Mentre la negoziazione con singoli fornitori è un’evenienza frequente ma non costante nel panorama delle crisi aziendali, la necessità di instaurare trattative con le banche e i creditori finanziari per la ristrutturazione del debito finanziario riguarda invece pressoché la totalità dei tentativi di risanamento per ragioni che possono essere ricondotte alle specifiche caratteristiche del rapporto tra banche e imprese in Italia[13].
La prima ragione è da ricondurre al costante e consistente indebitamento bancario delle imprese italiane, stante la generalizzata sottocapitalizzazione che le caratterizza e, soprattutto, lo scarso ricorso ad altre forme di finanziamento – quali obbligazioni e fondi di debito – che sono invece diffuse in altri Paesi occidentali. La seconda ragione è probabilmente riconducibile al fatto che le banche vengono considerate creditori professionali, dai quali potersi aspettare un’uniformità di comportamento e con i quali intavolare trattative scevre da aspetti emozionali e rivendicativi, anche grazie alla loro solidità patrimoniale che molto raramente rischia di essere pregiudicata dal mancato pagamento del credito in discussione. La terza ragione riguarda la possibilità che le banche creditrici possano essere disposte a erogare nuova finanza, che a sua volta rappresenta spesso un fattore di grande rilevanza per le probabilità di successo e la rapidità del risanamento delle imprese[14] e della quale si farà cenno tra breve.
Conscio dell’importanza di questa tipologia di creditori nelle soluzioni della crisi dell’impresa, il legislatore ha dedicato alle banche e agli intermediari finanziari due specifiche disposizioni, entrambe racchiuse nel sesto comma dell’art. 4.
Viene, innanzi tutto, tenuto conto dell’eventualità, molto frequente nell’ultimo quinquennio, che la banca abbia nel frattempo ceduto il proprio credito ad istituti finanziari specializzati, ovvero che ne abbia affidato la gestione a un mandatario esterno (c.d. credit servicer). Viene quindi previsto che non solo le banche (originariamente) creditrici, ma anche i loro mandatari e cessionari siano tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato[15]. È, questo, un obbligo del tutto assimilabile a quello di tempestivo riscontro delle proposte da parte degli altri creditori, con una significativa differenza terminologica che tiene conto dell’effettiva e attiva partecipazione alle trattative da parte dei soggetti finanziatori, non limitata quindi al mero riscontro alle proposte del debitore.
La seconda disposizione, di grande portata, riguarda la circostanza che l’accesso alla composizione negoziata della crisi da parte dell’imprenditore non possa costituire di per sé causa di revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore. Non è possibile, in questa sede, approfondire adeguatamente le numerose conseguenze e criticità di ordine giuridico e pratico che tale disposizione comporta: basti, qui, rilevare come questo divieto intenda contrastare il fenomeno, precedentemente illustrato, in cui alla disclosure della situazione di crisi da parte dell’imprenditore corrisponda normalmente, quale prima reazione da parte degli istituti di credito, la riduzione o il congelamento dell’operatività bancaria, finalizzata a limitare il suo rischio di credito ma destinata a peggiorare notevolmente le condizioni di svolgimento del tentativo di risanamento aziendale.
In questa fase, la presenza ai tavoli interbancari dell’esperto può avere indubbiamente un benefico effetto sulla fiducia reciproca tra le parti, grazie alla sua imparzialità e indipendenza e alla possibilità di fornire una rappresentazione veritiera e corretta della reale situazione dell’impresa e delle concrete prospettive di risanamento, offrendo alle banche e all’imprenditore la possibilità di formulare decisioni adeguatamente informate sui rischi e le conseguenze delle possibili soluzioni alternative.
È possibile immaginare che, nel corso del processo di negoziazione, le banche possano chiedere all’esperto di esprimersi sulla ragionevolezza di talune assunzioni del piano di risanamento o sul mantenimento della continuità aziendale: non si tratta, in questo caso, di una funzione attribuitagli dalla legge quanto, piuttosto, di una parziale assimilazione del suo ruolo a quello del professionista attestatore, al quale vengono talvolta richieste comfort letters interinali sui punti di delicatezza delle trattative[16]. Su queste dinamiche non è, per il momento, possibile esprimere un sicuro giudizio di merito ed è pertanto necessario attendere la formazione di una best practice in materia che possa fornire utili indicazioni al riguardo.
Appare interessante la previsione, suggerita dal Decreto Dirigenziale, che per favorire la conclusione degli accordi l’esperto proponga la nomina di un chief restructuring officer (“CRO”) con il ruolo di monitorare in futuro l’attuazione del piano di risanamento e il rispetto degli accordi raggiunti[17]. La figura del CRO è ben conosciuta nella prassi dei risanamenti aziendali e delle ristrutturazioni del debito bancario e la sua previsione nell’ambito della composizione negoziata appare senz’altro opportuna; qualche dubbio riguarda, semmai, l’ipotesi che il suo costo sia sostenuto in modo proporzionale dalle parti, posto che nella prassi esso viene normalmente sostenuto integralmente dal debitore: sotto questo profilo, è possibile che la moral suasion dell’esperto possa non essere sufficiente a modificare una prassi da tempo consolidata.
Un accenno specifico merita la possibilità, precedentemente segnalata, che l’imprenditore intenda richiedere nuova finanza prededucibile agli istituti bancari. Rinviando l’approfondimento tecnico ai contributi specifici sul tema[18], in questa sede è opportuno evidenziare come l’esperto possa svolgere un ruolo di grande importanza nell’agevolare l’accesso dell’imprenditore in crisi a nuovi finanziamenti bancari. Sebbene l’art. 10, comma, 1, lett. a) non lo preveda espressamente, è infatti agevole ritenere che il tribunale voglia verificare la funzionalità dei finanziamenti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori anche sentendo, sul punto, l’esperto[19]. Prescindendo dalla formulazione del giudizio richiesto dal tribunale, appare evidente che la negoziazione con il possibile finanziatore - che si tratti di una banca già creditrice o di un istituto che intervenga in quella specifica operazione - possa essere notevolmente facilitata dalla presenza dell’esperto, il quale potrà informare il finanziatore sulla reale situazione dell’impresa e rassicurarlo sulle effettive possibilità di restituzione del finanziamento e, ancora prima, sui benefici che questo possa avere sulle prospettive di risanamento dell’impresa. La terzietà e imparzialità dell’esperto, in questo ambito, potranno così supportare il processo decisionale del futuro finanziatore e rendere più agevole la conduzione delle trattative per l’ottenimento di nuova finanza.