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Saggio

Il concorso delle procedure da sovraindebitamento nel sistema del Codice della crisi*

Massimo Montanari, Ordinario di diritto processuale civile nell'Università di Parma

7 Settembre 2021

*Il presente lavoro è destinato alla raccolta di scritti in onore di Bruno Sassani.
Il saggio è stato altresì sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
La riforma delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento realizzata con il Codice della crisi è destinata a generare un problema sconosciuto all’attuale sistema, come quello del concorso di procedure, ovverosia della presenza sulla scena di plurime istanze dirette all’apertura di procedure di quel tipo interessanti lo stesso soggetto nel medesimo momento storico. Il presente lavoro mira ad offrire una ricostruzione organica ed esaustiva della disciplina approntata al riguardo dal legislatore, mettendone a fuoco le non poche lacune e incongruenze.
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
Nel rimettere mano, in sede di redazione del D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, d’ora in avanti CCII), alla disciplina delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, il legislatore ha dovuto misurarsi con un problema che non ha sostanzialmente motivo di porsi nel quadro dell’attuale ordinamento di quelle procedure, fondato sull’ancora vigente l. 27 gennaio 2012, n. 3: il problema del così – e, come tra breve vedremo, non del tutto appropriatamente – definito concorso di procedure, ossia dell’incrocio tra le contrapposte istanze di regolazione della suddetta crisi in via liquidatoria, da un lato, e negoziale o, comunque, non liquidatoria, dall’altro. È evidente, infatti, come la questione presupponga la disponibilità di tali alternativi strumenti da parte di soggetti differenti e animati da differenti interessi[1]. Il che, per l’appunto, non è a dirsi con riguardo al sistema edificato dalla l. n. 3 del 2012: dove la legittimazione a promuovere la procedura di liquidazione del patrimonio di cui ai relativi artt. 14-ter ss. compete in via tendenzialmente esclusiva a quello stesso soggetto – i.e., il debitore in stato di dissesto – che detiene il monopolio dell’iniziativa quanto alle alternative procedure incardinate sugli accordi di composizione della crisi e sul piano del consumatore (art. 14-ter, comma 1); e dove, se spazio è eccezionalmente concesso anche a una liquidazione su iniziativa di soggetti diversi dal debitore, quali i creditori del medesimo, ciò può essere solamente in via di conversione, in quanto non andate a buon fine, delle procedure ad essa liquidazione alternative (v. sub art. 14-quater) e, dunque, in situazioni in cui il problema del concorso delle procedure in questione può ritenersi già ed in partenza superato[2].
Il problema può avere una sua ragione di essere, quindi, solamente nel quadro di un sistema di legittimazioni concorrenti all’attivazione delle procedure di cui si discorre o, almeno, di una di esse. Ed è proprio qui che si annida l’elemento di novità rilevante, ai presenti fini, del novello CCII[3], che, con riguardo allo strumento ivi deputato a fornire una risposta in chiave liquidatoria alla crisi del c.d. debitore minore e, cioè, la liquidazione controllata del sovraindebitato, un autonomo potere d’iniziativa è venuto a riconoscere non più, soltanto, al debitore ma altresì ai creditori e al Pubblico Ministero[4]: per il che ben potrà darsi che alla domanda diretta all’apertura di detta liquidazione controllata avanzata da taluno dei soggetti da ultimi nominati si contrapponga la richiesta del debitore di accedere ad una delle procedure, a carattere negoziale o non liquidatorio, a quella alternative e assumenti, nel sistema del Codice, le vicendevoli sembianze del concordato minore ovvero della ristrutturazione dei debiti del consumatore.
Prima di passare in rassegna le disposizioni dettate dal Codice per la regolamentazione della fattispecie appena descritta, opportuno è rimarcare come non del tutto appropriata, almeno sul piano strettamente concettuale, sia stata la scelta dell’inquadramento di tale fattispecie nei termini, risalenti all’art. 271 CCII e alla relativa rubrica legis, del «concorso di procedure»: ciò, almeno, nella misura in cui debba valere, per quelle in discorso, quel principio di alternatività, saldamente acquisito nel campo delle procedure d’insolvenza di stampo tradizionale, per cui la pendenza di una data procedura concorsuale è incompatibile con la pendenza di altra procedura che interessi il medesimo soggetto nel medesimo momento storico[5]. Che poi, per convenzione linguistica e per ragioni di fluidità espositiva, di quella locuzione si possa, anche nella presente sede, continuare a far uso, questo è indubbio. Ma resta il fatto, altresì, che, se vogliamo continuare a servirci delle categorie giuridiche nella loro puntuale accezione tecnica, qui, di concorso di procedure, non si possa parlare, se non, al più, sul piano delle astratte previsioni normative[6].
La fattispecie regolata dall’art. 271 CCII (e non solo, invero, da questo articolo, come tra poco verificheremo) registra la presenza sulla scena non di una pluralità di procedure, bensì di una pluralità di domande dirette all’introduzione di procedure che si pongono tra loro in rapporto di reciproca esclusività o alternatività, sì che all’accoglimento di una di quelle domande si accompagni necessariamente il mancato accoglimento delle altre. E questo, semmai, autorizza il rinvio alle differenti figure del concorso di azioni e/o del concorso di diritti, se ciò che contrassegna il concorso di queste situazioni soggettive è la comune preordinazione delle stesse a un medesimo obbiettivo, sì che alla realizzazione di una di esse debba giocoforza conseguire l’estinzione delle altre[7]: proprio quanto accade nella fattispecie in parola, dove l’apertura di una delle procedure astrattamente in concorso determina o postula la mancata attivazione delle altre e, dunque, la consumazione (almeno provvisoria: v. infra) dei diritti soggettivi o dei poteri d’azione corrispondenti[8].
2 . Il dato normativo
Come già in precedenza osservato, le disposizioni dell’art. 271 CCII non esauriscono la disciplina del fenomeno «concorso di procedure» cui la norma è intitolata, giacché la stessa si limita a considerare l’eventualità che, in pendenza della domanda di apertura della liquidazione controllata avanzata da taluno dei creditori o dal Pubblico Ministero, il debitore abbia ad instare per l’accesso a una delle procedure, alternative a quella liquidatoria, di cui al Titolo IV, Capo II, del Codice (concordato minore e ristrutturazione dei debiti del consumatore). Esula pertanto dal raggio precettivo della norma l’ipotesi speculare della sopravvenienza dell’istanza liquidatoria in pendenza dell’una o dell’altra delle procedure ad essa alternative: per il che necessario è far capo al lapidario inciso di cui al comma 1 del precedente art. 270, a tenore del quale il tribunale investito della domanda di apertura della liquidazione controllata può addivenire alla relativa declaratoria «in assenza di domande di accesso alle procedure di cui al titolo IV»[9].
Entrambe le prescrizioni di legge testé richiamate sono riconducibili alla comune matrice sistematica rappresentata da quel principio di priorità della trattazione delle soluzioni della crisi alternative rispetto a quella meramente liquidatoria che rinviene la sua solenne e, soprattutto, generale – nel senso di idonea ad abbracciare l’universo mondo delle procedure concorsuali – consacrazione a livello dell’art. 7 del novello Codice[10]: principio di cui esse prescrizioni vengono pertanto a comporre la declinazione specifica - e, nella parte relativa al fugace cenno di cui all’art. 270, comma, 1, decisamente ad abundantiam – con riguardo al settore delle procedure da sovraindebitamento. Questo non toglie, peraltro, che, anche dove evidenziante tratti di superiore dettaglio – e il riferimento è, altrettanto chiaramente, ai precetti di cui al successivo art. 271 -, si abbia in ogni modo a che fare con una tessitura normativa per più versi incompleta, che diversi profili della fattispecie presa in considerazione viene a lasciare “scoperti” o, comunque, privi di adeguata regolamentazione: il che costringe l’interprete a una fitta opera di integrazione e ricostruzione che si deve ora e senza indugi intraprendere, nella piena consapevolezza delle esigenze di economia della trattazione che il presente contributo è tenuto a rispettare.
3 . La particolare fattispecie presa in considerazione dall’art. 271 CCII
A giustificazione del precedente rilievo secondo cui l’art. 271 CCII non esaurirebbero la disciplina dettata dalla legge per il fenomeno del concorso delle procedure da sovraindebitamento, si è detto che la norma assumerebbe ad oggetto la sola eventualità della sopravvenienza di una domanda di accesso a procedura di regolazione concordata della crisi in pendenza del giudizio promosso per l’apertura della liquidazione controllata del sovraindebitato. In realtà, le cose non stanno esattamente in questi termini ovvero, e meglio, se può ritenersi che anche l’eventualità cui si è or ora fatto cenno abbia a ricadere entro il raggio di applicabilità della norma in discorso, ciò può essere solamente in forza di un ragionamento analogico, giacché, per dar conto della peculiare disciplina di cui al comma 1 della norma medesima, d’obbligo è fare riferimento a una diversa, per quanto finitima, eventualità. Ed è anzi proprio ed esclusivamente nella prospettiva di quella eventualità e della sua regolamentazione che la norma recupera la propria fondamentale ragione di essere, ché diversamente, ossia ai fini della regolamentazione dell’ipotesi dianzi ed esplicitamente considerata, l’interprete avrebbe potuto cercare tranquillamente soccorso nella regola generale del predetto art. 7 CCII, senza bisogno di una declinazione ad hoc della medesima nell’ottica delle procedure ora in esame[11].
Le presenti considerazioni potrebbero destare perplessità, visto che la littera legis riproduce esattamente la fattispecie evocata in apertura di paragrafo. La norma si apre, infatti, con le seguenti proposizioni ipotetiche: «se la domanda di liquidazione controllata è proposta dai creditori o dal pubblico ministero e il debitore chiede l’accesso a una procedura di cui al capo II del titolo IV». Ma che cosa, poi, prevede al riguardo? Prevede, testualmente, che «il giudice conced[a] un termine per l’integrazione della domanda». E qui i conti non tornano più, perché delle due, l’una: o si tratta di una ordinaria domanda di accesso a una procedura di regolazione “negoziale” della crisi, e allora non v’è alcun bisogno di procedere all’integrazione della medesima e di concedere un termine per provvedere a tal fine; oppure si tratta di domanda “in bianco”, e allora il giudice sarebbe comunque tenuto ad assegnare il termine per l’integrazione, senza bisogno che la legge disponga espressamente in proposito, in relazione alla qui postulata pendenza di una domanda di apertura della liquidazione controllata.
Nell’impossibilità di conferire alla disposizione, valutata nella sua stretta dizione testuale, un autonomo significato precettivo, si è proposta, da parte di alcuni commentatori, un’interpretazione alla stregua della quale la situazione di concorso di procedure ipotizzata dalla norma costituirebbe il punto d’arrivo e non di partenza della disciplina quivi scandita, nel senso, per l’esattezza, che quello assegnato dal giudice al debitore in sede di giudizio di apertura della liquidazione sarebbe un termine entro cui provvedere alla presentazione della domanda di accesso a una procedura alternativa a quella liquidatoria e non all’integrazione di una domanda di quel tipo che già sia presente sulla scena[12]. Ma visto che all’assegnazione di quel termine il giudice non potrebbe pervenire nell’esercizio di una propria potestà officiosa, bensì soltanto a fronte e in conformità di/a un’apposita istanza di parte[13], preferibile, anche nella sua superiore aderenza al dato lessicale, appare una diversa esegesi, a tenore della quale la disposizione verrebbe a sancire l’ammissibilità, nel sistema del sovraindebitamento, dell’istituto della domanda “in bianco”, i cui estremi sarebbero ravvisabili nell’istanza di parte testé nominata, quale espressione della volontà della stessa di approdare a una soluzione non liquidatoria della crisi in cui sta versando[14].
Questo non suona a sconfessione di quanto poc’anzi osservato in termini di inutilità della previsione di legge in esame ove letta nella prospettiva di una domanda presentata “in bianco”. Di tale inutilità si è, invero, parlato assumendo ipoteticamente che la norma scontasse come aliunde desumibile l’ammissibilità di quel tipo di domanda nel sistema del sovraindebitamento, in particolare quale argomentabile sulla base del rinvio che l’art. 74, ult. comma, CCII effettua, in funzione regolatrice della procedura di concordato minore, alle norme di cui al Titolo IV, Capo III, dello stesso Codice, ossia alla disciplina del concordato preventivo. Ma così, in realtà, non può essere, poiché tale rinvio è accompagnato dalla classica clausola di salvaguardia della compatibilità; e di compatibilità, nella fattispecie, non è proprio il caso discorrere, nella misura in cui la tipica attitudine della domanda di concordato preventivo “in bianco” ad esplicare i medesimi effetti protettivi del patrimonio del debitore che automaticamente si connettono alla domanda ordinaria di accesso a tale procedura, non è assolutamente esportabile, tale attitudine, nel quadro di una procedura, come quella di concordato minore, in cui tali effetti, al pari di quanto avviene nell’àmbito degli attuali accordi di composizione della crisi da sovraindebitamento, si ricollegano invariabilmente ad un apposito dictum del giudice, esprimente uno dei possibili contenuti del decreto di ammissione alla procedura medesima (v. sub artt. 78, comma 2, lett. d, CCII, e 10, comma 2, lett. c, L. n. 3 del 2012). 
In buona sostanza, una domanda di sovraindebitamento “in bianco” non può assolvere alla medesima funzione, di anticipazione degli effetti protettivi de quibus, cui l’analoga domanda è preordinata nell’ottica delle procedure maggiori. Se, dunque, anche nel sistema del sovraindebitamento quel tipo di domanda può ottenere cittadinanza, ciò può essere soltanto sul fondamento del presente art. 271 CCII[15] – il quale, nell’accordare cittadinanza a quello strumento, rinviene correlativamente la propria essenziale ragione di essere, destinata altrimenti a svanire[16] sullo sfondo del principio di priorità delle procedure non liquidatorie di cui all’art. 7 CCII – e soltanto ai fini ivi considerati, e di cui appresso meglio diremo, dell’arresto, almeno temporaneo, di un giudizio già in essere, ma non ancora concluso, di apertura della contrapposta procedura di liquidazione controllata[17].
4 . Gli sviluppi del procedimento di apertura della liquidazione controllata nella fattispecie oggetto delle previsioni dell’art. 271 CCII
La soluzione che, come si è detto, l’art. 271 CCII ha offerto al problema del concorso di procedure in piena consonanza con le prescrizioni generali del precedente art. 7 e, dunque, nel segno della priorità, rispetto alla liquidazione controllata, delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento a carattere non liquidatorio (leggi, si ribadisce: concordato minore e ristrutturazione dei debiti del consumatore), si compendia tutta nel precetto di apertura del relativo comma 2, dove è espressamente sancito: a) per un verso, che la liquidazione controllata non possa essere dichiarata aperta in pendenza del termine assegnato al debitore ai sensi di quanto previsto dal precedente comma 1; b) e, per altro verso, che la relativa domanda debba essere dichiarata improcedibile allorché si sia disposta l’apertura «di una procedura ai sensi del capo III del titolo IV» ovverosia, rettificando il patente refuso di cui è affetto questo riferimento[18], di una delle procedure di sovraindebitamento a carattere non liquidatorio di cui al capo II dello stesso Titolo IV.
Il legislatore si è altresì preoccupato, a livello del secondo periodo di cui al medesimo art. 271, comma 2, CCII, di delineare le ipotesi in cui il giudizio di apertura della liquidazione, temporaneamente bloccato dalla richiesta di accesso a una procedura alternativa di sovraindebitamento, potrebbe riprendere il proprio cammino per sfociare nella pronuncia della sentenza di cui al precedente art. 270 CCII, facendo riferimento, in tal senso: aa) al caso in cui, alla scadenza del termine all’uopo concesso, la domanda di accesso alla procedura alternativa non sia stata ancora presentata o, se si preferisce, debitamente integrata (retro, § 3); bb) a quello in cui, alla domanda tempestivamente proposta o integrata, non faccia séguito il provvedimento di ammissione alla procedura alternativa richiesta; cc) e, infine, a tutte le ipotesi in cui detta procedura, una volta dichiarata aperta, debba poi concludersi senza essere andata a buon fine. Ma agevole è rendersi conto di come la legge poco o punto venga ad aggiungere, a questo proposito, a quanto sarebbe stato argomentabile su base meramente ermeneutica, sulla scorta, per l’esattezza, di una piana lettura a contrariis verbis delle disposizioni di cui al primo periodo di detto art. 271, comma 2, ovviamente sviluppata, tale lettura, nel solco del principio di priorità della trattazione delle procedure non liquidatorie di cui al ripetutamente menzionato art. 7 CCII.
Questa complessiva regolamentazione va poi meglio puntualizzata sotto almeno due distinti profili. Il primo inerisce a quella declaratoria di improcedibilità della domanda di liquidazione controllata che, a mente di quanto stabilito nel periodo di esordio dell’art. 271, comma 2, deve conseguire all’intervenuta apertura di una differente procedura da sovraindebitamento. Ebbene, a tale declaratoria non può attribuirsi il significato, che pure la formula di legge parrebbe accreditare, di autentica pronuncia di absolutio ab instantia, bensì quello di mero provvedimento di sospensione o arresto temporaneo del procedimento. Ed invero, se nella specie dovesse realmente trattarsi della definizione in rito del procedimento e non della sua semplice sospensione, necessaria sarebbe allora la riproposizione ex novo della domanda di liquidazione controllata affinché il giudice, intervenuta per qualsivoglia ragione la cessazione della procedura alternativa che la suddetta declaratoria di improcedibilità avesse provocato, possa provvedere, come recita l’art. 271 CCII, «ai sensi dell’art. 270, commi 1 e 2», ossia, appunto, all’apertura della procedura liquidatoria cui non s’era potuto in precedenza addivenire[19]. Ma della necessità di riproposizione di quella domanda, la legge non parla affatto. E nel senso che tale riproposizione non sia effettivamente richiesta ai fini de quibus, depone, ad avviso di chi scrive risolutivamente, la considerazione che, come circostanza idonea a legittimare il giudice a riprendere e a portare a termine il giudizio introduttivo della liquidazione controllata, la legge parifichi in toto, all’eventualità di sopravvenuta cessazione della procedura “negoziale” alternativa, quella della sua mancata apertura, dove, non essendovi motivo per una declaratoria di improcedibilità della domanda di liquidazione, neppure può esservi motivo per una reiterazione della medesima.
Il secondo profilo che merita una puntualizzazione attiene a ciò, che, nel silenzio serbato sul punto dalla lex specialis, la regola generale, ex art. 7 CCII, di prevalenza delle soluzioni non liquidatorie della crisi appare qui emendata dalle condizioni, ivi poste, dell’espressa indicazione nel piano della convenienza, per i creditori, di quella soluzione e della non manifesta inammissibilità o infondatezza della correlata domanda[20]. Per quanto concerne quest’ultima condizione, difficile riesce pensare che quella logica di prevenzione e neutralizzazione degli abusi dello strumento concordatario o non liquidatorio in cui essa, palesemente, si inscrive, possa essere avvertita, nel campo delle procedure minori, con minore intensità rispetto a quanto non sia a dirsi nel campo delle procedure tradizionali[21]. Mentre, trascorrendo al distinto requisito dell’espressa indicazione, nel piano, della convenienza della soluzione non liquidatoria, l’illazione poc’anzi formulata si mostra dotata di maggiore fondamento[22] e trova, almeno in parte qua, riscontro nelle parole della Relazione illustrativa del Codice, ove si legge che il presente art. 271 avrebbe introdotto una «variante semplificatoria» alla disciplina del processo unitario per il caso di concorso di procedure[23]. 
5 . I margini di applicazione extratestuale dell’art. 271 CCII
È di intuitiva evidenza come quello descritto all’interno del comma 1 dell’art. 271 CCII non rappresenti un tragitto obbligato, per il soggetto sovraindebitato che intenda sfuggire alla liquidazione concorsuale del suo patrimonio, trattandosi di meccanismo volto semplicemente a metterlo al riparo dal rischio di incorrere in detta liquidazione per non aver potuto disporre del tempo necessario a predisporre la domanda di accesso a una procedura alternativa. Si comprende perfettamente, allora, che, dove non abbia, per qualsivoglia ragione, a paventare quel rischio ancorché convenuto in giudizio per l’instaurazione nei suoi confronti della procedura liquidatoria, esso debitore ben possa disporsi alla proposizione di quella domanda, se così si vuol dire, omisso medio, ossia, appunto, senza bisogno della previa richiesta e concessione di un apposito spatium temporis nel corso del quale la liquidazione non possa essere aperta.
La scelta del debitore istante per una procedura alternativa alla liquidazione di non avvalersi del termine largitogli a quel fine dal comma 1 dell’art. 271 CCII non può essere, peraltro, d’impedimento all’applicazione, nella fattispecie, della disciplina di cui al secondo comma dello stesso articolo, ovviamente emendata, nel caso, dei riferimenti al termine di cui al precedente comma 1 e, in corrispondenza del primo di quei riferimenti, opportunamente rimodulata nel senso che il divieto, ivi sancito, di apertura della liquidazione controllata in pendenza di detto termine debba essere letto come divieto di apertura della liquidazione in pendenza della richiesta di accesso alla procedura non liquidatoria – concordato minore o ristrutturazione dei debiti del consumatore – nell’occasione prescelta e, dunque, sin tanto che quella richiesta non sia stata negativamente vagliata .
Ai fini della realizzazione di questo coordinamento decisorio, non sembra potersi prescindere, giusta quanto disposto in via generale dall’art. 7, comma 1, CCII, da una previa delibera giudiziale di riunione dei procedimenti rispettivamente innescati dalla suddetta richiesta e dalla precedente domanda di apertura della liquidazione: problema che non ha, viceversa, motivo di porsi nel caso direttamente regolato dall’art. 271, comma 1, dovendosi intendere quella presentata a séguito dell’assegnazione del termine ivi contemplato come domanda proposta in via incidentale al procedimento introdotto dalla domanda di liquidazione controllata[24]. 
Alla confluenza delle diverse domande entro l’alveo di un simultaneus processus che ne consenta il coordinamento delle decisioni nei termini voluti dalla legge, non può certo essere d’ostacolo, poi, la previsione di una diversa composizione del tribunale, collegiale o monocratica, per l’esattezza, a seconda si tratti, rispettivamente, di liquidazione controllata ovvero di concordato minore o ristrutturazione dei debiti del consumatore[25]: basti, in proposito, il riferimento alla regola generale dell’art. 281-novies c.p.c., che alla soggezione di più cause connesse alla decisione del tribunale in differente composizione, esclude potersi guardare come a fattore impeditivo della riunione delle medesime, nel sistema del processo ordinario di cognizione. In ottemperanza a quest’ultima norma, è poi da osservare che, una volta attuata la riunione delle diverse domande di sovraindebitamento nella circostanza proposte, il procedimento avrà inevitabilmente a sfociare in una pronuncia del giudice collegiale[26].
6 . La proposizione della domanda di liquidazione controllata in pendenza della richiesta d’accesso, avanzata dal debitore, a una procedura alternativa alla liquidazione (art. 270, com-ma 1, CCII)
Nel definire i temi del giudizio prodromico alla dichiarazione di apertura della liquidazione controllata, l’art. 270, comma 1, CCII stabilisce che l’autorità giudiziaria sia tenuta, innanzitutto, ad accertare l’assenza di concorrenti domande di accesso a taluna delle procedure di cui al Titolo IV del Codice, ossia le più volte richiamate figure, della ristrutturazione dei debiti del consumatore e del concordato minore, di cui alla Sezione II, Capo II, dello stesso Titolo[27]. Se ne desume pianamente che, nell’ipotesi di acclarata pendenza di una di quelle domande, inevitabile sarà far luogo – a séguito, presumibilmente ma non esclusivamente, di apposita eccezione del debitore – alla riunione dei susseguenti procedimenti, in modo da assicurarne il coordinamento decisorio e la prevalenza, ove praticabile, della soluzione non liquidatoria della crisi, in consonanza con il principio generale dell’art. 7 CCII, di cui, come già rilevato (retro, § 2), la disposizione rammentata in esordio di paragrafo rappresenta, al pari del successivo art. 271, diretta emanazione.
Questo si afferma con riguardo all’ipotesi che la domanda di liquidazione sia stata proposta innanzi allo stesso tribunale presso il quale il debitore avesse radicato la sua istanza di accesso a una procedura alternativa. Risvolti senz’altro più problematici presenta l’opposta eventualità di investitura, a quel fine, di un tribunale diverso: ma poiché il problema non dissimilmente s’atteggia allorché sia la domanda di liquidazione controllata a risultare proposta per prima, preferibile è dedicarvi una separata trattazione, per la quale si rinvia all’immediatamente successivo par. 7.
7 . Concorso di procedure e conflitti di competenza
Quid iuris nell’ipotesi in cui, al concorso di procedure, come descritto in queste pagine, si abbini una situazione di conflitto di competenza, quale, per la precisione, ravvisabile allorché le contrapposte istanze di composizione della crisi da sovraindebitamento in via, rispettivamente, liquidatoria e non liquidatoria siano state proposte al cospetto di differenti tribunali? 
Poiché il rapporto tra quelle procedure, rectius, tra le istanze ad esse prodromiche, non può dispiegarsi in termini sostanzialmente difformi da quello intercorrente tra la domanda di fallimento e quella di ammissione al concordato preventivo, il problema, a rigore, neppure dovrebbe venire in essere, almeno a voler recuperare sul terreno del sovraindebitamento l’insegnamento impartito dalla Suprema Corte sul versante delle procedure maggiori di cui appena s’è detto. Muovendo dal presupposto secondo cui «tra la domanda di concordato preventivo e l'istanza o la richiesta di fallimento ricorre, in quanto iniziative tra loro incompatibili e dirette a regolare la stessa situazione di crisi, un rapporto di continenza»[28], il giudice di legittimità è recentemente pervenuto ad affermare che «è onere del debitore che conosce della pendenza dell'istruttoria prefallimentare, anteriormente introdotta, proporre la domanda di concordato preventivo dinanzi al tribunale investito dell'istanza di fallimento, anche quando lo ritenga incompetente, affinché i due procedimenti confluiscano dinanzi al medesimo tribunale, e senza che una siffatta condotta determini acquiescenza ad una eventuale violazione dell'art. 9 L. fall.»[29]. Ne discende allora, per ciò che qui direttamente interessa – e a tacere, per ragioni, ancora una volta, di economia della trattazione, delle perplessità che quella complessiva impostazione ricostruttiva certo può suscitare[30] -, che il debitore convenuto in giudizio per l’apertura nei suoi confronti della liquidazione controllata sia tenuto, ove intenzionato ad accedere a una procedura alternativa, a spiegare la relativa domanda innanzi al tribunale già adito, ancorché convinto della sua incompetenza e della competenza di altro giudice; come identicamente, ed anzi a più forte ragione, dovrebbe agire la parte che voglia promuovere la liquidazione controllata allorché edotta della pendenza della domanda proposta dal debitore per una sistemazione non liquidatoria del suo stato di crisi.
 Ben potrebbe accadere, tuttavia, che la parte “prevenuta” nella sua iniziativa diretta alla composizione della crisi da sovraindebitamento ignori l’iniziativa che altri abbia dianzi intrapreso a quel fine davanti a un diverso giudice; come, pur essendone tempestivamente informata, ignori o consapevolmente disattenda il postulato giurisprudenziale della necessità, nella fattispecie, di rivolgersi al giudice previamente adito, ancorché reputato incompetente. Ma se questo vale a dare un concreto rilievo al problema che si è affacciato in apertura di paragrafo, resta ferma la possibilità di far capo anche a questo proposito all’elaborazione della Suprema Corte in punto di rapporti tra confliggenti istanze di fallimento e concordato preventivo: per l’esattezza, a quell’ulteriore principio enunciato dalla suddetta Cass. n. 4343/2020[31], per cui, «allorquando l’istanza di fallimento sia stata depositata dinanzi ad un ufficio giudiziario diverso da quello innanzi al quale sia già pendente una domanda di concordato preventivo, l’obiettivo della gestione coordinata dei due procedimenti può essere conseguito sollecitando il tribunale successivamente adito all’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 39, comma 2, c.p.c., che in ogni caso, in ossequio ai principi generali, e vieppiù nell’ottica di garantire preferibilmente la soluzione negoziale della crisi, debbono essere adottati anche d’ufficio».
Anche per le confliggenti istanze di composizione della crisi da sovraindebitamento che siano state svolte davanti a differenti giudici vale quella stessa esigenza di gestione coordinata che valga a garantire, per quanto possibile, la soluzione negoziale o non liquidatoria della crisi. E poiché non v’è motivo di negare che il rapporto tra quelle istanze si inquadri entro lo schema della continenza di cause, laddove si ritenga che questo schema si attagli a fotografare il rapporto tra le domande di fallimento e concordato preventivo[32], allora è giocoforza ammettere che anche qui l’obbiettivo del coordinamento decisorio vada perseguito lungo i binari tracciati dall’art. 39, comma 2, c.p.c., per le domande avvinte da un nesso di continenza, e, cioè, mediante la rimessione della domanda successivamente proposta innanzi al giudice preventivamente adito, in vista della riunione dell’annesso procedimento con quello ivi già radicato[33]: ferma restando, in capo a tale giudice, la facoltà – da esercitarsi tanto a monte della prevista riunione quanto a valle della medesima e tanto a séguito di eccezione di parte come ex officio – di procedere a un’autonoma valutazione della propria competenza su quei procedimenti, così da doverli rinviare al secondo (come ad altro) giudice in caso di esito negativo di quella valutazione[34].

Note:

[1] 
Questo non significa che, ove detti strumenti siano tutti concentrati nelle mani di uno stesso soggetto, questi non li possa congiuntamente attivare: nel qual caso, però, non si potrà parlare di istanze contrapposte, secondo quanto meglio si vedrà alla prossima nota 2.
[2] 
Come lo è, in fondo, nell’ipotesi in cui sia il debitore a parimenti proporre le antitetiche istanze di accesso alla liquidazione del patrimonio e agli accordi di composizione della crisi ovvero al piano del consumatore: giacché, ove provenienti dallo stesso soggetto, queste istanze, come detto in precedenza, non si pongono tra loro in conflitto, bensì risultano necessariamente avanzate in via graduata, secondo il modello del cumulo condizionale di domande, sicché è la stessa parte attrice a risolvere il problema del concorso delle procedure, dettando al giudice l’ordine di esame delle corrispondenti istanze d’accesso. Sull’ammissibilità nella fattispecie, del cumulo condizionale di domande – nei termini, ça va sans dire, della subordinazione della domanda di apertura della liquidazione al rigetto di quella volta alla sistemazione in via lato sensu negoziale della crisi – cfr., per ogni altro, F. Michelotti, Osservazioni in tema di procedure di sovraindebitamento di cui alla L. n. 3/2012 e succ. mod. e integr., in Il Fall., 2015, p. 1232. 
[3] 
V. pure D. Benincasa, Le procedure in caso di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 2, 1° comma lett. c), contributo al seminario di studî Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di Bonfante, in Giur. it., 2019, p. 2045.
[4] 
Sia pure entro un perimetro definito secondo coordinate oggettive e/o soggettive più rigorose rispetto a quelle in base alle quali si determina il distinto perimetro del potere d’iniziativa accordato al debitore, al punto da doversi, in realtà, parlare di legittimazioni soltanto parzialmente concorrenti (senza, peraltro, minimamente intaccare il fondamento delle considerazioni che si stanno svolgendo nel testo). Si allude chiaramente, con ciò, alle modifiche apportate all’art. 268, comma 2, del Codice dal D.L. 26 ottobre 2020, n. 147 (c.d. decreto correttivo), che il potere d’iniziativa di creditori e Pubblico Ministero ha delimitato in corrispondenza alle sole ipotesi in cui il debitore versi in stato di insolvenza e non anche di mera crisi; senza dimenticare, poi, quell’ulteriore delimitazione, peraltro risalente al dettato originario del Codice, per cui, ai fini dell’attivazione del P.M, sarebbe altresì necessario che il debitore insolvente rivesta la qualità di imprenditore.
[5] 
Su questo principio e sulla sua indubbia vigenza anche nella più specifica orbita delle procedure su cui verte il presente scritto, v., da ultimo, C. Trentini, Le procedure da sovraindebitamento, Milano, 2021, p. 76 ss., spec. 84 s.
[6] 
Il che, però, conduce de plano alla differente categoria del concorso di norme, come tipicamente designante il fenomeno della sussumibilità di una medesima fattispecie entro l’area applicativa di più norme, delle quali, però, rimane da escludere la cumulabilità dei rispettivi effetti: quanto, appunto, è ravvisabile nel caso in esame, dove registriamo la riconducibilità di quella medesima situazione di fatto data dallo stato di crisi o insolvenza di un debitore rispondente a determinate caratteristiche soggettive, a più e distinti plessi normativi, ciascuno raccordante a quella fattispecie la possibilità di innescare una differente procedura la cui attivazione in concreto esclude, però, quella della altre procedure astrattamente concorrenti.
[7] 
Sulle nozioni di concorso d’azioni e concorso di diritti e su quella, richiamata alla prec. nota 6, del concorso di norme, si rinvia, nella più recente letteratura, all’ampio e approfondito excursus – peraltro orientato nel senso della dimostrazione della sostanziale inutilità delle medesime, quantomeno ai fini della soluzione delle problematiche, qui direttamente non implicate, attinenti all’identificazione dell’oggetto decisorio del processo di cognizione – di A. Chizzini, La tutela giurisdizionale dei diritti. Art. 2907, in Il Codice Civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger e diretto da F. D. Busnelli, Milano, 2018, p. 553 ss.
[8] 
Nel ridotto settore in cui può esservi sovrapposizione delle rispettive aree applicative (leggi: impresa agricola), il problema potrebbe porsi anche nei termini del concorso tra liquidazione controllata e richiesta di omologa degli accordi di ristrutturazione ex art. 57 CCII (F. Accettella, La liquidazione controllata del sovraindebitato: un primo commento, in Nuove leggi civ. comm., 2020, p. 675). Ma le soluzioni approntate dal legislatore per risolvere il concorso tra più procedure da sovraindebitamento dovrebbero identicamente valere pure in quella particolare fattispecie (cfr. F. Accettella, op. cit., p. 675 s.) – come, a ben vedere, attestato anche dal generico riferimento, contenuto in una delle norme regolatrici del concorso in parola, quale l’art. 270, comma 1, CCII, alle «procedure di cui al Titolo IV» dello stesso Codice, tra le quali, all’evidenza, pure i suddetti accordi di ristrutturazione ricadono -, sì da non doverci più preoccupare di darne ogni volta distinta menzione.
[9] 
Sul significato del riferimento al Titolo IV in generale, v. alla prec. nota 8.
[10] 
In questi termini v. anche S. De Matteis, La liquidazione controllata nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, in Dir. fall. e soc. comm., 2021, I, p. 361; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2021, p. 372; F. Accettella, op. cit., p. 678 s.; nonché G. B. Nardecchia, Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: disciplina, novità, problemi applicativi, Molfetta, 2019, p. 216; e, con riguardo limitato all’art. 271, C. Cecchella, Il diritto della crisi dell’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2020, p. 497; A. Crivelli, Principali aspetti processuali nel procedimento di apertura della liquidazione controllata, in Il Fall., 2021, p. 895 s.
[11] 
Se non, al più, per le deroghe che la disciplina che s’intende ora sottoporre ad esame sembra apportare, omettendone la reiterazione, ai precetti di cui all’ult. parte dello stesso art. 7, comma 2: v. infra, § 4.
[12] 
D. Benincasa, loc. cit.; F. Accettella, op. cit., p. 676 s.
[13] 
Lo riconosce espressamente F. Accettella, op. cit., p. 676; e v. pure F. Lamanna, Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (IV), in Officina del Diritto. Il Civilista, 2019, p. 58, che precisa come la concessione del termine debba considerarsi vincolata e non suscettibile di diniego salvo il caso di abuso della facoltà di instare al riguardo. 
[14] 
F. Cesare, Liquidazione controllata, in www.ilfallimentarista.it, 22 maggio 2020, p. 5; S. De Matteis, loc. cit.; A. Crivelli, op. cit., p. 895.
[15] 
A. Crivelli, loc. ult. cit.
[16] 
Se non per i profili di cui alla prec. nota 11
[17] 
Il che, chiaramente, impone di guardare a quella in discorso come a domanda “in bianco” del tutto sui generis, priva della più larga parte degli effetti che ad essa domanda comunemente si riannodano e svincolata dai pur ridotti oneri di produzione documentale che comunque, di norma, vi afferiscono.
[18] 
Il capo III del Titolo IV del CCII ha infatti ad oggetto il concordato preventivo. E per quanto non possa astrattamente escludersi che un’istanza di ammissione ad esso concordato possa essere avanzata anche dal debitore di cui sia stato richiesto l’assoggettamento a liquidazione controllata, è però, e ovviamente, da escludere, stante la reciproca alterità dei rispettivi àmbiti di applicazione, ovverosia la loro inerenza a differenti tipologie di soggetti, che il conflitto tra tali procedure possa essere regolato sulla base del criterio adottato dall’art. 271, il quale, fondato com’è su elementi estrinseci rispetto ai presupposti applicativi delle procedure in gioco, postula la coincidenza e sovrapponibilità di quei presupposti medesimi (cfr. F. Accettella, op. cit., pp. 674 s. e 677); di disciplina distonica, che richiederebbe un intervento chiarificatore del legislatore – visto che un identico, e improvvido, richiamo slle «procedure di cui al Capo III del Titolo IV» si ritrova pure all’interno del secondo periodo dell’art. 271, comma 2 -, parla comunque A. Napolitano, La liquidazione controllata del sovraindebitato e l’esdebitazione, in Aa. Vv., Il nuovo sovraindebitamento dopo il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2019, p. 254 s. 
[19] 
Così, infatti, A. Crivelli, op. cit., p. 896.
[20] 
F. Accettella, op. cit., p. 679.
[21] 
Nel senso che la condizione di cui si sta discorrendo debba essere osservata anche in difetto di un esplicito richiamo di legge, v. pure F. Lamanna, Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (IV), in Officina del Diritto. Il Civilista, 2019, p. 58.
[22] 
V. pure F. Lamanna, loc. cit.
[23] 
Cfr. F. Accettella, loc. ult. cit.
[24] 
Contra, almeno là dove è affermato che anche in tal caso occorre far luogo alla riunione dei procedimenti, F. Lamanna, loc. cit.
[25] 
Rileva, nella circostanza appena rimarcata nel testo, un elemento di criticità della disciplina normativa in rassegna, F. Cesare, loc. cit.
[26] 
Cfr. S. De Matteis, loc. cit. 
[27] 
La verifica, come già annotato en passant (supra, nt. 8), può avere ad oggetto anche l’eventuale presenza di una richiesta di omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 ss. CCII. 
[28] 
L’enunciato è testualmente ripreso dalle note pronunce delle Sezioni unite, 15 maggio 2015, nn. 9935 e 9936, in Il Fall., 2015, p. 890, commentate da F. De Santis, Principio di prevenzione ed abuso della domanda di concordato: molte conferme e qualche novità dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, e I. Pagni, I rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dell’istruttoria fallimentare dopo le Sezioni unite del maggio 2015; e può vedersi ribadito nelle successive Cass., 15 luglio 2016, n. 14518; e Cass., 31 maggio 2019, n. 15094.
[29] 
Cass., 20 febbraio 2020, n. 4343, in Il Fall., 2020, p. 1413, con nota di L. Baccaglini, La pregiudizialità della competenza nel conflitto tra concordato preventivo e istruttoria prefallimentare.
[30] 
E per una cui incisiva illustrazione si rinvia a  L. Baccaglini, op. cit., spec. p. 1421 ss.
[31] 
Ma v. già anche la precedente e già menzionata Cass. n. 14518/2016.
[32] 
Nel senso che, se sufficiente a legittimare il ricorso a quello schema, come recitano le Sezioni unite, è la considerazione che le domande di fallimento e concordato sarebbero «tra loro incompatibili e dirette a regolare la stessa situazione di crisi», questi elementi si rinvengono par pari anche nel rapporto tra le procedure da sovraindebitamento del cui concorso qui si discute. Che poi quegli elementi siano effettivamente sufficienti a mobilitare il concetto e la disciplina della continenza di cause, questo è, all’evidenza, tutt’altro discorso, che, in questa sede, non può neppure essere principiato, sì da doversi ancora una volta rinviare, anche per una visione d’insieme sulla dottrina pronunciatasi in argomento, a  L. Baccaglini, op. cit., p. 1419 ss. 
[33] 
Sulla possibilità di attuare tale coordinamento senza bisogno della previa rifusione ad unum dei procedimenti, v. peraltro C. Trentini, op. cit., p. 78.
[34] 
Come lascia chiaramente intendere, nell’orbita delle procedure maggiori, la cit. Cass. n. 4343/2020, là dove afferma che la scelta del debitore di rivolgere la propria istanza di ammissione al concordato preventivo allo stesso giudice preventivamente investito della domanda di fallimento non può determinare acquiescenza alla violazione dell’art. 9 l. fall. che sia stata, del caso, perpetrata all’atto della proposizione di quella domanda. 

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