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Saggio

Intrecci rovesciati e consecuzione anomala tra composizione negoziata e strumenti di regolazione della crisi*

Massimo Fabiani, Ordinario di diritto commerciale nell’Università del Molise

23 Febbraio 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’Autore affronta un argomento poco dibattuto relativo alla sovrapposizione tra la composizione negoziata della crisi e l’accesso ad uno strumento di regolazione prendendo in considerazione plurimi profili e mettendo in discussione l’applicazione delle note teorie in materia di consecuzione tra procedure. 
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1 . Cenni sugli effetti della scelta da analisi differenziale tra istituti
Sappiamo che entro l’estate il Governo licenzierà un nuovo decreto legislativo al fine di rendere più armonico, dopo le varie stratificazioni, il Codice della crisi.
Attesa la natura dell’intervento dovremmo aspettarci che le disposizioni nuove avranno, soprattutto, la funzione di rendere più semplici alcuni snodi tra le diverse norme perché è noto che un non compiuto coordinamento tra diverse disposizioni è uno dei profili di maggior criticità del corpo normativo.
Ed ancora, in questi oltre diciotto mesi di vigenza del Codice abbiamo tutti compreso che, se da un lato la liquidazione giudiziale continuerà ad essere statisticamente la procedura “regina”, per converso l’attenzione degli operatori è per gran parte rivolta a tutti quegli istituti che hanno l’ambizione di evitare la disgregazione liquidatoria della procedura “maggiore”.
In questo contesto penso sia utile mettere ben a fuoco le relazioni tra la composizione negoziata e gli strumenti volontari di regolazione della crisi e ciò anche al fine di porre un tema di dibattito per il legislatore. 
Al 15 febbraio 2024 le istanze di accesso alla composizione negoziata erano 1250, numero che, grande o piccolo che sia di per sé, è enormemente superiore al numero degli accessi, nel medesimo periodo, agli strumenti di regolazione della crisi.
Credo che, ancor oggi, non sia a tutti chiaro che esiste una profonda distanza tra gli strumenti e la composizione negoziata non solo per quanto ci dice l’art. 2 lett. m-bis) CCII – e cioè che la composizione non è uno strumento – ma proprio dal punto di vista ideologico perché tante volte si è detto la composizione non è un procedimento ma un percorso, un luogo nel quale verificare se esistono le possibilità di un risanamento dell’impresa[1]
Merita di essere ricordato ancora una volta che in fondo al percorso il debitore può trovare soluzioni proprie della composizione - art. 23, comma 1, lett. a) e c) CCII – e soluzioni che si compendiano, invece, in istituti tradizionali o nuovi e che tuttavia sono espressione di altre forme di exit [2].
È ben vero che sia nell’una che negli altri vi possono essere delle convergenze, anche importanti, ma le finalità restano distinte. Ci si vuole riferire alle cc.dd. misure protettive che trovano spazio in ambedue gli istituti; certo, l’interesse specifico a impedire che singoli creditori possano conquistare posizioni di vantaggio è esigenza avvertita in modo comune, ma nella composizione negoziata le misure protettive assolvono al primario bisogno di consentire una ordinata progressione delle trattative al riparo dal rischio che nelle more una parte del patrimonio possa essere “spolpata” da taluni creditori. Diversamente, le misure di cui agli artt. 54 e 55 CCII mirano, in modo più diretto, ad evitare che vengano alterate le posizioni tra creditori. 
Sennonché ci è ben noto che il debitore che avvia la composizione negoziata resta ben saldo al timone dell’impresa[3], pur se deve adattare la gestione mettendo davanti a tutto l’interesse dei creditori quando l’impresa è o può divenire a breve insolvente, mentre negli strumenti tradizionali i criteri di gestione vengono ribaltati (v. art. 46 CCII) nel periodo di accesso con riserva (art. 44 CCII) e, sempre, anche nel concordato preventivo. Non a caso una disposizione di fondamentale importanza è quella che chiude il comma 1 dell’art. 18 CCII: “non sono inibiti i pagamenti”, disposizione-manifesto in ordine ai poteri gestori dell’imprenditore.
La composizione negoziata resta distante anche dagli accordi di ristrutturazione dove pure la gestione dell’impresa non è soggetta a sorveglianza da parte degli organi della procedura. Infatti, negli accordi di ristrutturazione pur in assenza di regole distributive di fonte legale e del classico effetto conformativo del concordato (art. 117 CCII), il debitore procede – in base agli accordi con i creditori – a ripartire tra i creditori le risorse patrimoniali che destina al soddisfacimento dei creditori anteriori.
Le superiori considerazioni, qui solo enunciate, consentono di fare un passo avanti: chi deve assistere un debitore deve avere ben chiaro il perimetro di operatività della composizione negoziata e di quello, in primis, del concordato preventivo, a questo ci si riferisce perché si tratta ancora dello strumento più diffuso. 
Un piano di concordato e un progetto di piano di risanamento nella composizione negoziata devono avere presupposti e punti di caduta profondamente diversi perché i canestri da cui pescare, all’occorrenza, le regole, non sono affatto omogenei.
La scelta dovrà essere operata con grande prudenza, e soprattutto con grande professionalità, perché il modello non potrà essere preso a caso tra i “preferiti” dall’advisor, ma dovrà essere calato nel caso concreto. 
La diversa tipologia della crisi – finanziaria, patrimoniale, economica, attuale, prospettica – e la diversa platea dei creditori – fornitori, banche, agenzie fiscali, lavoratori - imporranno una scelta meditata. 
Tuttavia, occorre anche essere consapevoli che una scelta benché meditata, non debba necessariamente restare intrappolata nel singolo istituto e tutta la storia della Direttiva Insolvency 1023/2019 mostra come uno dei valori da perseguire sia quello della flessibilità delle reazioni del debitore alla crisi: il passaggio dall’uno all’altro strumento/istituto deve essere favorito.
Ciò posto, dobbiamo però verificare sino a che punto sia ammissibile un passaggio, in avanti o all’indietro, tra composizione negoziata e strumenti di regolazione della crisi[4].
2 . La composizione negoziata preceduta dall’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi
Nel decreto-legge 118/2021 il legislatore inserì una previsione che vietava al debitore di fare accesso alla composizione negoziata qualora avesse, in precedenza, presentato una domanda di concordato preventivo (anche ai sensi dell’art. 161, comma 6, L. fall.) o di omologazione degli accordi di ristrutturazione. 
Era evidente la preoccupazione che un debitore potesse tornare sui suoi passi e ottenere determinati effetti (ad esempio quelli correlati alle misure protettive) da giustapporre a quelli già conseguiti. Sullo sfondo aleggiava il tema dell’abuso degli strumenti concorsuali e così si preferì una soluzione tranchant, quella di impedire il “percorso del gambero”. Una volta eletta la via del concordato (o degli accordi) si era “bruciato” lo spazio di accesso alla composizione negoziata. Quel principio, con talune varianti, è confluito nell’art. 25 quinquies CCII, là dove si stabilisce che in pendenza del procedimento aperto ai sensi dell’art. 40 (ma anche con riserva ed anche con le misure del c.d. pre-accordo di ristrutturazione) è inibito l’accesso alla composizione negoziata e tale inibizione si protrae per quattro mesi quando il debitore dopo aver eletto il percorso di cui all’art. 40 CCII vi abbia poi rinunciato. 
Il Codice della crisi ha, dunque, confermato il divieto del “percorso del gambero”, solo precisando che dopo una moratoria di quattro mesi l’istanza di cui all’art. 12 CCII potrà essere depositata. 
La disposizione contiene due diverse proposizioni. 
In un primo caso si parla di pendenza del procedimento, termine tecnico che può essere adoperato perché quelli di cui agli artt. 40, 44, 54 comma 3 e 74 (concordato minore) CCII regolano tasselli del procedimento unitario o del procedimento “cautelare”. 
Sino a che è pendente un procedimento unitario innescato – volontariamente[5] dal debitore – ai sensi dell’art. 40 CCII la composizione negoziata è inibita, il che significa sino a quando non interviene un provvedimento della autorità giudiziaria che vi pone fine: possiamo pensare al decreto di inammissibilità (art. 47 CCII), al decreto di revoca (art. 106 CCII), alla sentenza che nega l’omologazione (art. 48 CCII). Ed ancora se qualcuno di questi provvedimenti è impugnato, l’inibizione scorre in avanti sino a quando il gravame non è definito. 
Semmai, v’è da chiedersi se una volta venuto meno lo strumento e non disposta la liquidazione giudiziale, esista da subito la facoltà del debitore di fare accesso alla composizione negoziata; la norma sembra consentire questa opportunità e questo risultato non mi pare così pericoloso da giustificare una norma prescrittiva che risolva il problema. 
Infatti, se è ben vero che un debitore potrebbe subito dopo la cessazione della procedura presentare una istanza di accesso, ad esempio per allungare il “brodo” delle misure protettive e ritardare ancora la liquidazione giudiziale, il rischio può essere paralizzato da appropriati antidoti: (i) da una parte le misure sono soggette al rilascio/conferma del giudice; (ii) dall’altra parte l’esperto designato, tenuto conto dell’insuccesso della procedura avrebbe buon giuoco a chiedere immediatamente l’archiviazione della composizione per l’impossibilità di perseguire il risanamento. 
In tale cornice una attività interpretativa dovrebbe essere più che sufficiente per stabilire che l’art. 25 quinquies non contiene una lacuna. 
Il secondo caso pertiene, invece, ad un atto dispositivo del debitore che sceglie di rinunciare allo strumento o alla misura protettiva (art. 54, comma 3, CCII): per questo si prevede un periodo di inibizione – di quattro mesi – nel quale i creditori rientrano nella piena disponibilità dei propri diritti e delle proprie azioni. 
La norma è chiara nel voler evitare, come detto, il “percorso del gambero”. Se il debitore ritiene di non proseguire il percorso più strutturato per deviare verso il percorso più agile lo può fare ma con una soluzione di continuità che deve reputarsi adeguata perché interrompe la catena dei periodi di operatività delle misure protettive. Quando all’esito della rinuncia il debitore riesce ad evitare aggressioni da parte dei creditori è ragionevole che la situazione dell’impresa non sia così compromessa e dunque non è irrazionale che possa ancora essere perseguito il risanamento. Il periodo di quattro mesi sembra ben calibrato perché consente ai creditori di recuperare le loro prerogative e al contempo non penalizza, troppo, il debitore.
3 . La composizione negoziata che anticipa l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi
L’art. 25 quinquies non disciplina la fattispecie rovesciata perché non detta la regola da applicare alla successione “composizione negoziata → strumento di regolazione della crisi”; tuttavia, occorre domandarsi se la regola disciplinare, pur non resa evidente nella norma, sia desumibile dall’assetto di sistema, ovvero se non si renda necessario un intervento del legislatore. 
Mentre in linea di massima possiamo ritenere che lo sviluppo retrogrado segnali qualche profilo di patologia, lo sviluppo “discendente” ci appare del tutto naturale[6] se come si è visto, la composizione negoziata è un percorso; non a caso, uno degli epiloghi della composizione è proprio l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi. Ed allora possiamo formulare, sin da subito, una prima conclusione: lo scenario di scivolamento dalla composizione ad uno strumento è del tutto ortodosso e quasi fisiologico e tuttavia questa prima conclusione non ci esime dal proporre qualche ulteriore argomento per verificare che la sequenza delle situazioni trovi una corretta regolamentazione. 
Non possiamo nutrire dubbi sul fatto che all’esito della composizione negoziata il debitore possa avere libero accesso ad uno degli strumenti, ma dobbiamo, parimenti, mettere in guardia dal fatto che la linearità di questo percorso possa essere ostacolata da una sequenza di eventi non proprio ben disegnati. 
Detto in altre parole: se è razionale che alla composizione negoziata faccia seguito uno strumento, occorre intendersi su cosa si intende per “seguito”, perché bisogna essere molto cauti. 
La tesi che si vuole qui esporre - anche per valutare se sia compatibile con un dettato normativo sufficientemente chiaro o se questo sia bisognoso di qualche addendo -  è presto detta: l’accesso ad uno strumento non è ammissibile sino a che non è chiusa la composizione negoziata. 
È possibile incuneare durante la fase delle trattative una domanda di accesso ad uno strumento, ad esempio, al solo fine di vedere garantita una continuità tra le misure protettive di cui all’art. 18 CCII e quelle di cui all’art. 54 CCII? 
Nonostante il quesito non abbia una soluzione di immediata percezione, vi sono vari indizi che a mio avviso conducono, tutti, nella direzione negativa. 
Procediamo con ordine ed esaminiamo i dati normativi rassicuranti. 
Il primo: il concordato semplificato (art. 25 sexies CCII) può essere richiesto dal debitore entro sessanta giorni da quando l’esperto ha rilasciato la relazione finale e la relazione finale (v., art. 17 CCII)[7] è l’adempimento che precede immediatamente l’archiviazione[8] da parte del segretario generale della camera di commercio. Pertanto, il concordato semplificato presuppone che vi sia stata l’archiviazione della composizione[9]. Tutt’al più si potrebbe assumere che il dies a quo sia la relazione finale dell’esperto – anche non accompagnata dall’archiviazione – che viene a stabilizzarsi per effetto (a) dell’inserimento nella piattaforma e (b) per la sua trasmissione a mezzo posta elettronica certificata[10] al debitore. 
Di sicuro, fino a che l’esperto non consegna la relazione finale la composizione negoziata deve intendersi aperta, persino quando si esaurisce con l’accordo ex art. 23, comma 1, lett. a) o c). 
Passando all’accordo di ristrutturazione, l’art. 23, comma 2, lett. b) CCII prevede che il quorum dei creditori aderenti ad un accordo ad efficacia estesa di cui all’art. 61 CCII, possa scendere dal 75% al 60% quando dalla relazione finale dell’esperto si ricava che l’accordo è il frutto della negoziazione avvenuta nella composizione. Quindi, anche in questo caso, mi sembra che la relazione finale dell’esperto sia presupposto di ultimazione della composizione, quantunque si possa obiettare che negli accordi-base e in quelli agevolati (artt. 57 e 60 CCII) la relazione finale non sia indispensabile. Tuttavia, si creerebbe una bizzarra asimmetria tra diversi tipi di accordo, sì che pare preferibile considerare (quanto meno) la relazione finale presupposto di accesso, pur se va confermato che meglio sarebbe l’avvenuto adempimento dell’archiviazione. 
Per quanto pertiene al concordato preventivo nessuna traccia si rinviene nell’art. 23 CCII, ma nell’art. 90 CCII si stabilisce che per evitare una proposta concorrente il debitore che abbia praticato (“utilmente”) la composizione negoziata può proporre ai creditori chirografari un soddisfacimento almeno pari al 20% (in luogo del 30%). Anche in questo caso se si deve certificare l’utilità, a me pare imprescindibile che vi sia una conforme relazione finale dell’esperto con la conseguenza che si ricade nelle conclusioni precedenti. 
La stessa frammentazione tra primo e secondo comma dell’art. 23 CCII segnala una profonda differenza tra le soluzioni di uscita, perché quelle del primo comma sono “interne” alla composizione e del loro conseguimento deve dare atto l’esperto, mentre quelle del secondo comma sono “esterne”[11]. 
Tutte queste considerazioni muovono compatte nella direzione di predicare che uno strumento di regolazione della crisi non può mescolarsi con il percorso della composizione negoziata[12]. 
Prima si metta da parte la composizione e poi si avvii, se utile, uno strumento; l’effetto è quello di mettere in fila composizione e strumenti assecondando una ordinata progressione che eviti commistioni a danno dei creditori[13].
3.1 . Le ragioni di una ordinata progressione
Nel § precedente sono state messe in luce le regole del Codice che spingono per reputare preferibile che l’accesso allo strumento sia successivo alla archiviazione della composizione negoziata (o comunque alla trasmissione della relazione finale dell’esperto). 
Questa soluzione non è, soltanto, quella più in armonia con le regole del Codice, ma è anche quella che evita possibili commistioni di regimi disciplinari diversi. Quando si accede alla composizione negoziata il debitore conserva la gestione dell’impresa senza limitazioni salve le formalità connesse all’espressione dell’eventuale dissenso dell’esperto (art. 21 CCII)[14]; quando, invece, il debitore accede ad uno strumento con riserva, la gestione dell’impresa è regolata dall’art. 46 CCII e quando si entra nel concordato preventivo la gestione è affidata alla regola di cui all’art. 94 CCII. 
Se nella persistenza delle misure protettive di cui all’art. 18 CCII sopravviene una domanda “piena” o “con riserva” (artt. 40 e 44 CCII) in cui è inclusa l’istanza di concessione delle misure protettive il regime di protezione a quale regola si riferisce ? 
Nel caso in cui durante la composizione negoziata il debitore avanzi la richiesta di autorizzazione alla cessione dell’azienda con i vantaggi di cui all’art. 22 CCII e poi sopraggiunga la domanda di concordato preventivo, la cessione dell’azienda va affidata al regime di cui all’art. 22 o di quello dell’art. 94? 
A questi interrogativi si potrebbe rispondere che si tratta di quesiti banali perché nel momento in cui il debitore chiede l’accesso allo strumento, dimostra di voler abbandonare il percorso della composizione negoziata e, comunque, le regole previste per gli strumenti dovrebbero prevalere su quelle previste per la composizione negoziata. 
Da un punto di vista fattuale è molto probabile che sia così; tuttavia, le interconnessioni si possono verificare e sarebbe decisamente meglio che le regole fossero chiare per tutti e per i creditori in particolare. 
A mio modo di vedere non ci può essere commistione perché il regime disciplinare uno soltanto deve essere e gli istituti del Codice non possono essere maneggiati come giocattoli. 
Aggiungo che il principio generale che vuole che le condotte dei protagonisti dello scenario di crisi siano improntate a buona fede - enfatizzato nell’apice del Codice (art. 4 CCII)[15] - deve tradursi, anche, nella trasparenza dei comportamenti e delle scelte in modo che tutti, esperto, tribunale, creditori siano messi nelle condizioni di comprendere esattamente in quale cornice giuridica ci si muove. 
La commistione potrebbe generare ulteriore confusione se pensiamo al caso in cui durante la composizione – non esaurita – sopraggiunga una domanda di concordato preventivo che il tribunale reputi immediatamente inammissibile ai sensi dell’art. 47 CCII; cosa accadrebbe? Tornerebbe in auge la composizione negoziata non ancora archiviata ? 
È ben vero che secondo un ordine razionale degli eventi, non appena l’esperto prenda atto dell’accesso ad uno strumento di regolazione dovrebbe, quasi automaticamente, certificare l’impossibilità di prosecuzione del percorso negoziato, ma ove questo non accada (o non accada subito) le complicazioni emergono a tutto tondo. 
Infine, a composizione negoziata aperta, l’istanza di accesso ad uno strumento è solo atto di organizzazione o è anche atto di gestione dell’impresa con la conseguenza che andrebbero invocati i presidi di cui all’art. 21 CCII? Può apparire un quesito paradossale ma non mi pare che la criticità non meriti di costituire un ulteriore argomento per concludere che l’accesso allo strumento presuppone che la composizione negoziata sia – non solo nella sostanza ma anche nella forma – chiusa. 
Se tutto questo vale nei rapporti tra composizione negoziata e strumenti, non è detto, però, che valga automaticamente anche tra composizione negoziata e procedimenti che non sono strumenti. Ci si vuole riferire alla fattispecie di cui all’art. 54, comma 3, CCII che costituisce il diretto discendente del c.d. pre-accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis, comma 6, L. fall. 
V’è allora da chiedersi se a composizione negoziata pendente vi possa essere uno spazio per l’innesto del pre-accordo di ristrutturazione e in particolare se le misure di protezione di cui all’art. 54, comma 3, si possano saldare con quelle già concesse ai sensi dell’art. 18 CCII. 
La ragione di questo interrogativo muove dal fatto che nel comma 3 si parla espressamente di trattative e questo parrebbe rimandare al nucleo portante della composizione negoziata: se la “cifra” della composizione negoziata è la gestione della trattativa, non vi dovrebbe essere alcuna incompatibilità con le trattative intessute nel pre-accordo. L’indicazione è suggestiva e tutt’altro che irrazionale perché si potrebbe immaginare che giunti ad un certo punto della trattativa in presenza dell’esperto, la trattativa assuma i connotati qualificanti presupposti nella attestazione del professionista. Il risultato concreto potrebbe rinvenirsi, proprio, nella saldatura tra le misure protettive in scadenza nella composizione negoziata e quelle innestate dalla domanda ex art. 54, comma 3, CCII. 
Provando a lasciare in disparte il tema dell’abuso dello strumento, a me pare che la scelta di limitare il periodo di vigenza delle misure protettive nella composizione negoziata a 240 giorni, pur quando le trattative possano durare sino a 360 giorni vuole rappresentare il fatto che è tollerabile far marciare le trattative – senza più il riparo della protezione ex art. 18 CCII – a condizione che ai creditori sia restituita piena libertà di azione, sì che le trattative proseguono virtuosamente proprio quando non vi sono tensioni con i creditori. Innestare la protezione-bis del pre-accordo pare una forzatura, fermo restando che se si chiude la composizione nulla impedirà al debitore di seguire proprio la via del pre-accordo che, però, stando all’art. 23 CCII non vale da solo come soluzione finale della crisi. 
Pertanto, anche il pre-accordo – ancorché fattispecie autonoma rispetto ai procedimenti[16] - soffre di quelle criticità tipiche dei procedimenti e non mi sembra soluzione percorribile all’interno della composizione negoziata[17]. 
4 . Consecuzione tra istituti ed effetti distanti dalla consecuzione tra procedimenti o procedure
Una volta che abbiamo risolto il fatto che l’accesso agli strumenti e al pre-accordo deve presupporre la chiusura della composizione negoziata resta da vedere cosa accada sul piano degli effetti tra l’ultimazione della composizione e l’avvio dello strumento. 
Possiamo serenamente escludere che il fenomeno vada descritto come consecuzione tra procedure[18] o anche solo tra procedimenti giacché la composizione non è né l’uno né l’altro. 
Non potremo così discorrere di retrodatazione del periodo sospetto all’avvio della composizione negoziata qualora la crisi si concluda con l’apertura della liquidazione giudiziale (art. 170 CCII)[19]. Parimenti, la sospensione degli interessi (artt. 96 e 153 CCII) si applicherà solo con l’apertura della liquidazione giudiziale. 
Ciò nondimeno, la legge vuole che taluni effetti della composizione negoziata prendano vigore se e proprio quando segua uno strumento di regolazione o la liquidazione giudiziale: pensiamo al regime degli atti autorizzati (art. 22 CCII) e alla loro persistenza – senza rischi di inefficacia – nelle successive procedure. 
Il caso, se si vuole più eclatante, è quello della prededuzione sui finanziamenti visto che l’art. 22 CCII si riferisce direttamente alla prededucibilità dei finanziamenti autorizzati dal tribunale, prededucibilità che assumerà un significato proprio quando seguirà un procedimento nel quale vigono regole legali di distribuzione del valore[20]. 
Tuttavia, se vogliamo restare ancorati alla stretta connessione tra composizione negoziata e successivo accesso allo strumento, condito dalla richiesta di misure protettive, dobbiamo chiederci quale rapporto leghi le misure della composizione e quelle dello strumento e, in particolare, se si possa predicare una consecutività tra le stesse. 
Fermo restando il fatto che la durata massima complessiva delle misure protettive è di dodici mesi (art. 8 CCII) si pongono due ipotesi: (i) la composizione si chiude quando sono ancora pendenti le misure e subito dopo la chiusura il debitore fa ricorso ai sensi dell’art. 54, comma 2, CCII; (ii) la composizione si chiude quando le misure sono scadute e subito dopo la chiusura il debitore fa ricorso ai sensi dell’art. 54, comma 2, CCII. Nel primo caso ci potrebbe essere uno spazio di qualche giorno e nel secondo caso anche di qualche mese. In questo spazio si potrebbe insinuare un creditore che avvia una azione esecutiva o cautelare o iscrive una ipoteca o anche più semplicemente chiede l’apertura della liquidazione giudiziale. 
Se riteniamo che non vi sia una consecuzione tra le misure protettive[21], comunque, il debitore non è soggetto a rischi con riguardo ad azioni esecutive o cautelari[22] perché la loro regolamentazione è tutta interna allo stesso meccanismo di protezione di cui all’art. 54 comma 2. Dal momento che è inibita la prosecuzione delle azioni, il fatto che l’accesso allo strumento sia stato (o no) preceduto dalla composizione negoziata non è rilevante. 
Il discorso cambia per ciò che pertiene alle ipoteche giudiziali poiché il debitore è protetto solo per quelle iscritte nei novanta giorni anteriori al deposito della domanda di accesso allo strumento (art. 46, comma 5, CCII), talché non è protetto per quelle iscritte prima dei novanta giorni mentre era in corso ovvero era appena terminata la composizione negoziata. I casi che ci possono interessare sono almeno due: (i) un creditore iscrive ipoteca, contro il divieto di cui all’art. 18 CCII[23], durante la composizione negoziata ma poi questa si esaurisce; (ii) un creditore iscrive ipoteca dopo che sono cessate le misure protettive di cui all’art. 18 CCII ma la composizione è ancora pendente e poi sopravviene, ma oltre i novanta giorni la domanda di accesso ad uno strumento. 
Al cospetto di queste due ipotesi ci si deve chiedere se sussista una consecuzione tra misure protettive ovvero se il periodo di assenza di protezione renda le misure tra loro non comunicanti. 
Benché la prima soluzione possa apparire quella più funzionale alla gestione efficiente della crisi, in mancanza di una regola espressa credo che la soluzione più coerente sia la seconda soprattutto con riferimento alla fattispecie sub (ii). 
In primo luogo, occorre chiarire la natura della sanzione che si vuole applicare alla violazione del divieto di iscrizione di ipoteca giudiziale in costanza delle misure protettive di cui all’art. 18 CCII. Infatti, se l’iscrizione è nulla quell’ipoteca non solo non garantisce al creditore un diritto di prelazione durante la composizione negoziata ma anche allo spirare di questa non produrrà i propri effetti; al contrario, se la sanzione è quella della inefficacia dell’ipoteca durante la composizione, una volta che questa è cessata l’ipoteca prenderà l’efficacia che prima mancava, con la conseguenza che nel successivo strumento se ne dovrà tenere conto (perché iscritta oltre i novanta giorni). 
Anche al lume del mutamento di lessico rispetto all’art. 168 L. fall. (dove il termine era "nullità", con riguardo alle azioni esecutive e cautelari) la sanzione che colpisce l’iscrizione ipotecaria fatta in violazione del divieto per coerenza andrebbe ricondotta alla categoria della inefficacia[24] con il risultato che al cessare delle misure protettive l’ipoteca acquisisce piena efficacia rispetto al debitore e agli altri creditori. Sennonché, come era legittimo fare, il Codice stabilisce che al cessare delle misure, per revoca o per naturale scadenza, il divieto di acquisire diritti di prelazione non concordati viene meno a far data dalla revoca o cessazione (art. 55, comma 8, CCII) il che si traduce in una permanenza dell’effetto di inefficacia il che genera una assimilazione di questa inefficacia assoluta alla categoria della invalidità. 
Assai diverso è il discorso se dalla composizione negoziata tracimiamo in uno strumento, specie si tratta di un concordato preventivo, e l’ipoteca viene iscritta durante la composizione ma dopo che sono cessate le misure protettive. 
Qui si apprezza facilmente che, se si dovesse postulare la consecuzione tra misure protettive, taluno potrebbe suggerire che – in presenza di una stessa crisi – le ipoteche iscritte tra una misura protettiva e l’altra potrebbero risultare inefficaci. Va, infatti, rammentata quella diffusa lettura secondo la quale il criterio che regge la teoria della consecuzione è quello della identità della crisi, non quello semplicemente temporale posto che una consecuzione è ammessa anche quando vi è soluzione di continuità tra una procedura e l’altra ma questo lasso di tempo nel ‘limbo’ non è per espressivo di un definitivo superamento della crisi[25]. In moltissime occasioni la giurisprudenza ha quindi avuto modo di precisare che consecuzione può ricorrere anche a distanza di tempo tra l’avvio della prima e l’ultima ed anche quando la successione cronologica è interrotta da un periodo in cui manca, proprio, una procedura[26]. 
Se è comprensibile che una tesi di questo tenore possa essere affacciata, ciò nondimeno anche nell’ottica di un bilanciamento di interessi tra debitore e creditori è decisamente preferibile escludere ogni forma di consecuzione (o, se si vuole, di contaminazione) tra misure[27] con la precisazione che questa più rigorosa conclusione non è davvero inefficiente per il debitore e per gli altri creditori tenendo conto del fatto che quella ipoteca sarà, in ogni caso, soggetta all’azione revocatoria concorsuale ai sensi degli artt. 166, comma 1, lett. d) e 170 CCII nell’ambito del periodo sospetto semestrale[28].
5 . Conclusioni
Avevamo aperto questo breve contributo chiedendoci se un intervento normativo per sciogliere alcuni nodi interpretativi sarebbe opportuno o finanche necessario. 
Per le superiori considerazioni non credo che sia necessario qualche innesto, mentre un chiarimento sul fatto che l’accesso allo strumento deve presupporre la chiusura della composizione negoziata potrebbe rivelarsi opportuno anche e proprio per continuare a marcare la distanza tra la composizione negoziata e gli strumenti di regolazione della crisi. 

Note:

[1] 
I.Pagni-M.Fabiani, La transizione dal codice della crisi alla composizione negoziata (e viceversa), in dirittodellacrisi.it, 10; S. Ambrosini, La composizione negoziata compie un anno: breve itinerario fra le prime applicazioni, in Giur.it., 2023, 1700; G. Scognamiglio, La composizione negoziata, in Giur.comm., 2023, I, 360; F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, Milano, 2023, 462; P. Vella, Le finalità della composizione negoziata e la struttura del percorso. Confronto col CCII, in Fallimento, 2021, 1490. Trib. Milano 16 settembre 2022, Dirittodellacrisi.it; Trib. Pescara 9 maggio 2022, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Firenze 6 giugno 2022, in Dirittodellacrisi.it.
Ma, sulla concorsualità della composizione v., A. Castagnola, La composizione negoziata, in Giur.comm., 2023, I, 364.
[2] 
L. Panzani, Gli esiti possibili delle trattative e gli effetti in caso di insuccesso, in Il Fall., 2021, 1591.
[3] 
E. Bissocoli, La composizione negoziata della crisi d’impresa alla prova del sistema calcio: il caso UC Sampdoria, in Dirittodellacrisi.it, 24.
[4] 
Le considerazioni che seguono non includono tutte le questioni che, invece, pertengono al regime disciplinare del procedimento nel quale si dibattono le misure, sul quale v., per tutti, L. Baccaglini, Il procedimento di conferma, revoca o modifica delle misure protettive e di concessione delle misure cautelari, nella composizione negoziata della crisi, in Riv.dir.proc., 2022, 635.
[5] 
M. Montanari, I rapporti della composizione negoziata della crisi con i procedimenti concorsuali, in Dirittodellacrisi.it, 11; F.S. Damiani, La composizione negoziata della crisi d’impresa, in Diritto della crisi d’impresa, a cura di G. Trisorio Liuzzi, Bai, 2023, 41; U. Corea, sub art. 2  quinquies, in Il codice della crisi e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2023, 200. Il discorso cambia con riferimento alla pendenza del procedimento di liquidazione giudiziale perché in questo caso vi è una ben nota discussione se vi sia una preclusione. Nel senso della preclusione v., Trib. Bergamo, 23 gennaio 2024, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Palermo, 22 maggio 2023, in Dirittodellacrisi.it; nell’opposta direzione, Trib. Bologna, 23 giugno 2023, in Dirittodellacrisi.it; App. Potenza, 27 dicembre 2022, in Dirittodellacrisi.it. Sulla incompatibilità tra composizione negoziata e amministrazione straordinaria v., M. Montanari, I rapporti della composizione negoziata della crisi con i procedimenti concorsuali, cit., 6.
[6] 
A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2023, 93. 
[7] 
P. Riva-G. Rocca, L’esito dell’intervento dell’esperto e il contenuto della relazione finale, in AA.VV., La composizione negoziata quale soluzione alla crisi d’impresa, Milano, 2023, 226. 
[8] 
C. Esposito, Il concordato semplificato, Milano, 2023, 95; I. Pollastro, La composizione negoziata della crisi, in Lineamenti di diritto della crisi e dell’insolvenza, a cura di M. Irrera-F. Pasquariello- M. Perrino, Bologna, 2023, 86. 
[9] 
App. Salerno, 6 aprile 2023, in Dirittodellacrisi.it; V. Zanichelli, Gli esiti possibili della composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it, 10. 
[10] 
L’art. 17 non prevede il mezzo di comunicazione ma v’è da ritenere che questo avvenga con la PEC. 
[11] 
G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2022, 42. 
[12] 
Sulla incompatibilità, a doppio senso, v., Trib. Napoli Nord, 4 gennaio 2024, in Dirittodellacrisi.it; secondo il tribunale campano “In via del tutto preliminare deve rilevarsi l’improcedibilità del reclamo proposto, dovuta alla contemporanea pendenza, in uno all’impugnazione in esame, di una procedura di concordato preventivo ex art. 44 Codice della crisi, che la proponente ha avviato con istanza depositata in data 28 novembre 2023 (cfr. doc. 34 allegato al deposito di parte reclamante del 6 dicembre 2023). Presentando domanda di concordato preventivo ex art. 44 Codice della crisi (con apposita ed autonoma istanza di concessione delle relative misure protettive a norma dell’art. 54, comma 2, Codice della crisi), la reclamante ha, nei fatti, dimostrato di non aver più un concreto interesse a definire in via stragiudiziale la situazione di crisi determinatasi. Del resto, l’incompatibilità tra le due procedure (la composizione negoziata, a natura stragiudiziale, ed il concordato preventivo, che si caratterizza, invece, per l’ampio coinvolgimento dell’autorità giurisdizionale, il cui controllo culmina nel giudizio di omologa) emerge in maniera nitida dall’analisi della nuova disciplina dettata dal Codice della crisi. Basti considerare, da questo punto di vista, il disposto di cui all’art. 25 quinquies Codice della crisi, che nel prevedere che L'istanza di cui all'articolo 17, non può essere presentata dall'imprenditore in pendenza del procedimento introdotto con ricorso depositato ai sensi dell'articolo 40, anche nelle ipotesi di cui agli articoli 44, comma 1, lettera a), 54, comma 3, e 74. L'istanza non può essere altresì presentata nel caso in cui l'imprenditore, nei quattro mesi precedenti l'istanza medesima, abbia rinunciato alle domande indicate nel primo periodo, di fatto enuclea un principio di generale incompatibilità tra i due strumenti di regolazione della crisi, che può ritenersi applicabile, mutatis mutandis, anche al caso di specie.  Se è vero, infatti, che, in pendenza di un procedimento unitario, l imprenditore che versi in una condizione di squilibrio non può presentare un’istanza volta all’apertura di una composizione negoziata della crisi d’impresa, dovendo, quest’ultimo, servirsi degli strumenti giudiziali di risoluzione, previsti dalla disciplina del concordato preventivo (nelle sue diverse ed eterogenee formulazioni), deve anche coerentemente e conseguentemente ritenersi che, una volta intrapresa iniziativa di cui all’art. 44 Codice della crisi, l’imprenditore non possa contestualmente coltivare l’interesse ad una proroga delle misure protettive già concesse nell’ambito di una composizione negoziata od addirittura, come effettuato nel caso di specie, coltivare l’interesse ad una riapertura della procedura di composizione negoziata, nelle more archiviata sulla base della relazione finale dell’esperto” 
[13] 
Nel senso della necessità della archiviazione, mi pare, anche V. Zanichelli, Gli esiti possibili della composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it, 5. 
[14] 
M. dal Linz, La gestione dell’impresa in pendenza delle trattative, in Come gestire la composizione negoziata nel risanamento dell’impresa, a cura di F. Ghignone, Sant’Arcangelo di Romagna, 2023, 216; A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, cit., 103; U. Corea, sub art. 21, in Il codice della crisi e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2023, 141. 
[15] 
L. Panzani, I doveri delle parti, in dirittodellacrisi.it, 5; S. Ambrosini, La composizione negoziata compie un anno: breve itinerario fra le prime applicazioni, cit., 1702; G. Meo, La responsabilità nella composizione negoziata della crisi, in Dir.fall., 2023, 850. 
[16] 
Trib. Avellino, 20 settembre 2023, in Dirittodellacrisi.it
[17] 
Benché non si ponga tutti questi problemi, per quanto è dato comprendere, anche S. Pacchi,  Gli sbocchi della composizione negoziata e, in particolare, il concordato semplificato, in ristrutturazioniaziendali.it, 25 sembra escludere che il pre-accordo possa essere innestato all’interno della composizione negoziata. 
[18] 
In luogo di molti v., V. Giorgi, Consecuzione di procedure concorsuali e prededucibilità dei crediti, Milano, 1996, 1 ss.; G. Lo Cascio, Consecuzione di procedimenti concorsuali e retrodatazione del periodo sospetto per l'esperimento dell'azione revocatoria fallimentare, in Giust. civ., 1988, I, 1831; B. Inzitari, Il problema della «retrodatazione» dei termini per la revocatoria fallimentare nella consecuzione delle procedure concorsuali, in Giur. comm., 1991, I, 253; A. Didone, Note minime sulla consecuzione delle procedure concorsuali, in Giust. civ., 2010, I, 2457; A. Pazzi, L’infinito mondo della consecuzione fra procedure concorsuali in Il Fall., 2015, 22. Per Cass., 1 giugno 2019, n. 15724, la consecuzione tra procedure concorsuali è un fenomeno generalissimo consistente nel collegamento tra procedure di qualsiasi tipo, volte a regolare una coincidente situazione di dissesto dell'impresa, che trova nell'art. 69 bis L. fall. una sua particolare disciplina nel caso in cui esso si atteggi a consecuzione fra una o più procedure minori e un fallimento finale.
[19] 
M. Ferro, La composizione negoziata e il riposizionamento delle istituzioni della concorsualità giudiziale dopo il D.L. n. 118/2021, in Il Fall., 2021, 1589. 
[20] 
M. Fabiani, Nuova finanza prededucibile negli accordi di ristrutturazione e nell’esecuzione del concordato preventivo: alla ricerca della razionalità, in Dirittodellacrisi.it, 8.
[21] 
Ma sulla diversità delle misure v., Trib. Bergamo, 24 febbraio 2022, in dirittodellacrisi.it; G. Ivone, Misure protettive e cautelari, autorizzazioni del tribunale e rinegoziazione dei contratti nelle nuove regole sulla crisi d’impresa, in La nuova composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, a cura di G. Sancetta-A.I. Baratta-C. Ravazzin, Milano, 2022, 115; F. De Santis, sub art. 18, in Il codice della crisi e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2023, 126; A. Carratta, Le misure cautelari e protettive nel CCI dopo il d.lgs. n. 83/2022, in Dir. fall., 2022, 859; M. Aiello, La protezione del debitore nel codice della crisi: un approccio sistematico, in Dir.fall., 2023, 326. In particolare, sulla diversità funzionale v., F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, cit., 372.
[22] 
Qui il riferimento alle misure cautelari contro il debitore e non quelle richieste dal debitore, v., I. Pagni, Il “sistema” delle misure protettive e cautelari negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza: note a margine di un provvedimento del Tribunale di Milano, in Il Fall., 2024, 287.
[23] 
Il divieto, secondo Trib. Bergamo, 24 febbraio 2022, in Dirittodellacrisi.it, si applicherebbe ai soli creditori destinatari delle misure, ma ciò non esclude che il divieto sia estensibile erga omnes se la richiesta non è selettiva. 
[24] 
Cass. 8 luglio 2022 n. 21758. 
[25] 
Cass., 20 maggio 2022, n. 16414; Cass., 16 aprile 2018, n. 9290 ha statuito che in tema di revocatoria fallimentare, nel caso in cui dopo la revoca dell'ammissione del debitore al concordato preventivo si frapponga un intervallo di tempo prima della sua dichiarazione di fallimento, non è esclusa la consecuzione delle procedure concorsuali e, quindi, la retrodatazione del termine iniziale del periodo sospetto al momento della detta ammissione, purché si tratti di un intervallo di estensione non irragionevole, tale cioè da non costituire esso stesso elemento dimostrativo dell'intervenuta variazione dei presupposti delle due procedure; A. Pazzi, L’infinito mondo della consecuzione fra procedure concorsuali, cit., 26.
[26] 
Tra le più recenti pronunce di merito v., Trib. Pisa, 30 maggio 2023, Dejure.it; Trib. Milano, 14 febbraio 2023, Dejure.it; App. Salerno, 14 aprile 2022, Dejure.it; Trib. Terni, 4 aprile 2022, in Corti umbre 2022, 327.
[27] 
G. Rana, Le misure protettive e cautelari nella composizione negoziata di cui al D.L. n. 118/2021, in Dir. fall., 2022, 309.
[28] 
Una lettura non condivisibile – perché difforme dal diritto positivo - è quella proposta da M.L. Guarneri, sub art. 17, in Il codice della crisi e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, Milano, 2023, 111, ad avviso della quale con l’archiviazione vengono travolti ex tunc tutti gli effetti della composizione negoziata.

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