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Saggio

I profili processuali della ristrutturazione dei debiti del consumatore*

Rinaldo d'Alonzo, Giudice nel Tribunale di Larino

20 Maggio 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il saggio disegna la struttura processuale della ristrutturazione dei debiti del consumatore, partendo dallo scrutinio delle regole di governo della competenza (analizzate anche in ragione dei possibili effetti di domande riconvenzionali e subordinate depositate in seno al medesimo procedimento, o iscritte autonomamente a ruolo), passando poi ad analizzare la disciplina del procedimento, in tutte le sue fasi, quale essa risulta dal difficile raccordo tra i canoni del c.d. procedimento unitario, e le specifiche norme dettate per la ristrutturazione, cimentandosi nel vaglio di compatibilità dei primi rispetto alle le seconde.
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1 . Premessa
Ogni qualvolta si affronta il tema delle regole processuali che governano i procedimenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, tranne che non abbiano natura stragiudiziale (com’è ad esempio per la composizione negoziata) viene sistematicamente evocato il “procedimento unitario”[1], comunemente inteso come armamentario processuale sotto la cui egida far ricadere la congerie delle domande giudiziali finalizzate alla risoluzione della crisi di impresa o dell’insolvenza. 
Il conio di questa icastica espressione non si deve alla dottrina, ma gemma in una un'ambiziosa dichiarazione di intenti contenuta nella relazione ministeriale di accompagnamento allo schema del codice, nel quale si legge, per l’appunto, che “è stato previsto un procedimento unitario di accertamento giudiziale della crisi e dell'insolvenza, che costituisce, in via generale, una sorta di contenitore processuale uniforme delle iniziative di carattere giudiziale fondate sulla prospettazione della crisi o dell'insolvenza fatte salve le disposizioni speciali riguardanti l'una o l'altra di tali situazioni”.
E questo in quanto l’art. 2, comma 1, della legge n. 155/2017 che alla lett. d) imponeva, tra l’altro, di adottare un “unico modello processuale per l'accertamento dello stato di crisi o di insolvenza del debitore”, aggiungendo, alla lett. e), la previsione per cui il legislatore delegato avrebbe dovuto “assoggettare al procedimento di accertamento dello stato di crisi o di insolvenza ogni categoria di debitore”.
La prima traduzione normativa di questo anelito si trova declinata nell'articolo 7 CCII dove è previsto che tutte le domande di accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva e di procedure di insolvenza sono trattate in un unico procedimento, con riunione alla precedente delle domande sopravvenute; ed il correttivo di cui al D.Lgs. n. 83/2020 accentua questo tratto, poiché l'ultimo capoverso che è stato aggiunto al comma primo esplicita che il procedimento si svolge nelle forme di quegli articoli 40 e 41, e quindi nelle forme del procedimento unitario. 
Il proposito era encomiabile ma oggi forse è arrivato il momento di prendere atto del fatto che esso è rimasto solo un anelito o, meglio, lo è diventato soprattutto dopo il correttivo. 
Ciò in quanto il paniere degli istituti che in quel contenitore dovevano albergare si è dilatato rispetto all’impianto originario del codice, dacché nel codice della crisi sono stati innervati istituti nuovi, oppure che nuovi non erano ma che si è deciso di travasare al suo interno codice (si pensi alle procedure di composizione negoziata delle crisi). 
Così è accaduto, per esempio, con la previsione per cui anche l’accesso ad uno degli strumenti di composizione della crisi da sovraindebitamento si dipana percorrendo il sentiero processuale del procedimento unitario, previsione contenuta nell’art. 65, comma secondo, il quale dispone che alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento “Si applicano, per quanto non specificamente previsto dalle disposizioni della presente sezione, le disposizioni del titolo III, in quanto compatibili”. 
Questa disposizione costituisce, per l’interprete una testimonianza ed una dannazione. Una testimonianza perché plasticamente rimanda alle difficoltà che anche il legislatore ha incontrato nel dipanare una matassa così aggrovigliata; una dannazione perché obbliga, di volta in volta, ad un faticoso lavorio di verifica di compatibilità delle norme del procedimento così detto unitario a disciplinare il procedimento che si apre per effetto del deposito di una specifica domanda di composizione della crisi da sovraindebitamento. 
Ed allora, forse, i tempi sono maturi per accedere ad un cambio di prospettiva che, prendendo atto dalla considerazione per cui il lemma “porcedimento unitario”, non è più appagante (ammesso che lo sia mai stato) affronta il versante processuale dei singoli istituti del codice della crisi d’impresa, cercando di ricostruire, per ciascuno di essi, il procedimento (non più unitario) che li regola, rinunciando alla chimera di un unico paradigma. 
2 . La competenza per territorio
La ristrutturazione dei debiti del consumatore è disciplinata dagli artt. 67 ss. integrati, in quanto compatibili e se non è diversamente disposto, dalle disposizioni processuali del titolo terzo (artt. 26-55) che contengono le regole applicabili a tutti gli strumenti di regolazione della crisi.
La competenza a conoscere le domande di ristrutturazione dei debiti del consumatore[2]è attribuita al Tribunale nella cui circoscrizione si trova il centro degli interessi principali del debitore che, per la persona fisica non esercente attività d’impresa, si identifica con la residenza o il domicilio, e se questo non è in Italia, la competenza è del Tribunale di Roma. Irrilevante è il mutamento di residenza nell’ultimo anno ai sensi dell’art.28 CCII.
L’incompetenza del tribunale adito può essere eccepita dai creditori, in sede di osservazioni, o essere rilevata d’ufficio dal giudice, il quale la dichiara con ordinanza. La declaratoria di incompetenza non impone al ricorrente di riassumere il giudizio davanti al tribunale competente, poiché l’art. 29 prescrive che il fascicolo viene trasmesso al giudice indicato nell’ordinanza, il quale a sua volta se non richiede d’ufficio il regolamento di competenza, ai sensi dell’art.45 c.p.c., dispone la prosecuzione del procedimento, dandone comunicazione alle parti. Questo meccanismo, all’evidenza, si traduce nell’adozione di un decreto di comparizione delle parti davanti a sé, a meno che il giudice ad quem non ritenga di dichiarare hic et nunc l’inammissibilità della domanda per la ricorrenza di marchiane ed insormontabili condizioni ostative.
3 . Competenza per territorio e concorso di procedure
Il codice disciplina anche l’ipotesi di conflitto positivo di competenza (art. 30), prevedendo che quando un procedimento per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza sia stato incardinato davanti a più tribunali, esso prosegua avanti q quello, competente, che si è pronunciato per primo
Qui occorre prestare attenzione al dato per cui la competenza non è dettata dal criterio della pendenza del giudizio, ma da quello (diverso) della pronuncia del giudice[3], con la conseguenza che se ad esempio il giudice successivamente avrà per primo aperto la procedura o chiesto una integrazione documentale, la competenza per territorio si radicherà davanti a lui. 
In tema di sovraindebitamento la questione che oggi è concretamente prospettabile (dacché in taluni casi la domanda di regolazione della crisi del sovraindebitato può essere formulata anche dai creditori, ai quali ad esempio è riconosciuta la legittimazione a chiedere la liquidazione controllata, come pacificamente si ricava dalla lettura sia dell’art. 268 comma 3 che dall’art. 271 CCII) è quella per cui, ad esempio, dinanzi ad uffici giudiziari diversi siano presentate una domanda di liquidazione controllata ed una di ristrutturazione dei debiti del consumatore. Occorre allora domandarsi quale dei due tribunali sia competente a pronunciarsi. 
Taluna dottrina[4] ha ritenuto in proposito di regolare questo rapporto analogamente a quello che intercorre tra la domanda di fallimento e quella di ammissione al concordato preventivo, recuperando sul terreno del sovraindebitamento gli approdi cui è giunta la Corte di cassazione a proposito delle procedure maggiori, laddove, muovendo dal presupposto secondo cui «tra la domanda di concordato preventivo e l'istanza o la richiesta di fallimento ricorre, in quanto iniziative tra loro incompatibili e dirette a regolare la stessa situazione di crisi, un rapporto di continenza», si è affermato che «è onere del debitore che conosce della pendenza dell'istruttoria prefallimentare, anteriormente introdotta, proporre la domanda di concordato preventivo dinanzi al tribunale investito dell'istanza di fallimento, anche quando lo ritenga incompetente, affinché i due procedimenti confluiscano dinanzi al medesimo tribunale, e senza che una siffatta condotta determini acquiescenza ad una eventuale violazione dell'art. 9 L. fall.»[5]. Ne discenderebbe, allora, che il debitore convenuto in giudizio per l’apertura nei suoi confronti della liquidazione controllata, ove intenzionato a domandare la ristrutturazione dei debiti, dovrebbe spiegare la relativa domanda innanzi al tribunale già adito, ancorché convinto della incompetenza del primo giudice.
Questa tesi non sembra tuttavia predicabile poiché distonica rispetto alla regula iuris indicata dall’art. 30 CCII. La norma infatti risolve il conflitto assegnando la capacità cognitoria “al tribunale competente che si è pronunciato per primo”. In questo modo il procedimento unitario sarà trattato da quello, tra i tribunali aditi, che: a) sia competente; b) si sia pronunciato per primo. Il precipitato processuale di questa regola sarà dunque che il tribunale che debba pronunciarsi dopo che lo abbia già fatto altro ufficio, non potrà limitarsi a prendere atto della precedente pronuncia intervenuta, dovendo altresì scrutinare la sua competenza secondo la regola generale della residenza del debitore (e, di riflesso, l’incompetenza dell’altro tribunale[6]), declinandola solo se rileva la propria incompetenza per territorio.
4 . Domande riconvenzionali, domande subordinate, giudice monocratico, Tribunale collegiale
Accanto al caso della pluralità di domande iscritte a ruolo presso tribunali diversi, si pone il tema del coordinamento di eterogene istanze di regolazione della crisi e dell’insolvenza depositate presso il medesimo ufficio giudiziario. Qui, l’innesto nel codice della crisi delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, ed il rinvio alle regole del procedimento unitario compiuto dall’art. 65 CCII, pone problemi di coordinamento ulteriori rispetto a quelli espressamente affrontati dal legislatore. 
Nel dipanare questa matassa viene in rilievo, in primis l’asciutta previsione di cui all’art. 270 il quale dispone che “Il tribunale, in assenza di domande di accesso alle procedure di cui al titolo IV e verificati i presupposti di cui agli articoli 268 e 269, dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione controllata”[7]. 
Il successivo art. 271, dal contenuto un pochino meno avaro, aggiunge che “Se la domanda di liquidazione controllata è proposta dai creditori o dal pubblico ministero e il debitore chiede l’accesso a una procedura di cui al capo II del titolo IV, il giudice concede un termine per l’integrazione della domanda”[8], specificando al secondo comma che, nelle more, non può essere dichiarata l’apertura della liquidazione controllata. 
È evidente che in queste norme riecheggino i principi generali che regolano il procedimento unitario. In primis quello scandito dall’art. 7 (che richiama anche la liquidazione controllata) in punto di trattazione unitaria delle plurime domande e di prioritaria trattazione di quelle non liquidatorie[9]; in secondo luogo quelli di cui all’art. 40, commi 9 e 10[10], e 49, commi primo e secondo, anch’essi declinazione della regola aurea dell’art. 7. 
Esistono tuttavia delle differenze. Invero, nelle procedure maggiori, ove penda una domanda non liquidatoria, la richiesta di apertura della liquidazione giudiziale può essere proposta fino al momento della remissione della causa al collegio per la decisione, e se è proposta separatamente la domanda successiva è riunita alla prima (conformemente a quanto prevede l’art. 7 comma primo, secondo capoverso). Di contro, ove penda giudizio per l’apertura della liquidazione giudiziale, la domanda di accesso ad un diverso strumento di regolazione della crisi deve essere depositata, a pena di decadenza, entro la prima udienza. 
Come si vede, il procedimento unitario conosce degli sbarramenti processuali che negli art. 270 e 271 hanno una diversa articolazione. Invero, dall’art. 271 si ricava che, proposta domanda di liquidazione controllata, una domanda di ristrutturazione dei debiti (o di concordato minore) potrà essere proposta in ogni momento, fino a quando non sia stata pronunciata la sentenza di apertura di liquidazione[11]. Allo stesso modo proposta una domanda di ristrutturazione dei debiti del consumatore, non paiono individuarsi preclusioni processuali al deposito di un ricorso per l’apertura della liquidazione controllata[12]. In questo caso, in forza dell’art. 271 comma secondo, la domanda di liquidazione sarà dichiarata improcedibile[13] ove sia aperta la procedura di ristrutturazione dei debiti o il concordato minore. 
Tuttavia, poiché procedure maggiori e procedure minori sono insiemi che possono conoscere delle intersezioni, è necessario comprendere come queste vanno regolate. 
Quali regole processuali governano, ad esempio, una domanda di ristrutturazione dei debiti del consumatore depositata in seno ad un procedimento di apertura della liquidazione giudiziale? A mio avviso questa dinamica soggiace alla disciplina dell’art. 40 comma 10, e quindi tale domanda potrà essere depositata entro la prima udienza, posto che l’abbrivio di un procedimento di apertura della liquidazione giudiziale produce una vis attractiva dell’intera relativa disciplina, e dunque anche dell’art. 40, mettendo fuori gioco gli apparati processuali che operano quando è depositata (ex novo) duna domanda di accesso ad una procedura minore. 
V’è da chiedersi se, simmetricamente, ove il debitore introducesse una domanda di liquidazione controllata, la riconvenzionale con cui il creditore dovesse chiedere l’apertura della liquidazione giudiziale debba incastonarsi nella cornice processuale di cui agli artt. 268 e ss. CCII, con la conseguenza per cui l’applicazione delle regole di governo del procedimento unitario (titolo terzo), verrebbero in rilievo solo in quanto compatibili, secondo quanto previsto dall’art. 65. Ciò in applicazione di una sorta di regola generale per cui, nel concorso tra procedure maggiori e procedure minori, le regole del gioco sarebbero dettate dalla domanda presentata per prima, poiché quella determina la individuazione del “rito” applicabile, nonché l’attrazione a sé della domanda successivamente proposta in via autonoma, come previsto dall’art. 7 CCII. In realtà probabilmente verrà qui in rilievo l’ultimo capoverso del primo comma di questa norma, il quale prevede che “Il procedimento si svolge nelle forme di cui agli articoli 40 e 41”. 
Sennonché questo criterio di raccordo non è idoneo a sciogliere tutti i nodi, dacché un ulteriore elemento di difficoltà è rappresentato dalla variabile composizione del tribunale, monocratica o collegiale, a seconda della domanda depositata. 
La casistica s’immagina senza troppa fantasia. Presentata una domanda di ristrutturazione dei debiti del consumatore, il creditore chiede, se si vuole in via riconvenzionale, l’apertura della liquidazione controllata; parimenti, potrebbe essere lo stesso debitore a chiedere in via principale la ristrutturazione dei debiti, e solo in via subordinata l’apertura della liquidazione controllata. 
Secondo taluna dottrina il caso di specie andrà regolato disponendosi la riunione dei procedimenti e la trattazione preliminare di quello avente ad oggetto la domanda non liquidatoria dinanzi al giudice monocratico. Si osserva inoltre che, trattandosi di cause in rapporto di "continenza" per "specularità" ex art. 39, comma 2, c.p.c., in applicazione dell'art. 273 c.p.c., se pendono dinanzi a giudici diversi il giudice successivamente adito dichiarerà con ordinanza la continenza fissando un termine perentorio per la riassunzione[14]. 
Questa tesi, per quanto aderente alla lettera dell’art. 7, dacché determina la riunione della domanda successiva a quella precedente, predicando la prioritaria trattazione della domanda non liquidatoria, presta il fianco ad un rilievo critico di fondo, rappresentato dal fatto che, così argomentando, la riunione si risolverebbe in una fictio, in quanto vi sarebbero due domande (in rapporto di continenza o comunque connesse) decise da giudici diversi in seno al medesimo fascicolo. Ed allora, anche per una elementare esigenza di ottimizzazione delle energie processuali, riterrei preferibile regolare questa interferenza applicando la regola di cui all’art. 281 novies c.p.c.[15], secondo cui la connessione tra cause che debbono essere decise dal tribunale in composizione collegiale e cause che debbono essere decise dal tribunale in composizione monocratica, determina che sia il collegio a pronunciarsi su tutte le domande[16]. 
Ma allora, l’innesto di questa norma del codice di rito implica anche l’applicazione del secondo comma della disposizione, (comma aggiunto dall'art. 3, comma 20, lett. c), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), il quale prevede che “alle cause riunite si applica il rito previsto per la causa in cui il tribunale giudica in composizione collegiale e restano ferme le decadenze e le preclusioni già maturate in ciascun procedimento prima della riunione”, così ottenendosi un risultato conforme alla regola di cui all’art. 7, il quale dispone che in caso di riunione il procedimento si svolge secondo le regole di cui agli artt. 40 e 41. 
La conseguenza, come si vede, è derimente, atteso che la domanda proposta per prima indica sì il rito applicabile, ma solo se entrambe le domande sono devolute alla competenza del giudice collegiale, poiché nel caso contrario sarà il rito previsto per la domanda in cui il tribunale giudica in composizione collegiale a disciplinare anche il divenire dell’altra domanda, anche ove depositata per prima.
5 . La difesa tecnica e l’assistenza dell’OCC
A norma dell’art. 68, la domanda deve essere presentata per il tramite di un OCC costituito nel circondario del tribunale competente. Solo se nel circondario del tribunale competente non vi sia un OCC, i compiti e le funzioni allo stesso attribuiti sono svolti da un professionista o da una società tra professionisti in possesso dei requisiti di cui all’art. 358 CCII nominati dal presidente del tribunale competente o da un giudice da lui delegato, individuati, ove possibile, tra gli iscritti all’albo dei gestori della crisi. 
La norma, dettata al fine di assicurare la piena funzionalità dell’istituto anche nei casi in cui nel circondario del tribunale competente non sia stato costituito alcun organismo, non può ritenersi introduttiva di una condizione di ammissibilità della domanda, sotto un duplice aspetto. 
Il primo attiene all’eventualità in cui l’OCC incaricato sia costituito in un circondario diverso. Tale violazione, in assenza di una norma ad hoc, non può determinare la necrosi della procedura attraverso la sanzione processuale della inammissibilità della domanda. 
Il secondo attiene al deposito della domanda. 
A questo proposito il codice, intervenendo su una questione molto dibattuta nel sistema della L. n. 3/2012, ha espressamente previsto che non sia necessaria l’assistenza di un difensore. Il ricorso, preparato con l’assistenza dell’OCC[17] è, dunque, direttamente sottoscritto dalla parte e depositato a cura dall’OCC che, contestualmente, depositerà altresì la relazione di cui all’art. 68 comma 2[18] lett. a). 
Tale previsione, tuttavia, non implica il precipitato per cui la domanda depositata dal legale piuttosto che dal gestore sconti una declaratoria di inammissibilità[19]. Invero, per quanto una interpretazione letterale del combinato disposto dell’art. 67 (che parla di un debitore che formula proposta di ristrutturazione “con l’ausilio” dell’OCC) e dell’art. 68 (il quale a proposito del deposito della domanda prescrive che essa sia “presentata al giudice tramite un OCC”) sembri prescrivere un deposito a mani dell’OCC, la norma va intesa come riconoscitiva della facoltà per il debitore di agire motu proprio, richiedendo a sua tutela l’assistenza dell’OCC, al quale certamente potrà aggiungersi la figura dell’avvocato, senza che ciò implichi conseguenze pregiudizievoli[20], che sarebbero antitetiche rispetto al favor deibitoris che ha ispirato la penna del legislatore. 
La questione più delicata riguarda, piuttosto, l’ipotesi in cui il solo OCC presente nel circondario del Tribunale e, quindi, il solo al quale il debitore possa rivolgersi, ritenga di segnalare nella sua relazione elementi negativi idonei a respingere la domanda (soprattutto in relazione alla completezza ed attendibilità della documentazione prodotta o in ordine al valore dei beni su cui viene esercitata la prelazione al fine di determinare il valore minimo di soddisfacimento dei crediti stessi, art. 67, comma 4) venendosi così a trovare in posizione conflittuale rispetto al debitore. In tale evenienza deve giocoforza riconoscersi al debitore la facoltà di contrastare le conclusioni negative cui è giunto l’Organismo. Si tratta soltanto qui di stabilire se il debitore possa sottoscrivere in proprio il ricorso “in dissenso” ovvero se debba necessariamente farsi assistere da un legale per far valere le sue ragioni. La regola della dispensa dall’onere della difesa tecnica affermata dall’art. 68, comma 1, CCII sembra imporre la soluzione meno rigida.
6 . Esame preliminare della proposta, pubblicità e comunicazioni
A seguito del deposito della domanda, il giudice esegue un controllo di ammissibilità della stessa verificando la propria competenza, i requisiti soggettivi del richiedente e le condizioni oggettive di accesso alla procedura[21]. A tal fine, in applicazione dell’art. 47, comma quarto, CCII sul procedimento unitario, qualora rilevi una qualche forma di incompletezza (ma non così grave da renderla totalmente inemendabile), può concedere un termine perentorio, non superiore a quindici giorni, per l’integrazione della proposta e per la presentazione di nuovi documenti. 
Non è previsto che, in applicazione dell’art. 47 comma 1, il giudice possa nominare un commissario giudiziale. Più precisamente va escluso che possa essere nominato un soggetto diverso dall’OCC, atteso che l’art. 65 ultimo comma, prevede che i compiti del commissario giudiziale o del liquidatore siano svolti dall’OCC. 
Se il vaglio di ammissibilità sortisce esito positivo il giudice dispone, ai sensi dell’art. 70 CCII, la pubblicazione del piano e della proposta nell’apposita area del sito del tribunale o del Ministero della Giustizia prevista dall’art. 359 CCII, nonché la loro comunicazione ai creditori, a cura dell’OCC[22]. 
In dottrina a questo proposito è stato osservato che, sebbene non sia indicato espressamente, appare necessario che venga depositata anche la relazione dell’OCC e tutti gli altri documenti prodotti dal debitore; ciò al fine di offrire ai creditori un corredo informativo quanto più possibile completo, onde consentire loro di poter consapevolmente interloquire con il giudice[23]. La tesi tuttavia non mi sembra condivisibile nella misura in cui il medesimo risultato può essere raggiunto, senza porre il problema di tutelare la riservatezza di terzi, comunicando ai creditori non solo l’avvenuta pubblicazione del piano e della proposta (come prescrive l’art. 70, comma 1) ma anche la relazione e tutti gli altri documenti. In tal caso non vi saranno problemi di privacy, atteso che, secondo la giurisprudenza "in tema di protezione dei dati personali, non costituisce violazione della relativa disciplina il loro utilizzo mediante lo svolgimento di attività processuale giacché detta disciplina non trova applicazione in via generale, ai sensi degli artt. 7, 24 e 46-47 del D.Lgs. n. 193 del 2003"[24]. Del resto, ove si ragionasse diversamente, ogni creditore avrebbe l’onere di attivarsi (con il ministero di un difensore) per chiedere la visibilità del fascicolo ed assumere, all’esito, le determinazioni del caso. 
Neppure condivisibile mi parrebbe l’idea di oscurare i dati riferibili a terzi, poiché questi potrebbero essere decisivi ai fini della sostenibilità del piano. Se per esempio questo dovesse ruotare intorno ad un contratto di locazione i cui canoni vengono immaginati a disposizione dei creditori, la conoscenza del conduttore diviene decisiva per i creditori, poiché essa è funzionale a sondarne la solvibilità e dunque, di rimando, la fattibilità della ristrutturazione. 
Peraltro, l’esigenza che siano coinvolti tutti gli interessati, impone che l’OCC a trasmetta la documentazione non solo ai creditori indicati nel piano, ma anche a quelli omessi, di cui abbia tuttavia contezza. 
Pur nel silenzio della norma, ritengo che il decreto vada comunicato al Pubblico Ministero ed ai creditori che hanno eventualmente chiesto l’apertura della liquidazione controllata, ciò in ossequio alla previsione di cui all’art. 45, comma primo. L’innesto di questo adempimento processuale deriva dal fatto che l’uno e gli altri sono interlocutori del richiedente (e dunque anche del giudice). In particolare, al PM è riconosciuta la legittimazione a chiedere l’apertura della liquidazione controllata, in caso di frode, a norma dell’art. 70 comma, commi 10 ed 11, CCII; ai secondi, la comunicazione è dovuta atteso che, per effetto della riunione dei procedimenti (ex art. 7 CCII) gli stessi sono divenuti parti del procedimento risultante dalla riunione. 
L’art. 70, comma secondo, prescrive che ci creditori, ricevuta la comunicazione, debbano comunicare all’OCC un indirizzo PEC[25]; in difetto, la norma prevede che le comunicazioni ad essi destinate siano eseguite mediante deposito in cancellaria. 
La norma contiene una evidente imprecisione, poiché non tiene conto della regola generale di cui all’art. 10, comma primo, CCII, a mente della quale Le comunicazioni poste a carico degli organi di gestione, controllo o assistenza delle procedure disciplinate dal presente codice sono effettuate con modalità telematiche al domicilio digitale risultante dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, quando i destinatari hanno l’obbligo di munirsene”[26], con la conseguenza che solo nel caso in cui i medesimi soggetti che hanno l’obbligo di munirsi di un domicilio digitale, non abbiano provveduto ad istituirlo ovvero a comunicarlo all’INI-PEC, tutte le comunicazioni da parte degli organi della procedura concorsuale, ai sensi dell’art. 10, comma 3, CCII, saranno eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria dell’atto da comunicare. Uguale sanzione trova applicazione nel caso in cui il sistema informatico abbia restituito la ricevuta di mancata consegna del messaggio elettronico “per cause imputabili al destinatario”[27]. 
Inoltre, un’applicazione ortodossa dell’art. 10, e dunque del secondo comma della disposizione, vorrebbe che l’OCC dovrebbe comunicare un domicilio digitale da utilizzare per la procedura a tutti i creditori ed ai titolari di diritti sui beni che non hanno l’obbligo di munirsene, nonché ai soggetti residenti o vanti sede all’estero, con oneri a carico della procedura[28]. 
Poiché la norma non indica un termine ultimo entro cui la comunicazione dell’indirizzo PEC debba essere inviata, è da ritenersi che essa possa intervenire in qualunque momento, a decorrere dal quale l’OCC eseguirà le comunicazioni all’indirizzo ricevuto, cessando la comunicazione in cancelleria[29].
7 . Misure protettive e cautelari
Anche nel macrocosmo del sovraindebitamento il codice della crisi, come aveva già fatto la legge n. 2/2012, prevede la possibilità che possano essere adottate misure protettive e cautelari[30]. 
Alle misure cautelari e protettive nella ristrutturazione dei debiti del consumatore il codice dedica l’art. 70, comma 4. La norma prevede che, su istanza del debitore, con il decreto di apertura della procedura il giudice può: a) sospendere i procedimenti di esecuzione forzata che potrebbero pregiudicare la fattibilità del piano; b) disporre il divieto di azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del consumatore; c) adottare “le altre misure idonee a conservare l’integrità del patrimonio fino alla conclusione del procedimento” d) subordinare il compimento di atti di straordinaria amministrazione alla previa autorizzazione del giudice. 
Nell’analizzare questa norma occorre a mio avviso premettere una considerazione di sistema che tenga conto delle manovre distorsive cui l’armamentario apprestato dal legislatore si presta, evidente essendo che il sospetto che un procedimento di ristrutturazione dei debiti del consumatore sia imbastito al solo fine di arginare la procedura esecutiva cresce in modo più che proporzionale al divenire della procedura medesima nel tempo, sicché forse avrebbero potuto individuarsi argini che già sono presenti nel tessuto codicistico, e che hanno la precipua funzione di evitare strumentalizzazioni e proteggere il mercato dei potenziali acquirenti, a tutto vantaggio della "serietà" delle vendite giudiziarie[31]. 
Si pensi, a mo' di esempio, al consumatore che, solo dopo aver ricevuto la notifica del titolo esecutivo, dell'atto di precetto e del pignoramento, solo dopo aver assistito al fluire della procedura esecutiva con la nomina di un custode e di un esperto stimatore, con la fissazione dell'udienza di cui all’art. 569 c.p.c. (e cioè dell'udienza in cui il giudice dispone la vendita del compendio pignorato delegando le relative operazioni a norma dell'art. 591 bis c.p.c.) e con la pronuncia dell'ordinanza di vendita, solo dopo aver ricevuto dal custode il preavviso con il quale gli si comunica che sarà attuato l’ordine di liberazione pronunciato dal giudice a norma dell’art. 560 c.p.c., solo allora si attivi depositando una domanda di ristrutturazione chiedendo la sospensione della procedura esecutiva, in cui per avventura potrebbe essere già stato pubblicato l'avviso di vendita e depositate offerte di acquisto. 
Il ruolo del giudice, quindi, appare più che mai decisivo. 
Il ventaglio di opzioni indicato dall’art. 70, comma 4, CCII, presenta plurimi coni d’ombra. 
Intanto, va chiarito che qui ci troviamo al cospetto di un regime di improseguibilità parzialmente diverso da quello previsto dall’art. 12 bis, comma 2, L. n. 3/2012, il quale prevedeva che il giudice potesse discrezionalmente sospendere le sole procedure esecutive idonee a pregiudicare la fattibilità del piano, individuandole analiticamente nel decreto di apertura. Ciò sulla base di una valutazione prognostica avete un duplice oggetto: da un lato quello della fattibilità del piano (che, ove mancante impedisce, a ben vedere, la possibilità che sia financo pronunciato un decreto di apertura); dall’altro, quello del periculum, inteso come pericolo di pregiudizio per realizzabilità della proposta, tale per cui potevano sospendersi tutte (e solo) quelle procedure che, se non interrotte, avrebbero potuto impedire la concreta eseguibilità della soluzione prospettata dal consumatore[32]. Inoltre, nella legge sul sovraindebitamento l’effetto sospensivo era inidoneo ad interferire sia con i procedimenti esecutivi non ancora intrapresi, sia con quelli per sequestro conservativo. 
Nel CCII, pur essendosi mantenuta ferma la previsione per cui è il giudice che individua le procedure che potrebbero ostacolare la composizione della crisi: a) è venuta meno la limitazione alle sole procedure pendenti, poiché la più ampia formula dell’art. 70 comma 4 consente che il giudice possa disporre che sia inibito anche l’inizio di nuove esecuzioni o azioni cautelari; b) a differenza di quanto previsto dalla legge n. 3/2012, dove la sospensione delle procedure poteva essere disposta dal giudice motu proprio (anche se, nella prassi, il debitore ne faceva sistematica richiesta) il codice della crisi richiede una apposita istanza del debitore. La norma circoscrive il divieto alle azioni esecutive che abbiano ad oggetto il “patrimonio del debitore”, senza ricomprendervi anche, come accade nell’art. 54 CCII (a proposito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione soggetti ad omologazione) e nell’art. 18 CCII (con riferimento alla composizione negoziata) i beni con i quali l’imprenditore esercita l’attività d’impresa[33]. 
Questo ha delle potenziali ricadute operative poiché, ad esempio, se il debitore che ha subito la revocatoria del suo acquisto ad opera del creditore dell’alienante accede alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, potrà chiedere ed ottenere dal giudice della ristrutturazione la sospensione della procedura esecutiva promossa ex art. 602 c.p.c. dal creditore che ha agito in revocatoria, poiché la revocatoria non determina la retrocessione del bene all’alienante, con l’ulteriore conseguenza che quel creditore andrà considerato alla stregua di un creditore concorsuale. Di contro, se ad accedere alla procedura di ristrutturazione dei debiti è l’alienante, l’azione esecutiva promossa (ai danni dell’acquirente) dal suo creditore che abbia ottenuto la revocatoria dell’atto di alienazione non potrà essere sospesa dal giudice della procedura di sovraindebitamento attivata dall’alienante, poiché quel bene non è più nel suo patrimonio. 
La norma prevede, inoltre, che il giudice possa adottare “le altre misure idonee a conservare l’integrità del patrimonio fino alla conclusione del procedimento”[34]. Esse, tuttavia, non potranno interferire con procedure esecutive che, appunto, non abbiano ad oggetto beni appartenenti al patrimonio del debitore. Così, ad esempio questa norma non potrebbe consentire al giudice di disporre la sospensione dell’attuazione dell’ordine di liberazione pronunciato ex art. 560 c.p.c. in una procedura esecutiva non azionata contro il debitore sovraindebitato il quale in ipotesi occupi l’immobile pignorato in danno del debitore senza titolo opponibile, proprio in ragione del fatto che quel cespite non fa parte del suo “patrimonio”[35]. 
Va notato, inoltre, che qui a differenza di quanto prevedeva l’art. 51 L. fall. e di quanto prevede oggi l’art. 150 CCII, il divieto non fa salve le diverse disposizioni di legge, di talché la misura protettiva opera anche rispetto all’esecuzione intrapresa dal creditore fondiario. 
Detto questo, si pone il problema di stabilire se possano fare ingresso nella ristrutturazione dei debiti del consumatore, le altre misure protettive previste in seno al procedimento unitario. 
All’interrogativo va data risposta negativa. Invero, l’art. 65 nel prevedere che “Si applicano, per quanto non specificamente previsto dalle disposizioni della presente sezione, le disposizioni del titolo III, in quanto compatibili”, rende inapplicabili le misure protettive indicate dalle norme sul procedimento unitario alla ristrutturazione dei debiti del consumatore, atteso che qui le misure protettive sono destinatarie di una specifica disciplina, e quindi manca quel vuoto cui il citato art. 65 subordina la supplenza delle regole del procedimento unitario. 
Così, ad esempio, va escluso che il consumatore sovraindebitato possa ottenere misure protettive in un momento antecedente all’apertura della procedura, in vista della presentazione della domanda, così come previsto dall’art. 46, comma 5, o dall’art. 54, comma quarto, CCII. 
Allo stesso modo, sul versante processuale, l’adozione delle misure protettive non richiede il radicamento del contraddittorio con le parti interessate, poiché la speciale disciplina dell’articolo 70, comma 4, esclude, impedendolo l’art. 65, l’osservanza dei passaggi procedimentale scanditi dagli artt. 54 e 55, anche con riferimento alla durata della misura, coincidente con la durata del procedimento medesimo[36]. 
Chiarito quale sia il perimetro delle misure protettive adottabili, occorre scrutinare quali sono i risvolti processuali della improseguibilità dell’esecuzione individuale dichiarata dal giudice del sovraindebitamento. 
Si tratta di un tema che normalmente affanna il giudice dell’esecuzione ma che a bene vedere deve interessare in primo luogo (direi soprattutto) il giudice della procedura concorsuale. 
È opinione condivisa (e non v’è ragione per ripudiarla nell’era del CCII) quella per cui se il giudice del sovraindebitamento ha aperto la procedura e disposto l’improseguibilità delle esecuzioni (specificando, in caso di ristrutturazione dei debiti del consumatore, quali sono le procedure interessate dalla misura protettiva) il giudice dell’esecuzione provvede ai sensi dell’art. 623 c.p.c.[37]. Dunque, adottato il decreto dichiarativo della (temporanea) improseguibilità, la parte che vi avrà interesse depositerà nel fascicolo dell’esecuzione una istanza con la quale chiederà la sospensione della procedura esecutiva, a norma della disposizione del codice di rito appena citata, sulla base del decreto pronunciato dal giudice del sovraindebitamento. 
L’ordinanza di sospensione adottata dal giudice dell’esecuzione a norma art. 623 c.p.c. ha natura meramente ricognitiva. A proposito degli effetti della domanda di concordato preventivo la giurisprudenza ha infatti precisato che “La proposizione di una domanda di concordato preventivo determina, ai sensi dell’art. 168, comma 1, L. fall., non già l’estinzione ma l’improseguibilità del processo esecutivo, che entra in una situazione di quiescenza perché i beni che ne costituiscono l’oggetto materiale perdono ‘de iure’ provvisoriamente la destinazione liquidatoria così come progettata con il pignoramento, con la conseguenza che il giudice dell’esecuzione correttamente provvede, ex artt. 486 e 487 c.p.c., a sospendere la vendita eventualmente fissata”[38], sicché sembra potersi attribuire al provvedimento del giudice dell’esecuzione la funzione di una mera presa d’atto di un effetto sospensivo aliunde determinatosi. 
Chiaramente, non ogni valutazione gli è preclusa. Così, ad esempio, occorrerà che il giudice dell’esecuzione verifichi che la procedura esecutiva di cui si chiede la sospensione rientri oi meno tra quelle indicate dal giudice del sovraindebitamento, il che di contro impone a quest’ultimo di essere quanto più dettagliato possibile nel circoscrivere il perimetro del divieto, soprattutto rispetto alle procedure di cui è inibito l’inizio, le quali non possono essere identificate specificatamente attraverso il numero di iscrizione a ruolo. Rispetto ad esse, quanto maggiore è la precisione con cui il giudice del sovraindebitamento individuerà i confini del divieto (facendo in ipotesi riferimento al creditore cui è preclusa l’azione esecutiva piuttosto che ai beni insuscettibili di essere aggrediti), tanto minori saranno le contestazioni possibili in sede esecutiva. 
Se è poi vero che il regime processuale della sospensione coincide con quello di cui all’art. 626 c.p.c. (a mente del quale “quando il processo è sospeso, nessun atto esecutivo può essere compiuto, salvo diversa disposizione del giudice dell’esecuzione”), occorre necessariamente riconoscere che se il giudice dell’esecuzione non potrà adottare l’ordinanza di vendita di cui all’art. 569 c.p.c., il fatto per cui restano validi gli atti esecutivi già compiuti, e soprattutto permane il vincolo di indisponibilità impresso dal pignoramento a norma dell’art. 492 c.p.c., implica che non verrà meno la custodia del compendio pignorato, ancillare alla necessità di conservare il cespite a norma dell’art. 65 c.p.c., con l’ulteriore legittimazione del custode a percepire gli eventuali frutti, cui il pignoramento si estende a mente dell’art. 2912 c.c.. Conseguentemente, è da escludersi che la misura protettiva possa incidere sulla custodia del cespite (ad esempio disponendo che siano versati direttamente al debitore i frutti della cosa pignorata) poiché ciò assegnerebbe alla misura protettiva (che può declinarsi nella sola sospensione della procedura) effetti ulteriori rispetto a quelli indicati dal precetto normativo. Detto in altri termini, le misure protettive e cautelari non possono sostanziarsi nell’adozione di misure che vanificano il vincolo di indisponibilità impresso dal pignoramento e mortificano le esigenze di conservazione (e quindi di custodia) del cespite staggito. 
Per le stesse ragioni, va escluso che il giudice della procedura di ristrutturazione possa imporre l’arresto delle operazioni di attuazione dell’ordine di liberazione, a norma dell’art. 560 c.p.c., atteso che la liberazione dell’immobile è intimamente connessa alla custodia del compendio pignorato che, come detto, non viene meno. In casi simili, piuttosto, potrà chiedersi al giudice dell’esecuzione una valutazione del singolo caso di specie, a valle della quale egli potrà ritenere di sospendere la liberazione (tenuto conto del fatto che è sospeso il subprocedimento di vendita) quante volte detta sospensione non è impeditiva del buon esito del procedimento liquidatorio (anche in vista della sua eventuale ripresa), a meno che l’aggiudicatario non abbia già versato il saldo prezzo, nel qual caso occorrerà salvaguardare lo ius ad rem che questi consegue in vista del trasferimento della proprietà che si determina con la pronuncia del decreto di trasferimento[39].
8 . Il contraddittorio con i creditori e le proposte di modifica del piano
Il codice della crisi esclude che i creditori debbano esprimere il loro assenso rispetto al piano, atteso che il voto di costoro è sostituito da un vaglio di ammissibilità, fattibilità ed eventualmente di convenienza del quale il legislatore incarica il giudice. Ciò peraltro consente il superamento di un “prevedibile disinteresse dei creditori”, solitamente indifferenti al salvataggio del consumatore[40]. Ergo, saranno da considerarsi in sé neutri, non solo un voto favorevole, ma anche un voto contrario non argomentato, come tale insuscettibile di innervare un vaglio di convenienza ex art. 70, comma 10. 
È invece previsto un contraddittorio con i creditori e con “qualunque interessato” (ex art. 70, comma 9, CCII) che si dipana attraverso l’invio all’OCC di osservazioni nel termine di 20 giorni dalla comunicazione[41], precluse al solo creditore che abbia colpevolmente determinato o aggravato la situazione di sovraindebitamento o abbia erogato finanziamenti in violazione delle regole del c.d. merito creditizio (art. 69, comma 2), fermo restando che anche costui, sebbene non possa esprimersi sulla convenienza della proposta, potrà cionondimeno sollecitare l’esercizio dei poteri officiosi del giudice volti a rilevare l’esistenza di condizioni ostative all’ammissibilità della medesima sul versante oggettivo o soggettivo. 
Si può astrattamente discutere intorno alla possibilità che i creditori possano agire senza il ministero di un difensore (atteso che anche il debitore è dispensato dalla difesa tecnica), ma l’art. 9, comma secondo, CCII (il quale richiede obbligatoriamente il patrocinio del difensore, salvo che non sia previsto altrimenti) impone di escluderlo. È ben vero che una ricostruzione più elastica dell’ordito normativo consentirebbe di abdicare all’assistenza dell’avvocato quando non ci si trovi al cospetto di una contestazione vera e propria ma più semplicemente di una osservazione mera (che in ipotesi indichi un importo del credito diverso da quello riportato nel piano), ma si tratterebbe di un incedere scivoloso, poiché imporrebbe a monte una analisi caso per caso, chiamata a confrontarsi con imprevedibili situazioni di confine. 
Scaduto il termine dei 20 giorni, nei 10 successivi l’OCC sente il debitore e riferisce al giudice. Ciò processualmente avverrà mediante il deposito di una relazione che presenterà un contenuto necessario ed uno eventuale: quest’ultimo si incentrerà sullo svolgimento di deduzioni in replica o adesione alle osservazioni ed alle contestazioni pervenute; il contenuto necessario, invece, svolgerà una analisi sull’ammissibilità giuridica del piano (che, salvo elementi nuovi, dovrebbe confermare il giudizio contenuto nella relazione iniziale di accompagnamento alla domanda), sulla sua fattibilità economica, sulle modalità esecutive dello stesso. 
È da domandarsi se, in questa fase, possa trovare applicazione l’art. 48, comma terzo, c.p.c., a mente del quale il tribunale decide “assunti i mezzi di prova richiesti dalle parti o disposti d’ufficio nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 112 comma 4, per il concordato in continuità aziendale”. La risposta a mio avviso deve essere tendenzialmente positiva, con l’avvertenza che l’esercizio di poteri officiosi va contenuto nei limiti in cui sia funzionale a chiarire aspetti sono stati puntualmente sottoposti al giudice, non già per sopperire a carenze di informazioni o di documenti, e ciò in ossequio all’onere della parte di presentare una domanda capace sottoporre al giudice il patrimonio conoscitivo richiesto dagli artt. 68 e seguenti CCII. 
L’art. 70, comma sesto, CCII, nel prevedere che l’OCC in questo segmento processuale “propone le modifiche al piano che ritiene necessarie” è norma di difficile interpretazione. 
Intanto il concetto di modifiche necessarie è intrinsecamente anfibologico, poiché incompleto: manca infatti il complemento di scopo che indichi rispetto a cosa la modifica debba essere necessaria. Detto altrimenti, non è dato sapere se le modifiche da suggerire siano quelle strettamente ancillari alla omologabilità del piano o possano anche inerire al miglior soddisfacimento degli interessi in gioco, e dunque al miglior soddisfacimento dei creditori. 
Sotto un diverso punto di vista, occorre domandarsi se la proposta di modifica sia rivolta al debitore, il quale in thesi potrebbe anche non recepirla ed insistere affinché il piano venga omologato tal quale, o se invece il suo destinatario sia (anche) il giudice, cui sarebbe così riconosciuto un potere-dovere di aggiustamento di un piano altrimenti destinato al rigetto, posto che quelle che l’OCC presenta non sono proposte di modifica “opportune” ma “necessarie”. 
A mio avviso la soluzione ampia è da preferirsi, in relazione ad entrambi i profili, dovendosi immaginare una fase precedente l’omologa a geometria variabile, suscettibile di recepire quegli aggiustamenti utili alla migliore quadratura del cerchio, sicché ad esempio l’OCC (anche cogliendo indicazioni derivanti dai creditori o da terzi interessati) potrebbe indicare modifiche alla prefigurata esecuzione del piano (eventualmente condivisi dal giudice e recepiti nell’omologa) idonei a renderlo maggiormente performante, consentendo incrementi di realizzi o riducendo i tempi. Ciò anche in ragione dell’assenza di qualsivoglia disposizione che fornisca indicazioni circa le modalità di attuazione del piano, posto che il magro art. 71, comma 1, si limita a prevedere che di essa si occuperà il debitore stesso, sotto la vigilanza e collaborazione dell’OCC, mediante lo svolgimento di vendite (ove previste) da celebrarsi tramite “procedure competitive, anche avvalendosi di soggetti specializzati, sotto il controllo e con la collaborazione dell’OCC, sulla base di stime condivise con il predetto organismo, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati”. 
Chiaramente, queste modifiche non potranno comportare la variazione delle poste attive del piano, occorrendo a tal fine che il consumatore si determini in tal senso. Allo stesso modo, non potrà essere richiesto al giudice di adottare, ex officio (vale a dire in difetto di una iniziativa assunta il tal senso dal consumatore) modifiche ad un piano che omologabile non sia, al solo scopo di renderlo tale. 
9 . L’omologa del paino e le impugnazioni
La ristrutturazione dei debiti del consumatore è pronunciata con sentenza, che deve essere trascritta a cura dell’OCC (ed a spese del debitore cui evidentemente andrà richiesta la fornitura della relativa provvista, da versarsi su un conto corrente intestato alla procedura) sui beni che sono oggetto di eventuale liquidazione ed è comunicata ai creditori e pubblicata entro 48 ore con le medesime modalità del decreto di ammissione. 
La sentenza chiude il procedimento. 
A questo proposito, rispondendo ad un quesito posto dal Presidente della Corte di Appello di Torino, il Ministero della Giustizia, con nota del 7 febbraio 2023[42] afferma che per l’esecuzione del piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore e del concordato minore di cui agli artt. 71 e 81 CCII, nonché per l’esecuzione del programma di liquidazione controllata del sovraindebitato di cui all’art. 275 del medesimo codice, non è dovuto il pagamento di un ulteriore contributo unificato, avendo la parte già assolto l'onere fiscale al momento del deposito della domanda introduttiva della relativa procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione controllata. 
La condivisibile tesi espressa dal Ministero muove dal presupposto per cui nel momento in cui interviene l'omologa si apre una fase che ha la caratteristica di un'appendice programmata della prima, in quanto volta alla mera attuazione di quanto in essa stabilito, ed in cui ogni atto necessario dare esecuzione al piano omologato deve essere compiuto dal debitore, sotto il controllo e la vigilanza dell’OCC, il quale, collaborando altresì all'esecuzione del piano, provvederà - nella fase conclusiva della procedura - a redigere una relazione finale, sentito il debitore, che dovrà presentare al giudice. 
Orbene, prosegue Via Arenula, poiché ai sensi dell’art. 9, comma 1, d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, il contributo unificato di iscrizione a ruolo è dovuto “per ciascun grado di giudizio, nel processo civile, compresa la procedura concorsuale”, atteso che, per le ragioni appena indicate, “la fase che prende a avvio dopo la sentenza di omologazione non apre un nuovo procedimento ma rappresenta una fase attuativa di un'unica procedura che si instaura con il deposito della domanda di ristrutturazione dei debiti del consumatore o di concordato minore, per le quali il debitore sovraindebitato ha già assolto il pagamento del contributo unificato, deve ritenersi che tale fase esecutiva non sia soggetta ad un nuovo pagamento”. 
Il provvedimento di omologa è impugnabile ai sensi dell’art. 51 CCII. Dunque, contro la sentenza del giudice è esperibile il ricorso in appello nel termine di 30 giorni, ed avverso la sentenza della Corte di appello può essere proposto ricorso per cassazione (sempre nel termine di 30 giorni). 
Legittimati a proporre il reclamo sono, secondo le ordinarie regole dell’interesse al rimedio, i creditori che si sono opposti all’omologa e le cui contestazioni non sono state accolte e non qualsiasi creditore che abbia presentato osservazioni[43], a meno che costui non possa allegare di aver ricevuto dalla omologa un pregiudizio differenziato e qualificato[44]. Il reclamo non sospende l’efficacia della sentenza di omologazione (art. 51, comma 4, CCII), ma è previsto (art. 52, comma primo) che la Corte di appello può, su richiesta di parte, disponendo le opportune cautele, sospendere l’esecuzione del piano. 
E da domandarsi se nel procedimento di appello possa applicarsi l’art. 53, comma 5 bis, il quale si prevede, in attuazione dell’articolo 16, paragrafo 4, della direttiva insolvency, che in caso di accoglimento del reclamo proposto avverso la sentenza di omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale, la Corte di appello, su richiesta delle parti, può confermare la sentenza di omologazione se l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante[45]. La risposta mi pare debba essere negativa, in ragione della specialità della disposizione.
10 . L’inammissibilità della domanda e l’impugnazione del relativo decreto
Nel coacervo di questioni processuali che vanno affrontate nella tessitura del raccordo tra le regole del procedimento unitario e quelle specificamente scritte per la ristrutturazione dei debiti del consumatore si segnala, in ragione dei plurimi interventi giurisprudenziali che l’anno attenzionata, quella relativa al regime impugnatorio del decreto di inammissibilità della domanda. 
Il dato normativo di partenza è rappresentato dall’ultimo comma dell’art. 70, a mente del quale “contro il decreto di cui al comma 10, [il quale a sua volta prevede che “in caso di diniego dell’omologazione, il giudice provvede con decreto motivato e dichiara l'inefficacia delle misure protettive accordate] è ammesso reclamo ai sensi dell’articolo 50”.
Da questo costrutto normativo taluna giurisprudenza ha tratto la regola per cui la competenza della Corte di appello è limitata alla impugnazione del decreto con cui, dopo aver aperto la procedura, il giudice di primo grado nega l’omologazione. Di contro, la Corte di appello non potrebbe essere adita per reclamare il decreto di cui all’art. 70, comma primo, e cioè il decreto con il quale il giudice compie un vaglio preliminare di ammissibilità della proposta, risolto positivamente il quale apre la procedura al contraddittorio con i creditori, a valle del quale sarà pronunciato un decreto di dinego di omologa oppure la sentenza di apertura della ristrutturazione. Ergo, il decreto di inammissibilità pronunciato in esergo dal giudice, ammetterebbe il solo reclamo al tribunale, in composizione collegiale, in applicazione delle regole generali sul rito camerale, ai sensi degli artt. 737, 738 e 739 c.p.c.
In questo senso si sono espressi Trib. Barcellona Pozzo di Gotto, 5 gennaio 2024, Corte di Appello di Ancona, 10 ottobre 2023, Trib. Bologna, 27 febbraio 2023.
In senso favorevole alla competenza della Corte di appello si è invece espresso il Tribunale Ferrara, con provvedimento del 2 marzo 2023, il quale ha osservato che, pur non esistendo una specifica norma che ne preveda la reclamabilità, il Giudice chiamato, in sede di apertura della procedura, a verificare l’ammissibilità della proposta, ex art. 70 comma primo, compie una verifica che non è dissimile a quella che svolge alla fine del procedimento per concedere o negare l’omologazione. Aggiunge, ancora, che una competenza del tribunale va negata anche in ragione del fatto che, mancando una specifica disposizione che, nella ristrutturazione dei debiti del consumatore, consenta la reclamabilità del decreto di inammissibilità, devono trovare applicazione le regole del procedimento unitario, le quali prevedono sempre la competenza della Corte di appello.
Rileva infine il tribunale estense che sottoporre il decreto di inammissibilità della domanda al reclamo al tribunale piuttosto che alla Corte di appello sarebbe incongruo, posto che in questo caso il decreto di inammissibilità e quello di negazione dell’omologa, pur potendo avere un contenuto del tutto sovrapponibile, sconterebbero un regime di impugnazione differenziato a seconda del momento in cui lo scrutinio di ammissibilità interviene.
11 . Profili processuali del sovraindebitamento familiare
Il Codice della crisi dedica una specifica disposizione, l’art. 66, alle “procedure familiari”, prevedendo che “i membri della stessa famiglia possono presentare un unico progetto di risoluzione della crisi da sovraindebitamento quando sono conviventi o quando il sovraindebitamento ha un’origine comune”. 
Essa, per la prima volta, disciplina una possibile regolazione "di gruppo" delle procedure di sovraindebitamento che interessano più membri della stessa famiglia[46], codificando espressamente la possibilità di predisporre un unico progetto di risoluzione della crisi, al quale possono accedere l’imprenditore c.d. sottosoglia, il consumatore e l’imprenditore agricolo.L'ambito soggettivo di applicazione è pertanto eterogeneo, e può dirsi precluso al solo imprenditore commerciale soprasoglia[47] o che sia assoggettabile ad altre procedure liquidatorie previste nel codice civile o in leggi speciali[48]. Ove costui sia coinvolto in una procedura “maggiore”, gli altri membri della famiglia potranno certamente accedere alla procedura familiare, ponendosi solo, sul piano pratico, questioni di raccordo quando per esempio vi siano beni cointestati, o eventuali obbligazioni solidali, che se soddisfatte in una procedura non potranno essere pagate nell’altra. Ciò peraltro suggerisce l’adozione di soluzioni organizzative che, ad esempio, vedano coinvolti (ove possibile) i medesimi professionisti. 
Il tenore letterale dell’art. 66 è inequivoco nello stabilire che il procedimento congiuntamente attivato dai membri della stessa famiglia è unico. Unica sarà dunque la domanda, unica l’iscrizione a ruolo e dunque unico il fascicolo processuale; è solo richiesto il requisito della convivenza tra i soggetti interessati oppure, in via alternativa, un'unica origine del sovraindebitamento. 
L’unica “variante” attiene alle masse, che il secondo comma vuole vadano tenute distinte, atteso che, all’evidenza, non tutti i creditori concorrono allo stesso titolo sui diversi beni dei plurimi membri della famiglia. 
Sempre sul versante processuale, l’ultimo capoverso del comma primo dell’art. 66 risolve il problema, non infrequente, delle differenti qualificazioni soggettive dei membri del nucleo familiare (per cui, ad esempio, alcuni sono imprenditori sottosoglia ed altri rivestono la qualifica di consumatore), prescrivendo che in questo caso la procedura si dipanerà secondo le scansioni del concordato minore. 
Laddove invece vi sia una qualificazione soggettiva omogenea, non vi saranno problemi, sicché ove in ipotesi ove tutti i familiari fossero consumatori, potranno richiedere la ristrutturazione dei debiti ex art. 67 CCII. 
La domanda sarà presentata con l’assistenza di un OCC unico per tutti i familiari, nella quale chiaramente per ciascuno di essi, dovrà essere indicata la sussistenza delle condizioni soggettive ed oggettive di accesso alla procedura, e dunque per ciascuno di essi occorrerà indicare le cause dell'indebitamento e la diligenza impiegata dal debitore nell'assumere le obbligazioni, l’esposizione delle ragioni dell'incapacità di adempiere le obbligazioni assunte, la valutazione sulla completezza ed attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda. Unica invece potrà essere l’indicazione dei costi della procedura, atteso che unico è il piano alla cui esecuzione i debitori dovranno concorrere a norma dell’art. 71 CCII. 
La necessità di riferire, per ciascuno dei ricorrenti, la sussistenza delle condizioni di ammissibilità all’accesso alla ristrutturazione nel contesto di una unica domanda giudiziale impone di affrontare il caso, affatto peregrino, in cui queste condizioni difettino per alcuni solo di essi. 
Si pensi, a titolo esemplificativo, a quello, tra i familiari ricorrenti, che abbia dato determinato la propria condizione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode, così concretizzando causa di inammissibilità di un piano che fosse presentato in solipsistica autonomia. 
Le ricadute processuali di situazioni di tal fatta possono essere astrattamente due. 
La prima, potrebbe essere quella di espungere dal piano la posizione del familiare per il quale le condizioni di ammissibilità mancano, in modo tale che la procedura sia aperta per gli altri, attraverso le seguenti opzioni processuali. Da un lato si potrebbe assegnare ai ricorrenti termine per modificare la domanda espungendo la posizione del familiare per il quale difettano le condizioni di ammissibilità; dall’altro, è astrattamente immaginabile un intervento di ritaglio compiuto dal giudice stesso, il quale dovrebbe, nel dichiarare l’inammissibilità parziale del piano, eliminare da esso le poste attive e passive a riferibili al familiare in capo al quale difettano le condizioni di accesso. 
La seconda, indicata da taluna dottrina[49], muovendo dalla considerazione unitaria del progetto di soluzione della crisi articolato ai sensi dell'art. 66, comma 1, predica una declaratoria secca di inammissibilità della domanda, escludendo che il giudice, rilevando l'inammissibilità ex art. 69 della posizione di uno dei ricorrenti, possa escludere dal progetto unitario un singolo componente del gruppo familiare, poiché questo determinerebbe una non consentita modifica giudiziale del piano di ristrutturazione dei debiti. 
La soluzione da ultimo indicata, pur condivisibile nelle premesse, laddove correttamente considera unica la domanda sia sul versante processuale che sostanziale, non sembra a perfetta tenuta in punto di corollari che ne ricava. 
Invero, a mio giudizio non si vede per quale ragione il giudice non possa, nel piano familiare, eterodirigere il procedimento nel senso di assegnare ai ricorrenti un termine, ex art. 47, comma quarto, CCII, per modificare il piano tenendo conto della condizione di inammissibilità in cui versa uno dei ricorrenti. Il tutto, ovviamente, è subordinato alla condizione che quella posizione non sia decisiva ai fini della qualificazione della domanda quale domanda “di gruppo”, la qualcosa, a titolo esemplificativo, potrebbe accadere nel caso di piano presentato da due soli familiari o di piano il cui attivo provenga dal familiare la cui posizione sia destinata al rigetto. 
Il quarto comma dell’art. 66 prevede che quando i membri della stessa famiglia abbiano presentato autonome domande di risoluzione della crisi da sovraindebitamento “il giudice adotta i necessari provvedimenti per assicurarne il coordinamento. La competenza appartiene al giudice adito per primo”. A proposito di questa norma, va notato in esergo che qui il legislatore, a differenza di quanto dispone l’art. 30, il quale risolve il conflitto di competenza indicando “il tribunale competente che si è pronunciato per primo”, individua il giudice competente in quello adito per primo, indipendentemente dal momento della pronuncia. 
L’art. 66 è tutto sommato scarno, e per taluni aspetti anfibologico. Invero, la previsione del coordinamento di domande autonome è antitetica rispetto a quella del radicamento della competenza in capo al giudice adito per primo, atteso che la individuazione, tra più giudici astrattamente competenti, di quello che lo sarà in concreto, postula l’applicazione dell’istituto della riunione delle procedure. In effetti, sarei dell’avviso per cui in questi casi la riunione delle procedure sia lo strumento processuale più acconcio ad assicurare quel coordinamento indicato dal legislatore, che altrimenti sarebbe il proscenio di una serie infinita di possibili inciampi processuali. 
 Un ulteriore profilo di raccordo deve infine essere affrontato quando le domande autonomamente presentate dai diversi membri della medesima famiglia appartengano alla competenza del giudice monocratico e collegiale. 
In questo caso, ove il primo procedimento iscritto a ruolo - e dunque preposto ad esercitare vis attractiva sui successivi in forza dell’art. 66, comma quarto - sia di liquidazione controllata, non vi saranno particolari problemi. Di contro, se la domanda più risalente appartiene alla competenza del giudice monocratico, la liquidazione controllata successivamente proposta non potrebbe essere attratta dalla precedente, ostandovi l’art. 281 novies c.p.c., con la conseguenza che in questo caso sarà il collegio destinatario della trattazione unitaria delle domande presentate.

Note:

[1] 
 La letteratura sul procedimento unitario è ampia. Senza pretesa di completezza si rinvia a R. d’Alonzo - F. De Santis, Il cd. procedimento unitario per l'accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza, in Studi sull'avvio del Codice della crisi, Dirittodellacrisi.it, 2022, 51 ss.; F. De Santis, Il procedimento cd. unitario per la regolazione della crisi o dell'insolvenza: effetti virtuosi ed aporie sistematiche, in Fall., 2020, 157 ss.; Id, Procedimento unitario e decreto correttivo: proposte minime waiting for Godot, in Dirittodellacrisi.it, 3 aprile 2024; Id, Le fasi introduttive del c.d. procedimento unitario, in Fallimento, 2022, 10, 1207; M. Montanari, Il cosiddetto procedimento unitario per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza, in Fallimento, 2019, 564; Id, Profili processuali del nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Nuove leggi civ., 4, 2019, 873; I. Pagni, Codice della crisi e dell'insolvenza: il procedimento unitario, in Corriere Giur., 2019, 10, 1157; G. Rana, Le regole del procedimento unitario della crisi d'impresa dopo il D.Lgs. n. 83/2022, in Fallimento, 2023, 2, 153.
[2] 
La cui definizione è contenuta nell’art. 2, lett. e) CCII.
[3] 
A questo fine non mi pare che possa considerarsi anche l’autorizzazione concessa all’OCC ex art. 15, comma 10, L. n. 3/2012, atteso che la relativa istanza non apre il procedimento, essendo piuttosto prodromica ad essa.
[4] 
M. Montanari, Il concorso delle procedure da sovraindebitamento nel sistema del Codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 7 settembre 2021.
[5] 
Cass., sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4343, in Il Fall., 2020, p. 1413, con nota di L. Baccaglini, La pregiudizialità della competenza nel conflitto tra concordato preventivo e istruttoria prefallimentare.
[6] 
Posto che in tema di ristrutturazione dei debiti del consumatore non viene in rilievo la questione della individuazione del centro degli interessi principali, previsto dall’art. 27 CCII.
[7] 
È stato giustamente osservato che le soluzioni approntate dal legislatore per risolvere il concorso tra più procedure da sovraindebitamento dovrebbero valere anche nelle ipotesi di concorso tra una procedura di regolazione della crisi da sovraindebitamento e la richiesta di omologa di un accordo di ristrutturazione ex art. 57 CCII, come testimonia il riferimento, contenuto nell’art. 270, alle procedure di cui al titolo IV. Così F. Accettella, La liquidazione controllata del sovraindebitato: un primo commento, in Nuove leggi civ. comm., 2020 675; M. Montanari, Il concorso delle procedure da sovraindebitamento nel sistema del Codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 7 settembre 2021.
[8] 
Secondo A. Farolfi, op. cit., il verbo "integrare" è non a caso distinto da "proporre", questo significa che la domanda deve essere comunque formulata e precisata, allegando quella documentazione di cui si sia già in possesso, fermo appunto il suo completamento con il deposito dei documenti mancanti e della relazione dell'OCC richiesta entro il termine assegnato. La norma non individua la durata di questo termine, che è rimesso al prudente apprezzamento del giudice; si potrebbe tuttavia ritenere che la congruità di esso possa essere desunta, questo sì, dall'art. 44 cit., nel senso di ritenere concedibile un termine non inferiore a 30-60 giorni. La stessa opzione esegetica viene predicata da M. Montanari, op cit. In senso difforme si esprimono D. Benincasa, Le procedure in caso di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 2, 1° comma lett. c), contributo al seminario di studî Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di Bonfante, in Giur.it., 2019, 2045; F. Accettella, La liquidazione controllata del sovraindebitato: un primo commento, in Nuove leggi civ. comm., 2020, 676 ss.
[9] 
Cfr. M. Montanari, op.cit., e la dottrina richiamata alla nota n. 10.
[10] 
A proposito dei quai solleva dubbi di legittimità costituzionale F. De Santis, Procedimento unitario e decreto correttivo: proposte minime waiting for Godot, in Dirittodellacrisi.it, 3 aprile 2024.
[11] 
In questo senso, A. Farolfi, liquidazione controllata: problemi applicativi e nuove opportunità in Fallimento, 2024, 2, 231.
[12] 
Sul punto, in termini dubitativi si esprime G. Rana, Le regole del procedimento unitario della crisi d'impresa dopo il D.Lgs. n. 83/2022 in Fallimento, 2023, 2, par. 6, secondo il quale A differenza che per la disciplina degli artt. 40 e 49 CCII, l'art. 270, comma 2, pare anticipare la consumazione della domanda liquidatoria alla sola apertura della procedura alternativa e non alla sua omologazione o comunque alla definizione della domanda stessa, come prevede invece l'art. 49.
[13] 
Improcedibilità che, secondo M. Montanari, op cit. deve essere intesa nei termini di "mero provvedimento di sospensione o arresto temporaneo del procedimento”, poiché altrimenti non si giustificherebbe il prosieguo della norma, secondo il quale il giudice dichiara l’apertura della liquidazione controllata in ogni ipotesi di intervenuta cessazione della procedura alternativa.
[14] 
Così L. D’Orazio, il rapporto tra liquidazione controllata e concordato minore, in Fallimento, 2022, 10, 1318.
[15] 
Cui fa esplicito riferimento A. Crivelli, principali aspetti processuali nel procedimento di apertura della liquidazione controllata, in Fallimento, 2021, 7, 895.
[16] 
Cfr. Cass., 22 febbraio 2005, n. 3585, secondo cui “Allorquando innanzi al medesimo giudice penda una controversia nella quale sono state proposte due domande, l'una devoluta alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale (nella specie, domanda di nullità di brevetto, proposta in via riconvenzionale e in relazione alla quale era stata dedotta la continenza rispetto ad altra causa pendente avanti ad altro giudice) e l'altra alla cognizione del tribunale in composizione monocratica (nella specie, domanda di risarcimento danni da concorrenza sleale), poiché, ai sensi dell'art. 281 novies cod. proc. civ., spetta al collegio, una volta che il giudice istruttore abbia provveduto sulla domanda di connessione o di continenza, decidere entrambe le domande ovvero disporne la separazione ai sensi dell'art. 279 cod. proc. civ., mentre il giudice istruttore è privo di "potestas iudicandi" per dare un provvedimento decisorio in materia di competenza, il provvedimento con il quale il giudice istruttore, rilevata la infondatezza della eccezione di continenza, rinvii la causa in prosieguo, ai sensi dell'art. 184 cod. proc. civ., è privo del carattere di decisorietà, trattandosi di provvedimento ordinatorio, ancorché suscettibile di essere modificato dal collegio, e nei suoi confronti non è quindi esperibile il regolamento di competenza”.
[17] 
Che, intanto, a norma dell’art. 68, comma 4, CCII, entro 7 giorni dal conferimento dell’incarico, da parte del debitore, ne dà notizia all’Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Entrate Riscossione, Agenti della Riscossione per le imposte locali, all’Agenzia del Territorio ed all’Agenzia delle Dogane, i quali entro quindici giorni debbono comunicare il debito tributario accertato e gli eventuali accertamenti pendenti.
[18] 
Relazione che dovrà dare conto, come richiesto dalla norma: a) delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell’assumere le obbligazioni; b) delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte; c) della completezza ed attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda; d) dei costi presuntivi della procedura. Inoltre, poiché nessuna disposizione del Codice della crisi ha abrogato l’art. 15 comma 10 L. n. 3/2021, che disciplinava le modalità di accesso dei professionisti designati nelle vesti di gestori della crisi quali O.C.C. alle banche dati pubbliche e poiché lo stesso è assolutamente indispensabile al gestore della crisi per poter verificare lo stato patrimoniale e reddituale dei ricorrenti alle procedure di sovraindebitamento, il giudice potrà concedere l’autorizzazione di cui al citato art. 15 in vista dell’accesso alla procedura (così, trib. Genova, 7 novembre 2022).
[19] 
La inammissibilità è stata invece ritenuta da Trib. Grosseto, 19 settembre 2022, nonché da Trib. Cosenza 31 ottobre 2022. Trib. Messina 28 settembre 2022, Trib. Roma, 5 dicembre 2022, Corte d'Appello L'Aquila, 9 marzo 2023 hanno invece sostenuto che la domanda depositata tramite il ministero di un difensore sia del tutto ammissibile.
[20] 
Solo in questo caso, peraltro, torna in gioco l’art. 40, comma 2, del codice, il quale richiede che il ricorso sia sottoscritto da un difensore munito di procura.
[21] 
Per i quali si rinvia a S. Leuzzi, Attualità e prospettive del piano del consumatore sovraindebitato in Dirittodellacrisi.it, 8 luglio 2021; M. Peta, Ristrutturazione dei debiti del consumatore ammissibilità dei debiti dell’imprenditore cessato: relazione di “esclusività”, in Dirittodellacrisi.it, 20 giugno 2023; D. Benincasa, Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza - le procedure in caso di sovraindebitamento ai sensi dell'art. 2, 1° comma, lett. c), in Giur. It., 2019, 8-9, 1943; C. Trentini, Ristrutturazione dei debiti del consumatore: reclamo, presentazione della domanda e colpa del creditore, in Fallimento, 2023, 7, 945; G. Rana, ristrutturazione dei debiti del consumatore e debiti promiscui nel codice della crisi, in Fallimento, 2023, 7, 985;M. Spadaro, Ristrutturazione dei debiti derivanti da attività imprenditoriale cessata, in Fallimento, 2023, 3, 416.L. Nannipieri, Il piccolo imprenditore individuale cancellato, l’ircocervo e l’art. 33 comma 4 CCII, in Dirittodellacrisi.it, 19 aprile 2024.
[22] 
Dall’art. 70, commi secondo, terzo e quinto, si ricava che la comunicazione dell’OCC conterrà: l’indirizzo di posta elettronica certificata dell’OCC al quale inoltrare tutte le comunicazioni  dei creditori relative alla procedura; l’avvertimento che i creditori dovranno comunicare all’OCC un indirizzo di posta elettronica certificata, con l’avvertenza in mancanza (salvo quanto si dirà tra un attimo nel testo), le successive comunicazioni saranno effettuate mediante deposito in cancelleria;  l’avvertimento che nei venti giorni successivi alla comunicazione, ogni creditore potrà presentare osservazioni, inviandole all’indirizzo PEC dell’OCC; l’avvertimento che ciascun creditore può chiedere la revoca delle misure protettive in caso di atti in frode.
[23] 
F. Cesare, Ristrutturazione dei debiti del consumatore, in AVV Crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2024, 416.
[24] 
Cass., Sez. U, 8 febbraio 2011, n. 3034.
[25] 
Alla quale deve essere equiparato, a norma del comma 5 dell’art. 10 CCII, il servizio elettronico di recapito certificato qualificato (SERCQ), come definito dal regolamento (UE) 23 luglio 2014, n. 910 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE, (il c.d. Regolamento eIDAS).
[26] 
Accanto all’INI-PEC deve comunque essere considerato quanto meno l’Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi (IPA).
[27] 
Sull’art. 10 CCII vedi G. Romano, sub art. 10, in F. Santangeli, Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2023, 68 ss.
[28] 
Così prevede l’ultimo comma del citato art. 10.
[29] 
Va registrata sul punto la tesi di A. Napolitano, sub. art. 70, in G. Di Cecco, D. Sagniuolo, P. Valenise, Il Codice della Crisi. Commentario. Torino, 2024, 446, secondo cui il termine sarebbe quello di 20 giorni, fissato per presentare osservazioni.
[30] 
Cfr. R. d’Alonzo, Le misure protettive negli strumenti di composizione della crisi da sovraindebitamento ed improseguibilità dell'esecuzione forzata per credito fondiario, in Riv. Es. For., 2023, 2, 428; P. Russolillo, Misure protettive negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza alternativi alla liquidazione giudiziale e procedure esecutive individuali, in Dirittodellacrisi.it, 6 Giugno 2023. L. Panzani, Sovraindebitamento, socio illimitatamente responsabile e sospensione dell'esecuzione, in Fallimento, 2024, 3, 334; Trentini, Rapporti tra procedimenti esecutivi individuali e procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, in Ilcaso.it, 2019.
[31] 
In dottrina si è efficacemente parlato di "Potenza del debito" per indicare una "accentuata tendenza del legislatore a superare, con riguardo al rapporto credito-debito, il conflitto intersoggettivo, privilegiando esigenze che ... trascendono gli interessi delle parti sino al punto di condizionare e addirittura di comprimere l'iniziativa del creditore per ottenere dal debitore l'adempimento dell'obbligo, ... privilegiando procedure collettive di composizione della crisi e/o dell'insolvenza, sostitutive dei procedimenti di esecuzione forzata del libro terzo del codice di procedura civile quanto alla tutela dei crediti pecuniari". Così M. Acone, Divagazioni sui diritti del debitore, in questa Riv. Es. For., 2020, 4, 931.
[32] 
Sull’oggetto del giudizio del procedimento di concessione o conferma delle misure protettive nel codice della crisi v. L. Baccaglini, F. De Santis, Misure protettive e provvedimenti cautelari a presidio della composizione negoziata della crisi: profili processuali, in Dirittodellacrisi.it, 12 ottobre 2021.
[33] 
Si tratta di un distinguo del quale però non si coglie la ragione, a meno di non voler ritenere che il requisito dimensionale dell’impresa implichi, per il debitore “fallibile” la necessità di un apparato protettivo più ampio.
[34] 
Ad esempio il divieto di comunicazione di mancati pagamenti alla Centrale dei Rischi o ad altre banche dati private. Non può, invece, essere sospeso il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (Trib. Mantova 18/02/2022), in quanto le misure protettive riguardano solo la sospensione dei procedimenti esecutivi ma non anche i giudizi di cognizione.
[35] 
R. d’Alonzo, le misure protettive, cit. 436.
[36] 
Così, condivisibilmente, Trib. Oristano, 30 novembre 2023.
[37] 
P. Farina, Tutela esecutiva individuale, misure protettive e procedure negoziali di composizione della crisi: un (complesso) ménage à trois in evoluzione, in Riv. Es. For. ,2019, 2, 27, secondo la quale "Indipendentemente dalla proposizione di un'opposizione esecutiva, il giudice dell'esecuzione che ha appreso della pubblicazione della domanda di concordato è tenuto a dichiarare la temporanea improseguibilità dell'espropriazione, con un provvedimento c.d. «di presa d'atto», sussumibile nel paradigma dell'art. 623 c.p.c. Si tratta, a ben guardare, di una sospensione disposta dalla legge che ricorre quando il legislatore, prescindendo da apprezzamenti di tipo discrezionale del giudice (sia della procedura concorsuale, sia dell'esecuzione forzata), impone l'arresto del processo esecutivo sino alla definizione del giudizio di omologa del concordato, giudizio al quale viene di fatto riconosciuto carattere pregiudiziale rispetto all'esecuzione in corso. Il provvedimento di sospensione adottato dal giudice dell'esecuzione è, pertanto, meramente ricognitivo e non reclamabile perché non presuppone l'apprezzamento dei gravi motivi a norma dell'art. 624 c.p.c., ed è inidoneo ad evolvere in estinzione secondo il meccanismo del 3 comma di quest'ultima disposizione." L’idea è condivisa da R. d’Alonzo, La composizione negoziata della crisi e l'interferenza delle misure protettive nelle procedure esecutive individuali, in Riv. Es. For, 2021, 4, 886. In giurisprudenza, Trib. Bari, 18 novembre 2013; Trib. Siracusa, 26 luglio 013; Trib. Verona, 9 giugno 2015, nonché Trib. Cuneo, 25 marzo 2017.
[38] 
Cass., sez. I, 2 dicembre 2015, n. 25802.
[39] 
Cfr, sul punto Cass., sez. I 17 febbraio 1995, n. 1730, secondo cui “Nella vendita forzata, pur non essendo ravvisabile un incontro di consensi, tra l’offerente ed il giudice, produttivo dell’effetto transattivo, essendo l’atto di autonomia privata incompatibile con l’esercizio della funzione giurisdizionale, l’offerta di acquisto del partecipante alla gara costituisce il presupposto negoziale dell’atto giurisdizionale di vendita; con la conseguente applicabilità delle norme del contratto di vendita non incompatibili con la natura dell’espropriazione forzata, quale l’art. 1477 c.c. concernente l’obbligo di consegna della cosa da parte del venditore. Ne deriva che, in relazione allo “ius ad rem” (pur condizionato al versamento del prezzo), che l’aggiudicatario acquista all’esito dell’“iter” esecutivo, è configurabile un obbligo di diligenza e di buona fede dei soggetti tenuti alla custodia e conservazione del bene aggiudicato, così da assicurare la corrispondenza tra quanto ha formato l’oggetto della volontà dell’aggiudicatario e quanto venduto. Pertanto, qualora l’aggiudicatario lamenti che l’immobile aggiudicato sia stato danneggiato prima del deposito del decreto di trasferimento, il giudice è tenuto a valutare la censura dell’aggiudicatario medesimo, diretta a prospettare la responsabilità del custode (nella specie, della curatela fallimentare che aveva proceduto alla vendita forzata), in base ai principi generali sull’adempimento delle obbligazioni (art. 1218 cod. civ.), per inadeguata custodia del bene posto in vendita, fino al trasferimento dello stesso” (negli stessi termini Cass. sez. III, 30 giugno 2014, n. 14765).
[40] 
Così A. Guiotto, La continua evoluzione dei rimedi alle crisi da sovraindebitamento, in Il Fallimento, 2012, 1287; A. Crivelli, in Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cura di F. Di Marzio, Milano, 2022, 293.
[41] 
Termine non soggetto al regime della sospensione feriale di cui all’art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742.
[42] 
Pubblicata su Dirittodellacrisi.it, sezione Prassi e uffici.
[43] 
Cfr. A. Napolitano, sub art. 70 in Il Codice della Crisi. Commentario, op. cit. 447.
[44] 
Nel che si sostanzia l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c. Sul punto pare illuminante il principio di diritto da ultimo ribadito da Cass., sez. II, 11 dicembre 2020, n. 28307, a secondo cui “Il principio contenuto nell'art. 100 c.p.c., secondo il quale per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, in cui l'interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dall'utilità giuridica che dall'eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata e che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte. Ne consegue, per un verso, che deve ritenersi normalmente escluso l'interesse della parte integralmente vittoriosa ad impugnare una sentenza al solo fine di ottenere una modificazione della motivazione, ove non sussista la possibilità, per la parte stessa, di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile; per altro verso, che l'interesse all'impugnazione va ritenuto sussistente qualora la pronuncia contenga una statuizione contraria all'interesse della parte medesima suscettibile di formare il giudicato. (In applicazione di tale principio la S.C., cassando la pronuncia gravata, ha ritenuto sussistente in capo all'appellante l'interesse ad impugnare la pronuncia di primo grado che, con statuizione suscettibile di passare in giudicato, gli aveva riconosciuto la posizione di mero detentore dell'immobile controverso, anziché di possessore)”.
[45] 
Su questa norma v. R. d’Alonzo, La disciplina del procedimento unitario in sede di appello, in Dirittotellacrisi.it, 23 Giugno 2022.
[46] 
La norma specifica che si considerano membri della stessa famiglia i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, nonché le parti dell’unione civile e i conviventi di fatto di cui alla legge 20 maggio 2016, n. 76.
[47] 
Che cioè sia titolare di un'impresa individuale con soglie superiori a quelle delineate nell'art. 2, comma 1, lett. d), CCII.
[48] 
Così R. Borgi, Il sovraindebitamento delle famiglie nel codice della crisi, in Famiglia e diritto, 2020, 2, 185 ss.
[49] 
Così R. Borgi, op. cit.

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