 dir. 1023/2019)[3]. Contemporaneamente, tuttavia, l’art. 11 della Direttiva 1023/2019 si preoccupa di evitare che ai soci arrivati alle soglie del deposito della domanda di concordato (la norma si riferisce ai “soci anteriori alla presentazione della domanda”) venga attribuito del valore che avrebbe potuto essere messo a miglior beneficio dei creditori potenzialmente dissenzienti in sede di omologa. Nel Codice della Crisi, in aderenza ai dettami della Direttiva 1023/2019 (considerando 56), la possibilità di soddisfazione in via residuale dei soci (creditori subordinati) è coerente con il disposto dell’art. 112, comma 2, lett. b) CCII, che introduce la Relative Priority Rule (RPR). La RPR consente una maggiore flessibilità nella distribuzione del valore generato dal piano in quanto il valore eccedente rispetto a quello di liquidazione può essere attribuito a classi non integralmente soddisfatte, alle condizioni che: i creditori di grado superiore ricevano un trattamento più favorevole rispetto a quelli di grado inferiore e non vi siano discriminazioni ingiustificate tra classi di pari grado[4]. 
2 . La corretta ripartizione del valore come condizione di omologazione del concordato
L’art. 120 quater, commi primo e secondo, del CCII intitolato “Condizioni di omologazione del concordato con attribuzioni ai soci”, concentra il nucleo delle disposizioni che attuano i principi appena descritti, cercando un equilibrio tra i diversi interessi e ponendo delle specifiche limitazioni al riconoscimento del valore residuale derivante dal processo di turnaround aziendale ai soci preesistenti (detentori di partecipazioni o portatori di strumenti che attribuiscono il diritto di acquisirle[5]). Dopo aver richiamato l’art. 112 CCII e quindi, tra gli altri, la possibilità di applicare la regola del RPR in precedenza descritta, l’art. 120 quater, primo comma, CCII,  dispone che, “se il piano prevede che il valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato anche ai soci anteriori alla presentazione della domanda[6]”, in caso di dissenso di una o più classi di creditori, l’omologazione del concordato possa avvenire “se il trattamento proposto a ciascuna delle classi dissenzienti sarebbe almeno altrettanto favorevole rispetto a quello proposto alle classi del medesimo grado e più favorevole di quello proposto alle classi di grado inferiore, anche se a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci”. Nel caso in cui non vi siano classi di creditori di grado pari o inferiore a quella dissenziente, “il concordato può essere omologato solo quando il valore destinato al soddisfacimento dei creditori appartenenti alla classe dissenziente è superiore a quello complessivamente riservato ai soci”. Un aspetto critico della norma risiede nel fatto che la censura può essere sollevata solo nella fase omologativa, ossia quando il piano concordatario non può più essere modificato (poiché la possibilità di modifica si esaurisce prima dell'inizio delle votazioni da parte dei creditori)[7]. Questo crea evidenti difficoltà che si acuiscono anche in ragione della incerta collocazione temporale del momento dell’omologa[8]. A causa di questa incertezza l’estensore del piano, durante la fase di costruzione delle classi di creditori e nell’attribuzione dell’attivo, si trova inevitabilmente a dover considerare il rischio di un “prospettico” dissenso da parte di una o più classi e nella condizione di poter subire pressioni o tentativi di “moral suasion” da parte del Tribunale, finalizzati a convincere i soci a sostenere il piano con una forma di finanza aggiuntiva, per rafforzare la sua fattibilità[9]. D’altra parte, appare evidente l’opportunità (non l’obbligo[10]) per il debitore di rappresentare in sede di proposta concordataria l’esistenza di un residuo destinato ai soci, in modo da garantire loro l’espressione di un voto informato[11]. Il differimento temporale tra la predisposizione del piano e l’emersione di un potenziale dissenso può influire sensibilmente sulla stima del “valore riservato ai soci”, qualificato dal legislatore come “il valore effettivo, conseguente all’omologazione della proposta”. La scelta di considerare come riferimento l’omologa, anziché valutare il rispetto della condizione di corretto trattamento dei soci come requisito di ammissibilità del concordato, è certamente coerente con l’obiettivo di attribuire alla fase omologativa il controllo della legalità proprio dei principi comunitari. Tuttavia, questa scelta non è priva di costi: infatti, potrebbe comportare una perdita di tempo e di valore per tutti i creditori, compromettendo l’obiettivo di una ristrutturazione tempestiva, come previsto dalla Direttiva 1023/2019[12]. Infine, dal punto di vista procedurale, se è chiaro che la valutazione della misura del sacrificio previsto a carico dei creditori rispetto ai soci non costituisce una condizione di ammissibilità della proposta concordataria[13] e che il Tribunale non può applicare l’art. 120 quater CCII in assenza di dissenso di almeno una classe di creditori, non è altrettanto chiaro se, al momento dell’omologa, in presenza di una o più classi dissenzienti, sia il Tribunale a procedere d’ufficio sollevando l’eventuale eccezione di mancato rispetto dell’art. 120 quater CCII, oppure se sia necessaria l’iniziativa da parte di un creditore appartenente alla classe dissenziente in fase di opposizione all’omologa. La soluzione interpretativa, oggi maggiormente seguita, è quella che, se c’è dissenso di almeno una classe, il giudice ha comunque il dovere di verificarne il rispetto, anche indipendentemente da un’opposizione, perché trattasi di una norma imperativa di omologabilità. L’opposizione all’omologa di un singolo creditore di classe dissenziente serve a sollevare espressamente la questione, ma il giudice non può omologare se la violazione emerge chiaramente, anche senza opposizione all’omologa[14].
3 . I soci o i portatori di strumenti finanziari anteriori alla presentazione della domanda e la sterilizzazione derivante dagli apporti ai fini della ristrutturazione
In presenza di apporti dei soci in forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto “ai fini della ristrutturazione”[15], l’art. 120 quater, secondo comma, CCII prevede che i suddetti apporti vadano a ridurre fino ad azzerare il valore riservato ai soci[16], superando così la necessità di confrontare tale valore con quello riservato ai creditori. Varie possono essere le forme giuridiche degli apporti dedicati alla ristrutturazione: versamenti in conto capitale, aumenti di capitale a pagamento, versamenti a fondo perduto, finanziamenti subordinati o convertibili, assunzione di garanzie[17]. La norma non specifica un vincolo temporale sugli apporti. Si riferisce ad apporti "necessari ai fini della ristrutturazione", il che apre la possibilità di considerare deducibili anche gli apporti anteriori all'accesso alla procedura concordataria, a condizione che siano funzionalmente e temporalmente collegati alla ristrutturazione aziendale e coerenti rispetto al piano di risanamento[18]. Di non facile collocazione nell’applicazione di questa norma è l’ipotesi di meccanismi di earn-out, al fine di risolvere – o quantomeno attenuare – le criticità legate alla determinazione ex ante della quota di valore da attribuire ai soci, soprattutto quando la prosecuzione dell’attività è soggetta a variabili altamente incerte (redditività futura, performance post-piano, ecc.)[19]. In alternativa, in assenza di sacrifici sotto forma di apporti di capitale da parte dei soci, l’individuazione della quota di valore ad essi imputabile diviene irrilevante o deve essere riproporzionata sulle partecipazioni residue se l’attuazione del piano prevede ad esempio un aumento di capitale riservato a terzi o la conversione di posizioni creditorie in partecipazioni o in strumenti finanziari analoghi, che diluiscono o annullano la posizione dei “soci anteriori alla domanda”. Si tratta evidentemente in questo caso di continuità giuridica del soggetto societario, non di continuità economica e proprietaria, concretizzandosi un fenomeno espropriativo simile a quello previsto in ipotesi di proposta concorrente di cui all’art. 90 del CCII.
4 . Il “valore effettivo” conseguente all’omologazione della proposta
Per rimediare all’assenza di qualsiasi riferimento ad un criterio tecnico di determinazione del “valore effettivo”, con l’art. 27 del D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (“Correttivo ter”), l’art. 120 quater, secondo comma, CCII è stato integrato con la precisazione che “il valore effettivo è determinato in conformità ai principi contabili applicabili per la determinazione del valore d’uso, sulla base del valore attuale dei flussi finanziari futuri utilizzando i dati risultanti dal piano di cui all’articolo 87 ed estrapolando le proiezioni per gli anni successivi.” Purtroppo, il termine “valore effettivo”, così qualificato genera molta confusione per due ordini di ragioni: 
  • il termine “valore effettivo” pare inappropriato quando riferito ad una società chiamata a compiere un turnaround, atteso che il valore di un’azienda che non può continuare a vivere come essa è e che necessita di una riorganizzazione operativa ed una ristrutturazione finanziaria, non può che essere un valore potenziale e non certo un valore in atto, come invece il termine effettivo lascerebbe intendere;
  • anche il riferimento al valore d’uso pare inappropriato perché: 
o  il valore d’uso ai sensi dei principi contabili è una configurazione di valore riferita all’azienda nelle sue condizioni correnti e la cui stima deve quindi escludere “i flussi finanziari futuri stimati in entrata ed in uscita che debbano derivare da (…) b) il miglioramento o l’ottimizzazione del rendimento dell’attività [20]”
o  mentre il piano di ristrutturazione deve necessariamente mirare al miglioramento o all’ottimizzazione del rendimento dell’azienda. 

Emerge un quadro dove il disposto di legge è inapplicabile, almeno adottando un’interpretazione letterale, perché richiederebbe di stimare un valore su una base informativa (il piano ex art. 87 CCII) incompatibile con la configurazione di valore indicata dallo stesso legislatore (valore d’uso), semplicemente perché sembrerebbe invitare a fare ciò che i principi contabili dicono di non fare (considerare i benefici di ristrutturazione). Per risolvere questa contraddizione è necessaria una lettura sostanziale (non formale) della norma.
Prima di affrontare una lettura sostanziale del disposto legislativo è opportuno segnalare quale configurazione di valore avrebbe potuto adottare il legislatore senza incorrere nei problemi interpretativi dianzi illustrati. La configurazione più appropriata sarebbe il “reorganization value” dei principi contabili statunitensi (FASB ASC 852 Topic 852) che consiste ne: “Il valore attribuito all’entità riorganizzata [post approvazione del piano n.d.r.] e al valore netto realizzabile atteso per quegli asset che saranno dismessi prima che sia ultimata la riorganizzazione. Pertanto, esprime il valore dell’entità prima di considerare le passività e approssima il prezzo che un terzo sarebbe disposto a pagare per gli asset dell’entità immediatamente dopo la riorganizzazione [ossia alla omologazione del piano n.d.r.][21]”. Con questa definizione il legislatore avrebbe chiarito che:
a) con il termine effettivo voleva riferirsi ad un prezzo fattibile (e non ad un valore astratto) riconoscibile da parte di un partecipante al mercato sulla base della effettiva variabilità dei risultati del piano (senza tuttavia considerare il rischio di insuccesso del piano di ristrutturazione);
b) il valore di riferimento riguardava tutte le attività e non solo il capitale investito netto (cui è normalmente riferito il valore d’uso, che corrisponde all’Enterprise value e non al Total Entreprise Value [22]);
c) il valore poteva essere stimato sulla base di tutte le tecniche di valutazione d’azienda più in uso: Discounted Cah Flow, multipli di società comparabili, multipli di transazioni comparabili, coerenti con la stima di un valore effettivo dell’entità riorganizzata (post omologa).
Invece il legislatore facendo riferimento al valore d’uso ha:
a) escluso ogni riferimento ad un valore di scambio (value in exchange) e quindi ad un prezzo, riferendosi invece ad un hold value (il valore ricavabile dai flussi di cassa attesi ancorché riferiti ad un piano di riorganizzazione incompatibile con la stima del valore delle attività nelle condizioni d’uso correnti);
b) voluto riferirsi ad un generico valore d’azienda da ripartire fra tutti i creditori ed azionisti (= Total Enterprise Value), anche se il valore d’uso si fonda sulla stima dei flussi di cassa unlevered di pertinenza dei soli creditori finanziari ed azionisti (ed esclude tutte le altre categorie di creditori (non finanziari ed operativi); 
c) prescelto (implicitamente) un unico criterio di valutazione (DCF), impedendo una verifica di ragionevolezza dei risultati con criteri alternativi da utilizzare come metodi di controllo.   
Da queste semplici considerazioni emerge che - anche volendo superare le contraddizioni insite nel disposto legislativo - rimangono aperti moltissimi problemi sotto il profilo pratico che occorre risolvere. All’analisi di questi problemi sono dedicati i paragrafi seguenti.
4.1 . Esistono molte diverse configurazioni di valore
Il principale problema afferente alla stima del valore “effettivo” riguarda la configurazione di valore che il disposto di legge impone di stimare. Per comprendere la portata del problema può essere utile illustrare brevemente cosa comporta ai fini della stima la scelta di una specifica configurazione di valore ai sensi dei principi di valutazione (sia nazionali- PIV, sia internazionali- IVS). 
La configurazione di valore determina il criterio da seguire nella selezione delle variabili di input da utilizzare nella stima per esprimere un valore coerente con lo scopo della valutazione stessa[23]. Le configurazioni di valore nel caso di un’azienda in crisi rispondono in genere a due principali interrogativi: “Valore per chi?” e “Quale valore se?”.  
Il primo interrogativo (valore per chi?) discende dal fatto che qualunque attività è funzione dei flussi di risultato prospettici che possono essere differenti in relazione: 
  • a chi detiene le attività; 
  • a come sono finanziate le attività; 
  • a quale platea di creditori ed azionisti ci si riferisce. 
Nel nostro caso il valore effettivo sembrerebbe doversi riferire:
· all’attuale debitore (azienda in crisi sulla base del piano di ristrutturazione);
· alla struttura finanziaria come emerge dal piano di ristrutturazione;
· ad una platea di creditori allargata che non considera solo i creditori finanziari e gli azionisti, ma anche i creditori operativi (fornitori, ecc.).
Ciascuno di questi elementi è analizzato nei paragrafi successivi.
Il secondo interrogativo (quale valore se?) discende dal fatto che il valore dell’azienda è funzione degli scenari prospettici considerati che possono riguardare:  
  • tutto lo spettro di scenari possibili (dal successo del piano di ristrutturazione al suo completo insuccesso e conseguente futura liquidazione);
  • il solo scenario di riorganizzazione (considerando il rischio di variabilità dei risultati del piano -più o meno favorevoli-, ma non il suo pieno insuccesso e conseguente liquidazione). 
Nel nostro caso il valore effettivo sembrerebbe riferirsi al solo scenario di riorganizzazione (senza considerare il rischio di possibile insuccesso del piano stesso[24]). Dunque, il valore effettivo cui sembrerebbe fare riferimento il legislatore è un valore condizionato al verificarsi dello scenario di ristrutturazione. È un valore che, nel gergo tecnico della valutazione, è definito conditional e che si differenzia nettamente dal valore di mercato che è invece sempre un valore unconditional ossia non condizionato al verificarsi di alcuno scenario, in quanto espressione di una media dei possibili scenari futuri.  Per chiarire, supponiamo che il valore dell’azienda ottenuto scontando i flussi del piano di ristrutturazione sia pari a 100 e che il piano abbia una probabilità di successo del 70% (quanti piani di ristrutturazione hanno sicuro successo?) e che contemporaneamente il valore di liquidazione dell’azienda sia pari a 10 con probabilità del 30%. Mentre il valore effettivo di cui all’art. 120 quater CCII sarebbe pari a 100, il valore di mercato sarebbe pari a 73 (= 100 x 70% + 10 x 30%). Evidenza di ciò è il comportamento delle banche che cedono i crediti non performing a sconto (rispetto al valore che dovrebbero avere ai sensi del piano di ristrutturazione) ad investitori specializzati che li acquistano al valore di mercato e non al valore (effettivo) di ristrutturazione, anche quando il valore di ristrutturazione è verosimile o realistico, ma comunque condizionato al fatto che la ristrutturazione abbia successo[25]. Il valore di mercato è un valore che sconta sempre anche l’insuccesso del piano, mentre il valore di riorganizzazione no.
4.2 . La prospettiva dell’attuale debitore
Il riferimento al piano di ristrutturazione ai fini della stima del “valore effettivo”, lascia intendere che il valore oggetto di stima sia il valore ricavabile dai flussi di cassa nella prospettiva di chi detiene il controllo dell’entità. Ma come deve essere stimato quel valore?  È noto che il DCF – Discounted Cash Flow può trovare due diverse applicazioni in relazione alla natura dei flussi di cassa utilizzati come input, che possono alternativamente essere rappresentati da: i flussi di cassa relativi allo scenario più probabile (traditional approach) ed i flussi di cassa medi attesi (expected cash flow approach)[26]. Normalmente, per aziende in condizioni ordinarie, il DCF è applicato scontando i flussi medi attesi ad un tasso che esprime il costo del capitale. Questo risultato equivale al risultato che si otterrebbe calcolando il valore dell’azienda in tutti i possibili scenari al costo del capitale[27], ponderandoli poi per la probabilità di manifestazione. Quando invece si scontano i flussi di uno specifico scenario (il più probabile), rappresentato nel caso delle aziende in crisi dal piano ex art. 87 CCII, è necessario scontare i flussi di cassa ad un tasso che considera oltre al costo del capitale anche un premio per il rischio di non manifestazione dello specifico scenario. 
Poiché, normalmente l’attestazione del piano prevede un’analisi di stress (di resistenza) volta a verificare la capacità dell’azienda di onorare gli impegni finanziari anche al manifestarsi di alcuni fattori di rischio (ritardo nella manifestazione di alcuni benefici attesi dagli efficientamenti programmati, ritardo nella cessione di attività non strategiche, ecc.), le strade a disposizione dell’esperto sono due: 
a) scontare i flussi pieni di piano di ristrutturazione ad un tasso superiore al costo del capitale ottenuto sommando a quest’ultimo un premio per il rischio specifico (di non riuscire a realizzare i flussi pieni di piano); 
b) scontare i flussi medi attesi del piano di ristrutturazione (compresi fra i flussi pieni di piano ed i flussi stressati dall’attestatore) al costo del capitale.
4.3 . Il legame fra struttura finanziaria e valore effettivo
Il piano concordatario, ad eccezione dei pochi casi che prevedono solo una ristrutturazione del passivo, impone normalmente una riorganizzazione operativa (disinvestimenti, efficientamenti, riorganizzazioni, ecc.) finalizzata a recuperare la capacità di reddito perduta o a generare nuova capacità di reddito. Una riorganizzazione operativa comporta sempre una sfida imprenditoriale. È tuttavia una sfida da affrontare con risorse finanziarie scarsissime. 
La caratteristica del piano concordatario è, infatti, rappresentata dal razionamento di capitale di cui soffre l’azienda in crisi e che ne limita gli spazi di manovra e quindi anche le leve per affrontare la sfida imprenditoriale insita nel piano stesso. Questa caratteristica del piano concordatario fa venir meno il principio cardine della valutazione delle aziende in bonis (teorema della separazione di Fischer) secondo cui il valore di qualunque attività (o azienda) prescinde da come essa è finanziata, in quanto il valore dell’attività o dell’azienda è funzione dei flussi di cassa operativi che è in grado di generare. Regola che è richiamata anche dai principi contabili con riguardo al valore d’uso[28].  Nel caso dell’azienda in crisi, questa regola non vale, perché la capacità dell’azienda di generare flussi di cassa operativi è funzione dell’agio che la ristrutturazione finanziaria lascia alla gestione. Minore è l’agio lasciato alla gestione operativa (perché più rapido è il rimborso dei crediti, minore è la conversione di crediti in equity, maggiore è il costo del debito, minore è la nuova finanza), minore è il valore dell’azienda perché: 
a) il piano ex art. 87 CCII è più rischioso; 
b) cresce la fragilità dell’azienda al verificarsi di eventi negativi inattesi. 
Con la conseguenza che non solo si riduce il valore “effettivo” associabile al piano, ma si riduce ancor di più il valore di mercato per via del fatto che la probabilità di successo del piano si assottiglia.  Seguendo l’esempio di prima se il valore conditional del piano scende da 100 a 80 (-20%) e se la probabilità di realizzazione dello scenario di riorganizzazione si riduce dal 70% al 55%, il valore di mercato scende da 73 a 48,5 (-33%)[29]. 
Il valore d’uso prescinde da come l’azienda è finanziata e quindi non considera in nessun modo il legame fra valore dell’attivo e scelte di struttura finanziaria che sono invece il mantra della valutazione di qualsiasi azienda in crisi.
4.4 . L’allocazione del valore ai differenti claimant
Una volta stimato il valore effettivo del Total Enterprise Value, il valore deve essere allocato ai creditori, agli azionisti, ai portatori di strumenti finanziari partecipativi e di strumenti ibridi. L’allocazione del valore non può essere effettuata senza considerare il profilo di rischio di quel valore. La ragione va ricercata nel fatto che il pay-off cui hanno diritto i diversi claimant non è lineare ed è quindi funzione, a parità di valore medio, della dispersione dei possibili valori dell’attivo rispetto alla media. Un esempio può essere utile (tabella 1).  
Ipotizziamo un caso molto semplice dove si abbiano due soli claimant: creditori finanziari e azionisti. Il piano ex art. 87 CCII restituirebbe un valore di 120 (valore massimo). Il piano stressato dall’attestatore giustificherebbe un valore di 90 (valore minimo). Fra i due scenari limite vi sono altri tre scenari intermedi con valori compresi fra 120 e 90. Il valore dell’attivo (TEV = Total Enterprise Value) ottenuto per media ponderata dei diversi scenari[30] è inferiore al valore che si ricaverebbe dallo scenario di piano pieno (ex art. 87 CCII), per via del fatto che tutti gli scenari alternativi comportano valori inferiori. Il TEV ottenuto come media ponderata (per le probabilità) dei cinque scenari considerati è pari a 110,2. Poiché l’attestatore ha verificato che anche nello scenario stressato l’azienda è in grado di onorare il debito (post-omologa) il valore del debito (posto pari a 90) non cambia nei cinque scenari e quindi anche il valore medio atteso del debito è pari a 90. Cambia invece il valore dell’equity che in caso di realizzazione del piano ex art. 87 CCII sarebbe pari a 30 (pari al 25% del TEV di piano =35/120), mentre in termini di valore medio ponderato è pari a 20,2 (pari al 18% del TEV medio atteso). 

Tab. 1. Confronto fra il valore dell’equity stimabile sulla base dei flussi di piano pieni ed il valore medio atteso 
La circostanza secondo cui l’incidenza dell’equity sul valore dell’attivo si riduce quando si considerano i flussi medi attesi in luogo dei flussi pieni di piano, è riconducibile al fatto che la distribuzione del valore fra i claimant al verificarsi dei diversi scenari non è lineare. La non linearità dei pay-off fa assumere rilevanza alla distribuzione dei possibili valori dell’attivo in relazione al maggiore o minore successo del piano e non è quindi funzione solo del valore medio dell’attivo. Di ciò occorrerebbe tenere conto in sede di stima del valore effettivo per i “vecchi” soci (circostanza che il disposto di legge trascura facendo riferimento ad uno scenario medio atteso). Il problema è destinato a complicarsi ulteriormente in presenza di warrant, strumenti finanziari partecipativi ecc. 
Ma vi è un’altra e più importante considerazione. La motivazione di far partecipare i vecchi soci alla ristrutturazione dovrebbe essere legata al fatto che un loro coinvolgimento può ridurre i rischi di piano. Seguendo l’esempio precedente, la riduzione dei rischi di piano può manifestarsi nella forma di una più elevata probabilità di realizzazione dei flussi pieni di piano o viceversa in un minore scostamento fra i flussi pieni di piano ed i flussi dello scenario stressato dall’attestatore. 
La tabella 2 usa gli stessi dati della tabella 1, con la sola modifica della probabilità dello scenario dei flussi pieni di piano, aumentata dal 60% all’80%. 

Tab. 2. L’effetto di una riduzione del rischio di piano (incremento dal 60% all’80% delle probabilità di realizzazione dei flussi di piano pieni 
 
Le conseguenze sono due: il valore complessivo della società (TEV medio atteso) aumenta da 110,2 a 115,3 (+ 5,1) e conseguentemente anche il valore dell’equity aumenta di pari misura da 20,2 a 25,3 (+5,1) riducendo lo sconto rispetto al valore attribuibile all’equity stesso nel caso di realizzazione dei flussi pieni di piano ex art.87 (=30). 
La tabella 3 mostra invece l’effetto di una riduzione del rischio di piano attraverso un minore scarto fra lo scenario di flussi pieni e lo scenario di flussi stressati dall’attestatore che nella tabella 2 era pari a 30 (= 120 – 90) e che ora viene ridotto a 20 (= 120 -100) con conseguente adeguamento degli scenari intermedi. Anche in questo caso il valore complessivo della società (TEV medio atteso) aumenta da 110,2 a 116,1 (+ 5,9) e conseguentemente il valore dell’equity aumenta nella stessa misura (da 20,2 a 26,1).    

Tabella 3. L’effetto di una riduzione del rischio di piano (riduzione dello scarto fra flussi pieni di piano e flussi stressati da 30 a 20) 
4.5 . La stima del valore terminale
In linea di principio l’ultimo anno di piano dovrebbe esprimere una condizione d’azienda normalizzata. L’azienda dovrebbe raggiungere una capacità di reddito che è in grado di sostenere nel tempo, in condizioni di equilibrio finanziario. Adottando questa prospettiva, il valore terminale sembrerebbe caratterizzarsi per un minore rischio rispetto ai flussi di piano. Se si seguisse questa logica i flussi di piano andrebbero scontati ad un tasso più elevato ed i flussi assunti alla base del valore terminale ad un tasso più contenuto. Nella realtà è vero esattamente il contrario. 
Infatti, se il piano si realizza, l’azienda a fine piano avrà meno rischio avendo raggiunto il riequilibrio economico e finanziario, ma il tasso di sconto da usare per stimare il valore dell’azienda alla data dell’omologa deve riflettere il rischio di non riuscire a raggiungere quella condizione di equilibrio alla fine del piano concordatario. L’azienda a fine piano esprime una capacità di reddito di nuova formazione che alla data dell’omologa è solo potenziale ed una capacità di reddito potenziale non può essere scontata al medesimo tasso di una capacità di reddito in atto, ma ad un tasso ben maggiore. Sotto il profilo valutativo questa condizione di “sdoppiamento” del rischio reca con sé l’esigenza di una biforcazione dei tassi di sconto. In particolare: 
a) il flusso di cassa dell’ultimo anno di piano può essere capitalizzato al costo del capitale (wacc = weighted average cost of capital), ottenendo un valore terminale a fine piano che esprime un valore potenziale realizzabile solo se il piano ha pieno successo; 
b) il valore terminale così ottenuto deve essere attualizzato al tempo presente facendo uso di un tasso (IRR- Internal rate of return richiesto da un ipotetico investitore) che sconti il rischio di non riuscire a realizzare quella condizione di equilibrio;   
c) i flussi di cassa nel periodo di piano dovrebbero essere attualizzati ad un tasso espressivo del loro specifico rischio: ad esempio i flussi di cassa negativi andrebbero attualizzati al costo del debito (essendo certi) mentre i flussi di cassa positivi al costo medio ponderato del capitale. 
Questo criterio dovrebbe restituire lo stesso valore ricavabile facendo uso di un unico tasso di sconto (per la capitalizzazione del flusso di reddito del valore terminale, per l’attualizzazione del valore terminale, per l’attualizzazione dei flussi di piano), pari al costo del capitale (wacc) maggiorato di un premio per il rischio di piano, con l’unica differenza che il criterio di biforcazione dei tassi è un criterio molto più trasparente, perché permette di apprezzare il rischio di ciascun flusso di cassa, anziché considerare un premio rischio medio complessivo (difficile da dimostrare nella sua appropriatezza proprio per la forma sintetica di determinazione). Un esempio permette di comprendere la logica dei due criteri. La tabella 4 riporta i flussi di cassa unlevered (UFCF_Unlevered Free Cash Flow) di un piano ex art. 87, caratterizzato da flussi di cassa negativi nei primi due anni. La tabella riporta il calcolo del reorganization value sulla base dei due criteri descritti.  Il primo criterio si fonda sul criterio della biforcazione dei tassi, nel senso che fa uso di tassi di sconto diversi. Infatti: (i) per capitalizzare il flusso di reddito del valore terminale usa il wacc (= 10%); (ii) per calcolare il valore attuale del valore terminale usa l’IRR dell’ipotetico investitore (= 25%); (iii) per attualizzare i flussi di cassa negativi di piano usa il costo del debito (= cod =5%) e (iv) per attualizzare i flussi positivi di piano usa ancora il wacc (= 10%). Il secondo criterio applica invece un tasso di sconto unico a tutti i flussi (valore terminale compreso) ottenuto maggiorando il wacc di un premio per il rischio. La tabella mostra come applicando un premio per il rischio del 5% (da cui un tasso di sconto = wacc + 5% = 10% + 5% = 15%) si ricava lo stesso valore che si otterrebbe adottando il metodo della biforcazione dei tassi. Infine, la tabella mostra l’errore cui si perverrebbe nel caso in cui tutti i flussi fossero scontati semplicemente al wacc senza alcun premio il rischio (di non realizzazione dello specifico scenario). Come si ricordava in precedenza, essendo flussi condizionati al verificarsi di uno specifico scenario, non possono essere attualizzati al costo del capitale. L’errore in questo caso porterebbe ad una sopravalutazione del 93%. 

Tabella 4. Calcolo dei flussi di piano e valore terminale sulla base del metodo della biforcazione dei tassi e del metodo del tasso di sconto unico con premio al rischio, a confronto con la stima (errata) fondata sul wacc

Il Discussion paper di OIV sulla valutazione delle aziende in crisi fornisce indicazioni su come calcolare il tasso di rendimento (IRR) con riferimento al primo criterio e come stimare il premio per il rischio da sommare al wacc con riguardo a capacità di reddito di nuova formazione per il secondo criterio[31].
4.6 . Il valore effettivo riservato ai soci ed il valore riconosciuto ai creditori in ipotesi di continuità diretta
Il valore ricercato ai sensi dell’art. 120 quater CCII (valore effettivo riservato ai soci) non è il valore dell’attivo (che coincide con il reorganization value), ma è il valore dell’equity, da ricavarsi per differenza fra il reorganization value ed il debito in essere alla data dell’omologa sulla base della proposta ai creditori (la c.d. Offerta). Poiché normalmente tutti i flussi generati nel corso del piano concordatario sono destinati al rimborso dei crediti o ad investimenti, il valore dell’equity è funzione del valore attuale del valore terminale.  
In quest’ambito si possono considerare due diversi casi: 
a) la ristrutturazione è solo finanziaria e i flussi di cassa unlevered in arco piano sono sostanzialmente stabili; 
b) la ristrutturazione oltre che finanziaria è anche operativa e conseguentemente in arco piano i flussi di cassa operativi sono destinati ad aumentare. 
È evidente che nel caso di ristrutturazione operativa con aumento dei flussi di cassa operativi (caso sub b) il valore terminale è destinato ad assumere un peso rilevante sul valore d’impresa, con la conseguenza che ai creditori oltre ai flussi di cassa generati nell’arco di piano, deve essere riconosciuta anche parte del valore terminale in forma di earn-out o di qualunque altra soluzione partecipativa, così da ridurre il valore effettivo (residuo) riservato ai soci.  Nel caso invece di mera ristrutturazione finanziaria la stabilità dei flussi di cassa fa sì che il valore effettivo riservato ai soci possa anche evitare l’uso di forme partecipative in capo ai creditori. 
La tabella 5 evidenzia la stima del valore effettivo riservato ai soci, in caso di flussi di cassa costanti (senza earn-out) e di flussi di cassa crescenti (con earn-out). 

Tabella 5. Calcolo del valore effettivo riservato ai soci, muovendo dal reorganization value

5 . La necessaria distinzione tra surplus concordatario e valore “effettivo” assegnato ai soci
Prima di esaminare il meccanismo di attribuzione del valore “effettivo” riservato ai soci (ricavato dal reorganization value come in precedenza definito) appare opportuno soffermarsi su due grandezze di rilievo nella normativa che disciplina il concordato preventivo: il surplus concordatario e il valore assegnato ai soci. Il surplus concordatario è il maggior valore distribuibile ai creditori con la continuità aziendale durante l’esecuzione del piano, rispetto ad uno scenario di natura liquidatoria[32]. In termini semplici, è la differenza tra ciò che il piano di concordato offre complessivamente ai creditori e il valore di liquidazione di riferimento. Il “valore eccedente quello di liquidazione” rappresenta il plusvalore conseguibile esclusivamente attraverso la prosecuzione dell’attività nell’ambito del concordato preventivo. Ad esempio, la continuità può generare flussi di cassa, utili o consentire una cessione dell’azienda a un valore superiore rispetto a quanto realizzabile mediante la liquidazione immediata dei beni. Tale surplus concordatario, per espressa previsione legislativa, può essere distribuito con maggiore flessibilità secondo la regola della priorità relativa (Relative Priority Rule). Ciò significa che, una volta garantito ai creditori il valore di liquidazione, l’eventuale extra-valore generato dal piano può essere allocato anche a categorie inferiori prima che quelle superiori siano soddisfatte integralmente, purché il trattamento sia nel complesso equo e approvato dalle maggioranze richieste. In sostanza, il surplus concordatario è un beneficio aggiuntivo per i creditori derivante dal successo del piano rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale: quantifica il maggior ricavato ottenuto grazie alla continuità soggettiva (il debitore che prosegue l’attività) o indiretta[33], a vantaggio del ceto creditorio durante l’esecuzione del piano. Va sottolineato che il surplus non coincide semplicemente con i flussi di cassa operativi del piano, ma con la parte eccedente rispetto a quanto si sarebbe ricavato con la liquidazione. Dunque, il surplus va inteso come il plus di valore generato dal mantenimento in vita dell’azienda nel periodo di attuazione del concordato, al netto di ciò che sarebbe comunque spettato ai creditori in caso di liquidazione immediata[34]. 
Il valore effettivo assegnato ai soci nel concordato in continuità è la quota virtuale di valore dell’impresa risanata che rimane (o viene “riservata”) ai vecchi soci al termine del piano concordatario, in caso di esito favorevole. Diversamente dal precedente, questo valore non consiste in denaro o attivi da distribuire durante il piano ai creditori, bensì, come già evidenziato, nel valore attuale (momento dell’omologa) del valore dell’equity post-ristrutturazione attribuito alle partecipazioni dei soci[35]. La legge chiarisce che tale valore corrisponde al valore “effettivo” (abbiamo evidenziato che in realtà trattasi di un valore virtuale condizionato dagli esiti del processo di risanamento) delle partecipazioni (o degli eventuali strumenti finanziari ad esse convertibili) conseguente all’omologazione del concordato. In pratica, bisogna stimare e attualizzare all’omologa quanto potrà (o meglio: potrebbe) valere la società una volta completato con successo il piano, tenendo conto della prosecuzione indefinita dell’attività. Dal punto di vista finanziario, ciò equivale a considerare il terminal Value (valore attuale dell’impresa riferito ai flussi di cassa che maturano oltre l’orizzonte esplicito del piano). In altri termini, si tratta ancora una volta del valore attualizzato dell’equity dell’azienda risanata – e quindi, di riflesso, delle quote dei soci – dopo aver eseguito il piano, al netto dell’indebitamento concorsuale e operativo (di eventuali eran-out riconosciuti ai creditori) e di eventuali conferimenti nuovi apportati dai soci stessi. Se i soci mantengono la proprietà, questo valore “effettivo” rappresenta la ricchezza che essi potenzialmente conserveranno grazie alla ristrutturazione. Va evidenziato che, mentre il surplus concordatario beneficia i creditori durante il piano, il valore assegnato ai soci non va ai creditori: esso resta ai soci, a condizione che l’azienda torni in equilibrio. È dunque un valore residuale destinato ai soci, possibile solo se il piano verrà realizzato e se l’impresa riuscirà a tornare redditizia garantendo nel contempo il soddisfacimento concordatario dei creditori. 
Confrontare direttamente il surplus concordatario e il valore assegnato ai soci è fuorviante, perché sono grandezze tra loro disomogenee per natura, scopo e orizzonte temporale. Più precisamente: 
  • il surplus da continuità è un flusso incrementale di cassa riservato ai creditori come extra soddisfazione rispetto alla base liquidatoria.
  • il valore riservato ai soci è l’attualizzazione all’omologa del valore prospettico post piano, riferito alla futura consistenza patrimoniale dell’azienda risanata (a beneficio degli equity holders, non dei creditori).
In altre parole, ciascuno dei due concetti si colloca in un momento diverso e riguarda soggetti beneficiari diversi. Il legislatore, nel Codice della Crisi, ha predisposto un meccanismo di distribuzione che tiene conto di queste componenti in modo distinto: dapprima tutela i creditori fino a concorrenza del valore di liquidazione (Absolute Priority Rule sul valore liquidatorio), poi consente una distribuzione più flessibile dell’eventuale surplus concordatario ulteriore (Relative Priority Rule sul plusvalore da continuità), ed, infine, ammette che possa residuare un valore per i soci, misurandolo in base al valore “effettivo” (attualizzazione del valore condizionato agli esiti del piano)  dell’impresa ristrutturata. È evidente come tale criterio metta in relazione elementi di natura diversa: da un lato le percentuali di soddisfacimento dei creditori, dall’altro un valore in capo ai soci che non è distribuzione di denaro, ma patrimonio virtuale residuo futuro. Ne discende che i parametri di cui trattasi non sono direttamente commensurabili. Essi vanno utilizzati ciascuno per la funzione specifica stabilita dalla legge, senza sovrapporli in modo improprio. Il surplus concordatario quantifica il beneficio aggiuntivo da continuità da ripartire secondo regole di convenienza e giustizia tra classi, mentre il valore ai soci misura quanto del valore dell’impresa “risanata” rimane teoricamente ai vecchi soci, rilevante per valutare la tenuta della regola di priorità nel concordato (ossia che i soci non traggano vantaggio a discapito di creditori dissenzienti). Pertanto, la “eterogeneità” di queste grandezze è riconosciuta sia dal dettato normativo che dai commentatori: confonderle o metterle a confronto diretto può portare a conclusioni errate.
6 . Il criterio distributivo del valore virtuale attribuito ai soci
Individuato il valore “effettivo” con criteri tecnicamente sostenibili (desumibili dalla dottrina aziendalistica), l’ultimo passaggio richiesto dall’art. 120 quater CCII comporta la “prova di resistenza” che inizia dal riversamento fittizio di questo valore a favore delle classi di creditori di pari rango rispetto alla classe dissenziente e delle classi di rango inferiore[36]. Segue la verifica della percentuale di soddisfacimento venutasi a determinare per tali soggetti e infine il confronto con la percentuale spettante da piano alla classe dissenziente. Condizione di omologazione è che la classe dissenziente non si trovi penalizzata in termini di percentuale rispetto alle classi paritetiche o a quelle di grado inferiore[37]. Nel caso in cui non vi siano classi di creditori di grado pari o inferiore a quella dissenziente, la verifica è più semplice in quanto il concordato può essere omologato solo quando il valore (assoluto) destinato al soddisfacimento dei creditori appartenenti alla classe dissenziente è superiore al valore (assoluto) complessivamente riservato ai soci[38]. Tema centrale e ancora aperto nell’interpretazione dell’art. 120 quater CCII, in quanto tocca un punto essenziale in sede di applicazione della norma è come eseguire correttamente il "riversamento virtuale" del valore riservato ai soci alle classi di creditori di pari o inferiore grado. Si tratta, evidentemente, di un’operazione redistributiva fittizia, che dovrà essere condotta in modo prudenziale, prevedendo già nella fase di redazione del piano diverse simulazioni di scenario, anche ipotizzando che una o più classi non integralmente soddisfatte possano opporsi in sede di omologazione[39]. Dal punto di vista operativo l’art. 120 quater CCII non disciplina il criterio di ripartizione del valore, lasciando così un apparente margine all’interprete[40]. La norma, infatti, non impone un principio di equità interna tra tali classi, potendosi solo desumere l’obbligo di rispettare la gerarchia tra le stesse (c.d. gerarchia interclassi), in coerenza con il principio di priorità relativa richiamato dalla Direttiva (UE) 2019/1023[41], senza peraltro dimenticare che la stessa Direttiva estende il principio del “miglior soddisfacimento” rispetto all’ipotesi liquidatoria anche ai soci[42]. Ne deriva che l’attribuzione del valore virtuale destinato ai soci sembrerebbe potersi applicare con discrezionalità, con l’unico limite di rispettare la graduazione tra le classi ed in particolare non sforare il tetto della percentuale della classe dissenziente. Su questi presupposti si è sviluppato un articolato dibattito dottrinale, dal quale emergono diverse impostazioni teoriche, riconducibili principalmente a tre approcci. Alcuni autori propongono una distribuzione orizzontale e flessibile al fine di evitare interpretazioni eccessivamente rigide che contrastino l’obiettivo della Direttiva 1023/2019 di coinvolgere i soci nel processo di ristrutturazione quando non vi sia un pregiudizio irragionevole per i creditori; altri ritengono più corretto un criterio proporzionale basato sul peso dei crediti (o sul loro fabbisogno insoddisfatto) in ciascuna classe ritenendolo più razionale in quanto agganciato anche alla prassi operativa in fase di costruzione ed esecuzione dei piani concordatari; altri ancora leggono la norma in chiave verticale, cioè di fatto conforme alla logica dell’Absolute Priority Rule, per cui il valore andrebbe attribuito preferibilmente alla classe immediatamente inferiore fino a saturarla, e così via.  In tutti i casi la struttura del passivo, la composizione numerica delle classi e la distanza tra le stesse in termini di soddisfazione percentuale, possono influenzare, anche in modo decisivo, l’esito del test[43]. Di seguito si analizzano i suddetti approcci dottrinali, richiamando i contributi più rilevanti, valutandone la compatibilità con la prova di resistenza prevista dall’art. 120 quater CCII ed evidenziando i rischi di inammissibilità o mancata omologazione del piano a seconda del criterio adottato.
6.1 . Il criterio “orizzontale flessibile”
L’apparente libertà interpretativa e applicativa apre la strada ad una soluzione flessibile in base alla quale il valore virtuale destinato ai soci andrebbe distribuito tra tutte le classi di pari o inferiore grado, in modo da incrementare la soddisfazione di ciascuna senza però far superare a nessuna di queste la percentuale di recupero prevista per la classe dissenziente[44]. In pratica, si privilegia una ripartizione diffusa e discrezionale del surplus, rispettando la gerarchia interclasse, ma senza alcun obbligo di equità interna tra le classi beneficiarie. Questo approccio che, come evidenziato, appare coerente con il principio di priorità relativa (Relative Priority Rule) introdotto dalla Direttiva (UE) 2019/1023, ha il vantaggio di facilitare l’omologazione: distribuire il valore aggiuntivo su un ampio numero di creditori riduce infatti il rischio che la classe dissenziente risulti penalizzata, assicurando che nessuna classe di grado pari o inferiore ottenga un trattamento percentuale più favorevole.  L’idea di fondo è che il legislatore abbia voluto un test equilibrato, senza favorire indebitamente una singola classe “minore” a scapito del concordato. Una distribuzione libera (salva l’applicazione della RPR) tra tutte le classi coinvolte attenua, infatti, il rischio che una classe di importo molto esiguo riceva, grazie al valore dei soci, un soddisfacimento percentuale sproporzionatamente alto rispetto alla classe dissenziente. Tale impostazione mira quindi a preservare la praticabilità del concordato in continuità diretta. Si evidenzia, infatti, come una interpretazione eccessivamente letterale dell’art. 120-quater CCII rischierebbe di far dipendere l’esito del concordato da dinamiche casuali: una piccola classe ostile potrebbe bloccare l’omologazione pur in presenza di consenso diffuso, determinando il paradosso di un “rigetto senza dissenso” generalizzato. Privilegiare una distribuzione orizzontale consente invece di dare prevalenza all’interesse complessivo alla ristrutturazione (cross-class cram-down ex art. 112 CCII) rispetto alle pretese particolaristiche di classi minoritarie. La soluzione “flessibile” appare quindi maggiormente coerente con lo spirito della riforma e con l’esigenza di non vanificare l’incentivo dato ai soci a contribuire alla continuità aziendale. Non va dimenticato, infatti, che la possibilità per i soci di mantenere un interesse (equity) nell’impresa in crisi – pur non essendo imposta dalla Direttiva – è una scelta del legislatore italiano volta a spronare i soci ad attivarsi tempestivamente nel risanamento. Un’applicazione troppo severa della prova di resistenza finirebbe per frustrare tale scopo, eliminando in radice ogni spazio di “premio” ai soci e quindi la loro motivazione ad evitare la liquidazione fallimentare. Come osservato in precedenza, già in vigenza della legge fallimentare si riconosceva in via di fatto una deroga pragmatica all’art. 2740 c.c., tollerando che nei concordati in continuità l’imprenditore conservasse la proprietà aziendale anche senza apporto di risorse nuove. Oggi, con l’art. 120 quater CCII, tale prassi è elevata a regola, sebbene bilanciata dal controllo giudiziale circa l’assenza di non pregiudizio per i creditori dissenzienti. In quest’ottica sarebbe auspicabile una convergenza sull’applicazione della norma che sterilizzasse gli effetti distorsivi e salvaguardasse la finalità ultima: confermare il concordato se, al netto del bonus ai soci, i creditori non avrebbero potuto ottenere di meglio.
6.2 . Criterio proporzionale per classi (in base al fabbisogno concordatario)
Un secondo orientamento dottrinale – che si colloca tra l’approccio flessibile e quello rigidamente gerarchico che richiameremo di seguito – è quello che prevede l’applicazione di un criterio proporzionale assumendo che il valore riservato ai soci venga riversato ai creditori di pari/subordinato rango rispetto alla classe dissenziente in proporzione alle somme dovute a piano[45]. Questo approccio condurrebbe a un risultato matematico univoco, consentendo un confronto percentuale chiaro tra il nuovo soddisfacimento (teorico) delle classi “ripescate” e quello della classe dissenziente. È una lettura “equo-tecnica”, che distribuisce il valore virtuale riservato ai soci in proporzione ai crediti delle classi di pari o inferiore grado, ponderato sul totale delle somme ad esse destinate nel piano concordatario[46]. In questo modo il valore virtuale verrebbe ripartito tenendo conto della consistenza numerica ed economica delle singole classi, si eviterebbe una distribuzione “arbitraria” e si darebbe rilievo a parametri oggettivi e misurabili, riducendo i rischi di contestazioni. Si tratta di un approccio “meno flessibile” rispetto al criterio “orizzontale” esaminato in precedenza, ma ritenuto “più imparziale”, in quanto fondato su dati strutturali del piano[47].. Si è già evidenziato che la composizione numerica delle classi influenza in modo decisivo l’esito del test, in particolare nell’ipotesi di applicazione del criterio in esame[48]. Una classe di importo modesto può ottenere percentuali altissime con un piccolo valore aggiuntivo, mentre una classe molto capiente riceverà un beneficio percentualmente irrisorio dallo stesso importo aggiuntivo. L’approccio proporzionale “puro” riflette una lettura piuttosto rigorosa dell’art. 120 quater CCII: si prende il testo alla lettera, ipotizzando che “a tali classi” venga destinato l’intero valore riservato ai soci, e la maniera più immediata per concretizzare tale ipotesi è distribuirlo proporzionalmente pro-rata ai crediti post falcidia concordataria. Il debitore, prevedendo questo scenario, dovrebbe fare attenzione in sede di formazione delle classi: ad esempio, potrebbe evitare di creare classi di creditori chirografari eccessivamente frammentate (dove una micro-classe di creditori con poche migliaia di euro potrebbe mettere a rischio il piano se dissenziente). È altresì evidente il conflitto di interessi che può sorgere nella composizione delle classi: il debitore potrebbe essere tentato di escludere dal voto (o accorpare con altre) quelle categorie di creditori la cui presenza isolata potrebbe determinare un esito “catastrofico” al test. Si tratta di valutazioni strategiche rilevanti: una classe dissenziente “infima” con pochi creditori rischia di ottenere, in sede di simulazione, una soddisfazione teorica talmente alta (grazie al valore dei soci) da far risultare la sua posizione più favorevole di quella della classe dissenziente principale, bloccando così l’omologazione. In definitiva, il criterio proporzionale pone un’asticella molto elevata per il superamento della prova di resistenza. Per tale motivo è opportuno che il piano concordatario debba essere concepito sin dall’inizio tenendo conto di questi calcoli[49]: occorre stimare il valore “effettivo” riservato ai soci e testarne gli effetti percentuali sulle diverse classi possibili, per evitare sorprese in sede di omologazione. È quindi conveniente predisporre classi “resistenti” al ricalcolo (ad esempio aggregando creditori omogenei in gruppi abbastanza ampi) e considerare l’eventualità di ridurre il valore riservato ai soci tramite nuovi apporti: conferimenti o versamenti a fondo perduto da parte dei soci che aumentino la soddisfazione dei creditori nel piano e, di conseguenza, diminuiscano o azzerino il surplus destinato ai soci. In pratica, il debitore deve soppesare costi e benefici: riservare qualcosa ai soci può motivare questi ultimi a sostenere l’impresa, ma se l’importo è troppo alto rispetto ai debiti, rischia di rendere il concordato unapprovable in assenza di consenso unanime dei creditori.
6.3 . Criterio verticale (Absolute Priority Rule “virtuale”)
Un terzo filone interpretativo accentua la natura verticale della verifica, leggendo l’art. 120-quater CCII come una proiezione, in sede di omologazione, della tradizionale Absolute Priority Rule (APR). Secondo questa impostazione, la locuzione «anche se a tali classi venisse destinato il valore riservato ai soci» implica che si debba immaginare di assegnare tutto l’eventuale valore spettante ai soci alla classe immediatamente inferiore nella scala delle priorità, saturando gradualmente le classi dal basso verso l’alto. In pratica, per superare il test, la classe dissenziente deve restare la più favorita anche ipotizzando che le classi sottostanti assorbano integralmente quel valore aggiuntivo (in ordine di priorità crescente). Tale visione è stata espressa in particolare da autori che valorizzano la gerarchia assoluta interclasse[50]. In altre parole, si deve condurre una simulazione “a cascata” in cui le utilità destinate ai soci vengono virtualmente girate ai creditori subordinati (e di pari grado) sino ad azzerare il valore per i soci. Solo se anche dopo questo ribaltamento completo la classe dissenziente mantiene un trattamento percentuale non inferiore a quello di ogni altra classe di pari rango e superiore a quello di qualsiasi classe subordinata, la proposta supera la prova di resistenza; diversamente l’omologazione va negata. Il criterio verticale di fatto “esaspera” l’interpretazione proporzionale esaminata sopra, concentrando l’attenzione soprattutto sulla classe immediatamente inferiore: se esiste una sola classe di rango subordinato, l’intero valore dei soci viene attribuito ipoteticamente a quella; se ve ne sono più d’una, la logica APR “classica” suggerisce di partire dalla più alta tra quelle inferiori e poi scendere. Il testo normativo richiama espressamente le classi di grado pari o inferiore alla dissenziente: le classi di pari grado vanno dunque incluse nella simulazione, mentre le categorie non votanti (creditori integralmente soddisfatti o privilegiati collocati fuori dalle classi) restano irrilevanti poiché già al 100% e, quindi, non suscettibili di ulteriori apporti[51]. L’approccio verticale tende a seguire pedissequamente l’ordine delle prelazioni: nessun valore ai soci fino a che ogni classe superiore (o di pari grado) non sia, se dissenziente, tutelata dal ricevere almeno altrettanto, e ogni classe inferiore non ottenga comunque meno. Di fatto, se la Absolute Priority Rule “classica” vieta qualsiasi soddisfazione degli equity holder finché tutti i creditori non siano pagati integralmente, questa versione “virtuale” ne è una modulazione: consente di riservare qualcosa ai soci solo se ciò non modifica l’ordine delle priorità economiche, mantenendo la classe dissenziente in una posizione migliore rispetto a chi sta sotto di lei. È un equilibrio delicato, di difficile applicazione pratica, ma che secondo alcuni Autori è l’unico compatibile con la lettera e la ratio della norma[52]. Questa impostazione appare però criticabile perché eccessivamente restrittiva: assegnando tutto il surplus dapprima alle classi meglio posizionate, si rischia di far conseguire ad alcune classi di pari o subordinato grado un soddisfacimento percentuale addirittura superiore a quello della classe dissenziente. Ciò determinerebbe la violazione della “prova di resistenza” ex art. 120 quater CCII, impedendo l’omologazione del concordato.
6.4 . Un esempio numerico dei tre criteri distributivi
Per chiarire le differenze metodologiche tra i principali approcci alla distribuzione del surplus riservato ai soci in presenza di una classe dissenziente si propongono di seguito alcuni esempi. Ipotizziamo un caso (tabella 6) nel quale si abbia un passivo pari a 10.000 euro ed un attivo da distribuire di 6.320 euro (“Offerta”); assumiamo che vengano pagati al 100% la Prededuzione e una categoria di Privilegiati (“Privilegiati A”) e che a tutti gli altri creditori venga prevista, nel rispetto della graduazione dei privilegi, una percentuale dell’attivo (“%offerta”). Il valore “effettivo” (“VE”) riservato ai soci viene stimato in euro 1.000. 

Tab. 6. Ipotesi dell’attribuzione discrezionale del valore riservato ai soci (criterio orizzontale) 
 In questo caso, ipotizzando come dissenziente la Classe 1 dei creditori “Privilegiati B” a cui viene, nel piano, destinata una percentuale del 65%, si è distribuito il valore destinato ai soci in modo discrezionale alle Classi di grado inferiore con il solo limite di verificare il rispetto della RPR. Il concordato è omologabile. 
È interessante notare (tabella 7) che il valore “effettivo “attribuito ai soci avrebbe potuto essere anche più elevato fino ad euro 1.537, facendo raggiungere una capienza percentuale del 64,9% alla classe 2 e del 64,8% alla classe 3, restando il concordato omologabile. 

Tab.7. Valore effettivo massimo riservabile ai soci con attribuzione discrezionale.

Tab. 8. Ipotesi dell’attribuzione proporzionale del valore riservato ai soci sulla base dei “pesi” di ciascuna classe
 Nella tabella 8, ipotizzando come dissenziente, come nel caso precedente, la Classe 1 dei creditori “Privilegiati B”, a cui nel piano è destinata una percentuale del 65%, il valore riservato ai soci viene distribuito considerando il criterio proporzionale basato sui “pesi” delle diverse classi (calcolato sul valore netto dei crediti post falcidia concordataria), così come risultano dal piano concordatario. In questo caso, a differenza di quello precedente, il concordato non risulta omologabile in quanto alla Classe 2 è attribuita una percentuale superiore a quella destinata alla classe dissenziente. Si noti come, nel caso specifico, l’utilizzo del criterio proporzionale, condizioni il risultato del test impedendo l’omologazione. 

Tab.9. Ipotesi dell’attribuzione secondo l’Absolute Priority Rule
Nel caso di tabella 9, ipotizzando, come nei due esempi precedenti, la Classe 1 “Privilegiati B” quale dissenziente, è stato assegnato tutto il valore spettante ai soci alla classe immediatamente inferiore nella scala delle priorità, la Classe 2, a cui però risulta così attribuita una percentuale superiore a quella della classe dissenziente in ragione dell’APR. Il concordato, quindi, non risulta omologabile. 
La tabella 10 propone di seguito, con le medesime classi di creditori e gli stessi valori, l’ipotesi in cui la classe dissenziente sia la cosiddetta classe “infima”, cioè il caso di assenza di classi di creditori di grado pari o inferiore a quella dissenziente che si frappongano tra la classe dissenziente e i soci. 

Tab. 10 Ipotesi dell’attribuzione in caso di dissenso della classe “infima”
Come già evidenziato, nel caso della classe “infima” la verifica è più semplice in quanto il concordato può essere omologato solo quando il valore (assoluto) destinato al soddisfacimento dei creditori appartenenti alla classe dissenziente è superiore al valore (assoluto) complessivamente riservato ai soci.  Trattandosi di valori assoluti non vi sono divergenze interpretative in merito al criterio di applicazione della norma, senonché l’ipotesi di dissenso espresso dalla classe “infima” può comportare rischi di mancata omologazione nel caso di creditore di ultimo grado e di importo esiguo. In questo caso il valore riservato ai soci è maggiore rispetto a quello attribuito alla classe dissenziente rappresentata dalla Classe 3 di creditori chirografari e di conseguenza il concordato non è omologabile. 
Nell’ipotesi, piuttosto frequente, della presenza di più classi chirografarie ab origine e/o per degrado a seguito di incapienza, alla luce della lettera della norma (“se non vi sono classi di creditori di grado pari o inferiori a quella dissenziente...”) non si dovrebbe concretizzare la presenza della cosiddetta “classe infima”; conseguentemente ritornerebbero applicabili le regole previste in caso di presenza di classi del medesimo grado[53].
7 . Considerazioni finali
Per quanto l’art. 120 quater CCII non introduca condizioni all’ammissibilità del concordato, limitandosi a fissare criteri per l’omologazione in presenza di dissenso anche solo da parte di una classe di creditori, la scelta di prevedere (anche implicitamente) nel piano l’attribuzione – magari residuale – di valore in favore dei soci (preesistenti) espone la proposta a rischi di rigetto non trascurabili, con potenziali effetti “irreversibili” sul percorso di risanamento. L’intento dell’intervento normativo, ispirato alla Direttiva (UE) 2019/1023, mira ad assicurare un’equa distribuzione del valore aziendale complessivo tra le diverse classi di creditori e i portatori di capitale e di strumenti finanziari assimilabili. Anche il principio della priorità relativa (Relative Priority Rule) è accolto dal Legislatore in modo “temperato”[54] nella lettera dell’art. 120 quater CCII. L’applicazione pratica di questa normativa risulta però incerta e potenzialmente soggetta a valutazioni soggettive – specie nei casi in cui la stima del “valore effettivo” sia fondata su presupposti difficilmente verificabili, come accade nel caso di aziende in fase di turnaround[55]. Sotto il profilo tecnico-estimativo, la determinazione del “valore effettivo” riservato ai soci rappresenta uno dei passaggi più critici. L’art. 120 quater, comma 2, CCII come modificato dal D.lgs. n. 136/2024 (c.d. “Correttivo-ter”), richiede che tale valore sia stimato “in conformità ai principi contabili applicabili per la determinazione del valore d’uso”. Tuttavia, come evidenziato, questo rinvio genera più problemi di quanti non ne avesse voluti risolvere: il valore d’uso – per definizione – esclude i flussi finanziari derivanti da miglioramenti futuri, mentre la ragion d’essere di un piano di ristrutturazione si fonda proprio su tali miglioramenti. Si crea così un evidente cortocircuito tra la configurazione di valore imposta dalla norma e il contenuto economico del piano che dovrebbe essere usato per stimare quel valore. Altro punto nevralgico è il meccanismo di ripartizione del “valore virtuale” tra le classi di creditori di pari o inferiore grado rispetto a quella dissenziente. Si tratta di un’operazione delicata, che impone una simulazione già in sede di redazione del piano. Nell’apparente silenzio del Legislatore, dovrebbero applicarsi soluzioni in linea con le indicazioni comunitarie e con la possibilità di evitare vincoli eccessivi e, in fondo, ingiustificati, all’omologazione del piano, ma non vi è allo stato un punto di arrivo comune sulla modalità di applicazione concreta della norma. In ogni caso l’interpretazione dell’art. 120 quater CCII presenta ampi margini di incertezza operativa, che si acuiscono laddove il piano non preveda apporti patrimoniali da parte dei soci o formule di riequilibrio strutturale della compagine sociale, quali aumenti di capitale riservati a terzi, conversioni di crediti in strumenti partecipativi ovvero clausole di earn-out funzionali alla sterilizzazione e/o alla modulazione del valore “effettivo” da attribuire agli stessi. In assenza di tali meccanismi, il rischio è che l’attribuzione residuale di valore agli azionisti anteriori alla procedura di concordato risulti condizionata da variabili difficilmente gestibili, con conseguente inapplicabilità della “prova di resistenza” di cui all’art. 120 quater CCII e potenziale preclusione dell’omologazione. In conclusione, la traduzione operativa della norma è complessa e delicata. L’ambigua definizione di “valore effettivo” malamente agganciata a principi desunti dalla scienza aziendale, la mancanza di espliciti criteri di ripartizione del valore “effettivo” attribuito ai soci tra classi e la criticità che l’eventuale controllo del rispetto dell’art. 120 quater CCII sia rimessa alla sola fase di omologazione, quando eventuali correttivi non sono più apportabili, rendono auspicabile un intervento correttivo del legislatore. In linea di principio, la conoscenza della regola prevista dall'art. 120 quater CCII potrebbe consentire una gestione strategica dell'allocazione del valore “effettivo” destinato ai soci, purché supportata da pareri professionali indipendenti. Tuttavia, nella pratica, l’elevato grado di alea interpretativa rende la proposta concordataria particolarmente vulnerabile e induce a preferire strumenti alternativi – come i piani di ristrutturazione omologati o gli accordi ad efficacia estesa – i quali, pur meno garantistici per i creditori, non impongono regole di distribuzione del valore tra soci e classi dissenzienti[56].

Note:

[1] 
Gli strumenti che attribuiscono il diritto di acquisire in futuro partecipazioni sono una categoria residuale, ma rilevante nel contesto della distribuzione del valore; tra questi i warrant, le obbligazioni convertibili, gli strumenti finanziari partecipativi (SFP), le stock option, gli equity linked instruments ecc.
[2] 
Un moderno diritto fallimentare, o della crisi d’impresa, volendo usare il nuovo lessico, deve dunque consentire di soddisfare i creditori non soltanto con la tradizionale modalità della liquidazione del patrimonio (e successiva ripartizione del ricavato), ma anche mediante la riorganizzazione della struttura finanziaria del debitore, con conseguente riallocazione dei diritti sul suo patrimonio fra precedenti soci, creditori e, se del caso, nuovi investitori. Ed è ciò che sin dal 2005 sulla scorta di altre legislazioni, anche il diritto italiano consente” L. Stanghellini, “Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi”, Analisi Giuridica dell'Economia, Fascicolo 1-2 gennaio-dicembre 2023 ed. il Mulino p. 21.
[3] 
Nella pratica gli stessi creditori secured o comunque senior possono avere un concreto interesse a coinvolgere gli azionisti nella riorganizzazione “to keep old equity in the picture”. È il caso delle imprese founder-based o owner-driven, dove l’ex socio è spesso insostituibile nel breve termine. Il socio può essere interlocutore chiave in trattative con clienti/fornitori, o per la cessione graduale dell’attività. A volte, tenere i soci nel perimetro è condizione per salvare l’avviamento o realizzare il miglior prezzo nel tempo. Infine, il motivo può consistere nell’evitare contenziosi e favorire l’omologazione. Per una riflessione sul ruolo dei soci nel Codice della Crisi cfr. S. D’Orsi, Omologazione del piano e interesse patrimoniale dei soci nel regime degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza in Dirittodellacrisi.it, 7 luglio 2025. L’Autore evidenzia come la regolazione di poteri ed interessi dei soci costituisca l’oggetto caratteristico del diritto societario, restando però indifferente all’eventuale dissesto della società mentre il Codice della Crisi delinea espressamente un sistema autonomo di regole in sede di applicazione degli istituti giuridici propri della crisi e dell’insolvenza. In tema di inquadramento dei soci nel CCII si vedano anche P. Riva Il complesso ruolo dei soci nella gestione della crisi d’impresa in Dirittodellacrisi.it, 26 gennaio 2024; M. Perrino, Relative Priority Rule e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità” in Dirittodellacrisi.it, 12 dicembre 2022; A. Rossi I soci nella regolazione della crisi della società debitrice in Ristrutturazioni Aziendali 22 settembre 2022. 
[4] 
Un ampio excursus in tema di APR e RPR nel nostro sistema normativo ante e post entrata in vigore del Codice della Crisi, delle fonti comunitarie e un’approfondita indagine di diritto comparato, con particolare riferimento alle esperienze statunitensi è riportato in G. Ballerini, Le Riorganizzazioni Societarie tra Absolute e Relative Priority Rule, G. Giappichelli Editore, 2023. In materia di APR e RPR dal punto di vista delle regole distributive tra normativa previgente e Codice della Crisi cfr. G.P. Macagno, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità in Dirittodellacrisi.it, 6 aprile 2022. Nell’ambito di una valutazione estesa delle regole di distribuzione del patrimonio del debitore alla luce della sentenza della Cassazione Civile, Sez. I, 8 giugno 2020, n. 10884 in sede di applicazione dell’art. 160, comma 2, della previgente legge fallimentare vedi G. D’Attorre, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule in Il Fall. 8/9 2020; sull’interpretazione sistematica dell’art. 160, comma 2, legge fallimentare, in ottica di APR e RPR, vedi anche G. Peracin, Concordato preventivo e cessio bonorum con classi. Trattamento dei creditori privilegiati generali e inquadramento giuridico dei vantaggi differenziali, in Diritto fallimentare delle società commerciali, 2011, I. Per un confronto tra APR e RPR nel contesto statunitense, ma con rilevanti considerazioni ed implicazioni di policy anche in altri ordinamenti, si vedano, tra gli altri, M. J. Roe e M. Simkovic, “Absolute priority, relative priority, and valuation uncertainty in bankruptcy”, https://scholarship.law.upenn.edu/penn_law_review/vol173/iss2/2. 
[5] 
Nel quadro di una esplorazione dottrinale della norma prima del “Correttivo ter” di settembre 2024 cfr. A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale in Dirittodellacrisi.it, 13 aprile 2023; M. Fabiani - A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci in Il Fall. 5/2024; N. Cadei “Il valore riservato ai soci ex art. 120 quater CCII: brevi riflessioni de iure condito sulla possibile quantificazione” in Ristrutturazioni Aziendali, 13 giugno 2024.
[6] 
L’art. 120 quater CCII si riferisce ai soci originari, possessori di una quota di capitale al momento della presentazione della domanda di concordato; quindi, la regola non trova applicazione a coloro che divengano soci in esecuzione del concordato, in occasione della sua omologazione o successivamente ad essa, attraverso aumenti di capitale in denaro o in natura. È invece incerta l’ipotesi dei nuovi soci che subentrino ai soci originari attraverso l’acquisto delle loro partecipazioni. A quest’ultima fattispecie, sebbene la partecipazione originaria sia trasferita in conformità al piano e in esecuzione del concordato, la disciplina (e quindi le limitazioni) dell’art. 120-quater CCII dovrebbe comunque applicarsi. In questo senso M. Fabiani - A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci cit. 
[7] 
Le criticità di natura anche operativa sono quelle legate al rischio per il debitore, ma anche per i creditori, di una bocciatura tardiva, inammissibile sotto il profilo dell’efficienza dello strumento e della buona fede procedimentale. Così F. Lamanna, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità in Dirittodellacrisi.it, 2022; M. Perrino, Relative priority rule e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità cit. 
[8] 
È noto che, nella prassi applicativa, tra il deposito della domanda di concordato e l’omologazione finale possono trascorrere anche anni, a causa della complessità delle fasi procedimentali – dall’ammissione alla procedura, alla votazione dei creditori, fino alla decisione di omologa da parte del tribunale. La preoccupazione di un valore “a base mobile” emerge, tra gli altri, nelle proposte di modifica della bozza di Correttivo di vari articoli tra cui l’art. 120 quater CCII, su Dirittodellacrisi.it del 28 maggio 2024, predisposte dal Pres. F. Platania, nelle quali ci si preoccupa della necessità di adeguamento del valore attribuito ai soci tenendo conto anche di risultati della gestione già nel corso del concordato preventivo. Sul condizionamento derivante dal susseguirsi di fasi (apertura procedura, votazione, omologazione), “caratterizzate in ogni caso – oltreché da un forte grado di incertezza in termini di relativo esito – dalla presenza di un non trascurabile intervallo temporale intercorrente tra le medesime (nel corso del quale potrebbero financo registrarsi scostamenti economico finanziari ovvero industriali tali da comportare la necessità di revisionare il piano di concordato e la relativa proposta” vedi  N. Cadei, Il valore riservato ai soci ex art. 120 quater CCII: brevi riflessioni de iure condito sulla possibile quantificazione cit.. In merito alla criticità che deriva dall’incertezza sul momento temporale al quale ancorare la stima del valore nelle diverse fattispecie giuridiche regolate dal CCII vedi G. Peracin, La valutazione d’azienda nei piani di risanamento in continuità nel CCII – alcune considerazioni operative - in Fallimenti e Società.it – Osservatorio di diritto fallimentare e societario - giugno 2025.  
[9] 
Vedi Trib. Verona, 21 luglio 2023, in Dirittodellacrisi.it. Si legge nelle osservazioni: “Si rappresenta quindi alla ricorrente il rischio di mancata omologa di cui sopra e la si invita a sollecitare i soci a mettere a disposizione sin da subito finanza esterna (anche subordinatamente all’omologa definitiva del concordato), al fine di evitare tale rischio (e, più in generale, al fine di meglio garantire la fattibilità del piano).” 
[10] 
Al di là del dato letterale (“se il piano prevede….”) non sembra che la ratio della norma comporti la necessità di una previsione esplicita nel piano di ristrutturazione in quanto “un’eventuale attribuzione di valore ai soci rappresenta un dato di fatto, riscontrabile indipendentemente da un’espressa previsione del piano e dal trasferimento del valore ai soci tramite distribuzioni di dividendi o di riserve di capitale” M. Fabiani-A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci cit. In altri termini, anche in considerazione della finalità di risanamento dell’impresa, l’attribuzione ai soci si collega al mantenimento, anche parziale, della partecipazione originaria ed al vantaggio in termini di valore conseguente all’omologazione. Sul punto vedi S. D’Orsi, Omologazione del piano e interesse patrimoniale dei soci nel regime degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza cit. .Per la non necessità che la proposta concordataria preveda espressamente il trasferimento ai soci di una quota di utilità vedi anche A. Rossi, “Il concordato di Schrödinger (ovvero del concordato preventivo con attribuzione ai soci)”, in Procedure Concorsuali e Crisi di Impresa 3/2025; per L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit., pag. 41, nel riconoscere che «a differenza dei creditori [...] i soci non sono mai indifferenti rispetto alla ristrutturazione. Non occorre, cioè, che la proposta li “tratti” come destinatari, in quanto essi sono per definizione coloro che ricevono tutta l’eccedenza fra attivo e passivo». Minoritaria è la posizione di coloro che ritengono applicabile l’art. 120-quater CCII nel solo caso che il piano contenga l’esplicita previsione di attribuzione di valore ai soci. Così L.A. Bottai – A. Pezzano – M. Ratti – M. Spataro, Il concordato con attribuzione ai soci criticità e prospettive del nuovo art. 120 quater CCII in Dirittodellacrisi.it, 8 novembre 2022. Per questi Autori “Deve dunque sussistere una “previsione” in piano - e quindi una precisa scelta al riguardo della società debitrice - che “riservi” il “plusvalore della ristrutturazione”, oltre che ai creditori, non solo/non tutto alla società per consolidare il risanamento, ma “anche ai soci” (sostanzialmente come una forma di “dividendi da piano”, tale dovendosi considerare, anche alla luce della Relazione legis, la proposta di distribuzione a loro favore del “valore effettivo” delle partecipazioni “conseguente all’omologazione” di cui all’art. 120 quater, comma 2, CCII).” 
[11] 
M. Fabiani – S. Leuzzi, Il controllo giudiziale nei concordati - La ristrutturazione trasversale in Dirittodellacrisi.it, 18 dicembre 2024. Gli Autori ritengono che anche il Commissario debba esporre nella propria relazione la stima del valore attribuito ai soci, mentre escludono che sia oggetto di attenzione da parte dell’attestatore. 
[12] 
La scelta del Legislatore di agganciare la verifica del trattamento dei soci anteriori alla fase di omologa, anziché a quella di ammissione, deriva principalmente dalle disposizioni comunitarie. In particolare, dagli artt. 11 e 12 della Direttiva (UE) 2019/1023, che impongono un controllo finale sulla gerarchia delle priorità e vietano il mantenimento di valore ai soci anteriori (salvo condizioni specifiche). Pur derivando dalla Direttiva, questa scelta è coerente anche con la struttura già presente nel CCII (che accentra nella fase di omologazione i controlli di merito sostanziale, anche ex art. 112-114 CCII) con l’impostazione del concordato in continuità come procedura negoziale, in cui la proposta deve essere valutata nella sua interezza e nei suoi effetti. Critico rispetto alla scelta del legislatore N. Cadei, Il valore riservato ai soci ex art. 120-quater CCII: brevi riflessioni de iure condito sulla possibile quantificazione cit, il quale evidenzia che “risulterebbe quindi defaticante e sicuramente maggiormente obiettivo “posticipare” la verifica di cui all’art. 120 quater CCII ad esito dell’omologazione del concordato, in particolare tramite il diritto degli interessati ad opporsi alla medesima ed ottimizzando, quindi, l’andamento e la stabilità della procedura tramite la possibilità di addivenire ad un’obiettiva – e maggiormente comunemente condivisibile – quantificazione del valore riservato ai soci”. Il tutto consentendo eventualmente ai medesimi la possibilità di apportare ulteriori risorse sino a sterilizzare l’applicabilità della norma. 
[13] 
M. Fabiani – S. Leuzzi, Il controllo giudiziale nei concordati - La ristrutturazione trasversale cit. Gli Autori evidenziano come “non vi sia alcuno spazio per predicare che il tribunale possa dichiarare inammissibile la proposta perché non è indicato il valore attribuito ai soci”. 
[14] 
Autorevole dottrina afferma che “al tribunale è rimesso il compito di operare quel confronto comparativo che è indicato nell’art. 120 quater e che va ad aggiungersi alle valutazioni di cui all’art. 112 M. Fabiani – S. Leuzzi, Il controllo giudiziale nei concordati - La ristrutturazione trasversale cit.; nel senso che la verifica di cui all’art. 120 quater CCII si concretizzi in un accertamento d’ufficio in presenza di almeno una classe dissenziente vedi Trib. Trieste, 15 settembre 2023 in Dirittodellacrisi.it.
[15] 
Trattasi della parziale trasposizione del concetto di matrice anglosassone della New Value Exception (NVE), che legittima in particolare i soci a condividere il risultato della ristrutturazione mantenendo interessi nell’impresa, laddove in base alla loro anzidetta qualità di residual claimant dovrebbero invece essere a ciò preclusi dalla APR. La condizione per garantire tali interessi è che gli apporti si sostanzino in nuove risorse a sostegno della reorganization, in misura proporzionata e a condizioni di mercato. Tra i più importanti riferimenti dottrinali statunitensi che hanno approfondito la logica e i limiti della APR e le condizioni per il superamento attraverso la NVE cfr. E. Warren, J. Westbrook et al. Chapter 11: “Reorganizing American Businesses”, ediz. 2020; D. G. Baird “Elements of Bankruptcy”, ediz. 2022; T. H. Jackson, The Logic and Limits of Bankruptcy Law, 1986.  
[16] 
Trattasi come più volte evidenziato dei soci originari al momento della presentazione della domanda, essendo, invece, esclusi i soci che divengano tali a seguito dell’esecuzione del concordato. Diversa è l’ipotesi del subentro nella posizione partecipativa mediante acquisto delle partecipazioni dai soci originari: in questo caso i meccanismi dell’art. 120 quater CCII dovrebbero trovare applicazione; in tal senso M. Fabiani – S. Leuzzi, Il controllo giudiziale nei concordati - La ristrutturazione trasversale cit.    
[17] 
L’art. 120 quater, comma 2, CCII prevede che gli apporti dei soci possano non essere esclusivamente in forma di conferimenti o versamenti a fondo perduto, ma anche “in altra forma”, se si tratta di una impresa che non ha superato i limiti indicati all’art. 85, comma 3, CCII come modificato dall’art. 21 D.lgs. 13 settembre 2024 n. 136 (Attivo ≤ € 5 milioni, Ricavi lordi ≤ € 10 milioni, Dipendenti ≤ 50). Come precisato dalla relazione ministeriale trattasi di una deroga concessa alle imprese di minori dimensioni in linea con le previsioni comunitarie che apre alla possibilità di contributi anche in forma di prestazioni di lavori o di servizi (o altre forme diverse dall’apporto finanziario). Alla luce dell’estensione dimensionale del perimetro di applicazione, molto interessante è il caso affrontato dal Tribunale di Pistoia che con decisione 14 aprile 2025 Il Caso.it, ha riconosciuto la possibilità che anche l’attività lavorativa prestata dai soci possa costituire apporto deducibile dal valore delle partecipazioni affermando che, se il valore attualizzato dell’apporto è superiore al valore della partecipazione post-omologa, l’art. 120 quater CCII risulta rispettato. 
[18] 
Potrebbe essere il caso del socio che immette liquidità durante la composizione negoziata, formalmente come aumento di capitale o finanziamento soci, espressamente per sostenere l’attività in vista del piano di ristrutturazione da formalizzare poi nel concordato preventivo. In questa lettura, la funzione economica dell’apporto prevale sul momento formale in cui è stato effettuato. Autorevole Dottrina non pone dubbi sul fatto che come apporti debbano essere considerati anche i finanziamenti eseguiti dai soci e prededucibili ai sensi degli artt. 22, comma 1, lett. a), e 102 CCII, se destinati ad essere utilizzati per l’esecuzione di un aumento di capitale sociale mentre esprime perplessità nel caso di impegno dei soci alla conversione in capitale sociale di finanziamenti da loro erogati prima del ricorso allo strumento di regolazione della crisi, e magari corrispondenti a crediti postergati ex art. 2467 C.C.. A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice cit. 
[19] 
È il caso in cui si preveda che, all’atto dell’omologazione del piano, non venga attribuito alcun valore immediato ai soci, riservando ogni eventuale attribuzione a un momento successivo, subordinatamente al raggiungimento di specifici obiettivi di performance, sia economico-finanziari (quali utile netto cumulato, margini operativi, flussi di cassa), sia legati alla soddisfazione della massa creditoria (ad esempio, il pagamento effettivo dei creditori oltre una soglia percentuale prefissata). Il valore potenzialmente spettante ai soci potrebbe essere: fissato ex ante, ma subordinato a condizioni sospensive (performance threshold), oppure determinato ex post, sulla base del valore effettivamente generato, al netto del soddisfacimento integrale dei creditori e degli eventuali apporti deducibili effettuati dai soci o da terzi in funzione della ristrutturazione.  A presidio della trasparenza e della correttezza del meccanismo, il piano e la proposta concordataria dovrebbero prevedere clausole puntuali in materia di monitoraggio, rendicontazione periodica e verifica dei risultati. Per un riferimento ad esempi di aggiramento tecnico-giuridico della rigidità in sede di applicazione dell’APR a favore dei soci derivanti dall’esperienza statunitense e dal Report dello European Law Institute (ELI) del 2017, dal titolo “Rescue of Business in Insolvency Law” vedi M. Parrino “Relative priority rule e diritti dei soci nel concordato in continuità” cit.
[20] 
OIC 9 paragrafo 25, analogo disposto vale per lo IAS 36. 
[21] 
Il Reorganization value è “[t]he value attributed to the reconstituted entity, as well as the expected net realizable value of those assets that will be disposed of before reconstitution occurs. Therefore, this value is viewed as the value of the entity before considering liabilities and approximates the amount a willing buyer would pay for the assets of the entity immediately after restructuring”. Il paragrafo 852-10-05-10 aggiunge che “[t]he reorganization value of an entity is the amount of resources available and to become available for the satisfaction of post-petition liabilities and allowed claims and interest, as negotiated or litigated between the debtor-in-possession or trustee, the creditors, and the holders of equity interests.” 
[22] 
L’Enterprise value (EV) esprime il valore del capitale investito operativo netto (= attività immobilizzate + capitale circolante netto), il Total Enterprise Value (TEV) esprime invece il valore del capitale investito operativo lordo (= attività immobilizzate + capitale circolante lordo). Pertanto, il Total Entreprise Value considera un valore dell’attivo da ripartire non solo fra creditori finanziari e azionisti (come l’Enterprise Value) ma da ripartire fra tutti i creditori. Vedi paragrafo 3.3. 
[23] 
Cfr. Mauro Bini, La valutazione delle aziende in crisi. Dalla sottoperformance alla liquidazione, Egea, 2025. 
[24] 
Sugli effetti del rischio di insuccesso del piano concordatario si segnala Luca Sicignano, “L’assenza di pregiudizio e il rischio di insuccesso nei piani concordatari”, Banca Borsa e Titoli di credito, anno LXXVII fac. 1 – 2024 che riporta una lettura in chiave giuridica di principi che presidiano la stima del valore e ne interpreta le conseguenze in tema di “assenza di pregiudizio” per i creditori.    
[25] 
Luca Siciliano, nell’articolo citato in nota precedente, chiarisce che un piano attestato è un piano la cui realizzazione è più probabile che no, ma non certo un piano il cui successo sia certo.
[26] 
La terminologia adottata è quella dell’appendice A dello IAS 36. 
[27] 
Il costo del capitale esprime il rendimento atteso dall’attività tenuto conto del suo grado di rischio diversificabile. Normalmente il costo del capitale è calcolato facendo ricorso al CAPM- Capital Asset Pricing Model e al modello di Modigliani Miller per la stima del wacc (costo medio ponderato del capitale). Tuttavia, il costo del capitale così calcolato non include un rischio specifico di scenario e per questo può essere applicato solo a flussi di cassa medi attesi che considerino l’intero spettro di scenari possibili.  
[28] 
IAS 36.A19: “The discount rate is independent of the entity’s capital structure and the way the entity financed the purchase of the asset, because the future cash flows expected to arise from an asset do not depend on the way in which the entity financed the purchase of the asset”. 
[29] 
Infatti, il valore di mercato diventa:80 x 55% + 10 x 45% = 44 + 4,5 = 48,5.
[30] 
L’esempio ipotizza che i valori tratti dai singoli scenari siano stati stimati facendo uso del costo del capitale senza premi per il rischio aggiuntivi, in guisa che la media ponderata dei valori dei singoli scenari corrisponda al valore che si avrebbe stimando il valore dell’attivo sulla base dei flussi di cassa medi attesi.
[31] 
OIV, La valutazione delle aziende in crisi, Discussion Paper n. 1/2025 https://www.fondazioneoiv.it/documenti-oiv/approvati/discussion-paper-n-1-25/. Sul tasso IRR il riferimento è ai tassi applicati da società di Privare Equity e Venture Capital a capacità di reddito di nuova formazione (pag. 69), sul premio per il rischio il riferimento è al premio richiesto per investimenti a lungo termine da parte delle società che sviluppano progetti destinati a redditi di nuova formazione (pag. 67). 
[32] 
La terza (o forse la prima grandezza per importanza) è il valore di liquidazione che rappresenta la stima di quanto si otterrebbe dal realizzo degli asset aziendali in una procedura liquidatoria giudiziale, alla data di presentazione della domanda di concordato. In altre parole, è il ricavato ipotetico di una liquidazione “atomistica” (vendita dei singoli beni pezzo per pezzo) oppure di una liquidazione in continuità indiretta tramite cessione unitaria dell’azienda in un contesto di liquidazione giudiziale (o, ricorrendone i presupposti, di amministrazione straordinaria). Questo valore funge da parametro-base nel concordato preventivo: serve a garantire che ogni creditore riceva almeno quanto otterrebbe dallo scenario liquidatorio. Proprio per questo, l’art. 87, comma 1, lett. c) del Codice della Crisi (CCII) richiede di indicare nel piano il valore di liquidazione del patrimonio (calcolato alla data della domanda), e l’art. 84, comma 6, CCII stabilisce che tale valore sia distribuito rispettando rigorosamente le cause di prelazione (priorità assoluta). In sintesi, il valore di liquidazione è una base di riferimento “statica” e prudenziale: quanto resterebbe ai creditori dalla liquidazione immediata dei beni, senza i benefici di una prosecuzione dell’attività. Per un’ampia disamina sulla nozione di “valore di liquidazione” e “valore eccedente quello di liquidazione” vedi A. Turchi, “Il valore di liquidazione nel codice della crisi e dell’insolvenza dal testo originario al D.Lgs. n. 136/2024” in Diritto della Crisi.it 18 agosto 2025; per una specifica analisi del concetto di “valore eccedente quello di liquidazione” anche alla luce dell’intervento emendativo alla disciplina dell’art. 87 CCII, operato dal D.Lgs. n. 36/2024 confr. A. M. Leozappa, Sul “valore eccedente quello di liquidazione” nel concordato preventivo in continuità aziendale (art. 84, comma 6, CCI) in Dirittodellacrisi.it, 3 marzo 2025. 
[33] 
La possibilità di individuare e trattare secondo la regola RPR il cosiddetto “quid pluris concordatario” in ipotesi di continuità indiretta è in realtà oggetto di discussione in Dottrina e Giurisprudenza. In Dottrina tra gli autori contrari alla possibilità di ipotizzare una eccedenza dell’attivo soggetta all’applicazione della RPR in ipotesi di concordato in continuità indiretta (oltre che in quello liquidatorio) Galletti, Portata e razionalità economica dell’absolute priority rule, in AA.VV., La questione distributiva p. 57; G. Ballerini, Le Riorganizzazioni Societarie tra Absolute e Relative Priority Rule cit p. 294-298;  contrari al riconoscimento di plusvalore soggetto a RPR in ipotesi di concordato semplificato di cui all’art. 25 sexies CCII L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit. p. 42; S. Leuzzi, Il concordato semplificato nel prisma delle prime applicazioni in Dirittodellacrisi.it, 19 maggio 2023. Sulla necessità dell’esistenza di un “quid pluris” e la difficoltà di conseguirlo in ipotesi di continuità indiretta da ultimo Cass., Sez. I, 28 aprile 2025, n. 11120, in Diritto della Crisi.it. A favore della possibilità di rinvenire un surplus soggetto alle regole della RPR anche nel concordato in continuità indiretta G. D’Attorre. “Le regole di distribuzione del valore” in Fall. 2022; così S. Ambrosini, La continuità aziendale (diretta e indiretta) fra diritto contabile e disciplinadella crisi d’impresa. Profili ricostruttivi e sottotipi concordatari Ristrutturazioni Aziendali 11 luglio 2024. In senso positivo, ferma la necessità di dimostrare “in modo rigoroso le ragioni per cui la prosecuzione dell’attività d’impresa (ad opera di un soggetto terzo) consenta di generare plusvalore rispetto alla alternativa della liquidazione giudiziale” A. Turchi, Il valore di liquidazione nel codice della crisi e dell’insolvenza dal testo originario al D.Lgs. n. 136/2024 cit. L’Autore si sofferma con una approfondita analisi che prende in considerazione orientamenti dottrinali e giurisprudenziali pro e contro la possibilità di emersione del “quid pluris” nel caso della continuità indiretta, nell’ipotesi di presenza di offerta di acquisto da parte di terzi, arrivando ad affermare che “tale maggior valore non necessariamente dovrebbe rappresentare una componente del valore di liquidazione e, quindi, del patrimonio da assoggettare alla regola della APR”. La condizione è che si possa dimostrare che il “maggior valore” non sarebbe realizzabile nella prospettiva liquidatoria. A favore del riconoscimento del “quid pluris” nel concordato in continuità indiretta da ultimo la Corte di Appello Milano, 26 Giugno 2025 in Il Caso.it Sez. Giurisprudenza, 33449 - pubb. 24/07/2025, ha ritenuto che costituisca valore eccedente la liquidazione, ai sensi dell'art. 84 co. 6 CCII, il surplus di risorse derivante dalla continuazione dell'attività d’impresa rispetto all’alternativa liquidatoria, comprensivo del maggior valore conseguibile dalla cessione aziendale in regime di continuità. Per la Corte tale plusvalore, intimamente connesso alla prosecuzione dell'attività imprenditoriale, si distingue dalle mere risorse esterne in quanto rappresenta l'incremento di valore generato dalla conservazione del complesso aziendale operante, non altrimenti realizzabile in caso di liquidazione giudiziale. 
[34] 
Con riguardo invece ai beni non strategici non è pacifico se nella determinazione del valore eccedente quello di liquidazione debbano essere incluse anche le (eventuali) maggiori somme realizzate nella fase di esecuzione concordataria, rispetto al valore di realizzo loro attribuito in sede di determinazione del valore di liquidazione. Per una approfondita e recente disamina della questione confr. A. Turchi, Il valore di liquidazione nel codice della crisi e dell’insolvenza dal testo originario al D.Lgs. n. 136/2024 cit. 
[35] 
Il valore “risultante dalla ristrutturazione” cui si riferisce l’art. 120 quater CCII è un valore virtuale, una grandezza assoluta che corrisponde al valore delle partecipazioni (o degli strumenti ad esse assimilabili) stimato attualizzandolo al momento dell’omologazione del concordato. Non si tratta quindi del “valore eccedente il valore di liquidazione”, o “plusvalore da continuità”, assoggettabile alla Relative Priority Rule, che è invece calcolato come differenza tra i flussi generati dall’attuazione del piano di concordato (destinati ai creditori) e il valore in caso di liquidazione giudiziale (soggetto ad APR) M. Fabiani- A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci cit.; M. Fabiani – S. Leuzzi, Il controllo giudiziale nei concordati - La ristrutturazione trasversale cit.. B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi in Dirittodellacrisi.it, 27 febbraio 2023. Nel senso della coincidenza tra surplus concordatario e valore attribuito ai soci sembrano porsi G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla ‘distribuzione’ del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e relativa) in Dirittodellacrisi.it, 25 febbraio 2022 e G.P. Macagno, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore da continuità in Dirittodellacrisi.it, 6 aprile 2022; M. Arato, Il ruolo di soci e amministratori nei quadri di ristrutturazione preventiva in Dirittodellacrisi.it, 10 maggio 2022. 
[36] 
Non si tratta e non può trattarsi, di una mera diretta comparazione dei livelli monetari percentuali di soddisfazione, come avviene di norma nella comparazione del trattamento tra classi di creditori secondo i principi della relative priority rule, ma piuttosto del calcolo di quanto verrebbe a modificarsi la percentuale di soddisfazione delle classi dei creditori del medesimo rango o di rango inferiore alla classe dissenziente, se a tali classi fosse stato attribuito il valore effettivo che il piano riserva ai soci.” B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi cit. 
[37] 
Il significato è che “la proposta può essere omologata soltanto qualora il valore riservato ai soci “sia stato “pagato” o “ceduto” dalle classi di pari rango o di rango inferiore rispetto a quello della classe dissenziente; viceversa, qualora il valore riservato ai soci sia stato anche in parte attinto dall’importo teoricamente destinabile ai creditori della classe dissenziente, la proposta non può essere omologata” A. Nigro-D. Vattermoli in Diritto della Crisi delle imprese – ediz. Il Mulino – 2023 pag. 451. In altri termini: se ai soci vengono attribuite risorse, queste non devono essere sottratte alla classe dissenziente.  “Secondo questa regola, dunque, non è richiesta l’integrale soddisfazione delle classi antergate dissenzienti perché quelle di creditori collocate su gradini inferiori e i soci ricevano una parte del plusvalore da ristrutturazione, essendo sufficiente una sorta di “piramidalità rovesciata(cioè, una soddisfazione delle classi poste più in alto nella gerarchia migliore di quella delle classi più in basso), a partire dalla classe che non ha approvato la proposta” L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi cit. 
[38] 
Tale situazione non si presenta nell’ipotesi in cui, ad esempio, vi siano più classi di creditori chirografari, la lettera della norma presuppone che la classe “infima” sia “isolata”. In presenza di classi di pari grado vale il criterio del confronto tra le percentuali di soddisfazione. 
[39] 
In ipotesi di dissenso di più classi il “test di resistenza” previsto dall’art. 120 quater CCII dovrà essere effettuato con riferimento a ciascuna posizione. Così anche A. Guiotto, “Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale”, cit. Nel caso in cui il dissenso riguardi una o più classi superiori e l’unica di infimo rango, troveranno applicazione criteri eterogenei e l’omologazione sarà ammissibile “se il concordato si dimostra conforme a parametri eterogenei: alla priorità relativa nella declinazione elaborata per risolvere il conflitto tra creditori e soci; all’impiego a favore dei creditori di infimo livello di un valore superiore a quello riservato ai soci” S. D’Orsi, Omologazione del piano e interesse patrimoniale dei soci nel regime degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza cit. L’Autore correttamente evidenzia che il “dissenso espresso da una classe superiore e dall’unica di ultimo grado complica l’omologazione del concordato. Soprattutto se il passivo verso i creditori di infimo livello risulta poco consistente, il criterio per rimediare al loro dissenso impone una soglia di soddisfacimento individuale particolarmente elevata, allo scopo di destinare all’intera categoria un valore complessivamente maggiore di quello riservato ai soci”. 
[40] 
Autorevole Dottrina ritiene che, “Trattandosi di destinazione fittizia, al solo fine di valutare se sia legittima l’attribuzione di valore ai soci, non sembra rilevante in che modo il valore che il piano ha riservato ai soci venga (fittiziamente) distribuito tra le classi di creditori interposte fra le dissenzienti  (e quelle pariordinate) e i soci: condizione necessaria e sufficiente è che tale valore, anche qualora venisse distribuito fra i creditori secondo la regola della priorità relativa (in modo da far sì che la classe dissenziente riceva almeno quanto le classi pariordinate e più di quelle di grado inferiore), non “trabocchi” verso la classe dissenziente”. Così L. Stanghellini “Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi” cit. 
[41] 
È stato osservato che l’applicazione della RPR è espressamente circoscritta nel CCII al valore eccedente quello di liquidazione e che tale delimitazione “crea incertezze applicative non ritrovandosi testualmente nell’art. 11 della Direttiva, la quale appare invece riferirsi, nel porre le relative regole di distribuzione, all’intero valore nascente dal piano di ristrutturazione, cui applicare l’alternativa fra la RPR di cui al par. 1 lett. c) e la APR di cui al comma 2. In questo senso può forse parlarsi della priorità relativa del CCII come di una RPR “temperata”, nella misura in cui si applica solo al plusvalore di continuità.” M. Perrino, “Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato in continuità” cit. 
[42] 
Il Considerando 49 così si esprime: «Gli Stati membri dovrebbero stabilire che l’autorità giudiziaria o amministrativa possa respingere un piano di ristrutturazione se è stato accertato che esso riduce i diritti dei creditori o detentori di strumenti di capitale dissenzienti in misura superiore rispetto a quanto questi potrebbero ragionevolmente prevedere di ottenere in caso di liquidazione dell’impresa del debitore”. 
[43] 
È stato evidenziato che il livello di complessità del calcolo aumenta in caso di pluralità di classi consenzienti di grado analogo a quello della classe dissenziente ed alla consistenza numerica di ciascuna di esse A. Guiotto, “Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale” cit. 
[44] 
Confr. L. Stanghellini, Il governo delle società fra codice civile e codice della crisi, cit. pag. 40. Per l’Autore, considerato che i soci non sono titolari di una pretesa monetaria, sono state previste specifiche modalità di applicazione della RPR. “A questo fine l’art. 120-quater, comma 1, CCII introduce una sorta di Test: qualora il valore che viene attribuito ai soci venisse tolto a loro e distribuito più in alto, cioè, spalmato “tra i creditori collocati al di sotto della classe dissenziente, si violerebbe la priorità relativa?”. Secondo S. D’Orsi “Omologazione del piano e interesse patrimoniale dei soci nel regime degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” il criterio “flessibile orizzontale” è comunque “un sistema di distribuzione privo di riscontro nel diritto positivo: come non assoggetta il surplus alla priorità assoluta, così il codice della crisi non prevede neppure la sua distribuzione necessariamente simmetrica e proporzionale”.  Come già evidenziato, la Direttiva 1023/2019 (Considerando 49) sembra però aprire a soluzioni flessibili, coerenti rispetto all’unico obiettivo di “respingere un piano di ristrutturazione [..solo..] se è stato accertato che esso riduce i diritti dei creditori o detentori di strumenti di capitale dissenzienti in misura superiore rispetto a quanto questi potrebbero ragionevolmente prevedere di ottenere in caso di liquidazione dell’impresa del debitore”. 
[45] 
Per una modalità di distribuzione fondata sul criterio di ripartizione proporzionale al peso delle somme destinate da piano alle diverse classi di creditori, si veda P.G. Cecchini, Il valore riservato ai soci nel concordato: una norma in bianco e nero da interpretare in grigio in IUS – Portale delle materie giuridiche, 2024.
[46] 
La ripartizione in base alla consistenza numerica delle classi considerando nella proporzione i crediti al valore netto post falcidia concordataria anziché al valore lordo ante falcidia si fonda sul presupposto che “soltanto il valore dei crediti come risultanti dall’omologazione rappresenta una forma di soddisfacimento, ed è quindi comparabile con il valore riservato ai soci. Quello che ogni creditore riceve ed ogni socio trattiene è il misuratore più preciso del suo interesse nel piano”. Così P.G. Cecchini, Il valore riservato ai soci nel concordato: una norma in bianco e nero da interpretare in grigio cit.
[47] 
L’approccio proporzionale sarebbe “più imparziale e meno arbitrario” rispetto alla distribuzione libera, in quanto ancorato a criteri oggettivi e misurabili. Tale metodo, tuttavia, rende l’attribuzione del valore spettante ai soci meno flessibile e più vincolata, con esiti che possono risultare profondamente diversi – e talvolta opposti – rispetto a quelli ottenibili con un riparto discrezionale, purché conforme alla gerarchia imposta dall’art. 120 quater CCII - P.G. Cecchini, Il valore riservato ai soci nel concordato: una norma in bianco e nero da interpretare in grigio cit.
[48] 
Da questo punto di vista l’impostazione “proporzionalista” rende estremamente difficile superare la prova di resistenza quando coesistano classi “minori” accanto a classi più consistenti. Il debitore dovrà tenerne conto già in sede di formazione delle classi: ad esempio, andrebbe evitata la creazione di classi chirografarie eccessivamente frammentate (dove una micro-classe isolata potrebbe far fallire il piano se dissenziente). Inoltre, potrebbe rendersi opportuno ridurre il valore riservato ai soci tramite nuovi apporti a fondo perduto o conferimenti, così da abbassare o annullare il surplus oggetto di ricalcolo.
[49] 
P.G. Cecchini, Il valore riservato ai soci nel concordato: una norma in bianco e nero da interpretare in grigio cit. N. Cadei, Il valore riservato ai soci ex art. 120-quater CCII: brevi riflessioni de iure condito sulla possibile quantificazione cit. Per i motivi già esposti (corretta informativa ai creditori, impossibilità di modifiche nella fase di omologa etc.) l’opportunità/necessità di individuare il valore attribuito ai soci e di considerare i calcoli ai fini del test previsto dall’art. 120 quater CCII già in fase di elaborazione del piano si appalesa a prescindere del criterio preso in considerazione ai fini della ripartizione del valore.
[50] 
Per una interpretazione “restrittiva” basata sull’applicazione della APR anche alla luce della relazione illustrativa ministeriale dello schema di D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 vedi G. P. Macagno, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa in Dirittodellacrisi.it, 2022. Sarebbe in sostanza la soluzione prevista dall’art. 1129 del Bankrupcy Code in base al quale, con il consenso di tutte le classi di creditori, i soci possono restare in società anche se i creditori vengono sacrificati, mentre se anche una sola classe dissente la distribuzione del valore si opera secondo la regola della priorità assoluta. In presenza di dissenso i soci possono mantenere la propria partecipazione solo a fronte di un apporto di valore corrispondente. Secondo S. D’Orsi, Omologazione del piano e interesse patrimoniale dei soci nel regime degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza cit. “L’opinione prevalente individua nella priorità assoluta il criterio per il riparto del valore, in modo da concepirne la risalita al vertice e poi la ridiscesa graduale: l’importo riservato ai soci viene idealmente attribuito alla classe (o alle classi) di livello più elevato, per scendere in maniera progressiva e solo dopo il soddisfacimento integrale dei creditori di rango poziore nelle classi di grado inferiore” anche se successivamente lo stesso autore evidenzia che “Al di là delle conseguenze di ordine pratico, la distribuzione discendente del valore non trova conferme nel sistema positivo. Il riparto in linea verticale opera per il valore di liquidazione nell’ambito della ristrutturazione trasversale, non per il surplus che può essere riservato ai soci ed è sottoposto al meccanismo della risalita”. Per una prima interpretazione in senso “restrittivo” A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice cit.; successivamente lo stesso Autore attenua la propria posizione demandando al Tribunale la verifica “se una qualunque riallocazione del valore riservato ai soci tra le classi assenzienti di grado pari o inferiore a quella dissenziente, anche a prescindere dal rispetto di alcuna proporzionalità tra le classi assenzienti, risulti comunque rispettosa della RPR nei confronti delle sole classi dissenzienti” A. Rossi,  Il concordato di Schrödinger (ovvero: del concordato preventivo con attribuzioni ai soci cit.. 
[51] 
G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla ‘distribuzione’ del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e relativa) cit. 
[52] 
Argomentando al contrario rispetto all’impostazione ancorata all’APR si potrebbe osservare che nel sistema attuale, la regola di priorità assoluta opera rigidamente solo per il valore di liquidazione in sede di cram-down (art. 112 CCII), mentre per il plusvalore da continuità la legge richiede solo il rispetto della priorità relativa, demandando al giudice la verifica che la classe dissenziente non resti indietro rispetto a ciascuna classe di pari grado e non ottenga meno di quelle subordinate. 
[53] 
Con riferimento alla problematica dell’applicazione dell’art. 120 quater CCII in presenza di più classi chirografarie e sulle possibili soluzioni per evitare il trascinamento “nel baratro del rigetto dell’omologazione” da parte di una classe dissenziente marginale N. Cadei, Il valore riservato ai soci ex art. 120-quater CCII: brevi riflessioni de iure condito sulla possibile quantificazione cit. 
[54] 
M. Perrino, Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato in continuità cit. 
[55] 
Per un contributo sui temi valutativi M. Bini, La valutazione delle aziende in crisi. Dalla sottoperformance alla liquidazione, nei contesti di crisi cit.; Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili “Valutazione aziende in crisi; criticità e spunti di riflessione" 6 agosto 2025. Con riferimento alla determinazione di parametri valutativi rilevanti nei diversi scenari contemplati dal Codice della Crisi - G. Peracin, La valutazione d’azienda nei piani di risanamento in continuità nel CCII – alcune considerazioni operative cit. 
[56] 
A. Rossi, Il concordato di Schrödinger (ovvero del concordato preventivo con attribuzione ai soci) cit.; M. Fabiani, Nuova finanza prededucibile negli accordi di ristrutturazione e nell’esecuzione del concordato preventivo: alla ricerca della razionalità in Dirittodellacrisi.it; M. Fabiani e A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci in Il Fall. 5/2024. 

informativa sul trattamento dei dati personali

Articoli 12 e ss. del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR)

Premessa - In questa pagina vengono descritte le modalità di gestione del sito con riferimento al trattamento dei dati personali degli utenti che lo consultano.

Finalità del trattamento cui sono destinati i dati personali - Per tutti gli utenti del sito web i dati personali potranno essere utilizzati per:

  • - permettere la navigazione attraverso le pagine web pubbliche del sito web;
  • - controllare il corretto funzionamento del sito web.

COOKIES

Che cosa sono i cookies - I cookie sono piccoli file di testo che possono essere utilizzati dai siti web per rendere più efficiente l'esperienza per l'utente.

Tipologie di cookies - Si informa che navigando nel sito saranno scaricati cookie definiti tecnici, ossia:

- cookie di autenticazione utilizzati nella misura strettamente necessaria al fornitore a erogare un servizio esplicitamente richiesto dall'utente;

- cookie di terze parti, funzionali a:

PROTEZIONE SPAM

Google reCAPTCHA (Google Inc.)

Google reCAPTCHA è un servizio di protezione dallo SPAM fornito da Google Inc. Questo tipo di servizio analizza il traffico di questa Applicazione, potenzialmente contenente Dati Personali degli Utenti, al fine di filtrarlo da parti di traffico, messaggi e contenuti riconosciuti come SPAM.

Dati Personali raccolti: Cookie e Dati di Utilizzo secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio.

Privacy Policy

VISUALIZZAZIONE DI CONTENUTI DA PIATTAFORME ESTERNE

Questo tipo di servizi permette di visualizzare contenuti ospitati su piattaforme esterne direttamente dalle pagine di questa Applicazione e di interagire con essi.

Nel caso in cui sia installato un servizio di questo tipo, è possibile che, anche nel caso gli Utenti non utilizzino il servizio, lo stesso raccolga dati di traffico relativi alle pagine in cui è installato.

Widget Google Maps (Google Inc.)

Google Maps è un servizio di visualizzazione di mappe gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine.

Dati Personali raccolti: Cookie e Dati di Utilizzo.

Privacy Policy

Google Fonts (Google Inc.)

Google Fonts è un servizio di visualizzazione di stili di carattere gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine.

Dati Personali raccolti: Dati di Utilizzo e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio.

Privacy Policy

Come disabilitare i cookies - Gli utenti hanno la possibilità di rimuovere i cookie in qualsiasi momento attraverso le impostazioni del browser.
I cookies memorizzati sul disco fisso del tuo dispositivo possono comunque essere cancellati ed è inoltre possibile disabilitare i cookies seguendo le indicazioni fornite dai principali browser, ai link seguenti:

Base giuridica del trattamento - Il presente sito internet tratta i dati in base al consenso. Con l'uso o la consultazione del presente sito internet l’interessato acconsente implicitamente alla possibilità di memorizzare solo i cookie strettamente necessari (di seguito “cookie tecnici”) per il funzionamento di questo sito.

Dati personali raccolti e natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati e conseguenze di un eventuale rifiuto - Come tutti i siti web anche il presente sito fa uso di log file, nei quali vengono conservate informazioni raccolte in maniera automatizzata durante le visite degli utenti. Le informazioni raccolte potrebbero essere le seguenti:

  • - indirizzo internet protocollo (IP);
  • - tipo di browser e parametri del dispositivo usato per connettersi al sito;
  • - nome dell'internet service provider (ISP);
  • - data e orario di visita;
  • - pagina web di provenienza del visitatore (referral) e di uscita;

Le suddette informazioni sono trattate in forma automatizzata e raccolte al fine di verificare il corretto funzionamento del sito e per motivi di sicurezza.

Ai fini di sicurezza (filtri antispam, firewall, rilevazione virus), i dati registrati automaticamente possono eventualmente comprendere anche dati personali come l'indirizzo IP, che potrebbe essere utilizzato, conformemente alle leggi vigenti in materia, al fine di bloccare tentativi di danneggiamento al sito medesimo o di recare danno ad altri utenti, o comunque attività dannose o costituenti reato. Tali dati non sono mai utilizzati per l'identificazione o la profilazione dell'utente, ma solo a fini di tutela del sito e dei suoi utenti.

I sistemi informatici e le procedure software preposte al funzionamento di questo sito web acquisiscono, nel corso del loro normale esercizio, alcuni dati personali la cui trasmissione è implicita nell'uso dei protocolli di comunicazione di Internet. In questa categoria di dati rientrano gli indirizzi IP, gli indirizzi in notazione URI (Uniform Resource Identifier) delle risorse richieste, l'orario della richiesta, il metodo utilizzato nel sottoporre la richiesta al server, la dimensione del file ottenuto in risposta, il codice numerico indicante lo stato della risposta data dal server (buon fine, errore, ecc.) ed altri parametri relativi al sistema operativo dell'utente.

Tempi di conservazione dei Suoi dati - I dati personali raccolti durante la navigazione saranno conservati per il tempo necessario a svolgere le attività precisate e non oltre 24 mesi.

Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

Il TITOLARE

del trattamento dei dati personali

Società per lo studio del diritto della crisi

REV 02