Saggio
La struttura del percorso*
Paolo Rinaldi, Dottore commercialista in Modena
27 Ottobre 2021
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Sommario:
La capacità di attrazione del nuovo percorso nei confronti dell’imprenditore è dunque integralmente fondata sulla sua superiorità rispetto ai percorsi alternativi che egli ha disponibili: tipicamente la negoziazione con i creditori al di fuori di un contesto formale, da un lato, e il concordato in bianco, dall’altro.
Internamente all’azienda l’imprenditore decide la strategia negoziale, ed in quella sede il primo passaggio importante è quello derivante dal più o meno corretto funzionamento degli adeguati assetti organizzativi. Il sistema informativo aziendale, le procedure interne, gli strumenti di programmazione, controllo e pianificazione disponibili dettano certamente la qualità ed i tempi con i quali l’imprenditore prende contezza della sua situazione. Tanto più evoluti e completi questi elementi, tanto più immediata e chiara sarà la diagnosi della situazione aziendale e la percezione dell’approssimarsi della crisi o dell’insolvenza da parte di chi è chiamato a prendere decisioni in merito – tipicamente l’organo amministrativo.
La presenza o meno di un organo di controllo crea in ogni caso una prima suddivisione nelle imprese, in quanto quelle che ne sono prive non avranno intrinsecamente la capacità di gestire la conseguente dialettica interna che si verificherebbe invece in presenza del collegio sindacale laddove l’imprenditore o sottovaluti gli esiti degli assetti organizzativi e contabili, o questi ultimi non siano adeguati o addirittura presenti.[2]
Essere in grado di cogliere quando è il momento giusto per accedere ad una negoziazione con i propri creditori è dunque funzione di variabili oggettive – l’adeguatezza degli assetti, e la presenza di un organo di controllo – e soggettive – la percezione e la valutazione che l’imprenditore da’ delle informazioni che gli vengono sottoposte.
Tanto più precoce è la situazione di allerta, e quindi astrattamente minori sono gli interventi da compiere e le difficoltà negoziali, tanto più difficile sarà spesso riuscire ad impostare una strategia di richiesta di concessioni all’esterno, seppur proporzionatamente modeste, in quanto ciò richiederà di manifestare la difficoltà prospettica in cui potrebbe versare l’impresa. D’altro canto, l’apertura di tavoli negoziali eccessivamente tardiva, se da un lato certamente si accompagna alla sicura percezione da parte dei terzi dello stato di difficoltà dell’impresa (probabilmente non più prospettica ma attuale), dall’altra proprio per tale ragione troverà il tessuto fiduciario circostante già incrinato dalle manifestazioni esterne della crisi.
Occorre dunque chiedersi quando l’imprenditore potrà essere spinto alla richiesta di nomina dell’esperto in un contesto in cui ancora non si rende necessario ricorrere a misure protettive – ove, cioè, prevalga l’aspetto negoziale e della composizione amichevole con i creditori e gli altri stakeholders.
Il principale punto di forza della composizione negoziata rispetto alla negoziazione priva dell’esperto è rappresentato dalla certezza di funzionamento del tavolo con i creditori: ciò sia per ragioni di oggettiva qualità delle informazioni, sia per l’espresso disposto della norma.
L’imprenditore, infatti, accede alla nomina dell’esperto solo dopo aver predisposto tutta la documentazione necessaria che deve accompagnare l’istanza, così come previsto sia dall’art. 5 del DL 118[3], sia dal decreto dirigenziale: si tratta di un corposo elenco di informazioni che – sebbene in parte siano già disponibili - devono essere oggetto di espressa elaborazione preventiva da parte dell’impresa. Si fa in particolare riferimento alla relazione “chiara e sintetica sull’attività in concreto esercitata recante un piano finanziario per i successivi sei mesi e le iniziative industriali che intende adottare l’imprenditore”, di cui alla lettera c) art. 5, al “test pratico per al verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento” di cui alla sezione I del decreto dirigenziale 28.09.2021, che richiede la predisposizione di dati attuali e prospettici, passando dalla check-list per la redazione del piano di risanamento e l’analisi della sua coerenza, di cui alla sezione II del medesimo decreto dirigenziale, sino al piano di risanamento vero e proprio, che in gran parte dei casi si renderà necessario predisporre per negoziare con i creditori aziendali.
La necessità di predisporre questi documenti porta implicitamente l’imprenditore verso un “sano” confronto interno e un approccio costruttivo verso il ricorso ad un advisor di qualità che possa aiutarlo a predisporre un info-package adeguato alla negoziazione che interverrà, la cui qualità dovrà essere vagliata dall’esperto.
In presenza di un organo di controllo, la dialettica interna sarà ancora più forte, anche alla luce dell’impatto che può portare sul percorso da selezionare in seguito al confronto con il collegio sugli squilibri economici patrimoniali e finanziari. Aver attivato questo dialogo costituirà per il collegio un elemento positivo da valutare ai fini della sua responsabilità ex art. 2407 cod.civ.[4]
Insieme alla qualità delle informazioni, l’altro punto di forza della composizione negoziata sono i diritti e i doveri delle parti che sono statuiti dall’art. 4 del DL 118[5]: non vi è solo un generico obbligo di reciproca buona fede e correttezza delle parti (che viene previsto dal comma 4, forse in modo ultroneo), ma un più preciso dovere delle parti di collaborare lealmente e in modo sollecito con l’imprenditore e l’esperto, rispettando l’obbligo di riservatezza, dando inoltre riscontro alle proposte e alle richieste che ricevono durante le trattative con risposta tempestiva e motivata. I creditori bancari, poi, devono partecipare alle trattative sempre, ed in modo peraltro attivo ed informato: obblighi, questi, che si estendono anche ai servicers ed ai cessionari dei loro crediti. Si tratta di elementi differenziali molto forti rispetto ad una negoziazione “libera” ed informale, all’interno della quale si misura la qualità delle relazioni e della capacità dell’advisor di convincere gli intermediari a sedersi al tavolo e a fornire le risposte circostanziate rispetto alle proposte da formularsi. Appare chiaro che la composizione negoziale potrebbe non essere di per sé necessaria in presenza di advisors primari e/o dimensionalmente rilevanti, che hanno probabilmente relazioni bancarie migliori, e con info-package di qualità. Possono invece esservi casi in cui l’imprenditore, rivolgendosi al proprio consulente di fiducia, non vede intervenire al tavolo tutte le banche, ovvero non riceve da esse riscontri tempestivi e/o motivati: in questo caso, passare da un tavolo “libero” alla composizione negoziata ha certamente indubbi vantaggi.
Un secondo vantaggio di tipo normativo riguardo alla negoziazione “libera” è rappresentato dalla richiesta di misure protettive nei confronti degli intermediari creditizi, laddove questi sospendano la prestazione creditizia: il disposto dell’art. 6 ultimo comma[6] prevede infatti che i creditori interessati dalle misure protettive non possano unilateralmente rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti, risolverli, anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’impresa per il solo fatto dei mancati pagamenti anteriori. Si tratta di una misura particolarmente “potente” e che andrà usata cum grano salis al fine di evitare di inasprire i tavoli bancari.
Un terzo e ultimo vantaggio è rappresentato dalla possibilità di ottenere dal Tribunale l’autorizzazione a contrarre finanziamenti (si ritiene anche la prosecuzione degli affidamenti esistenti) per i quali si disponga la prededucibilità ex art. 111 L.F.[7]: un beneficio di cui fare buon uso specialmente a fronte della presenza di misure protettive che obblighino le banche a mantenere gli accordati.
Se le condizioni dell’impresa sono tuttavia talmente compromesse che gli inadempimenti non sono più prospettici ma attuali, e dunque sussistono aggressioni patrimoniali, atti esecutivi o istanze di fallimento, attualmente l’unica alternativa per l’imprenditore è quella di depositare un concordato c.d. “in bianco” ex art. 161 sesto comma, in attesa di procedere poi a depositare accordi di ristrutturazione dei debiti, piani di concordato preventivo e – fino a quando tale possibilità sarà ancora concessa – piani attestati ex art. 67.
Ecco che, anche in questi casi, la scelta del percorso da parte dell’imprenditore potrebbe utilmente dirigersi verso la composizione negoziata, poiché il ricorso a misure protettive non inibisce i pagamenti – e dunque la supply chain può essere preservata (circostanza che nel concordato è possibile solo dietro specifica autorizzazione ex art. 186-bis) – e inoltre non sono inibiti gli atti di straordinaria amministrazione e non vi è un commissario giudiziale che sorveglia la gestione ed esamina le informative periodiche mensili che vengono richieste dal Tribunale.
Il deposito di un concordato in bianco, inoltre è una misura protettiva valida erga omnes mentre le misure protettive possono essere invocate all’interno della composizione negoziata solo nei confronti di singoli creditori o categorie di essi, neutralizzando “chirurgicamente” i pericoli per la negoziazione.[8]
Al termine della fase di confronto interno e di predisposizione dei documenti necessari, l’imprenditore utilizzerà la piattaforma telematica non più per prepararsi – accedendo alle informazioni di cui al decreto dirigenziale – ma per depositare l’istanza di nomina dell’esperto.
L’esperto avrà a disposizione due giorni per valutare la propria indipendenza – rispetto non solo all’impresa ma anche a coloro che hanno interesse nella ristrutturazione (ovvero gli advisors e i creditori) – nonché le proprie competenze e la disponibilità di tempo[10] per svolgere l’incarico. Se deciderà di accettare la nomina lo comunicherà all’imprenditore ed inserirà nella piattaforma telematica l’accettazione; in caso contrario lo comunicherà al soggetto che lo ha nominato che lo sostituirà con altro esperto.
Una volta accettato, ha inizio una fase preliminare “interna” tra esperto, da una parte e imprenditore, advisors e organi di controllo e revisore contabile, dall’altra.[11]
L’esperto deve infatti verificare le concrete prospettive di risanamento dell’impresa, e per farlo gli occorre prima esaminare la documentazione predisposta dall’imprenditore e poi interloquire con questi ed i suoi advisors, nonché con gli altri soggetti sopra menzionati.
L’esame della documentazione interverrà alla luce sia della specifica esperienza dell’esperto[12], sia delle chiare e circostanziate linee guida presenti nel decreto dirigenziale: egli dovrà verificare il test dell’imprenditore sulla risanabilità e anche il piano di risanamento, se predisposto; qualora quest’ultimo sia mancante e dunque, in sua assenza, l’esperto ritenga di non potersi esprimere circa la concretezza delle prospettive di risanamento, l’imprenditore dovrà predisporre il piano ovvero modificare quello esistente.
L’esame del piano costituisce l’elemento fondante del giudizio di risanabilità: nei casi di risanabilità “agevole” la sua predisposizione potrà seguire anche linee guida più semplici e sintetiche, mentre tanto maggiori saranno le difficoltà di rimborso dei debiti, tanto più il piano dovrà conformarsi ai principi per la predisposizione dei piani di risanamento statuite dal CNDCEC[13], dai quali sono peraltro evidentemente state tratte le linee guida del decreto dirigenziale.
Se la tenuta del piano è un primo presupposto fondamentale della risanabilità, l’altro è rappresentato dagli elementi negoziali: la tipologia di soggetti da coinvolgere, il loro numero e la natura delle richieste - tanto più si passa da richiesta di tipo dilatorio rivolte alle sole banche a richieste di concessione rivolte alla maggioranza dei creditori, magari accompagnate da stralcio e/o conversione in equity o strumenti finanziari partecipativi, tanto più il risanamento diventa complesso e difficoltoso.
Sarà l’esperto a decidere se le proposte ai creditori siano accettabili almeno “sulla carta”, basandosi sulla propria esperienza e sulla preparazione che viene certificata dal percorso formativo di 55 ore, le quali prevedono – ad esempio – anche tecniche di negoziazione e conoscenza della regolamentazione bancaria.[14]
Per quanto validi siano infatti gli advisors dell’imprenditore, infatti, è l’esperto l’unico soggetto deputato a verificare la concretezza della risanabilità prospettica: sua è la responsabilità di questo giudizio che – implicitamente – egli dichiara alle parti interessate al risanamento quando le incontra. Ciò in quanto in mancanza di concrete prospettive di risanamento l’esperto dovrà invece dichiarare l’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata: l’apertura delle negoziazioni implica l’esistenza di un giudizio positivo dell’esperto sulla concreta prospettiva di risanamento.
In caso di dissenso tra imprenditore ed esperto, non vi sono apparenti modalità per “appellare” una sua decisione di archiviazione, e dunque pare inevitabile che l’imprenditore dovrà in qualche modo confrontarsi in modo costruttivo con l’esperto.
Alla luce della impossibilità per l’imprenditore di presentare una nuova istanza per 12 mesi dopo l’archiviazione[15], egli sarà infatti ben attento a cogliere i consigli e i suggerimenti dell’esperto e le sue critiche costruttive al piano, in modo da pervenire ove possibile ad un giudizio positivo che – ancorché, al momento, non se ne preveda l’espressione scritta in una relazione iniziale – condurrà all’apertura della trattativa.
In caso contrario, l’esperto comunicherà al segretario generale della CCIAA cui è stata inizialmente depositata l’istanza, per richiederne l’archiviazione: questo provvedimento non ha tuttavia altra conseguenza e – poiché né i terzi né il tribunale sono venuti a conoscenza della circostanza – l’imprenditore, se lo riterrà, potrà proseguire il risanamento con i percorsi e gli strumenti che già sono a sua disposizione tramite la Legge Fallimentare, ovvero astenersi dal farlo, con le conseguenze del caso.
Si tratta di una precisa scelta, che vuole mantenere particolarmente informale l’intero percorso, in modo da evitare ingessature e mettere a proprio agio le parti che partecipano, protette dalla riservatezza e dall’informalità, ma tutelate dalla presenza dell’esperto.
Il ruolo dell’esperto nella negoziazione è infatti quello di un mediatore culturale “qualificato” ed “esperto”: egli incontra le altre parti interessate al percorso di risanamento e prospetta le possibili strategie di intervento individuate dall’imprenditore e dai suoi advisors, fissando i successivi incontri con cadenza ravvicinata.
Queste attività – previste espressamente dal quinto comma dell’art. 5 DL 118 – vedono quindi “concorrere” insieme l’advisor finanziario e l’esperto nel processo di contatto con i creditori e di comunicazione a questi dell’info-package iniziale, del piano e della manovra finanziaria. La “prospettazione delle possibili strategie di intervento” da parte dell’esperto è una fase di illustrazione anche in chiave critica, in cui l’esperto si sovrapporrà ed affiancherà agli advisors, dando maggior credibilità a quanto proposto – anche e soprattutto perché quel piano e quella manovra sono stati precedentemente posti dall’esperto a base del suo convincimento circa la concreta perseguibilità del risanamento. L’esperto, quindi, ci “metterà la faccia” e tanto più credibile egli sarà, tanto maggiori saranno le possibilità che il percorso negoziale proceda senza intoppi.
Anche se il DL 118 non prevede particolari ritualità, non essendo previsti verbali degli incontri, sarà probabile che ne vengano invece richiesti, mentre appare certo che i creditori insisteranno per ottenere periodicamente dall’esperto una opinione sulla permanenza del requisito di risanabilità: ciò sia per legittimare la prosecuzione della prestazione creditizia (lato banca), sia per cautelare adeguatamente gli atti di straordinaria amministrazione ed i pagamenti di cui all’art. 9 DL 118.
Sarà la prassi a stabilire quale portata possano avere le dichiarazioni – non obbligatorie – dell’esperto al riguardo, e se siano o meno da assimilarsi, ad esempio, alla comfort letter dell’attestatore.
Decorsi i 180 giorni di durata massima iniziale della composizione negoziata previsti dal settimo comma dell’art. 5, senza che si sia raggiunto una soluzione adeguata al superamento degli squilibri che hanno dato luogo alla richiesta di nomina dell’esperto, quest’ultimo dovrà considerare concluso il proprio incarico e redigere una relazione finale che inserirà in piattaforma, comunicandola all’imprenditore e al Tribunale nel caso di richiesta di misure cautelari.
Se invece tutte le parti e l’esperto stesso sono concordi nel proseguire la composizione negoziata, il decreto consente un ulteriore estensione di altri 180 giorni, decorsi i quali comunque esso cesserà[16].
Alla cessazione dell’incarico l’esperto produrrà come si è accennato una relazione finale, il cui contenuto – di nuovo – non è previsto dalla norma: anche in questo caso sarà la prassi a definirlo nel corso dei mesi.
È da ritenersi che non possa mancare una cronistoria della negoziazione, delle iniziative adottate dall’imprenditore e delle risposte delle controparti, nonchè una spiegazione chiara delle circostanze che hanno condotto alla mancata conclusione delle trattative, ovvero una illustrazione – in caso contrario, di individuazione di soluzione adeguata – del percorso, delle proposte e dei contenuti del piano e dell’accordo che l’imprenditore propone alle parti interessate all’operazione di risanamento.
Note: