Come si è detto nei paragrafi precedenti, il procedimento unitario (che a questo punto continueremo a chiamare così solo per convenzione tassonomica) contempla almeno due distinti percorsi processuali, a seconda che si voglia ottenere l'omologazione di un patto o l'apertura del concorso giudiziale.
Sebbene l’art. 7 contempli un vero e proprio ordine processuale delle diverse domande confluenti nel procedimento, prevedendo, al comma 2, che vadano scrutinate prioritariamente quelle volte ad individuare una soluzione concordata della crisi, e solo successivamente quelle che approdano alla liquidazione (giudiziale o controllata), nel procedimento unitario si parte dalla disciplina del primo grado del giudizio volto all'apertura della liquidazione giudiziale.
Ciò è coerente con l’impianto complessivo del Codice, nel quale la liquidazione giudiziale, seppure disegnata quale esito ultimo e non altrimenti evitabile della crisi o dell’insolvenza, resta il paradigma di riferimento sol che si noti come vi sono disposizioni in tema di concordato preventivo che rinviano a quelle, successive, della liquidazione giudiziale: l’art. 96 CCII contiene, difatti, un rinvio agli artt. 150-162, che recano le norme in tema di effetti della liquidazione giudiziale sui creditori[27].
Il procedimento, contemplato dall’art. 41, può essere agevolmente analizzato, poiché modellato sul riuscito impianto dell’art. 15 L. fall., rispetto al quale introduce comunque talune “migliorie”.
E così, entro 45 giorni dal deposito del ricorso[28], il tribunale, con decreto, convoca le parti ad un’udienza che deve celebrarsi non prima di quindici giorni dalla data della notifica.
L’ultimo comma dell’art. 41 dispone che il collegio può delegare al giudice relatore l'audizione delle parti, ed in generale l'ammissione e l'espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio. In realtà la delega può avere ad oggetto anche la fissazione della prima udienza, poiché il comma 3 prevede che i termini di cui ai commi 1 e 2 (termine di convocazione delle parti e termine minimo tra la notifica del decreto e l’udienza) possono essere abbreviati dal presidente del tribunale o dal giudice relatore da lui delegato.
Pertanto, a seconda delle scelte organizzative che intenderanno seguire i vari uffici, a seguito del ricorso potrebbero aversi: a) un decreto collegiale di fissazione dell’udienza e di delega dell’istruttoria; b) un decreto di delega alla fissazione dell’udienza ed alla conduzione dell’istruttoria; c) un decreto di fissazione dell’udienza, senza delega alcuna (ipotesi, quest’ultima, invero piuttosto improbabile).
Fino a sette giorni prima dell’udienza (anche questo termine può essere ridotto) possono essere presentate memorie[29], e fino a quando la causa non viene rimessa al collegio per la decisione è ammissibile l’intervento dei terzi.
L’art. 43 prescrive che in caso di rinuncia alla domanda il procedimento si estingue, riconoscendo ad eventuali intervenuti (ivi incluso il pubblico ministero) la facoltà di insistere per la sola apertura della liquidazione giudiziale. La precisazione ci sembra opportuna poiché l’originaria stesura dello Schema del D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, prevedendo genericamente che gli intervenuti potessero, in caso di rinuncia alla domanda, chiedere comunque di proseguire il giudizio, senza alcuna specificazione al riguardo, si prestava alla lettura interpretativa (a nostro avviso comunque non percorribile, ma in ogni caso non sbarrata dal sintagma normativo) per cui chi avesse presentato una proposta concorrente di concordato potesse portarla avanti anche in presenza della rinuncia del debitore alla propria proposta[30].
Sulla rinuncia si pronuncia il tribunale con decreto (che il cancelliere comunica immediatamente al registro delle imprese se la domanda rinunciata è stata a sua volta iscritta), con il quale può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese.
Compiuta l’istruttoria, ai sensi dell'art. 50 CCII, se il Tribunale respinge la domanda di apertura della liquidazione giudiziale si pronuncia con decreto (comunicato alle parti ed iscritto ed iscritto nel registro delle imprese a cura del cancelliere, se è stata iscritta la relativa domanda), il quale può essere reclamato davanti alla corte d'appello, nel termine di trenta giorni. Si apre così il giudizio di gravame, soggetto alla disciplina del rito camerale, per espressa previsione del comma 2, il quale prevede che si applicano le disposizioni di cui agli artt. 737 e 738 c.p.c.
Se invece la domanda di apertura della liquidazione giudiziale è accolta, il tribunale si pronuncia con sentenza, a norma dell’art. 49 CCII, reclamabile davanti alla corte d’appello nel termine di trenta giorni, a norma dell’art. 51 CCII.
A proposito dell’apertura della liquidazione giudiziale, va sottolineato che, a differenza di quanto previsto dalla legge fallimentare, nel codice della crisi essa può essere dichiarata anche dalla corte d’appello adita in sede di reclamo avverso il decreto di rigetto. Infatti, se la corte di appello accoglie il reclamo, pronuncia essa stessa sentenza con la quale dichiara aperta la liquidazione giudiziale e rimette gli atti al tribunale per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 49, comma 3 (e quindi: nomina del giudice delegato, nomina del curatore ed eventualmente degli esperti, fissazione dell’udienza di verifica dello stato passivo, etc.).
La dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale ad opera della corte d’appello costituisce, all’evidenza, una novità, atteso che, nel regime dell’art. 22 L. fall., la corte d'appello che accogliesse il reclamo avverso il rigetto dell’istanza di fallimento rimetteva le parti dinanzi al tribunale, anche per la dichiarazione di fallimento, con un provvedimento non definitivo ma ordinatorio, in quanto produttivo di effetti interinali meramente processuali, che si inseriva in un procedimento complesso il cui momento conclusivo era rappresentato dalla sentenza di apertura di fallimento[31].
Per effetto della riforma, invece, la corte d’appello non solo viene investita dello scrutinio della legittimità del decreto di rigetto della domanda di apertura della liquidazione giudiziale, ma assume anche un potere sostitutivo avente ad oggetto la verifica dei presupposti per l’apertura stessa della liquidazione giudiziale. Ad un momento rescindente segue, dunque, secondo l’impostazione del Codice, un momento rescissorio, il che è proprio del carattere devolutivo dell’appello, per come lo conosciamo nel giudizio ordinario di cognizione.
Nel ridisegnato assetto, non si ha dunque un superamento del sistema duale che fino al 14 luglio 2022 era previsto dall'articolo 22 L. fall.[32], quanto piuttosto una sua diversa declinazione, che si sostanzia in un rovesciato rapporto tra provvedimento del tribunale e provvedimento della corte d’appello; invero, è la decisione di quest'ultima ad assumere carattere definitorio, e quindi attitudine a costituire cosa giudicata, laddove il provvedimento del tribunale ha un carattere meramente processuale, in funzione della futura gestione della liquidazione giudiziale, con l'ulteriore conseguenza che è preclusa al tribunale ogni valutazione di merito, anche in relazione a fatti sopravvenuti[33].
Sotto il regime del Codice, si avrà, in definitiva, una sentenza dichiarativa dell’apertura della liquidazione giudiziale: che la corte d’appello trasmette al tribunale; che, verosimilmente, entrerà nel fascicolo del procedimento unitario che si era chiuso con il decreto di rigetto (procedimento che quindi verrà riaperto); che investirà il medesimo collegio (non vi sono, infatti, incompatibilità, atteso che il tribunale non è chiamato a rivedere la propria posizione) il quale, preso atto della sentenza, pronuncerà un decreto (atteso che v’è già la sentenza della corte d’appello) con cui nominerà il curatore e provvederà a dettare le disposizioni conseguenti alla sentenza di apertura della liquidazione giudiziale[34].