L’interpretazione dottrinale secondo la quale ogni vantaggio esterno al concorso, anche senza l’intento di far approvare una proposta al ribasso, determinerebbe un conflitto di interessi tale da escludere il voto contrasta con la libertà economica degli individui; aderirvi significa, ad esempio, precludere ad un creditore di votare a favore di una proposta per evitare il rischio di un’azione revocatoria[39] oppure di votare contro di essa per eliminare un concorrente sgradito[40].
Questa interpretazione sistematica secondo la quale il creditore dovrebbe essere imparziale non può corrispondere alla intenzione del legislatore e ci sono diversi indicatori in tal senso.
In primo luogo, in una visione contrattualistica, se la causa del concordato è la regolazione della crisi[41], cioè “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti” (art. 87), allora i motivi per i quali il creditore accetta o meno la proposta votando a favore o contro di essa sono irrilevanti ex art. 1345 c.c., salvo che egli condivida con il debitore gli stessi motivi illeciti. E si fa fatica ad individuarne, di motivi illeciti, al di fuori del caso di mancanza di alterità di interessi tra debitore e singolo creditore tale da danneggiare gli altri creditori; ipotesi che rappresenta una violazione della disposizione, probabilmente imperativa e tale da rendere appunto illeciti i motivi, contenuta nell’art. 112, comma 1: la regolarità della procedura.
Si potrà sostenere che con l’introduzione delle nuove regole di voto è sfumata la visione contrattualistica del concordato in continuità, ma l’ipotesi che esso possa essere approvato con il voto favorevole di una sola golden class e, al suo interno, con il voto favorevole dei soli … golden boys titolari del 33% dei crediti non ne sopprime la natura para-negoziale, poiché se il legislatore avesse voluto rendere il concordato uno strumento eminentemente processualistico, avrebbe privato i creditori di ogni potere decisionale, come nel concordato semplificato[42].
Così come non stupisce che venga considerato irrilevante il non-voto del creditore apatico, che è escluso dal quorum deliberativo affinché non governi con l’assenza come un remoto imperatore cinese, non dovrebbe sorprendere che venga considerato irrilevante (perché irragionevole e ostruzionistico?) il voto contrario di tutte le classi meno una, quella “interessata” – o anche “maltrattata”, per chi aderisca quest’ultima tesi[43]. I creditori dissenzienti devono accontentarsi di quello che passa il convento[44], secondo le regole della ristrutturazione trasversale, essendo irrilevante il loro consenso.
In secondo luogo, se quella dei creditori è una collettività con un interesse comune, ciò non significa che i suoi membri siano legati da doveri reciproci, perché il creditore non ha alcuna obbligazione ex art. 1173 c.c. nei confronti di un altro creditore; non da contratto[45], non da fatto illecito e neppure da altro atto o fatto idoneo secondo l’ordinamento a produrla, posto che l’art. 4 gli impone di collaborare lealmente soltanto con il debitore e con gli organi della procedura ma non con i creditori. Vero è che gli si chiede anche di comportarsi genericamente secondo buona fede e correttezza (senza precisare verso chi), ma questo comporta soltanto che egli sia tenuto a salvaguardare gli interessi altrui ove ciò non comporti un sacrificio apprezzabile per i propri[46].
In terzo luogo, l’art. 109, comma 6, primo periodo contiene due presunzioni assolute di conflitto di interessi, ed è significativo che si tratti di divieti che colpiscono proprio coloro – i congiunti e le società del gruppo – che per la vicinanza al debitore sono quasi certamente indotti a votare per una proposta al ribasso.
In quarto luogo, l’art. 53, comma 5 bis prevede il caso del “reclamo accolto ma respinto”; prevede, cioè, che la Corte di appello possa accogliere un’opposizione all’omologazione non revocando il concordato bensì confermandolo, quando l'interesse generale dei creditori (e dei lavoratori) prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, riconoscendo a quest'ultimo il risarcimento del danno. Questa regola di priorità può essere applicata solo in appello (perché così è bizzarramente previsto dall’art. 16 della Direttiva) e solo in contropartita di un indennizzo. Ne deduco che il giudice non può, nel precedente giudizio di omologazione, far prevalere un interesse comune dei creditori rispetto a quello del singolo.
Per ultimo, se tali conflitti impedissero il libero esercizio del voto, ne risulterebbe violato un caposaldo culturale e ideologico dell’occidente: il diritto, in campo economico, alla ricerca egoistica del proprio interesse, che attraverso la mano invisibile realizza anche l’interesse della collettività[47].
In conclusione, al di fuori dell’interesse a votare una proposta al ribasso, ritengo che un qualunque interesse esterno del creditore non debba condurre all’esclusione del voto ma tuttalpiù alla sua inclusione in una classe distinta. Che è, poi, la soluzione indicata dallo stesso legislatore nel caso del creditore che goda di una garanzia collaterale, trattato dall’art. 85 su specifico impulso della legge delega 155/2017.
La giurisprudenza aveva individuato un potenziale conflitto di interessi nel creditore chirografario assistito da garanzia di terzi, personale o reale, ritenendolo portato ad esprimere il consenso ad un concordato non conveniente per gli altri creditori[48]; invece in dottrina si era all’opposto osservato che in virtù della garanzia collaterale il creditore è indifferente alle sorti della procedura ed evita di votare[49].
In realtà, un creditore garantito da terzi dovrebbe essere indotto a votare con le stesse dinamiche di massimizzazione del risultato degli altri creditori; ciò sia per la parte del suo credito che non è garantita, sia, se è un creditore accorto, per la parte garantita, essendo tenuto a tutelare la posizione del garante in base al principio di buona fede e correttezza, se non vuole perdere la garanzia (Cass. 32478/2019). Il creditore razionale vota quindi in base a un doppio calcolo: il suo e quello del terzo, di cui praticamente si rende portavoce[50].
Preso comunque atto che l’art. 85 impone il classamento di colui che vanti un credito verso l’impresa in concordato assistito da garanzie di terzi, è verosimile che altrettanto valga per colui che vanti un credito verso terzi assistito da garanzie dell’impresa in concordato, potendo in entrambi i casi fare affidamento sia sul patrimonio del debitore principale che del garante[51].
Le altre ipotesi di classamento obbligatorio di cui all’art. 85 non sono invece strettamente riconducibili a conflitti di interessi, così come non è in conflitto di interessi il creditore con garanzia su beni del debitore per il quale non ricorrano le condizioni di cui all'art. 109, comma 5 (pagamento in denaro, integralmente, entro centottanta giorni dall'omologazione o trenta se è un credito da lavoro), anche se il più delle volte presenterà diritti di voto decisamente sproporzionati rispetto al sacrificio patito, come è ad esempio il creditore privilegiato da soddisfare nei sei mesi dall’omologazione che voti per la mancata previsione del pagamento degli interessi ex artt. 96 e 153, e quindi mancato pagamento "integrale”.
In ogni caso è significativo che il legislatore abbia scelto di regolare il supposto conflitto da garanzia collaterale tramite l’inclusione in una classe separata e nulla di più, ed in effetti il classamento separato appare essere una misura proporzionata in presenza di un generico interesse esterno al concorso esorbitante da quello comune al miglior soddisfacimento, poiché in fondo non si tratta d’altro che di un creditore che ha una posizione giuridica e un interesse economico disomogenei rispetto agli altri creditori[52], e non invece di un creditore in conflitto di interessi ex art. 109, comma 6, secondo periodo.
D’altronde, per quale motivo il canone del miglior soddisfacimento dovrebbe impedire il voto di un creditore che non lo persegua, se non obbliga neppure il debitore a formulare la migliore soluzione regolatoria della crisi?
Non condivido che sia da escludere dal voto[53], bensì che debba soltanto essere inserito in una classe autonoma, il creditore che abbia stipulato con il debitore un contratto di acquisto di un ramo di azienda sottoposto alla condizione sospensiva dell’omologa del concordato, e che quindi diventerà proprietario del bene solo se il concordato verrà omologato.
La competitività, infatti, è diventata dal 2015 la regola delle vendite concordatarie in ogni stadio della procedura, e ciò assicura che l’azienda sia venduta al miglior prezzo possibile scongiurando il rischio di proposte al ribasso. Inoltre, una condizione come quella descritta risponde ad una logica di autotutela del promissario acquirente quando sui beni aziendali gravino formalità pregiudizievoli.
In tal caso, infatti, il giudice si guarderà bene dal cancellarle prima dell’omologazione, per evitare pregiudizi al creditore privilegiato, salvo aderire alla tesi della surrogazione reale, cioè del trasferimento della prelazione dal bene originario al bene sostitutivo[54]; tesi che mi pare non del tutto rassicurante poiché darebbe luogo ad una garanzia non possessoria priva di formalità e quindi inopponibile ai terzi.
Qualora per converso il giudice cancellasse precocemente le formalità pregiudizievoli, il creditore privilegiato si troverebbe esposto al rischio di dissipazione del prezzo della vendita da parte dell’imprenditore, essendo questi tenuto a distribuirglielo solo dopo l’omologazione; gli organi della procedura possono adottare tecniche di riduzione del rischio, ma non sono a prova di bomba, soprattutto in caso di ritorno in bonis del debitore. Quindi, condizionare l’acquisto di un ramo d’azienda all’omologazione rappresenta un interesse meritevole di essere tutelato, non di essere punito con l’esclusione dal voto.