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Efficienza e mercato: i tempi della giustizia - Ovvero, La importanza del tempo nella disciplina della crisi d’impresa*

Stefania Pacchi, Ordinario di Diritto Commerciale - Catedra de Excelencia UC3M-Banco Santander Università Carlos III de Madrid

8 Febbraio 2024

*Lo scritto riprende i contenuti della relazione tenuta dall’A. al 30° convegno annuale dell’Associazione Albese Studi di Diritto Commerciale, dal titolo Crisi, imprenditori e responsabilità: il codice della crisi tra vecchi e nuovi problemi” (Alba, 24 e 25 novembre 2023).
L’A. indaga sull’incidenza del fattore tempo nell’approccio efficiente alle crisi d’impresa.
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1 . Premessa
Desiderio di matrice costituzionale dell’amministrazione della giustizia è che essa sia tempestiva e spedita. 
“La giustizia è un fattore economico. Dal suo andamento dipendono le sorti dei mercati. Essa stessa deve essere soppesata con gli stessi parametri. Contano i numeri delle entrate e delle uscite. I numeri costituiscono le chiavi per verificare se la giustizia abbia conseguito profitto, perché il suo profitto è fondamentale per il benessere commerciale”[1]
Il tempo della giustizia ha una ricaduta sulle imprese. Studi empirici dimostrano che una giustizia rapida e di qualità stimola la concorrenza, poiché accresce la disponibilità e riduce il costo del credito, oltre a promuovere le relazioni contrattuali con imprese ancora prive di una reputazione di affidabilità, tipicamente le più giovani. Consente, inoltre, un più rapido e meno costoso reimpiego delle risorse nell’economia, poiché accelera l’uscita dal mercato delle realtà non più produttive e la ristrutturazione di quelle in temporanea difficoltà. Da ultimo, incentiva gli investimenti, soprattutto in attività innovative e rischiose e quindi più difficili da tutelare; promuove la scelta di soluzioni organizzative più efficienti. 
Questo fenomeno è stato riscontrato anche negli studi dedicati a singoli paesi, analizzando le differenze territoriali esistenti all’interno di ogni Stato. In uno studio sull’Italia, gli autori, ad esempio, utilizzando dati su base provinciale, mostrano che nei distretti giudiziari più efficienti il razionamento del credito per le imprese è minore e il credito bancario è maggiore[2]
L’esistenza di una relazione tra efficienza della giustizia civile e buon funzionamento del sistema economico è, ormai, ampiamente riconosciuta sia dalla letteratura scientifica che dalle scelte degli operatori economici, tanto ciò è vero che, da una parte, gli indicatori di rischio-paese elaborati da Business International comprendono indici di efficienza della giustizia e, dall’altra la Banca Mondiale negli ultimi anni ha approvato progetti, per 430 milioni di dollari, per il miglioramento dei sistemi giudiziari nei paesi sottosviluppati o in via di sviluppo che si stanno aprendo all’economia di mercato. 
Per quanto riguarda il nostro Paese, - per il quale si è parlato di crisi endemica della giustizia civile[3] - è stato rilevato che una riduzione della durata dei procedimenti civili del 50 per cento potrebbe accrescere la dimensione media delle imprese manifatturiere italiane di circa il 10 per cento. 
Negli ultimi anni osserviamo, così, che l’interesse per il funzionamento dei sistemi giudiziari è cresciuto anche nell’ambito delle discussioni sulle politiche strutturali volte a sostenere la competitività del sistema economico e a migliorare il contesto in cui si svolge l’attività di impresa e, conseguentemente, si sono moltiplicate le analisi economiche del sistema giudiziario, e contemporaneamente è sorto un forte impegno nella costruzione di fonti statistiche più complete per la valutazione comparata della performance delle varie giurisdizioni[4].
2 . Il problema del "timing"
Passando al tema che ci riguarda – quello dei tempi della giustizia nell’ambito delle crisi d’impresa - numerosi studi forniscono evidenza del fatto che i sistemi più efficienti di enforcement per l’adempimento coattivo (nel quale rientra il concorsuale) delle obbligazioni (in termini di tempo, costo e percentuale di realizzo dei crediti nelle procedure fallimentari) favoriscono lo sviluppo dei mercati del credito[5] che giuoca un ruolo, spesso essenziale, nella composizione di una crisi. 
Il tempo, quindi, governa, sotto vari aspetti, non solo la nascita e la gestione dell’impresa ma anche la fase della sua crisi[6]. Di questa costituisce il fattore più critico. “Il tempo è prezioso. Una buona normativa concorsuale può consentire, in vari modi, di risparmiarlo o di dilatarlo (…)”[7]
Il tempo diventa una lente attraverso cui valutare la disciplina. “Per valutare pregi e difetti di una normativa (ma anche ordinare e classificare le regole che compongono il c.d. “diritto societario della crisi” e scegliere gli strumenti più adatti per risanare l’impresa) può dunque essere utile assumere come punto di osservazione il time”[8]
Si tratta di una preoccupazione globale[9]
Anche la Guida Legislativa delle Nazioni Unite raccomanda che “Le situazioni di insolvenza dovrebbero essere affrontate e risolte in modo ordinato, rapido ed efficiente al fine di evitare indebite interruzioni delle attività commerciali del debitore e di ridurre al minimo il costo della procedura.” Da questa frase risaltano i due aspetti “temporali” più rilevanti: quello dell’approccio tempestivo da una parte e quello dello svolgimento rapido. Entrambi si riflettono sull’impresa e sui creditori non solo per il risparmio di denaro che la rapidità (di approccio e di conduzione) determina ma anche per le possibilità di recupero di valori che rende possibile o, invece, preclude. 
Se la tempestiva decisione di affrontare la crisi dipende in larga misura dall’imprenditore vuoi per la diretta conoscenza dello stato dell’impresa, vuoi per la legittimazione che, per gli strumenti compositivi, lo vede quale unico soggetto legittimato ad “aprire” la strada (solo in conseguenza i creditori potranno presentare, se di concordato si tratta, una proposta concorrente), tuttavia non è da svalutare il ruolo dei creditori (in particolare delle banche) quali “pungolatori”. 
Anche dai creditori può dipendere – ove dismettano l’egoistico atteggiamento di utilitaristiche corse in solitario – la continuità di un’impresa. Se poi la situazione è già di insolvenza irreversibile, il tempestivo ricorso del creditore alla liquidazione giudiziale può determinare il conseguimento di maggiori utilità per tutti e, talvolta, la possibilità di sfruttare interinalmente l’azienda, ancora non completamente erosa. 
Quando l'ultima cosa che residua è il denaro, situazione tipica del fenomeno dell'insolvenza, il tempo può distruggere quel poco di valore che ancora rimane. L'espressione “il tempo è denaro”[10] trova il suo habitat nel mondo del commercio ed anche nella gestione delle disfunzioni di un business.
3 . “Fallire” ossia una decisione che non piace a nessuno
La fissazione del momento a partire dal quale è necessario intervenire guida la penna del legislatore nella selezione del presupposto oggettivo. La questione di cui stiamo parlando – sollevata da Jackson come un “problema di timing[11] – si riferisce specificamente al momento in cui il legislatore ritiene opportuno che avvenga l’apertura di una procedura concorsuale. 
Si tratta di una questione di politica legislativa che deve tenere conto non solo della concorrenza tra strumenti per il soddisfacimento del credito ma anche degli interessi che muovono le parti (debitore e creditori). Storicamente il diritto “fallimentare” è sorto per regolare i rapporti tra debitore, ormai incapace di far fronte regolarmente agli impegni assunti, e i creditori, ordinandoli secondo il criterio della par condicio. L’insolvenza manifesta – stato patologico e deprecabile in cui versava il debitore - costituiva lo spartiacque tra due differenti tipi di tutela processuale del credito. 
Tale inquadramento ha determinato il costume, sia del debitore che dei creditori, di rinviare ritardando il più possibile l’entrata nella procedura liquidativa che, per diverse decine di anni, ha costituito lo strumento centrale, accompagnato da due mezzi, inefficienti, per evitarlo (concordato preventivo e amministrazione controllata). 
Dato lo stigma dell'insolvenza, il debitore ha tentato ogni strada per evitare il fallimento, che solo sporadicamente diventava un’arma di minaccia da parte dei creditori per correggere il comportamento del debitore insolvente. 
Il fatto di anticipare l’ingresso nel concorso avrebbe avuto il vantaggio di evitare di prolungare l’agonia di un’azienda che, razionalmente (almeno dal punto di vista economico), deve uscire dal circuito affinché quel patrimonio produttivo, svincolato da quella destinazione, potesse essere attribuito a chi fosse capace di un utile reimpiego e di conseguenza un’impresa ancora vitale, grazie a quelle risorse liberate dall’anteriore gestione in perdita, potesse rimanere sul mercato. 
Nello stesso tempo avrebbe evitato, per un verso, che i creditori si trovassero con il "guscio vuoto" privato ​​di ogni valore e per l’altro che il curatore dovesse inseguire una serie di atti posti in essere dal debitore nella fase crepuscolare attraverso il complesso intreccio di azioni revocatorie, la cui previsione muove dall'idea che vi sia stato un ritardo nell'apertura del concorso. 
Il problema centrale del ritardo della procedura liquidativa è la grave insufficienza patrimoniale della massa attiva che colpisce i creditori posti al vertice della scala dei privilegi, e perfino gli stessi creditori della massa, senza contare la tradizionale sorte dei creditori chirografari[12]
Se il debitore, associando la procedura a un precipizio commerciale e reputazionale, tende “culturalmente” al ritardo, non da meno sono i creditori e gli stakeholder
Questi ultimi hanno le loro “ragioni” per rinviare l'ingresso del debitore in una procedura concorsuale liquidativa. La più evidente è la “ragione” dei soci che, dotati di un livello più elevato di informazioni sulla reale situazione finanziaria della società, potranno rischiare i propri beni sperando che - per un colpo di fortuna - il loro destino si possa ribaltare. Dal punto di vista finanziario, i soci sono titolari nei confronti della società di crediti non esigibili, per cui in caso di insolvenza molto probabilmente rimarranno a mani vuote. 
Come sottolinea Jackson[13], mettere a rischio il patrimonio del debitore non ha ripercussioni su di loro. I loro rischi possono, quindi, essere trasferiti direttamente ai creditori, generando un problema di azzardo morale. Di conseguenza, i soci cercheranno di ritardare l'apertura del concorso. 
I creditori – all’estremità opposta degli stakeholder – non sembrano trovarsi in una situazione radicalmente diversa. 
Per i creditori chirografari, l'apertura del fallimento normalmente implica un basso livello di recupero dei loro crediti, soprattutto se il patrimonio della società è gravato da garanzie reali o se sono presenti molti creditori con privilegio generale, come per forza di cose avviene nelle nostre procedure a causa della proliferazione dei privilegi. I creditori cercheranno di evitare l’apertura della liquidazione, sia per anticipare la riscossione individuale dei loro debiti, sia per avviare trattative extragiudiziali. 
I creditori privilegiati, da parte loro, non saranno interessati all'apertura del fallimento se ciò non pregiudica i loro diritti di preferenza. Non ottengono nulla da una tale procedura, se non renderne più complessa l'esecuzione. Viceversa, se le norme fallimentari alterano in un certo modo la loro preferenza, essi non saranno interessati all’apertura se la loro posizione peggiora, agendo in tal caso secondo la stessa logica dei creditori chirografari[14]
Procrastinare la soluzione concorsuale causa, però, - come la storia delle procedure concorsuali in Italia ci insegna - gravi inconvenienti. 
Il sistema deve risolvere le difficoltà causate dal sistema di recupero individuale da parte dei creditori quando la massa dei creditori è considerata come un gruppo[15]. In questo modo, la soluzione concorsuale è condizionata dalla prospettiva della "tragedy of the commons[16]: l’azione individuale e separata dei creditori non solo ripropone i costi della vigilanza, ma è anche inefficiente poiché ciascuno di essi agirà senza considerare gli interessi degli altri. In tal caso ciascun creditore perseguirà individualmente l’intento di ottenere una frazione di detto patrimonio, sufficiente al pagamento del proprio credito, provocando l’erosione del complesso aziendale. 
La soluzione collettiva si impone, allora, quando è evidente che ciascuno dei beni considerati separatamente avrà probabilmente un valore inferiore a quello del patrimonio nel suo complesso[17] e che i creditori potranno ottenere un migliore soddisfacimento rispetto a quanto conseguirebbero con l’esecuzione individuale[18]
Ciò ha determinato due forme di soluzione alla tardiva apertura del concorso, e, di conseguenza, alla necessità di chiuderlo per insufficienza di attivo: da un lato, la creazione di incentivi per il tempestivo avvio del concorso[19] e, dall’altro, una rielaborazione del presupposto oggettivo per anticipare il ricorso a uno strumento di soluzione della crisi.
4 . Le recenti soluzioni
Nel solco tracciato dalla legge delega n. 155/2017, il Codice della crisi ha posto al centro della disciplina la questione “tempo”. Se la tempestività costituisce il nucleo “forte” del pensiero del legislatore che, però, soltanto con la soluzione introdotta dal D.L. n. 118/2021, ha trovato con la composizione negoziata una elaborazione, meno coraggiosa, ma senza dubbio più condivisa, altri passi della disciplina si muovono nel solco dell’accelerare l’assunzione di decisioni e l’introduzione nonché lo svolgimento di strumenti per addivenire ad una efficace ed efficiente soluzione della crisi[20]
Il legislatore ha importato la Composizione negoziata (d.lgs. 83/2022) nel Codice della Crisi non solo come sistema alternativo di allerta, volontaria e assolutamente priva di profili autoritativi, ma soprattutto come fase dedicata a intessere contatti e intavolare confronti per ricercare una soluzione condivisa[21]
È uno spazio libero – l’imprenditore decide se accedervi o meno e i creditori di partecipare o meno – riservato, eventualmente protetto, regolato e strutturato[22] per condurre le trattative rapidamente ed efficacemente nel rispetto reciproco dei diritti di cui ciascuna parte è portatrice. 
A tal fine – tentando di combinare interessi di diversa natura anziché azionare soltanto diritti soggettivi [23]– la legge pone le condizioni di un terreno di gioco sul quale le parti si confrontino, scambiandosi informazioni, agevolando così la dissoluzione del conflitto con la ricerca di un ordine negoziato. È uno spazio – un percorso - scandito da regole per tessere dialoghi facilitati dall’esperto quando l’impresa presenti comprovati profili di risanabilità determinando allora un risultato utile per debitore, creditori e impresa. 
Il ruolo dell’esperto è centrale ponendosi come garante della serietà ed efficienza delle trattative[24]. Mentre si svolge un processo di reciproco apprendimento di informazioni, l'esperto “agevola” la negoziazione delle parti guidandole in un binario volto ad “ingegnerizzare” soluzioni utili per combinare gli interessi patrimoniali e non patrimoniali in gioco. A lui non compete di presentare e strutturare la soluzione[25] – non è l’advisor – bensì di condurre le parti, avvalendosi dell’arte della maieutica e dell’esperienza della mediazione, verso una proposta partorita e elaborata dal debitore a che, se condivisa dai creditori, potrà comporre la crisi[26]. L’equilibrio deve contraddistinguere l’esperto non solo nel valutare se le trattative possano intavolarsi ma anche se debbano concludersi. 
La composizione negoziata è un terreno di gioco privo della presenza dell’autorità giudiziale ma soltanto governato dalla presenza di questo soggetto terzo, indipendente e imparziale con il compito di verificare il requisito (la risanabilità) e la correttezza e buona fede dei partecipanti al tavolo delle trattative delle quali è predisposto un canovaccio che scandisce i momenti tipici di questa fase e che l’esperto facilitatore deve seguire, monitorare, annotare per renderlo esplicito in una puntuale relazione nel momento della chiusura. Per il resto vi è libertà dell’imprenditore e dei creditori. 
A un’impostazione autoritativa marcatamente caratterizzante il sistema d’allerta disciplinato nella prima versione del Codice della crisi si contrappone la volontarietà della composizione negoziata, un percorso - antefatto di uno degli strumenti previsti dall’art. 23 CCII – che consente la ricerca di un ordine condiviso[27]. Si tratta, quindi, di un percorso, di uno spatium temporis regolato, guidato, nel quale, avendo i requisiti, si può entrare e rimanere per il tempo massimo previsto senza che il mancato raggiungimento di soluzione condivisa marchino a fuoco l’impresa condizionandone il futuro. 
Con la composizione negoziata il legislatore ha, dunque, inteso mettere a disposizione delle imprese risanabili e virtuose – perché dotate di adeguati assetti - una soluzione idonea[28] al pronto superamento della situazione di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che rendono probabile la crisi o l'insolvenza. 
Alla tempestività dell’approccio alla crisi fa da sponda la rapidità dell’individuazione e della realizzazione della soluzione. Come esito[29], si favoriscono le soluzioni light, definitive (quelle di cui alle lett. a e c dell’art. 23, comma I) o transitorie/interlocutorie (la moratoria di cui alla lett. b) che costituiscono l’approdo diretto delle trattative[30], senza tuttavia respingere l’ipotesi in cui “all’esito delle trattative, se non è individuata una soluzione tra quelle al comma 1” l’imprenditore ricorra o a uno strumento variamente plasmabile quali il piano attestato ex art. 56 o (hard) all’accordo di ristrutturazione, che può godere del vantaggio competitivo derivante dal percorso precedentemente intrapreso[31] o, se nessuno di questi strumenti è proponibile, – a condizioni ben precise –al concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. 
Residuano, infine, quali sbocchi possibili, per gli imprenditori commerciali, gli altri strumenti disciplinati nel Codice della crisi o nel D.Lgs. n. 270/1999 e nel D.L. n. 347/2003 e per l’imprenditore agricolo quelli indicati nell’art. 25 quater, comma 4. 
Da questa varietà di strumenti messi a disposizione delle parti, ricaviamo alcuni corollari. 
In primo luogo, viene esaltata – visti gli sbocchi target - l’autonomia privata nella scelta del rimedio alla crisi[32]
In secondo luogo, la composizione negoziata rappresenta il percorso obbligato perché l’imprenditore avente i requisiti di legge, possa accedere ad una qualsiasi delle soluzioni indicate nell’art. 23, scortate da alcuni interessanti effetti premiali. 
In terzo luogo, elemento distintivo degli sbocchi di cui al comma 2 dell’art. 23 rispetto a quelli del comma 1, è che i primi possono non essere frutto diretto delle trattative[33] pur sfruttando di queste il flusso informativo e le conoscenze acquisite sulle diverse posizioni assunte dalle parti. Ciascuno è, quindi, arricchito da potenzialità che non avrebbe in un utilizzo “in solitario”. 
Con questo bagaglio cognitivo e comportamentale – costruito anche grazie all’attività dell’esperto che ha retto le fila del percorso precedente registrando, al termine, l’insuccesso con un report puntuale sul “vissuto” nelle “segrete stanze” delle trattative, in particolare rispetto al comportamento tenuto dalle parti[34] - l’imprenditore “riparte” verso la elaborazione di una proposta. 
Il Legislatore del Codice della crisi nel perseguire l’obbiettivo della tempestività insegue la gestione sostenibile della crisi. 
Credo possibile parlare di gestione sostenibile di una crisi quando lo strumento utilizzato per il risanamento assicuri nel tempo e nello spazio un equilibrio durevole dell’impresa con una equa ripartizione dei costi tra tutti i soggetti coinvolti.[35] 
In sintesi – sulla scorta della definizione di sviluppo sostenibile fornita dalla World Commission on Environment and Development del 1987 (Brundtland’s Report ´Our Common Future`) - dovrebbe trattarsi di uno strumento che soddisfi i bisogni del presente (il superamento della crisi) senza compromettere le possibilità di un “futuro” (di un domani) dell’impresa stessa, di tutti gli stakeholders e del territorio. 
Emerge il senso del limite che ci conduce a un bilanciamento degli interessi. 
Affondando le proprie radici semantiche nel primigenio significato di “sorreggere”, di essere cioè in grado di sopportare sia cambiamenti di stato emotivo che di status economico, “sostenibilità” deve ricordarci (attraverso l’evocazione di un generico e a volte sottinteso “principio di responsabilità”), quanto sia importante mantenere il “senso del limite”[36]
In sostanza l’antagonismo immanente alla individualistica tensione verso il conseguimento della somma più alta dovrebbe cedere il passo al solidarismo richiesto dall’impresa multistakeholders, nella quale l’agglomerato di interessi è da considerare, anche e a maggior ragione, quando si apre lo scenario della crisi. 
È oggi necessario evitare “la veduta corta”[37] esplorando percorsi che recuperino e valorizzino – secondo canoni raccomandati recentemente dal legislatore Unionale – l’apporto degli stakeholders
È tempo di pensare “agli interessi degli stakeholder non come a vincoli, di cui i gestori delle imprese devono in qualche modo tenere conto nel perseguimento del massimo sviluppo” – (e quindi anche nella gestione dello strumento per risolvere la crisi) – “ma come ad obiettivi che devono trovare adeguato spazio come uno dei vari elementi che devono concorrere a definire, in concreto, quale equilibrato sviluppo sia il caso di perseguire”[38]
Infine, ci chiediamo quale possa essere la visione “delle imprese” dinanzi ad un progetto di gestione sostenibile della crisi. 
Probabilmente “deve giocoforza schiudersi un nuovo cammino, quello della sostenibilità, che è ambientale ma anche sociale, e prima ancora, culturale: un'economia al servizio della società e non viceversa, un'impresa che lavora non soltanto per il benessere dell'azionista, ma per il benessere della comunità in cui si trova, un assetto istituzionale che assicuri a tutti a prescindere dalle loro condizioni i medesimi livelli di protezione. Un miglioramento integrale nella qualità della vita umana, a partire dallo spazio in cui si svolge l'esistenza che agisce sul modo di vedere, sentire e agire”[39].

Note:

[1] 
G. Mazzotta, Racconto breve su luoghi e tempi di giustizia, in Questionegiustizia.it.
[2] 
T. Jappelli, M. Pagano e M. Bianco, Courts and Banks: Effects of Judicial Enforcement on Credit Markets, in Journal of Money Credit and Banking, vol. 37, n. 2, Ohio State University, 2005. Per i confronti tra paesi sono disponibili le banche dati della Commission européenne pour l’efficacité de la justice (CEPEJ), dell'OCSE e della Banca Mondiale (indagine Doing Business).
[3] 
M. Taruffo, La giustizia civile, in Il Contributo italiano alla storia del PensieroDiritto, Enciclopedia Treccani, 2012.
[4] 
L. Landi e C. Pollastri, L’efficienza della giustizia civile e la performanceeconomica, in upbilancio.it.
[5] 
S. Djankov, O. Hart, C. Mcliesh e A. Shleifer (2008), “Debt Enforcement around the World”, in Journal of Political Economy, 116(6); K.H. Bae, V.K. Goyal (2009), “Creditor Rights, Enforcement, and Bank Loans”, in Journal of Finance, 64(2); J. Qian e P. Strahan (2007), “How Law and Institutions Shape Financial Contracts: The Case of Bank Loans”, Journal of Finance, 62(6).
[6] 
 M. Sandulli, Il tempo è denaro (anche nelle procedure concorsuali), in Società, banche e crisi d’impresa. Liber Amicorum P. Abbadessa, 3, Torino, 2014, 2761.
[7] 
G. Terranova, Il fattore “tempo” nelle procedure concorsuali, in L’autonomia del diritto concorsuale, Torino, 2016, 228.
[8] 
M. Spiotta, Il ruolo del fattore tempo nella crisi d’impresa, in Crisi e insolvenza. In ricordo di Michele Sandulli, Torino, 2019, 665.
[9] 
Si veda ad es. J.L. Goldenberg Serrano, El problema temporal en el inicio de los procedimientos concursales, The timing problema in the opening of a bankruptcy proceeding in Revista Jus et Praxis, Anno 18, n.° 1, 2012, 315-346; L. M. C. Mejan, La importancia del tiempo en los procedimientos concursales, in El mundo del Abogado, n. 139, noviembre 2010.
[10] 
Il tempo è denaro è un aforisma che si ritiene abbia avuto origine in "Advice to a Young Tradesman", un saggio di Benjamin Franklin apparso nel libro di George Fisher del 1748, The American Instructor: or Young Man's Best Companion, in cui Franklin scriveva: " Remember that time is money". La frase però era già apparsa nel 1719 nel quotidiano Whig The Free-Thinker: " In vain did his Wife inculcate to him, That Time is Money ...”.
[11] 
T. H. JA C K S O N, The Logic and Limits of Bankruptcy Law, Harvard University Press, Cambridge, 1986, pp. 193 – 208.
[12] 
J. M. Garrido, El privilegio del acreedor instante de la quiebra, in revista de derecho mercantil, n.° 206, 1992, 799-818.
[13] 
T. H. JA C K S O N, The Logic and Limits of Bankruptcy Law, cit., 200 ss.
[14] 
E. Beltran Sànchez, El nuevo derecho concursal español, in Anales de la Academia Matritense del Notariado, Tomo XLIII, 2007, 488.
[15] 
T. H. JA C K S O N, The Logic and Limits of Bankruptcy Law, cit., 10, nota 1.
[16] 
Per una spiegazione della regolamentazione sui fallimenti come modo per risolvere la “tragedy of common resources”, cfr. Baird, Douglas G. e Jackson, Thomas H., Cases, Problems and Materials on Bankruptcy, Little Brown, Boston, 1985, pp. 31-35, e J. I. Peinado Gracía, Cooperación y pillaje en el concurso, in J. I. Peinado Gracia E F. J. Valenzuela Garach (a cura di), Estudios de Derecho Concursal, Madrid, 2006, passim.
[17] 
T. H. JA C K S O N, The Logic and Limits of Bankruptcy Law, cit., nota n. 1, 11 ss.
[18] 
T. H. JA C K S O N, The Logic and Limits of Bankruptcy Law, cit., nota n. 1, p. 21.
[19] 
Le formule sono varie, ma, essenzialmente possono essere classificate secondo due criteri: in relazione all'immediatezza dei benefici o delle sanzioni, questi possono essere incentivi diretti o indiretti. Saranno quindi incentivi diretti quelli attraverso i quali il legislatore offre un vantaggio o penalizza un atto, sia del debitore che di un determinato creditore (o gruppo di creditori), al fine di ottenere la tempestiva apertura del concorso. Questo tipo di misure vanno prese con una certa cautela, soprattutto se il beneficio diventa tale da invitare a dare inizio al concorso prima di quanto sia veramente conveniente. Incentivi indiretti saranno quelli attraverso i quali il legislatore ritiene di offrire una soluzione migliore – attraverso il concorso – a tutti gli stakeholder. In relazione alla tipologia del beneficio o della sanzione, possono trattarsi di incentivi positivi o negativi. In questo modo, incentivi positivi saranno quelli attraverso i quali il legislatore offre un vantaggio a chi assume tempestivamente l’iniziativa. Incentivi negativi saranno quelli attraverso i quali il legislatore fissa una sanzione per chi ritarda l’accesso della procedura quando questa aveva ragione di esistere, quando cioè il suo budget obiettivo era già stato espresso.
[20] 
Per un’elencazione ed analisi puntuale dei diversi passaggi che si possono compendiare in <<norme di comportamento ispirate al principio “never put off till tomorrow what you can do today”>>, M. Spiotta, Il ruolo del fattore tempo nella crisi d’impresa, cit., 665.
[21] 
Per una efficace presentazione della composizione negoziata come percorso che poggia su un’impostazione diversa da quella della composizione assistita, I. Pagni – M. Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in Dirittodellacrisi.it, 2 novembre 2021.
[22] 
Sulla rilevanza dell’essere un percorso strutturato, P. Rinaldi, La struttura del percorso, in Dirittodellacrisi.it, 27 ottobre 2021.
[23] 
A. Monoriti, Composizione negoziata della crisi d'impresa o negoziazione per la rigenerazione d'impresa?, in Ilfallimentarista.it, 12 maggio 2022.
[24] 
R. D’Alonzo, I compiti dell’esperto nella composizione negoziata, tra adempimenti e scadenze, in Dirittodellacrisi.it, 11 gennaio 2022; A. Guidotto, Il ruolo dell’esperto nelle trattative con i soggetti rilevanti, in Dirittodellacrisi.it, 2 dicembre 2021; S. Bonfatti – R. Guidotti, Il ruolo dell’esperto nella composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, Torino, 2022.
[25] 
Si legge nella Relazione ministeriale di accompagnamento al D.L. n. 118/2021 che l’esperto “non si sostituisce all'imprenditore ma lo affianca fornendogli la professionalità e le competenze necessarie per la ricerca di una soluzione della situazione di difficoltà dell'impresa e facilitando il dialogo con tutte le parti coinvolte nel processo di risanamento dell'impresa”.
[26] 
Questo aspetto risulta nettamente dal Decreto Dirigenziale, ai punti 8.1; 8.2. È efficacemente sottolineato, tra gli altri, da R. Ranalli, Le indicazioni contenute nella piattaforma: il test, la check-list, il protocollo e le possibili proposte, in Dirittodellacrisi.it, 26 novembre 2021.
[27] 
Sulla differenza dall’allerta della prima versione del Codice della crisi, S. Leuzzi, Allerta e composizione negoziata nel sistema concorsuale ridisegnato dal D.L. n. 118 del 2021, in Dirittodellacrisi.it, 27 settembre 2021. Per una critica basata sull’eccessiva attenzione portata dall’allerta codicistica sull’aspetto finanziario a scapito di quello economico-aziendale, G. Sancetta e D. Gasbarro, La crisi d’impresa e il piano finanziario, in G. Sancetta – A. I. Baratta – C. Ravazzin, La nuova composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, Milano, 2022, 45-47.
[28] 
Per portare a termine le trattative le parti hanno a disposizione un arco temporale di 180 giorni che, tuttavia può essere ampliato per non oltre ulteriori 180 giorni quando tutte le parti lo richiedono e l'esperto vi acconsente, o quando la prosecuzione dell'incarico è resa necessaria a seguito dell’accesso alle misure protettive o cautelari, o di richieste autorizzative, o, ancora, nell'ipotesi di sostituzione dell'esperto (art. 17, comma 7). Durante questo periodo le trattative possono concludersi positivamente o invece “arenarsi” provocando l’archiviazione della composizione negoziata.
[29] 
V. Zanichelli, Gli esiti possibili della composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it, 26 ottobre 2021; G. Fauceglia, Le conclusioni delle trattative: riflessioni sull’art. 11, 1° comma, lett. a), L. n. 147/2021, in Dir. fall., 2022; L. Panzani, Gli esiti possibili delle trattative e gli effetti in caso di insuccesso, in Fallimento, 2021, 1593; S. Pacchi, Gli sbocchi della composizione negoziata e, in particolare, il concordato semplificato, in Ristrutturazioni aziendali, 17 gennaio 2023.
[30] 
L’esito positivo delle trattative viene fatto coincidere con l’accesso ad una delle soluzioni di carattere contrattuale “secondo una prospettiva fortemente innovativa che si aggiunge alla più tradizionale figura del piano attestato di risanamento, in cui è del tutto assente un intervento giudiziale” (Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione sul nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, 15 settembre 2022, 16).
[31] 
Assonime, Guida al Codice della crisi, 14 dicembre 2022, 33, “La scelta può discendere sia dall’entità della situazione di squilibrio in cui versa l’impresa, sia dalla circostanza per cui le trattative siano andate a buon fine solo con alcuni creditori. Anche in questo caso, tuttavia, la composizione negoziata sarà stata utile a predisporre il terreno per la conclusione di un piano di risanamento assistito dalle garanzie previste dalla legge fallimentare o per accedere rapidamente alla procedura concorsuale, essendo già state vagliate le proposte del debitore e le risposte delle parti sotto il controllo di un esperto equidistante da tutti i soggetti coinvolti”.
[32] 
S. Ambrosini – S. Pacchi, Composizione negoziata della crisi, concordato semplificato e segnalazioni per l'emersione anticipata della crisi, in S. Pacchi – S. Ambrosini, Diritto della crisi e dell’insolvenza, II ed., Bologna, 2022, 79.
[33] 
Infatti, se l’accordo per un ADR è raggiunto all’interno delle trattative e ciò risulta dalla relazione finale dell’esperto, si può avere la riduzione dal 75% al 60% della percentuale necessaria per il raggiungimento dell’accordo a efficacia estesa.
[34] 
Circa la connessione tra le trattative interne alla composizione negoziata e gli accordi di ristrutturazione, v. la disposizione di cui alla lett. b) dell’art. 25 ter che prevede un aumento del compenso dell’esperto quando, successivamente alla redazione della relazione finale, si concludono gli accordi di ristrutturazione.
[35] 
A fondamento di questa considerazione può essere assunto l’art. 41 Cost. là dove riconosce che “l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. In questo senso anche G. D’Attorre, La responsabilità sociale dell’impresa insolvente, in Riv. dir. civ., 2021, 60.
[36] 
Per i Romani i limites o termini erano le pietre squadrate usate per indicare i confini ed erano considerate sacre, tanto che se a qualcuno fosse venuto in mente di spostarle doveva sapere che avrebbe commesso un delitto e, dunque, sarebbe stato perseguibile. Godevano, queste pietre, della protezione di Terminus, (uno degli epiteti di Iuppiter/Giove come protettore di ogni diritto e di ogni impegno), l’unico ad avere il proprio luogo di culto in Campidoglio nel tempio dedicato appunto a Iuppiter Optimus Maximus, al cui interno, sul tetto, era stata praticata un’apertura a forma circolare in modo che il “dio dei confini” sia fisici che spirituali, posto a guardia del mondo materiale e di quello spirituale, potesse estendere il proprio potere sull’Universo e ricordare che la “forza del limite” era destinata a espandersi anche nel mondo dell’iperuranio, oltre la volta celeste.
[37] 
Il riferimento è a T. Padoa-Schioppa, La veduta corta, Bologna, 2009, che, commentando la crisi di quegli anni si dichiarava convinto che “la radice più profonda della crisi in atto sia ‘la veduta corta di una spanna’ l’accorciarsi dell’orizzonte temporale dei mercati, dei governi, della comunicazione, delle imprese, delle stesse famiglie”.
[38] 
F. Denozza, F. Denozza, Rendere lo sviluppo sostenibile e democratico, in D. Caterino – I. Ingravallo (a cura di), L’impresa sostenibile, Euriconv, Lecce, 2020, 38.
[39] 
A. F. Uricchio, Sostenibilità e politiche fiscali incentivanti, in D. Caterino – I. Ingravallo (a cura di), L’impresa sostenibile, Euriconv, Lecce, 2020, 38.

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