Norma centrale nella trattazione delle classi dei creditori è l’art. 85 CCII, che esordisce (al comma 1°) in maniera, si licet, tradizionale:
- il piano può (non deve) prevedere la suddivisione dei creditori in classi;
- possono essere assegnati trattamenti differenziati ai creditori appartenenti a classi diverse.
Nonostante la rassicurante premessa, in realtà, nel CCII, in ossequio a quanto richiesto dalla Direttiva, la classificazione dei creditori non costituisce una mera facoltà, come sembrerebbe suggerire il comma 1° dell’art. 85, ma è (pressoché) sempre un obbligo.
Innanzitutto, è sempre e comunque obbligatoria nel concordato in continuità aziendale (cfr. art. 85, comma 3,) che, ai sensi dell’art. 109, comma 5, è approvato solo se tutte le classi votano a favore (id est: se si raggiunge la maggioranza di cui all’art. 109, comma 5, in ciascuna classe).
La classificazione dei creditori risulterebbe invece ancora facoltativa nel concordato liquidatorio, ma anche a questo si applicano comunque le regole di obbligatoria classificazione che dipendono da particolari qualità dei creditori, più che dalle caratteristiche e dalla qualificazione del piano.
Così, l’art. 85, ai commi 2 e 3, a prescindere dalla natura del piano di concordato, impone la segregazione in distinte classi di:
- crediti tributari e previdenziali, dei quali non sia previsto l’integrale pagamento;
- creditori titolari di garanzie prestate da terzi;
- creditori soddisfatti (anche in parte) con utilità diverse dal denaro;
- creditori proponenti il concordato e parti loro correlate;
- creditori privilegiati “interessati”, in quanto pagati parzialmente ovvero oltre i termini previsti dall’art. 109, comma 5 (180 giorni dall’omologazione o 30 giorni se si tratta di creditori che godono del privilegio di cui all’art. 2751 bis n. 1 c.c.);
- crediti derivanti da rapporti di fornitura di beni e servizi vantati da creditori che non abbiano superato, nell’ultimo esercizio, almeno due dei seguenti tre requisiti: (i) un attivo sino ad euro cinque milioni; (ii) ricavi netti delle vendite e delle prestazioni sino ad euro dieci milioni; (iii) un numero medio di dipendenti pari a 50 ([9]).
Al di là di quanto vedremo a proposito della classificazione dei soci della società debitrice, poi, un’altra importante ipotesi di classificazione obbligatoria (sulla quale v., per maggiori dettagli, infra al par. 8) si rinviene nell’ultima parte dell’art. 109, comma 5, laddove, a proposito del trattamento dei crediti privilegiati, si prevede che, qualora sussistano le condizioni per una loro parziale degradazione al chirografo (condizioni previste dall’art. 84, comma 5), allora s’impone l’inserimento della “parte incapiente … in una classe distinta”.
Non è del tutto univoca la ratio della selezione delle categorie di creditori da classificare obbligatoriamente: dall’un lato, e in coerenza con lo spirito della Direttiva sopra illustrato, s’impone la classificazione di creditori che subiscono dalla proposta concordataria un particolare pregiudizio, siano essi creditori privilegiati falcidiati (ovvero con un pagamento non integrale o anche solo dilazionato ultra legem), creditori destinatari di un soddisfacimento non monetario, creditori “deboli” (ai quali si potrebbe ricondurre anche l’Erario, in considerazione della sua normale inerzia); dall’altro lato, invece, abbiamo creditori diversamente interessati all’approvazione della proposta di concordato, quali sono i creditori muniti di garanzie “collaterali” o proponenti il concordato ai sensi dell’art. 90 CCII.
Si tratta peraltro di disciplina che suscita problemi interpretativi. Limitandosi a qualche prima osservazione:
- Nonostante la perentorietà della prima parte dell’art. 85, comma 3 (“Nel concordato in continuità aziendale la suddivisione dei creditori in classi è in ogni caso obbligatoria”), nel concordato con continuità aziendale tutti, ma proprio tutti, i creditori devono essere classificati o solo quelli che votano? Nell’alternativa, mi sembra che la seconda ipotesi sia quella corretta. D’altronde, le classi sono (e sono state) istituto destinato ontologicamente ad intervenire nel procedimento di approvazione della proposta concordataria (ed oggi, con la disciplina sulla ristrutturazione trasversale, anche nell’omologazione del concordato). Lo stesso art. 85, comma 3, a proposito dei creditori muniti di prelazione, ne impone la classificazione (solo) se non ricorrono le condizioni di cui all’art. 109, comma 5, lasciando così intendere che, qualora dette condizioni invece sussistano (con il soddisfacimento del credito mediante pagamento integrale e tempestivo), il proponente non sia tenuto alla classificazione di siffatti crediti. Se alcuni creditori non siano quindi interessati al concordato, nel senso che la proposta concordataria non incida direttamente sui loro crediti (cfr. art. 2.1.2 Direttiva), questi creditori non solo non avranno diritto di voto ma, non partecipando al procedimento di approvazione della proposta concordataria, non avranno neppure titolo (o ragione) per essere classificati. D’altra parte, alla luce dell’art. 109, comma 5 (prima parte: “Il concordato in continuità aziendale è approvato se tutte le classi votano a favore”), sembra quasi che il diritto di voto sia un ex post rispetto alla formazione della classe, sì che, anche solo per questo motivo, ritengo che classi e diritto di voto debbano necessariamente tenersi insieme. Anche nel concordato con continuità aziendale, dunque, l’obbligo di suddivisione dei creditori in classi riguarda solo i creditori muniti di diritto di voto (ovvero, relativamente ai crediti privilegiati, la sola parte incapiente di detti crediti, se la parte capiente sia soddisfatta tempestivamente: v. infra, al par. 8) e deve ammettersi che i creditori non interessati (e non votanti) possano non essere inseriti in alcuna classe.
- La classificazione dei creditori privilegiati, in mancanza delle condizioni di cui all’art. 109, comma 5, e dei “piccoli” fornitori ([10]) è obbligatoria solo nel concordato con continuità aziendale o anche in quello liquidatorio? Si segnala, infatti, che queste due categorie di creditori sono previste nel comma 3 dell’art. 85 CCII, che esordisce ponendo la regola della obbligatoria classificazione di tutti i creditori in presenza di continuità aziendale. Assumendosi un legislatore “cartesiano”, si dovrebbe attribuire rilievo interpretativo al fatto che, nell’art. 85, le categorie di creditori in generale da classificare sono elencate nel comma 2 e quindi, ragionando ad excludendum, si dovrebbe concludere nel senso che sì, in effetti, il comma 3°, nella sua seconda frase, prevede soltanto una specificazione della prima (nell’ambito della classificazione obbligatoria dei creditori in una proposta di concordato con continuità aziendale, si devono formare almeno le classi separate dei creditori privilegiati falcidiati e dei “piccoli” fornitori). Se però si considera che la classificazione obbligatoria dei creditori privilegiati falcidiati è ribadita in generale (id est: per tutti i concordati) dall’art. 109, comma 5 ([11]), allora la conclusione ora provvisoriamente raggiunta deve essere ribaltata per i creditori privilegiati (la regola della obbligatoria loro classificazione, se falcidiati, prescinde dalla natura del concordato) e torna in discussione, considerata l’infondatezza dell’assunzione del legislatore “cartesiano”, anche per i “piccoli” fornitori.
- L’art. 85, comma 2, prevede la classificazione obbligatoria dei creditori proponenti ex art. 90 e delle loro parti correlate; l’art. 109, comma 7, invece, attribuisce al creditore proponente (nonché alle società da questo controllate ovvero questo controllanti o sottoposte a comune controllo ex art. 2359, comma 1, c.c.) il diritto di voto “soltanto se la proposta ne prevede l’inserimento in apposita classe”: dunque, si tratta di un obbligo (di classificazione) o solo di un onere? Forse l’art. 109, comma 7 (risalente al D.Lgs. n. 14/2019) è rimasto nella penna del legislatore del D.Lgs. n. 83/2022 (cui si deve attribuire in gran parte l’art. 85, poi novellato anche dal D.Lgs. n. 136/2024) e la prima norma deve intendersi sostanzialmente superata dall’art. 85, comma 2. Si può tuttavia immaginare un coordinamento tra le due norme che muova dalla possibilità che un creditore proponente sia semplicemente diversamente interessato all’approvazione delle proposte di concordato (la sua e quella del debitore, salvo altre), in caso di proposta concorrente parassitaria o anche solo derivata (dove normalmente la proposta concorrente estrae la provvista dal patrimonio del debitore, se “risparmiato” in un piano di continuità aziendale), ovvero, in alternativa, abbia un interesse realmente in conflitto con quello della massa dei creditori, quando – in caso di proposta acquisitiva, magari nella forma di un concordato con assunzione – il creditore proponente, formando la provvista con proprio patrimonio, abbia l’interesse ad offrire al ceto creditorio la soddisfazione minore possibile. Resta comunque l’incongruenza dell’estensione dell’obbligo di classificazione, previsto dall’art. 85, comma 2, a tutte le parti correlate del creditore proponente ([12]) laddove l’art. 109, comma 7, si riferisce invece solo alle società a questo legate da rapporti di controllo ex art. 2359, comma 1, c.c. (certo correlate ma non esaurenti questa categoria).
- L’art. 85, comma 3, prevede, come visto, l’obbligatoria classificazione dei “piccoli” fornitori di beni e servizi: posto che l’art. 2 (“Definizioni”) non definisce siffatta categoria di creditori, come li si deve intendere? Il codice civile conosce il contratto di somministrazione (di beni e di servizi: art. 1559 c.c.), non di fornitura: dove, nell’art. 85, comma 3, si legge “rapporti di fornitura”, lì si deve fare riferimento al particolare tipo negoziale che corrisponda al contratto di somministrazione o si deve prescindere da una qualificazione “tipologica” del rapporto? Probabilmente, ciò che conta, anche al fine di non indugiare in eccessiva disparità di trattamento tra creditori che comunque rientrino nei limiti dimensionali previsti dall’art. 85, comma 3, sono la periodicità o la continuità delle prestazioni erogate dal creditore, sì da imporsi un’interpretazione estensiva del concetto di “fornitura”, in grado di attrarre nell’obbligo di inserimento in classe separata – tra gli altri - anche “piccoli” appaltatori (cfr. art. 1677 c.c.) o subappaltatori.
In ogni caso – ma qui si tratta di un problema operativo, non interpretativo – la norma che impone la (obbligatoria e) separata classificazione dei “piccoli” fornitori aggrava moltissimo (specie nella versione successiva alla novella del D.Lgs. n. 136/2024, che ha molto ampliato la platea di questi soggetti) gli impegni istruttori del debitore o comunque del proponente il concordato, perché la norma impone ora l’analisi di tutti i bilanci dei fornitori relativi all’“ultimo esercizio” (verosimilmente, dovrà trattarsi degli ultimi bilanci approvati e, se del caso, depositati), bilanci depositati nel registro delle imprese solo se i creditori rivestano la forma di società di capitali, mentre se i fornitori sono veramente piccoli è possibile che tale forma non abbiano. E la regola dell’art. 85, comma 3, non viene rispettata con il semplice inserimento di tutti i fornitori in una sola classe, perché occorre “separare” i “piccoli” (nel senso anzidetto) fornitori da tutti gli altri e verificare in ogni caso che anche al loro interno sussistano effettivamente i criteri di omogeneità prescritti dall’art. 2, lett. r). Insomma, il proponente il concordato dovrà affrontare e risolvere un ennesimo, insidioso (e costoso, considerati tempo e risorse da impiegare nella raccolta ed analisi dei dati contabili dei creditori) rompicapo (uno fra i tanti, peraltro), la cui necessità – pur risalente all’art. 9.4 della Direttiva - non si avvertiva.