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Saggio

Il sistema delle votazioni nei concordati tra presente e futuro*

Giuseppe Bozza, già Presidente del Tribunale di Vicenza

4 Marzo 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’Autore affronta funditus la tematica del voto nelle procedure di concordato preventivo, nel crinale tra l’attualità della Legge fallimentare e il divenire del Codice della crisi.
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1 . L’adunanza dei creditori e la sua eliminazione
“L'adunanza dei creditori costituisce la fase in cui tra le parti - creditori e debitore, appunto - si sviluppa una fase di contraddittorio pieno, che viene a supplire - seppure in termini parziali e al solo fine della votazione - all'assenza nel concordato di una procedura di verifica del passivo: tanto il debitore, quanto i creditori ben possono, in questa sede, contestare il diritto a partecipare di ogni altro soggetto”. 
Questa frase, contenuta in una recente decisione della S. Corte[1], scolpisce in modo icastico il significato dell’adunanza dei creditori nel concordato preventivo e spiega, per deduzione a contrario, perché una assemblea dei creditori manchi nel concordato fallimentare. Nella versione originaria della legge fallimentare del ’42, infatti, a tale procedura poteva accedere esclusivamente il debitore e solo dopo la dichiarazione di esecutività dello stato passivo; ed ora che la proposta può essere presentata “da uno o più creditori o da un terzo, anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo”, è comunque necessario che “sia stata tenuta la contabilità ed i dati risultanti da essa e le altre notizie disponibili consentano al curatore di predisporre un elenco provvisorio dei creditori del fallito da sottoporre all'approvazione del giudice delegato” (art. 124, co. 1, l. fall.), che costituisce la base per individuare i creditori aventi diritto al voto (art. 127, co. 1, l. fall.).
Una adunanza dei creditori non è prevista neanche nella procedura di accordo di composizione della crisi regolata dalla l. 27 gennaio 2012, n. 3, che, nella disciplina della crisi da sovraindebitamento, è quella che, oltre a richiedere una votazione dei creditori, presenta molte affinità con il concordato preventivo[2]; ed, infatti, non a caso, nel nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, si chiamerà, appunto, concordato minore (art. 74 e segg. CCII), proprio a causa di tali affinità, opportunamente sottolineate nella Relazione accompagnatoria nel commento all’art. 74, e che trova conferma nel comma quarto di tale norma che, per quanto non previsto nella disciplina specifica alla fattispecie, rinvia alle disposizioni che regolano il concordato preventivo.
Qui la mancanza di una riunione dei creditori si spiega con la maggiore semplicità della procedura e della tipologia dei debitori che possono farvi ricorso e con la presenza a fianco del debitore fin dall’inizio dell’OCC, che collabora, anche insieme al suo consulente, alla predisposizione della domanda, della proposta e del piano e deve redigere una relazione particolareggiata- da allegare alla domanda introduttiva- dal contenuto analiticamente descritto nell’art. 3-bis l. n.3 del 2012. Ed, infatti, nei piani del consumatore, caratterizzati da prevedibili ridotte dimensioni della crisi rapportata ad “una persona fisica che non abbia svolto attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale”, non solo manca l’assemblea dei creditori, ma costoro non sono proprio chiamati ad esprimere il voto perché questi “al cospetto di un dissesto di piccolo cabotaggio, difficilmente rivelerebbero un interesse traducibile in una partecipazione attiva, tanto che qualora quell’interesse in concreto affiorasse rischierebbe di collegarsi a motivi (o risentimenti) originati da un microcosmo di rapporti di natura personale, più che alla necessità di apprezzare la convenienza in sé della proposta”[3].
Ovviamente una adunanza dei creditori manca in tutte quelle procedure concordatarie in cui non è previsto il voto dei creditori, tra i quali spicca il concordato semplificato, introdotto dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modifiche, dalla l. 21 ottobre 2021, n. 147, che quindi è una figura estranea alla presente indagine, come gli altri concordati coatti[4].
Nel nuovo codice della crisi l’adunanza dei creditori, in attuazione della legge delega[5], viene eliminata anche dal concordato preventivo; lì dove infatti l’art. 163, co. 2, l. fall. dispone, al n. 2, che il tribunale con il decreto di apertura della procedura “ ordina la convocazione dei creditori non oltre centoventi giorni dalla data del provvedimento e stabilisce il termine per la comunicazione di questo ai creditori”, l’art. 47, co.1, CCII prevede, alla lett. c), che con il provvedimento di apertura[6] il tribunale “stabilisce, in relazione al numero dei creditori, alla entità del passivo e alla necessità di assicurare la tempestività e l'efficacia della procedura, la data iniziale e finale per l'espressione del voto dei creditori, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione da soggetti terzi e fissa il termine per la comunicazione del provvedimento ai creditori”[7]; a sua volta, l’art. 104- che impropriamente ha conservato la rubrica dell’art. 171 l. fall. di “convocazione dei creditori” - dispone che il commissario giudiziale, effettuata la verifica dell’elenco dei creditori e dei debitori, provvede a comunicare ai creditori “ un avviso contenente la data iniziale e finale del voto dei creditori, la proposta del debitore, il decreto di apertura… “.
Manca nella relazione accompagnatoria una spiegazione soddisfacente delle ragioni che hanno determinato questa importante modifica. Invero, solo nella parte generale dedicata al concordato preventivo si trova un accenno con cui si fa capire che l’eliminazione dell’adunanza dei creditori è una “misura di semplificazione, diretta a rendere il procedimento più snello e più celere”, che non stravolge in modo superiore al necessario l’attuale disciplina; nel commento all’art. 47 nulla è detto in proposito e in quello all’art. 107, che tratta del voto dei creditori, si conferma che “la legge delega[8] ha imposto di sopprimere l’adunanza dei creditori che è stata sostituita dall’espressione del voto per via telematica” e si aggiunge che, “venuta meno l’adunanza come luogo deputato a discutere della proposta di concordato ed a consentire ai creditori di chiedere chiarimenti e svolgere le loro osservazioni, la norma disciplina le modalità attraverso le quali si instaura il contraddittorio tra il commissario, il debitore, quanti abbiano eventualmente presentato proposte concorrenti ed i creditori”. La sensazione che si ricava (e che l’indagine che seguirà conferma) è che il legislatore non si sia reso conto che con l’abolizione dell’adunanza non ha cancellato soltanto un passaggio della procedura, ma ha smantellato un sistema imperniato sull’assemblea dei creditori, quale luogo di confronto e di dibattito.
Per la verità, l’adunanza dei creditori, a seguito della eliminazione, già con il d.l. n. 35 del 2005, convertito dalla l. n. 80 del 2005, della votazione numerica per teste, ha perso la sua importanza perché il rilievo attribuito alla sola maggioranza quantitativa concentra il potere decisionale nelle mani dei c.d. creditori forti, i quali non hanno bisogno di andare alle adunanze, che, infatti, sono sempre meno partecipate e, per lo più, da professionisti delegati; tuttavia le domande da farsi sono se era opportuno eliminare anche quel minimo di collegialità che la partecipazione all’udienza assicura o era il caso di incentivare l’effettiva partecipazione degli interessati e se, una volta eliminata l’udienza, è stato costruito un sistema “con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione”, come si prefigge l’art. 47 citato.
La risposta al primo quesito discende da quella che si dà al secondo giacchè, in tanto la eliminazione dell’assemblea dei creditori- che è la massima espressione della collegialità, in cui si realizza un contraddittorio incrociato tra tutti i soggetti interessati, come accade, mutatis mutandis, all’udienza di verifica dei crediti nel fallimento- può considerarsi opportuna nell’ottica di ridurre la durata della procedura in quanto sostituita da un sistema che consenta a coloro che avrebbero potuto partecipare all’adunanza di chiedere ed ottenere i necessari chiarimenti, di interloquire sulla propria e sulla altrui posizione creditoria e replicare, così come appunto avrebbero potuto fare all’udienza, ove la deliberazione che viene assunta attraverso l’espressione del voto è frutto anche della volontà formatasi a seguito del dibattito ivi sviluppatosi. A sua volta questa indagine sul mantenimento di un valido contraddittorio richiede una rapida esposizione delle modalità ideate dal nuovo legislatore per pervenire al voto, senza più l’assemblea dei creditori.
2 . Le modalità dell’espressione del voto in assenza dell’adunanza dei creditori
L’abolizione dell’adunanza dei creditori nel concordato preventivo influisce, ovviamente, sulle modalità di espressione del voto giacchè, fin quando c’è una assemblea deputata appositamente alla discussione della o delle proposte e alla votazione sulle stesse, è chiaro che il voto viene espresso oralmente in tale sede; si può discutere della validità di un voto comunicato anteriormente all’apertura della adunanza, sulla possibilità di delegare altri al voto, ecc., ma non vi è bisogno di normare come il voto debba essere manifestato, se non per il caso del voto postumo, nei venti giorni successivi a quello della chiusura dell’adunanza; ed infatti solo nel quarto comma dell’art.178 l. fall. è previsto che i creditori possono far pervenire il loro voto “per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale”, sebbene dalla minuziosa descrizione dell’art. 171 l. fall. circa il contenuto della comunicazione che il commissario deve inviare ai creditori si capisca che il sistema scelto per colloquiare sia quello della posta elettronica certificata. 
Abolita l’assemblea, il nuovo legislatore ha previsto in via generalizzata nel comma ottavo dell’art. 107 che “Il voto è espresso a mezzo posta elettronica certificata inviata al commissario giudiziale” e lo stesso meccanismo è richiamato dal secondo comma dell’art. 109 CCII quando viene messa al voto la proposta più votata nel caso nessuna delle proposte plurime presentate abbia raggiunto le maggioranze di legge.
Queste modalità espressive dovrebbero essere patrimonio acquisito della disciplina del concordato fallimentare, che non ha mai contemplato l’adunanza dei creditori; ed, invece, riguardo al modo di esprimere il voto nel concordato fallimentare la legge fallimentare mantiene il silenzio, al di là della comunicazione e richiesta di indicazione della Pec, che poi a nulla serve ai fini del voto, visto che questo va trasmesso in cancelleria. Ma ancor più sorprendente è che il legislatore del CCII- che pure ha sentito il bisogno di precisare le modalità dell’espressione del voto nel concordato preventivo una volta eliminata l’adunanza dei creditori- continui a tacere sullo stesso tema nel concordato fallimentare (che, nel nuovo codice, in quanto interviene nel corso della liquidazione giudiziale, si potrà chiamare concordato liquidatorio giudiziale), limitandosi l’art. 241 CCII a disporre, in scia all’art. 125 l. fall., che nel provvedimento da comunicare ai creditori ”il giudice delegato fissa un termine non inferiore a venti giorni e non superiore a trenta, entro il quale i creditori devono far pervenire nella cancelleria del tribunale eventuali dichiarazioni di dissenso”, ove anche il fatto che il voto debba essere trasmesso alla cancelleria e non al curatore (che a sua volta ha comunicato il suo domicilio digitale) fa capire che possa essere inviato con qualunque mezzo, tanto più che la regola generale delle comunicazioni telematiche posta dall’art. 10 CCII riguarda i rapporti dei terzi con gli organi delle procedure e non con la cancelleria.
Questo silenzio nel concordato liquidatorio giudiziale circa il mezzo utilizzabile per esprimere il voto brilla ancor più perché è un unicum nel panorama concordatario. Infatti nel concordato minore il nuovo legislatore ha espressamente previsto che il giudice assegna ai creditori un termine entro il quale essi devono “fare pervenire all’OCC, a mezzo posta elettronica certificata, la dichiarazione di adesione o di mancata adesione alla proposta di concordato (art. 78, co. 2, lett. c), semplificando la formula obsoleta utilizzata dal primo comma dell’art. 11 l. n. 3 del 2012[9].
Percorrendo la nuova normativa sul concordato preventivo, si nota, in primo luogo, che il tribunale, nel decreto di apertura della procedura, deve fissare una data iniziale e una finale per l’espressione del voto dei creditori e il termine per le comunicazioni ai creditori del provvedimento. 
La previsione di un termine iniziale- si dice nella Relazione all’art. 47- “si spiega per la necessità di garantire che le dichiarazioni di voto non siano espresse prima che il commissario giudiziale abbia depositato la propria relazione, fornendo ai creditori tutti gli elementi utili per valutare la convenienza della proposta di concordato”, di modo che l’espressione di voto effettuata in un momento anteriore a quello fissato nel decreto di apertura è da considerare inutiliter data. E questo segna una svolta rispetto all’attuale normativa fallimentare perché ora la giurisprudenza, in tema di concordato preventivo, ammette che il voto espresso prima del deposito della relazione di cui all'art. 172 l. fall. e dell'adunanza dei creditori, è valido, purché trovi esatta corrispondenza con la proposta definitiva presentata dal debitore[10], in quanto, benché l'attività del commissario giudiziale sia funzionale alla espressione di un voto informato, l'acquisizione di adeguate informazioni non è un obbligo ma un diritto del creditore e l'attività del commissario non è l'unica fonte di informazioni, potendo il creditore ritenersi in grado di valutare autonomamente la fattibilità e la convenienza del piano; tanto più che nessuna norma all'interno del panorama normativo regolante la fattispecie in esame prevede un preciso momento iniziale a partire dal quale sia possibile per i creditori dare corso alla comunicazione delle proprie dichiarazioni di voto. 
Le stesse esigenze rappresentate nella Relazione ricorrono anche nel concordato liquidatorio giudiziale, ma in questa proceduta l’art. 241 continua a prevedere (come l’attuale art. 125 l. fall.) che il giudice delegato, con il provvedimento che dispone la trasmissione della proposta con i pareri degli organi procedurali ai creditori, “fissa un termine non inferiore a venti giorni e non superiore a trenta, entro il quale i creditori devono far pervenire nella cancelleria del tribunale eventuali dichiarazioni di dissenso”. A parte la diversità dell’organo che provvede, agevolmente spiegabile con il momento in cui i due tipi di concordato vengono presentati, emergono due evidenti differenze tra le due procedure:
a-nel concordato liquidatorio giudiziale il lasso di tempo tra venti e trenta giorni dal provvedimento indica solo lo spazio temporale entro il quale deve essere fissata la data per l’espressione del voto, che rimane il termine unico entro il quale i creditori devono inviare il loro voto. Tutto molto lineare; i creditori sono informati della proposta, del parere del curatore e di quello del comitato dei creditori, ed hanno tempo fino alla data stabilita dal giudice- che non può essere fissata prima di venti giorni dalla comunicazione della proposta e dei pareri- per esaminare il materiale ricevuto ed esprimere un voto consapevole. 
Sistema simile è dettato dall’art. 78 CCII per il concordato minore, ove il giudice, con il provvedimento che dichiara aperta la procedura, “assegna ai creditori un termine non superiore a trenta giorni entro il quale devono far pervenire all’OCC, a mezzo posta elettronica certificata, la dichiarazione di adesione o di mancata adesione alla proposta di concordato e le eventuali contestazioni” (co. 2, lett. c)[11]. Anche qui è fissato un unico termine- che il legislatore ha ritenuto congruo essere non inferiore a trenta giorni dalla comunicazione ai creditori della proposta (e presumibilmente della relazione allegata dell’OCC) e del decreto di apertura- entro cui i creditori possono esprimere il loro voto (l’adesione o non adesione alla proposta riassume un voto favorevole o contrario).
Ovviamente, nel concordato liquidatorio giudiziale e in quello minore i creditori ricevono la prima comunicazione della procedura che già comprende i pareri del curatore e del comitato dei creditori o la relazione dell’OCC, in qualche modo paragonabili alla relazione del commissario giudiziale, per cui necessariamente il voto è successivo all’opinione espressa dagli organi procedurali; nel concordato preventivo, invece, l’apertura della procedura va immediatamente comunicata ai creditori (art. 104, co. 2), i quali, volendo, potrebbero anche esprimere immediatamente il loro voto, ma, se si pone come primaria la necessità di garantire che le dichiarazioni di voto non siano espresse prima che il commissario giudiziale abbia depositato la propria relazione, sarebbe stato sufficiente fissare, come negli altri concordati, un termine unico per la manifestazione del voto sanzionando espressamente come inutiliter dato il voto trasmesso prima di tale termine, fermo restando, ragionando nell’ottica della indicata esigenza, che il termine per esprimere il voto dovrebbe essere fissato in data successiva a quella del deposito della relazione del commissario e della trasmissione della stessa ai creditori. Evidentemente nel nuovo codice si è voluto ribadire, con l’apposizione di un termine iniziale per esprimere il voto, che il concordato preventivo è, rispetto al passato, meno caratterizzato da quei connotati di natura negoziale che attualmente lasciano la formazione del consenso sulla proposta presentata dal debitore alla piena autonomia delle parti, per cui anche l’espressione del voto non può essere lasciata libera ma va veicolata in un percorso che presuppone un iter cronologico in cui il voto deve seguire alla relazione del commissario. 
b-Altra differenza, del tutto inspiegabile, è quella circa il destinatario della comunicazione del voto. 
Nel concordato preventivo, il voto è espresso a mezzo Pec inviata al commissario giudiziale, giusto il disposto del comma ottavo dell’art. 107, che supera le ambiguità dell’attuale normativa[12]. Egualmente nel concordato minore il voto, a norma dell’art. 78, co. 2, lett. c) va trasmesso, nel termine sopra indicato, all’OCC, nel mentre nel concordato liquidatorio giudiziale l’art. 241, co. 2, CCII stabilisce, come l’attuale pari comma dell’art. 125 l. fall., che la manifestazione del dissenso, e, comunque del voto, va trasmessa in cancelleria[13]. 
La ratio di questa differenza è da ricercare, probabilmente, nell’attuale diverso sistema di votazione, che nel concordato fallimentare non prevede una assemblea dei creditori e, di conseguenza, neanche il voto espresso in udienza, e nell’inserimento della procedura concordataria nell’ambito del fallimento ove tradizionalmente i creditori depositavano in cancelleria le domande di insinuazione, nel mentre nel concordato preventivo l’adunanza dei creditori è centrale, con la possibilità di un voto tardivo; è anche vero, però, che la nuova riforma, nel momento in cui ha eliminato l’assemblea dei creditori anche nel concordato preventivo ed ha ribadito il rapporto diretto tra creditori e curatore nella formazione del passivo, poteva cogliere l’occasione per uniformare almeno la trasmissione del voto, o disponendo anche nel concordato preventivo l’invio del voto in cancelleria o, più preferibilmente, imponendo, anche nel concordato liquidatorio giudiziale, ai creditori di esprimere il loro dissenso a mezzo Pec all’indirizzo del curatore, che, a mezzo Pec comunica loro le informazioni di cui all’art. 241.
Oltre alla data iniziale, il tribunale, a norma della lett. c) del primo comma dell’art. 47 CCII, deve fissare anche una data finale per la trasmissione del voto nel concordato preventivo, di modo che i creditori hanno uno spazio di tempo definito entro cui esprimere il voto; e questo particolare dimostra come il legislatore abbia cercato di trasferire in un sistema senza l’assemblea dei creditori il meccanismo della legge fallimentare del voto tardivo. 
Eliminata, infatti, l’adunanza dei creditori viene evidentemente esclusa anche la possibilità di esprimere il voto nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale dell’adunanza, ammessa dal vigente quarto comma dell’art. 178 l. fall. e il nuovo legislatore, per sopperire alla soppressione di questa facoltà, ha, oltre ad una data iniziale, richiesto che sia fissata anche una data finale entro cui far pervenire il voto. 
Questo tempo ulteriore concesso ai creditori non è, tuttavia, paragonabile, nel nuovo codice, all’intervallo di tempo tra inizio e fine delle votazioni, in quanto attualmente all’assemblea dei creditori si effettua il conteggio dei voti[14] e, quindi, i creditori che votano tardivamente già sanno qual è l’esito provvisorio della votazione, che è un dato che, nel nuovo sistema, è sconosciuto al momento in cui ciascuno esprime il voto in quanto si fa un unico e definitivo conteggio alla scadenza del termine finale; in questa situazione diventa privo di significato lasciare ai creditori un intervallo di tempo entro cui far pervenire il voto, invece che fissare un termine unico entro il quale esprimersi.
L’attuale tempo supplementare, benché consenta di esprimere il voto postumo ai soli creditori che non abbiano ancora espresso il proprio assenso o diniego in adunanza o in precedenza[15], è diventato il tempo in cui arrivano i voti determinanti perché i creditori preferiscono maturare la loro definitiva decisione alla luce delle circostanze emerse all’udienza di partecipazione dei creditori e dopo gli ultimi chiarimenti forniti sia dal commissario che dal debitore, ma anche il tempo in cui si realizzano contrattazioni non sempre trasparenti; tuttavia se lo scopo del nuovo legislatore era quello di impedire queste contrattazioni oscure, di certo questo risultato non può essere raggiunto con la cronologia per l’espressione del voto che è stata creata, che non impedisce trattative per acquisire i consensi necessari al raggiungimento delle maggioranze.
Tanto meno, il nuovo meccanismo (abolizione dell’assemblea e spatium deliberandi per il voto) può essere spacciato dalla Relazione come una forma di accelerazione della procedura, perché un semplice calcolo dei tempi dimostra l’infondatezza di un tale assunto. Invero, il n. 2 del secondo comma dell’art. 163 l. fall. dispone che “il tribunale ordina la convocazione dei creditori non oltre centoventi giorni dalla data del provvedimento e stabilisce il termine per la comunicazione di questo ai creditori”, per cui il termine finale per esprimere il voto è al massimo di 140 giorni (120 + 20 per il voto postumo) dall’apertura. La citata lett. c) del primo comma dell’art. 47 CCII lascia al tribunale la libertà di fissare la data iniziale e finale dell’espressione del voto e tale organo in questo compito deve tenere conto, in linea generale, del numero dei creditori, della entità del passivo e della necessità di assicurare la tempestività e l'efficacia della procedura”, il che già di per sé attribuisce al giudice l’ampia e incontrollabile discrezionalità di fissare la data finale anche oltre centoquaranta giorni dal provvedimento di apertura[16]; ad ogni modo, considerato che il commissario deve depositare in cancelleria la relazione illustrativa almeno 45 giorni prima della data iniziale fissata per le votazione e che per redigere la stessa- che deve essere “particolareggiata” e avere il contenuto composito indicato dall’art. 105- egli deve avere raccolto le dovute informazioni e svolto le più opportune indagini e valutazioni, ne consegue che il tribunale, difficilmente potrà fissare la data iniziale prima di 90/120 giorni dalla emissione del provvedimento ammissivo e concedere meno di 20/30 giorni per esprimere il voto, per cui è utopistico dire, come si dice nella Relazione, che la procedura sarà più celere.
3 . Il contraddittorio nel nuovo concordato preventivo
Il vero problema che pone il nuovo sistema di voto nel concordato preventivo non è tanto quello del termine per l’espressione del voto, quanto quello di stabilire, lì dove i creditori possono esprimere la propria preferenza, se l’eliminazione dell’adunanza dei creditori consenta un vero ed effettivo contraddittorio, che è elemento coessenziale ad ogni procedura che vincoli tutti i creditori, anche quelli dissenzienti, giacché in tanto alla minoranza dissenziente può essere imposto un sacrificio in quanto tutti possano partecipare al procedimento destinato a formare la maggioranza. 
In origine, la lesione del diritto soggettivo dei creditori dissenzienti ad essere soddisfatti integralmente loro imposta per effetto della volontà della maggioranza degli altri creditori, trovava un contrappeso nel ruolo penetrante che l'autorità giudiziaria svolgeva nell'ambito della procedura destinata a rendere efficace l’accordo di maggioranza fino a poter valutare la convenienza del concordato rispetto alla liquidazione fallimentare; accentuata, con la riforma degli anni 2005/2007, la natura negoziale del concordato e ridotto l’intervento pervasivo dell’autorità giudiziaria, la soluzione della crisi è ancor più diventata oggetto di un rapporto diretto tra debitore e creditori, che, siano essi considerati uti singuli che come collettività, necessitano di una tutela, che passa attraverso un rafforzamento della loro volontà e trova la sua massima espressione nel contraddittorio in assemblea finalizzato all’espressione del voto. 
Il nuovo legislatore, per sopperire alla eliminazione dell’adunanza dei creditori, ha cercato di realizzare il fine, espressamente professato nell’art. 47, di “salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione” dei creditori dettando una normativa minuziosa, che però lascia più di qualche dubbio sulla funzionalità allo scopo indicato e anche sulla semplificazione del sistema, cui la Relazione accenna. 
Andando per ordine, una volta disposta (nel concordato preventivo) la comunicazione ai creditori della la data iniziale e finale per l'espressione del voto, bisogna partire dal primo comma dell’art. 105 CCII, per il quale, il commissario giudiziale deve redigere l’inventario e predisporre “una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, precisando se l'impresa si trovi in stato di crisi o di insolvenza, sulla condotta del debitore, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori, e la deposita in cancelleria almeno quarantacinque giorni prima della data iniziale stabilita per il voto dei creditori”; norma che riprende quella di cui al primo comma dell’art. 172 l. fall., per il quale il deposito in cancelleria deve avvenire almeno quarantacinque giorni prima dell'adunanza dei creditori (art. 172, co. 1). 
Nello stesso termine- è precisato nell’ult. parte del primo comma dell’art. 172 l. fall.- il commissario comunica la relazione ai creditori a mezzo posta elettronica certificata a norma dell'articolo 171, secondo comma; quest’ultima disposizione non è ripresa dal nuovo art. 105 CCII, per cui la relazione particolareggiata depositata in cancelleria 45 giorni prima della data di inizio per le votazioni va trasmessa soltanto al pubblico ministero, giusta l’integrazione apportata con il correttivo di cui al d.lgs. n. 147 del 2020[17], ma non ai creditori; né a costoro va data comunicazione dell’avvenuto deposito, secondo un meccanismo che, seppur anacronistico in tempi di comunicazioni telematiche e di domicili digitali (fortemente sponsorizzati dal nuovo codice, cfr, art. 10), comunque darebbe la possibilità ai creditori di prenderne visione in cancelleria.
Per la verità, la comunicazione ai creditori di questa prima relazione depositata in cancelleria 45 giorni prima dell’adunanza sarebbe poco utile. Una informativa anticipata di tanto rispetto al momento in cui i creditori devono esprimersi richiede, infatti, necessariamente aggiornamenti, essendo un dato di comune esperienza che proprio negli ultimi giorni antecedenti la riunione dei creditori si definiscono alcune delle posizioni più rilevanti; ma questa considerazione dovrebbe indurre ad abbreviare il termine stesso del deposito della relazione e non ad escluderne la trasmissione ai creditori, altrimenti, nel meccanismo predisposto, il deposito della relazione tanto tempo prima dell’inizio della votazione è finalizzato solo alle indagini del P.M.. Esigenza apprezzabile- anche se avvertita solo tardivamente con il correttivo del 2020- cui, tuttavia, il legislatore avrebbe potuto ovviare richiedendo al commissario una informativa, sullo stile di quella di cui al primo comma dell’art. 130, in caso di riscontro di fatti penalmente rilevanti, per poi fissare un termine più ravvicinato alla data di inizio delle votazioni entro cui presentare una relazione particolareggiata, con il contenuto descritto nei commi 1 e 2 dell’art. 105 e comprensiva della esposizione delle proposte definitive del debitore e di quelle eventualmente presentate da altri creditori, da comunicare al P.M. e ai creditori.
Ad, ogni modo, una volta optato per il deposito della relazione in un momento così anticipato rispetto alla data iniziale per il voto, non vi è motivo per escluderne la comunicazione ai creditori, che darebbe a costoro una prima rappresentazione sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore e su quant’altro richiesto dall’art. 105, così come accade nell’attuale legge fallimentare, ove poi esiste una assemblea dei creditori alla quale il commissario fornisce gli aggiornamenti sugli ultimi sviluppi dell’andamento della procedura. 
Esclusa la comunicazione ai creditori della iniziale relazione, bisognava trovare un altro mezzo per mettere in qualche modo costoro in grado di avere conoscenza degli accertamenti svolti dal commissario, indispensabili per poter esprimere un voto informato e consapevole, ed allo scopo provvede il terzo comma dell’art. 107, per il quale “Almeno quindici giorni prima della data iniziale stabilita per il voto il commissario giudiziale illustra la sua relazione e le proposte definitive del debitore e quelle eventualmente presentate dai creditori con comunicazione inviata ai creditori, al debitore e a tutti gli altri interessati[18] e depositata nella cancelleria del giudice delegato”.
Appare evidente come, eliminata l’adunanza, il nuovo legislatore abbia replicato con la stessa terminologia il meccanismo attuale della legge fallimentare[19], anticipando l’illustrazione della relazione, mai trasmessa ai creditori, a 15 giorni prima della data fissata per l’inizio delle votazioni, senza tener conto che il compito di “illustrare la relazione” ha senso se tale attività viene svolta oralmente in udienza, dopo che la originaria relazione scritta sia stata depositata in cancelleria e comunicata ai creditori, in modo da sottolineare e chiarire i passaggi più importanti, dipanare eventuali dubbi o perplessità sollevate dai creditori, ecc.. Ove, come nel nuovo concordato, l’originaria relazione depositata in cancelleria 45 giorni prima della data iniziale fissata per il voto è stata trasmessa solo al P.M. e non ai creditori, il commissario, con la comunicazione di cui al citato terzo comma dell’art. 107, non “illustra” la sua precedente relazione depositata in cancelleria, ma rende noto, per la prima volta, ai creditori (e agli altri interessati) ciò che ha appurato nella sua relazione originaria e successivamente.
Evidentemente il legislatore ha ritenuto che i creditori potranno meglio orientarsi disponendo, nell’imminenza del voto, di una sola comprensiva relazione, riassuntiva della proposta iniziale e di quella definitiva del debitore, comparata con quelle eventualmente pervenute da terzi e con la rappresentazione dei fatti nuovi rilevanti, ma anche questo saggio intento non trova riscontro nella disciplina dettata, che anzi, proprio sulle proposte alternative e sui fatti nuovi rilevanti, presenta una inspiegabile e confusa sovrapposizione.
Invero, l’art. 105 prevede al comma terzo che, qualora siano depositate proposte concorrenti, “il commissario giudiziale riferisce in merito ad esse con relazione integrativa da depositare in cancelleria e comunicare ai creditori, con le modalità di cui all'articolo 104, comma 2, almeno quindici giorni prima della data iniziale stabilita per il voto dei creditori”, e, al comma quinto che “analoga relazione integrativa viene redatta qualora emergano informazioni che i creditori devono conoscere ai fini dell'espressione del voto, ed anche questa va comunicata ai creditori almeno quindici giorni prima della data iniziale stabilita per il voto; entrambe queste relazioni vanno trasmesse anche al P.M. 
Come si vede, nelle fattispecie considerate dai commi citati dell’art. 105, il commissario non deve limitarsi a comunicare ai creditori l’arrivo di nuove domande o l’emersione di fatti nuovi rilevanti, ma deve redigere una relazione integrativa (che nel caso di proposte concorrenti, deve contenere anche la comparazione tra tutte le proposte depositate, giusto il disposto del comma quarto) da comunicare ai creditori almeno quindici giorni prima della data iniziale delle votazioni; nello stesso termine di 15 giorni prima dell’inizio delle votazioni, il terzo comma dell’art. 107, fa obbligo al commissario giudiziale di illustrare, oltre alla sua relazione particolareggiata depositata in cancelleria, di cui si è detto, “le proposte definitive del debitore e quelle eventualmente presentate dai creditori con comunicazione inviata ai creditori, al debitore e a tutti gli altri interessati e depositata nella cancelleria del giudice delegato”. Ed è evidente che illustrare ai creditori con una relazione scritta altra (o altre) trasmessa agli stessi creditori contestualmente o qualche giorno prima[20] ha senso se l’illustrazione avviene oralmente in una assemblea in cui si commenta quanto già comunicato ai creditori, altrimenti è solo sintomo di una codificazione approssimativa e confusa. 
Riprendendo, dopo questa necessaria digressione nei meandri delle relazioni particolareggiate, integrative e illustrative (e manca ancora quella finale), l’esame dell’art. 107, il quarto comma prevede che, presentata la relazione illustrativa, “almeno dieci giorni prima della data iniziale stabilita per il voto, il debitore, coloro che hanno formulato proposte alternative, i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso, i creditori possono formulare osservazioni e contestazioni a mezzo di posta elettronica certificata indirizzata al commissario giudiziale”. La norma continua esponendo ciò che alcuni di costoro possono rappresentare con le osservazioni e contestazioni ripetendo ciò che i creditori e il debitore possono attualmente fare all’adunanza ai sensi dei commi 3 e 4 dell’art. 175 l. fall.; pertanto, “ciascun creditore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o convenienti le proposte di concordato e sollevare contestazioni sui crediti concorrenti” e “il debitore ha facoltà di rispondere e contestare a sua volta i crediti, e ha il dovere di fornire al giudice gli opportuni chiarimenti. Il debitore, inoltre, può esporre le ragioni per le quali ritiene non ammissibili o non fattibili le eventuali proposte concorrenti”. 
È un inizio molto promettente per l’instaurazione del contraddittorio perché la norma, seppur con qualche pecca di coordinamento, chiarisce che:
a- ciascun creditore, nella cui categoria vanno inclusi anche quelli che hanno presentato una proposta concorrente, può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o convenienti le proposte di concordato (ove l’uso del plurale fa capire che ogni creditore può esporre le sue ragioni di critica sia alla proposta iniziale che a quelle alternative eventualmente presentate) e sollevare contestazioni sui crediti concorrenti, per tali dovendosi intendere quelli che possono influenzare la propria soddisfazione;
b-il debitore a sua volta può: (i)- rispondere e contestare i crediti, (ii)-esporre le ragioni per le quali ritiene non ammissibili o non fattibili le eventuali proposte concorrenti; e deve (iii)- fornire al giudice gli opportuni chiarimenti;
c- i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso, possono formulare osservazioni e contestazioni non meglio specificate, dato che di questi la norma si dimentica nella parte successiva in cui specifica l’oggetto delle contestazioni dei creditori e del debitore soltanto, riproducendo i commi 3 e 4 dell’art. 175 l. fall., che, però, nel suo intero contesto non accenna ai coobbligati, fideiussori e obbligati di regresso.
Queste osservazioni e contestazioni possono essere sollevate dagli appartenenti alle tre categorie indicate fino a 10 giorni prima della data iniziale stabilita per il voto, di modo che, considerato che essi hanno ricevuto la relazione illustrativa e quelle integrative del commissario almeno 15 giorni prima della data di inizio delle votazioni, i creditori, il debitore e gli altri interessati hanno cinque giorni di tempo dal momento in cui sono stati messi a conoscenza delle considerazioni svolte dal commissario nella relazione loro trasmessa per elaborare e presentare osservazioni e contestazioni.
A questo punto il promettente percorso verso un effettivo contraddittorio tra tutti gli interessati si blocca perché la palla passa al commissario che, ricevute le contestazioni ed osservazioni (dieci giorni prima della data iniziale delle votazioni) deve, a mente del comma quinto dell’art. 107, darne comunicazione, presumibilmente immediata perché la norma nulla dice in proposito, “ai creditori, al debitore e a tutti gli altri interessati” e “ne informa il giudice delegato”; deve, inoltre, in forza del disposto del comma sesto, depositare la propria relazione definitiva e comunicarla “ai creditori, al debitore ed agli altri interessati almeno sette giorni prima della data iniziale stabilita per il voto”[21], senza che i destinatari della sua comunicazione possano più replicare.
Il contraddittorio creato dal legislatore si sostanzia, quindi, nella sola possibilità di sollevare osservazioni e contestazioni, in quanto, da un lato, il creditore, titolare del credito nei confronti del quale altro creditore concorrente o il debitore abbia sollevato contestazioni, non è messo in condizioni di replicare e, dall’altro, il debitore non può “rispondere” alle osservazioni mosse sulla ammissibilità e convenienza del concordato sollevate dai creditori; eppure , come ricordato, il comma quarto dell’art. 107 prevede che “il debitore ha facoltà di rispondere e contestare a sua volta i crediti”. E la collocazione di questa previsione dopo quella che attribuisce a ciascun creditore la possibilità di sollevare contestazioni sui crediti concorrenti, nonché l’uso dell’espressione” a sua volta”, fanno capire che il legislatore intende riferirsi, non alle contestazioni che il debitore può muovere fin dall’inizio all’elenco dei creditori come rivisto dal commissario, ma proprio a quelle di replica alle contestazioni degli altri creditori o di replica alle pretese di altro creditore diverse da quelle che lui ha indicato nell’elenco dei creditori avallato dal commissario; replica che, seppur prevista dalla legge, non può in pratica essere esercitata mancando lo strumento (e il tempo) per attuarla non essendo previsto, dopo la comunicazione delle osservazioni e contestazioni mosse dai creditori, un successivo intervento del debitore in risposta. 
Eguale divaricazione tra previsione legislativa e realtà fattuale si ha lì dove la norma in esame prevede che “il debitore ha il dovere di fornire al giudice gli opportuni chiarimenti”, dato che non vi è una assemblea presieduta dal giudice, al quale fornire oralmente gli “opportuni chiarimenti”, né è prevista una audizione o comunque uno scambio scritto con cui il giudice indichi cosa vuol sapere dal debitore e questi risponda. Lo scollamento, anzi, sotto questo aspetto è addirittura maggiore se si muove dal concetto che il giudice, come precisa il quinto comma dell’art. 107, va solo informato della presentazione di osservazioni e contestazioni pervenute via Pec al commissario (art. 107, co. 4), il quale le comunica ai creditori, al debitore e a tutti gli altri interessati e poi deposita la sua relazione definitiva (commi 5 e 6 art. 107), ma non è previsto che il commissario comunichi le osservazioni e contestazioni ricevute anche al giudice, il quale deve essere solo informato della esistenza delle stesse, né che le depositi in cancelleria[22]. 
Ricostruttivamente, quindi, la scansione delle attività previste di cui si è parlato, è la seguente: 
1-almeno 45 giorni prima della data iniziale stabilita per il voto, il commissario deposita in cancelleria e trasmette al P.M. una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto e quant’altro indicato dal primo comma dell’art. 105; 
2-almeno 15 giorni prima della data iniziale stabilita per il voto, il commissario deposita e comunica ai creditori e al P.M., una o più relazioni integrative (quelle di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’art. 105) qualora vi siano proposte concorrenti o modifiche apportate dal debitore o emergano fatti nuovi;
3- almeno 15 giorni prima della data iniziale stabilita per il voto, il commissario deposita e comunica ai creditori, al debitore e a tutti gli altri interessati (non al P.M.) una relazione illustrativa (quella di cui al terzo comma dell’art. 107) con la quale il commissario “illustra” la sua relazione particolareggiata e quelle integrative;
4-almeno 10 giorni prima della data iniziale stabilita per il voto, il debitore, coloro che hanno formulato proposte alternative, i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso e i creditori possono trasmettere via Pec al commissario giudiziale osservazioni e contestazioni (comma quarto art. 107);
5-immediatamente il commissario comunica ai creditori, al debitore e a tutti gli altri interessati le osservazioni e contestazioni che ha ricevuto e ne informa il giudice delegato (comma quinto art. 107); 
6-almeno sette giorni prima della data iniziale stabilita per il voto il commissario deposita in cancelleria e comunica ai creditori, al debitore e agli altri interessati una relazione definitiva (quella di cui al sesto comma dell’art. 106).
E’ evidente il retaggio della pregressa esistenza di una udienza per l’adunanza dei creditori, la cui eliminazione non è stata completamente elaborata e regolamentata, al punto che viene riproposto un modello di contraddittorio che si armonizza perfettamente con la fissazione di un luogo in cui i creditori si riuniscono in un giorno e ora fissata, ma mal si adatta ad uno scambio a distanza individualizzato, che non coinvolge, come in una udienza telematica, contestualmente tutti gli interessati; e fin quando ciascun creditore o il debitore è nella impossibilità di poter replicare alle osservazioni e contestazioni mosse da altri, il contraddittorio a distanza- non contemporaneo ma scadenzato- non può dirsi idoneo a sostituire il contraddittorio incrociato contestuale tra tutti i creditori ed il debitore e altri terzi che si può avere oggi all’udienza, con la reale possibilità di influire sulla votazione, che è l’elemento a fondamento della collegialità. 
A giustificazione del legislatore si può dire che ha dovuto inventare di sana pianta un nuovo modello per cercare di sostituire l’assemblea dei creditori; è vero che esisteva il modello del concordato fallimentare che non prevede una riunione dei creditori, ma la regolamentazione della votazione e del contraddittorio in questa procedura è tanto approssimativa da far sembrare un successo lo scambio regolato dagli artt. 105 e 107 CCII di cui si è parlato. 
Il fatto è che la medesima approssimazione è rimasta nella nuova disciplina del concordato liquidatorio. Invero, l’art. 241 CCII ripropone lo stesso iter processuale descritto dall’art. 125 l. fall. prevedendo, come già accennato, che, una volta comunicata ai creditori la proposta con i pareri del curatore e del comitato dei creditori, nel termine fissato, i creditori devono far pervenire nella cancelleria del tribunale eventuali dichiarazioni di dissenso, lasciando a costoro anche il compito di cercarsi i dati necessari chiarirsi le idee, posto che nella comunicazione loro trasmessa il curatore specifica “dove possono essere reperiti i dati per la sua valutazione”, ossia per la valutazione della proposta ad essi contestualmente trasmessa. 
4 . Ammissione provvisoria dei creditori contestati
Nell’attuale legge fallimentare, la legittimazione al voto viene accertata secondo un procedimento i cui momenti salienti sono: a) la presentazione, da parte del debitore, dell'elenco dei creditori (art. 161, 3 co., l. fall.); b) la verifica, da parte del commissario giudiziale, di tale elenco sulla base delle scritture contabili e l'adozione, da parte dello stesso commissario, delle necessarie rettifiche (art. 171, 1 co., l. fall.); c) la risoluzione delle contestazioni da parte del giudice delegato (art. 176, 1 co., l. fall.). 
Ne discende che i crediti oggetto di specifica contestazione (nell’an o nel quantum o per la loro collocazione[23]) da parte del commissario, del debitore o di altro creditore possono essere computati, ai fini del calcolo della maggioranze, solo se il giudice delegato, che è tenuto a provvedere per dirimere il contrasto, abbia, a norma dell’art. 176 l. fall.[24] ammesso “provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti stessi". 
Come si vede la norma chiarisce espressamente che le determinazioni del giudice delegato hanno limitata efficacia ai fini del voto e non sono idonee a compromettere in alcun modo l'accertamento, nelle competenti sedi di cognizione (mancando nella procedura di concordato preventivo un sub procedimento interno di accertamento dei crediti), dell'esistenza, dell'entità e della natura del credito, dal momento che la verifica del giudice all’adunanza è funzionale non alla selezione delle posizioni concorrenti ai fini della partecipazione al riparto dell'attivo, ma alla mera individuazione dei crediti aventi diritto al voto e da tenere in conto ai fini del calcolo delle maggioranze. Di conseguenza, nessun effetto ricognitivo e, tantomeno, confessorio è quindi inferibile dal fatto che il credito sia stato ammesso al voto, che la proposta di concordato sia stata approvata e che ne sia avvenuta, di seguito, l'omologa giacché il "riconoscimento del credito che ha luogo in quella sede persegue finalità del tutto diverse da quelle a cui tende la confessione e, sotto il profilo soggettivo, non è altrettanto connotato dalla consapevolezza e volontà di riconoscere un fatto a sé sfavorevole e vantaggioso per l'altra parte”[25].
L’espresso riferimento, sia nella rubrica dell’art. 176 l. fall. che nel corpo della norma, alla provvisorietà evidenzia la natura precaria dei provvedimenti adottati dal giudice delegato, le cui statuizioni ai fini dell'ammissione al voto potranno essere superate da una diversa decisione del tribunale in fase di omologa o in ogni altra fase in cui un organo giudiziario è chiamato a decidere sulla regolarità della procedura e della votazione. In tal senso si è espressa la più recente giurisprudenza della S. Corte[26] quando ha, appunto, chiarito che “l'attività demandata al giudice delegato alla procedura rispetto all'ammissione al voto si risolve quindi in un mero accertamento ricognitivo, in senso favorevole o sfavorevole, privo di incidenza su diritti soggettivi, precario e prodromico all'ulteriore sviluppo della procedura, nel corso della quale la parte eventualmente pregiudicata (sia essa il creditore escluso o il debitore che abbia visto disattese le proprie contestazioni sull'ammissione al voto del creditore) potrà far valere le proprie doglianze in merito alla decisione che ha segnato in maniera rilevante le sorti del concordato (il primo tramite l'opposizione, se il suo voto ha assunto rilievo ai fini dell'omologa, il secondo tramite le impugnazioni esperibili avverso la statuizione assunta a conclusione del giudizio)”. 
Con questo doppio riferimento i giudici di legittimità intendono richiamare sia i compiti del tribunale in sede di omologazione ove, a norma del secondo comma dell’art. 176, i creditori esclusi possono opporsi alla esclusione “nel caso in cui la loro ammissione avrebbe avuto influenza sulla formazione delle maggioranze”, sia i successivi eventuali giudizi in cui sia oggetto di valutazione la regolarità del voto e delle maggioranze, come ad esempio nel caso in cui, non omologato il concordato e dichiarato il fallimento, venga proposto reclamo averso la sentenza dichiarativa e rimesso in discussione la regolarità della formazione delle maggioranze e del voto. 
I creditori non soddisfatti della posizione loro riconosciuta possono sempre chiedere l’accertamento del credito o della prelazione avanti al giudice ordinario, ai fini del trattamento sostanziale, fermo restando che, qualora all’esito del giudizio ordinario venga riconosciuto un maggior credito o un privilegio, il creditore interessato dovrà essere soddisfatto come tale nel concordato, ma, per il principio di definitività dell’accertamento ai fini del voto, il parere espresso dal creditore all’epoca chirografario, poi riconosciuto privilegiato o titolare di un credito più consistente, rimane valido non essendo stato impugnato sotto questo profilo in nessuna sede ove ciò sarebbe stato possibile; diversamente si correrebbe il rischio di mettere in discussione, a distanza di tempo (quando il giudizio ordinario sarà terminato) risultati acquisiti (della votazione e delle maggioranze) sulla base dei quali si è basata l’omologazione e si è sviluppata la procedura.
Riassuntivamente, quindi, si può dire che, ai fini del voto, i crediti restano accertati, nella loro natura e consistenza, così come indicati dal debitore nell'elenco, in caso di mancanza di rettifiche o contestazioni, o così come rettificati dal commissario giudiziale, in caso di mancanza di contestazioni; ovvero, infine, così come accertati dal giudice delegato, risolvendo le contestazioni sorte in sede di adunanza. Questa decisione è provvisoria in quanto non esclude un successivo riesame nelle sedi in cui è consentito un controllo della regolarità del voto e non impedisce un accertamento nel merito del credito e della sua collocazione; è definitività nel senso che, ove non utilizzati gli strumenti processuali per rivedere la regolarità del voto o risolta in un certo modo questa questione, le risultanze del voto e delle maggioranze non possono essere rimesse in discussione qualora nel giudizio di merito cognitorio si arrivi ad una soluzione diversa, anche se questa, ove posta a base delle votazione, ne avrebbe cambiato il risultato[27].
L’art. 108 CCII riprende, con alcune modifiche, l’art. 176 l. fall., che il legislatore ha cercato di adattare alla abolizione dell’assemblea, per cui, pur mancando una udienza per l’adunanza dei creditori diretta dal giudice delegato, è rimasto immutato il compito di tale organo di decidere sui crediti contestati e di ammetterli provvisoriamente, in tutto o in parte, ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, senza alcun pregiudizio per le pronunce definitive sulla sussistenza dei crediti stessi. 
Il procedimento che può portare ad una decisione del genere muove dalla disposizione finale del terzo comma dell’art. 107, per il quale, il commissario deve allegare alla relazione illustrativa “l’elenco dei creditori legittimati al voto con indicazione dell’ammontare per cui sono ammessi” ai soli fini della votazione; questa relazione, come si è visto, con l’allegato elenco dei creditori, va depositata in cancelleria e trasmessa ai creditori, al debitore e agli altri interessati almeno 15 giorni prima della data iniziale fissata per il voto, i quali nei successivi cinque giorni possono trasmettere al commissario giudiziale osservazioni e contestazioni, delle quali il commissario dà immediata comunicazione ai creditori, al debitore e a tutti gli altri interessati e ne informa il giudice delegato, prima di depositare e comunicare ai creditori, al debitore e agli altri interessati la sua relazione definitiva.
Orbene, per collocare un intervento del giudice sull’ammissione provvisoria al voto[28] nella cronologia delle interlocuzioni sopra accennata (e più analiticamente descritta nel precedente paragrafo) bisogna in primo luogo dare per scontato che l’informativa al giudice delegato delle contestazioni, ove abbiano ad oggetto la partecipazione di un creditore al voto (che sia il creditore interessato eventualmente escluso dal commissario o un creditore che contesti l’ammissione di un altro pretendente), non riguardi solo l’esistenza di contestazioni ed osservazioni ma si concretizzi nella trasmissione delle stesse o comunque in una informazione del merito di esse, e, in ogni caso, il giudice, decide senza alcun contraddittorio con il creditore interessato dalla contestazione né con chi ha sollevato la contestazione (i quali, come detto, non hanno avuto la possibilità di interloquire tra loro), che invece è naturale si realizzi all’assemblea dei creditori. 
Nel vigore dell’attuale legge fallimentare, invero, da chiunque sollevata la contestazione, la decisione del giudice è emessa all’adunanza dei creditori, alla quale può far sentire la la sua voce il creditore interessato, al quale possono replicare il commissario, il debitore egli altri creditori; nel nuovo codice, invece, l’iniziativa diventa esclusiva del commissario. E’ questi, infatti, che deve far presente al giudice l’esistenza delle contestazioni nell’ambito delle scambio con i creditori, con il debitore e con gli altri interessati, e, a seguito delle sollecitazioni ricevute, il giudice delegato decide senza sentire l’interessato, non essendo prevista l’instaurazione di un contraddittorio ed essendo anche difficile realizzarlo nel tempo ristretto lasciato all’organo giudiziario per la decisione; inoltre il creditore che apprende della contestazione sul suo credito (da parte di altri creditori o dello stesso debitore) dalla comunicazione delle contestazioni e osservazioni trasmesse almeno dieci giorni prima della data di inizio delle votazioni, non ha, come visto, uno spazio per la replica, che non è prevista[29].
L’eliminazione dell’assemblea e del voto postumo nei venti giorni successivi alla stessa, fa sorgere, inoltre, il problema della impugnabilità del provvedimento del giudice ex art. 108, posto che il secondo comma dello stesso (che riprende il pari comma dell’art. 176 l. fall.) prevede che “I creditori esclusi possono opporsi alla esclusione in sede di omologazione del concordato nel caso in cui la loro ammissione avrebbe avuto influenza sulla formazione delle maggioranze”. 
E’ questa un’altra occasione persa dal nuovo legislatore per meglio costruire una norma che nell’attuale configurazione lascia molto a desiderare. 
In primo luogo, la nuova disposizione, così come quella della legge fallimentare, legittima alla opposizione i soli creditori esclusi dal voto, per una qualsiasi causa (o perché non è stata riconosciuta alcuna pretesa creditoria, o perché è stata riconosciuta la collocazione prelatizia contestata dal debitore o perché è stata rilevata una causa di incompatibilità in ragione del loro rapporto con il debitore - coniuge, i parenti e gli affini fino al quarto grado, in conflitto di interessi-, ecc.), lasciando fuori dal suo perimetro previsionale la fattispecie contraria della ammissione al voto da parte del giudice di un credito determinante contestato dal debitore, da altro creditore concorrente o anche dal commissario.
In quest’ultima ipotesi, emblematicamente riassumibile nella posizione del creditore che sosteneva di avere una collocazione preferenziale che è stata negata dal giudice delegato, il creditore ammesso come chirografario all'esito della decisione del giudice sulle contestazioni sorte, “ha piena legittimazione (al voto) anche se si ritenga privilegiato in tutto o in parte e l'eventuale limitazione al credito chirografario che esso apponga non può viziare la volontà di approvare il concordato”[30], ma rimane il dubbio se possa egualmente opporsi all’ammissione in sede di omologazione rivendicando la natura privilegiata del suo credito, nonostante la dizione del secondo comma dell’art. 108 CCII (che, sulla scia del pari comma dell’art. 176, consente l’opposizione ai soli creditori esclusi dal voto) in considerazione del fatto che il controllo della regolarità della espressione del voto è comunque riservato al giudizio dell’omologa, nel qual caso, però, non si spiegherebbe la previsione del secondo comma dell’art. 108, ovvero se dovrebbe poter utilizzare lo strumento della ordinaria impugnazione ex art. 124 (che riproduce l’art. 26 l. fall.), nel qual caso si creerebbe una differenza di trattamento tra due situazioni identiche pur se contrapposte, della esclusione e dell’ammissione. 
È facile propendere per la prima soluzione, consentendo anche al creditore ammesso al voto in via provvisoria la contestazione in sede di omologa, nonostante la dizione letterale del secondo comma dell’art. 108 giacché rientra nei poteri del giudice dell’omologa (quando si arriva a tale fase) il controllo della regolarità della procedura e della votazione, per cui qualsiasi interessato può sollecitare il collegio ad una indagine del genere. 
In tal modo, però, il rimedio adottato dal secondo comma dell’art. 108, diventa sostanzialmente superfluo, ma questo è un argomento poco spendibile dal momento che tale rimedio, così come configurato è irrealizzabile. Invero, se solo i creditori esclusi dal voto dal giudice possono opporsi all’esclusione in sede di omologazione, vuol dire che il concordato, pur senza il voto del soggetto escluso, ha raggiunto le maggioranze di legge, tanto da essere pervenuto all’omologa, per cui l’eventuale voto del creditore escluso non avrebbe potuto essere determinate sulla formazione delle maggioranze[31], di modo che la norma in esame finisce per attribuire a costoro una tutela solo di facciata. In realtà il creditore escluso dal voto per l’intero credito o per parte di esso (così come il debitore che aveva interesse a che quel creditore partecipasse al voto ) avrebbe interesse a protestare proprio quando il concordato non ha raggiunto le maggioranze di legge per sostenere che, con il suo voto per l’importo da lui vantato, l’esito dell’approvazione sarebbe stato realizzato; ma in questo caso non vi è un giudizio di omologazione nell’ambito del quale far valere la sua opposizione, 
Riprendendo l’esame dell’art. 108, il decreto correttivo di cui al d.lgs n. 147 del 2020 ha integrato il primo comma precisando che la decisione del giudice “è comunicata ai sensi dell’art. 107, comma 7”; precisazione utile ma non indispensabile in quanto, dettando il comma settimo dell’art. 107 la regola che “I provvedimenti del giudice delegato sono comunicati al debitore, ai creditori, al commissario giudiziale e a tutti gli interessati almeno due giorni prima della data iniziale stabilita per il voto”, era già ovvio che la stessa regola si applicasse anche ai provvedimenti del giudice emessi sull’ammissione provvisoria[32]. 
Ad ogni modo l’implicita o esplicita applicazione del settimo comma dell’art. 107, fa capire, in primo luogo, che la comunicazione del provvedimento del giudice è compito della cancelleria, visto che essa va fatta “al debitore, ai creditori, al commissario giudiziale e a tutti gli interessati” e il commissario, se è un destinatario della comunicazione, non può essere il mittente, sebbene la comunicazione ai creditori di altri provvedimenti, come quello iniziale di apertura della procedura di cui al secondo comma dell’art. 104, sia demandata al commissario.
Inoltre detta comunicazione va effettuata “almeno due giorni prima della data iniziale stabilita per il voto” (giusta l’integrazione del decreto correttivo), con il rischio che il provvedimento del giudice non intervenga in tempo utile da potere essere comunicato ai soggetti indicati dal settimo comma dell’art. 107 almeno due giorni della data fissata per l’inizio del voto, o che, pur essendo stato emesso tempestivamente il provvedimento, il cancelliere non proceda alla tempestiva comunicazione.
Questa eventualità, non prevista nella versione originaria del codice della crisi, è stata presa in considerazione dal decreto correttivo, che ha integrato il primo comma dell’art. 108 prevedendo che, in tal caso, “i creditori sono ammessi al voto sulla base dell’elenco dei creditori di cui all’art. 107, comma 3, fatto salvo il diritto di proporre opposizione all’omologazione”; ossia fa testo la lista dei creditori che il commissario deve allegare alla relazione depositata almeno quindici giorni prima della data iniziale stabilita per le votazioni, che deve contenere, ai soli fini del voto, “l’elenco dei creditori legittimati al voto con l’indicazione dell’ammontare per cui sono ammessi”. 
Questa soluzione comporta, quindi, che, qualora su un credito esista una contestazione non ancora risolta dal giudice delegato o, comunque decisa ma non ancora comunicato il provvedimento del giudice, il titolare di quel credito, ove sia compreso nell’elenco dei creditori redatto dal commissario, può partecipare al voto e alle maggioranze; a questo punto sarebbe stato necessario una precisazione circa la sorte di quel credito qualora al suo titolare il giudice neghi (o abbia già negato, seppur non comunicato il provvedimento) il diritto di partecipare al voto. In mancanza di una disposizione che adegui la realtà al provvedimento del giudice, le maggioranze raggiunte con la votazione effettuata sulla base dell’elenco predisposto dal commissario rimangono ferme nel corso della procedura, fino all’omologa, quando il tribunale dovrà riesaminare la regolarità della procedura e l’esito delle votazioni, per cui si potrebbe arrivare al giudizio di omologazione sulla base di una maggioranza raggiunta con il voto determinante di un creditore, che nel frattempo è stato escluso dal voto.
Più complessa è la fattispecie di un creditore pretermesso dall’elenco formato dal commissario e il giudice, su indicazione del commissario, ritenga che abbia diritto di partecipare al voto; in tal caso o il provvedimento del giudice interviene tempestivamente in modo da consentire all’interessato di esprimere il voto, ma se arriva tardivamente o è comunicato tardivamente, quel creditore non è ammesso al voto, in quanto non compreso nell’elenco, e il concordato potrebbe non raggiungere le maggioranze se quel voto è determinante; in ogni caso egli non ha lo strumento per opporsi visto che, a norma del secondo comma, possono proporre opposizione solo i creditori esclusi dal provvedimento del giudice, e non quelli ammessi, e comunque il suo voto .
Sono indubbiamente situazioni al limite, ma che possono verificarsi, il che consiglia un approccio diverso al problema. Ossia una volta esclusa l’adunanza dei creditori e l’esigenza di un contraddittorio effettivo, non vi è la necessità di una decisone del giudice preventiva sui crediti contestati, ma si potrebbe dare la libertà ai creditori indicati nell’elenco del commissario e agli altri che si ritengano tali in grado di poter votare, di esprimere il loro volto, lasciando al commissario, al momento del calcolo della maggioranza la verifica definitiva, con l’intervento del giudice per risolvere i casi controversi oggetto di contestazione[33], ferma restando l’opposizione in sede di omologa dall’interessato o dei creditori che hanno contestato l’ammissione[34]. 
L’eventualità di una decisione provvisoria su un credito ai fini del voto è estranea al concordato liquidatorio giudiziale, come lo è sempre stata anche al concordato fallimentare, sia perché qui non è mai stata contemplata una adunanza dei creditori, sia perché, principalmente, in origine i crediti ammessi al voto erano quelli inclusi nello stato passivo, anche se provvisoriamente o con riserva, per cui non sorgeva la necessità di dirimere una contestazione al momento del voto; né una tale esigenza può nascere nel caso della presentazione immediata di una proposta concordataria da parte di un terzo giacché su questa proposta avevano ed hanno diritto di voto “i creditori che risultano dall'elenco provvisorio predisposto dal curatore e approvato dal giudice delegato”, per cui è questo provvedimento del giudice che eventualmente dovrebbe essere impugnato ex art. 26 l. fall. o 124 CCII, da parte di chi non è d’accordo.
Nel concordato minore non è prevista l’assemblea dei creditori, né alcuno scambio tra i creditori e OCC, né una decisione provvisoria su voti contestati. E questa è un’altra carenza di questo tipo di concordato del sovraindebitato perché manca, in questo caso, sia un accertamento dei crediti come lo stato passivo, sia un elenco dei creditori valutato dal giudice idonei a evitare contestazioni sui crediti. Se queste sorgono presumibilmente si applicherà l’art. 108, stante il generale rinvio di cui al quarto comma dell’art. 74. 
5 . Le maggioranze e la rilevanza del silenzio
In tutti i concordati in esame vale il principio di maggioranza che vincola anche i dissenzienti[35]. Non è questa la sede per indagare su quali basi poggia tale principio, (perché si aprirebbe un discorso sulla natura dei concordati, sul ruolo dell’autorità giudiziaria, sulla veste dei creditori, ecc.), qui conta dire che l’ordinamento ha scelto il principio di maggioranza anche nei rapporti fra privati, quali sono quelli tra il debitore e la comunione involontaria costituita della collettività dei creditori, per cui va indagato come è stata declinata questa regola di funzionamento degli istituti nelle singole norme.
Nella versione originaria della legge fallimentare le maggioranze richieste per l’approvazione del concordato, sia preventivo che fallimentare, erano due: una numerica, rappresentata dalla metà più uno, dei creditori votanti, ed una quantitativa rappresentata dai due terzi della totalità dei crediti ammessi al voto[36] (artt. 128, co. 1 e 177, co. 1, l. fall). Con la riforma degli anni 2005-2007, le due norme citate hanno assunto il seguente tenore: “Il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior numero di classi” [37], che è la regola tuttora vigente. È pacifico, pertanto, che nella legge fallimentare è stata abolita la maggioranza numerica ed è richiesta, in mancanza di classi, la sola maggioranza quantitativa assoluta dei crediti ammessi al voto e non più dei due terzi, e che, in presenza di classi, è richiesta, oltre a questa maggioranza, anche quella nel maggior numero di classi, per cui si è continuato a parlare di maggioranze al plurale.
La doppia maggioranza, numerica e quantitativa, era diretta ad intercettare un consenso che non si fermasse all’adesione di pochi creditori, in ipotesi anche uno solo titolare di un credito consistente, ma che coinvolgesse anche i creditori minori; l’abbandono della maggioranza numerica, se da un lato semplifica il calcolo, dall’altro va incontro proprio all’inconveniente di svilire la volontà della pluralità in favore dei c.d. creditori forti i quali, dalla riforma in poi, hanno potuto condizionare, più di prima, la sorte del concordato (obbligatorio per tutti), tanto più che è stato abbassato il quorum quantitativo.
Questa esigenza è stata colta dal recente legislatore del codice della crisi, il quale nell’art. 109, dopo aver confermato il principio secondo il quale per l’approvazione del concordato è sufficiente che si esprimano a favore della proposta i creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto, aggiunge che, nel caso in cui un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, “il concordato è approvato se, oltre alla maggioranza di cui al periodo precedente, abbia riportato la maggioranza per teste dei voti espressi dai creditori ammessi al voto”, ferma restando la regola che in caso di formazioni di classi il concordato è approvato se la maggioranza dei crediti ammessi al voto è raggiunta anche nel maggior numero di classi.
Nel caso considerato, quindi, il legislatore, seppur con una formula ridondante (“la maggioranza per teste dei voti espressi dai creditori ammessi al voto”) ha inteso ripristinare il meccanismo di voto antecedente alla riforma del 2006, quando era richiesta anche la maggioranza assoluta dei creditori votanti (sarebbe stato opportuno riprendere anche il testo dell’originario primo comma dell’art. 177), sembrando poco verosimile che la norma voglia fare riferimento ad un maggioranza che vada oltre i voltanti, calcolata sempre numericamente ma sul numero complessivo dei creditori ammessi al voto, dal momento che l’espressione utilizzata valorizza solo il voto di chi si sia espresso, ossia dei votanti tra tutti i creditori ammessi al voto.
Al di là di questa imprecisione, la norma è molto opportuna in quanto tesa a limitare il dominio automatico che avrebbe il creditore che dispone da solo della maggioranza, seppur, a mio avviso, sarebbe stato meglio porre la stesa regola anche per il caso di concentrazione in capo ad un unico creditore di una massa di crediti inferiore alla maggioranza purchè fortemente condizionante (ad es. superiore al 35 o 40 per cento dei creditori ammessi al voto), posto che il nuovo meccanismo non neutralizza il voto dei creditori dominanti, ma tende a rendere la votazione quanto più possibile aderente all’effettiva volontà espressa dal corpo dei creditori, chiedendo anche il voto per teste.
La stessa esigenza che ha spinto il legislatore a questa innovazione ricorre anche nel concordato liquidatorio giudiziale, potendo anche in questo caso esserci un creditore che disponga da solo della maggioranza dei crediti ammessi tale da vanificare, con il suo dissenso, la votazione per maggioranza quantitativa; eppure per questa procedura il legislatore non ha ritenuto di ripetere una disposizione simile.
Nel concordato minore, invece, il legislatore è intervenuto in modo determinante sostituendo la formula secondo cui l’accordo deve essere raggiunto con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, che riecheggia quella degli accordi di ristrutturazione, con una regola che riprende, nella dizione e nel contenuto, quella del concordato preventivo, secondo cui “il concordato minore è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto”[38], ed ha riproposto la stessa formula dell’art. 109 per l’ipotesi che un creditore sia titolare della maggioranza dei crediti ammessi al voto (art. 79). 
Nel concordato liquidatorio giudiziale è stato mantenuto il criterio del silenzio assenso, in quanto il curatore deve informare i creditori che “la mancata risposta sarà considerata come voto favorevole” (art. 125, co. 2, l. fall., art. 241, co. 2 CCII) e di conseguenza, il termine fissato dal giudice- non inferiore a venti giorni e non superiore a trenta- è quello “entro il quale i creditori devono far pervenire nella cancelleria del tribunale eventuali dichiarazioni di dissenso” (art. 125, co. 2, l. fall., art. 241, co. 2 CCII), posto che solo l’espressione del dissenso rileva, nel mentre la manifestazione del voto favorevole è irrilevante dal momento che il silenzio vale assenso.
Deduzione ovvia una volta optato per il criterio del silenzio assenso, ma di cui il legislatore si dimentica nella regolamentazione del concordato minore, ove, pur accogliendo il principio del silenzio assenso, (“in mancanza di comunicazione all’OCC nel termine assegnato, si intende che i creditori abbiano prestato consenso alla proposta nei termini in cui è stata loro trasmessa” recita il terzo comma dell’art. 78), nell’art. 78, comma 2, lett. c), si dispone che con il decreto di apertura della procedura il giudice “assegna ai creditori un termine non superiore a trenta giorni entro il quale devono fare pervenire all'OCC, a mezzo posta elettronica certificata, la dichiarazione di adesione o di mancata adesione alla proposta di concordato e le eventuali contestazioni”; ossia i creditori sono invitati ad esprimere non solo il dissenso (la mancata adesione) ma anche il consenso (adesione), sebbene il loro silenzio venga comunque interpretato e considerato come consenso alla proposta.
Il silenzio vale assenso è un meccanismo di voto tradizionalmente utilizzato nel concordato fallimentare e che, come è noto, era stato introdotto anche nel concordato preventivo con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134 al dichiarato scopo di “facilitare la gestione delle crisi aziendali” e di allineare la disciplina del concordato preventivo con quella del concordato fallimentare, in modo da eliminare il diverso trattamento dell’inerzia dei creditori. Si trattava di una scelta che si inseriva in una mini riforma tutta debtor oriented che favoriva al massimo le iniziative del debitore[39] e lasciava a questi massimo spazio relegando gli organi procedurali ad una funzione di solo controllo della regolarità dello svolgimento della procedura.
Questo sistema di voto è stato poi abrogato, dopo circa tre anni, dal d.l. 27 giugno 2015 n. 83, convertito nella legge 6 agosto 2015 n. 132, che ha sostituito il precedente quarto comma dell’art. 178 l. fall. – che prevedeva l’espressione del solo dissenso nei venti giorni successivi all’adunanza dei creditori, con la precisazione che i creditori non votanti “si ritengono consenzienti e come tali sono considerati ai fini del computo della maggioranza dei crediti”- con la più asettica formula, secondo cui “i creditori che non hanno esercitato il voto possono far pervenire lo stesso per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale”; dizione che, eliminando l’espressione del solo dissenso e della previsione che il silenzio vale assenso, ha ripristinato il sistema di voto del consenso esplicito ed ha inequivocabilmente limitato il novero degli aventi diritto al voto postumo ai soli creditori che non abbiano esercitato tale facoltà in adunanza.
Modifica che si innesta nello spirito generale della riforma del 2015, orientata nella direzione di un ripensamento della tutela del ceto creditorio e che si giustifica anche con la contestuale introduzione delle proposte concorrenti. Se, infatti, vi è una sola proposta, il silenzio dei creditori può essere interpretato come assenso a quella proposta perché ad essi viene detto che l’inerzia viene in tal modo calcolata dalla legge, che, attribuendo il valore di assenso al silenzio del creditore chiamato a votare (senza possibilità di prova contraria né di ricerca dei motivi del silenzio), ha creato la presunzione che il creditore che non vota sia d’accordo con la proposta sottoposta alla sua attenzione. Quando sono portate al voto due o più proposte, il silenzio perde la sua inequivocità in quanto non può più presumersi una adesione silente a più proposte eventualmente tra loro molto differenti, per cui, in questi casi, l’inerzia, che si traduce nel non voto, più che adesione, esprime indifferenza per le varie proposte, con uno scollegamento tra l’assenso e il silenzio in quanto l’indifferenza comunque non equivale ad adesione. 
Questo ritorno al passato, ripreso dal CCII, tuttavia, non sterilizza l’inerzia dei creditori in quanto, se nel concordato liquidatorio giudiziale e nel concordato minore il silenzio vale assenso, in quello preventivo il silenzio vale dissenso, giacché quando si prevede, nel primo comma dell’art. 177 l. fall. o nel primo comma dell’art. 107 CCII, che “il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto”, si dà rilievo al solo consenso esplicito che, rapportato ai fini del calcolo della maggioranza, al monte crediti ammessi al voto, finisce per accumunare automaticamente i dissenzienti con i silenti. 
In entrambi i casi, comunque, la disciplina concorsuale non è “armonica con il resto dell’ordinamento civilistico, notoriamente retto dal principio della non significatività del silenzio (qui tacet neque dicit, neque negat, neque utique fatetur)”[40], per cui anche sul punto si è persa l’occasione, non solo di omogeneizzare le discipline sulla rilevanza dell’inerzia tra i due tipi di concordato, ma di eliminare questa disarmonia attraverso lo scomputo dei creditori non votanti dal quorum deliberativo, facendo sì che la decisione sulla proposta concordataria, sia essa preventiva che fallimentare, valorizzi i soli creditori che si sono espressi esplicitamente, dimostrando il loro effettivo interesse e renda ininfluente l’atteggiamento astensionistico, che non è, obiettivamente, riconducibile né a un assenso, né a un dissenso.
Tuttavia queste sono le strade percorse dall’attuale legge fallimentare e seguite anche dal nuovo legislatore, nella mancanza di qualsiasi indicazione della legge delega in proposito[41], per cui, la nuova realtà normativa offre il seguente quadro: nel concordato preventivo, fortemente incentivato dal legislatore, almeno nella forma della continuità aziendale, sia diretta che indiretta, vige un sistema di votazione (silenzio vale dissenso) che non favorisce l’approvazione del concordato, nel mentre, nel concordato che si innesca nella liquidazione giudiziale, continua ad essere applicato un sistema di votazione teso a favorire la soluzione concordataria (silenzio vale assenso), ma contestualmente si penalizza l’iniziativa concordataria del debitore. 
Quest’ultimo dato della penalizzazione del debitore esce ulteriormente rafforzato dalla recente riforma in quanto l’art. 240, alla limitazione già esistente nell’art. 124 l. fall., che consente al debitore, a società cui egli partecipi o a società sottoposte a comune controllo di presentare una proposta concordataria solo “dopo il decorso di un anno dalla sentenza che ha dichiarato l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale e purché non siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo”, aggiunge, in attuazione della lett. d) del comma decimo dell’art. 7 della legge delega[42], che “la proposta del debitore, di società cui egli partecipi o di società sottoposte a comune controllo, è ammissibile solo se prevede l'apporto di risorse che incrementino il valore dell'attivo di almeno il dieci per cento”. 
Se la prima limitazione cronologica può trovare una spiegazione nell’intento di sollecitare il debitore a ricorrere agli strumenti preventivi di risoluzione concordata della crisi, quella nuova, ispirata all’analoga norma dettata per il concordato preventivo liquidatorio dall’ult. comma dell’art. 84 CCII[43], è estremamente e ingiustificatamente punitiva in quanto non tiene conto delle differenze notevoli tra il concordato preventivo liquidatorio e quello fallimentare, che non giustificano una identità di regolamentazione. 
La disposizione dell’art. 84 si spiega, infatti, nell’ottica dello sfavore con cui è visto il concordato liquidatorio nell’intero progetto di riforma, al punto che, quando null’altro v’è da fare, se non liquidare i beni del debitore per soddisfare al meglio le ragioni dei creditori, è preferibile ricorrere alla procedura liquidatoria per eccellenza, a meno che, appunto, non vi sia un apporto di risorse esterne tale da incrementare di almeno il dieci per cento la soddisfazione dei creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale. Il concordato fallimentare o liquidatorio giudiziale costituisce, invece, una modalità di chiusura del fallimento o della liquidazione giudiziale fondato sulla presentazione di una proposta e un piano, indirizzati a soddisfare in tutto o in parte i creditori, che per la sua stessa ammissione richiede il parere favorevole di convenienza da parte del comitato dei creditori. Ed, ovviamente, la valutazione della convenienza si basa sulla possibilità per i creditori di ottenere, attraverso la soluzione concordataria, un quid pluris, cioè un maggiore soddisfacimento, non solo in termini quantitativi, ma anche in considerazione dei tempi di soddisfazione e della sicurezza dei pagamenti, rispetto all’alea data dalla liquidazione dei beni nell’ambito del fallimento o della liquidazione giudiziale. 
Questo quid pluris deve sussistere sia che la proposta provenga da un terzo che dal debitore, ma solo se proviene da costui si richiede un ulteriore apporto di terzi di una certa entità, senza peraltro considerare che, essendo la percentuale dell’incremento calcolata, come detto, sull’attivo, quanto maggiori sono le disponibilità della procedura in corso, tanto maggiore deve essere l’apporto del debitore. E così, creditori o terzi possono formulare una proposta concordataria fin dall’apertura della liquidazione giudiziale e fino all’esaurimento del riparto finale, e dare un apporto migliorativo che potrebbe anche sostanziarsi in una riduzione dei tempi di pagamento o in una maggiore sicurezza dello stesso senza l’alea della liquidazione o anche in un apporto in misura inferiore al 10% dell’attivo, nel mentre il debitore deve attendere un anno almeno dall’apertura della procedura per presentare una domanda di concordato, ha una finestra temporale limitata per farlo (entro due anni dalla esecutività dello stato passivo) e deve, in più, apportare risorse esterne che incrementino l’attivo di almeno il 10%; eppure, in entrambi i casi, il concordato è approvato con le stesse maggioranze e vale lo stesso criterio del silenzio assenso.
6 . La votazione e la formazione delle maggioranze in caso di proposte concorrenti
Quando con d.l. 27 giugno 2015 n. 83, convertito con la legge 6 agosto 2015 n. 132, è stato introdotto l’istituto delle proposte concorrenti, il legislatore ha dovuto anche regolamentare il meccanismo della votazione, basato sull’idea di sottoporre ai creditori tutte le proposte pervenute (svolti i dovuti controlli di ammissibilità) in modo che siano costoro a scegliere quella ritenuta più soddisfacente per i loro interessi da far approdare all’omologa[44]; lo stesso meccanismo è stato integralmente ripreso dal nuovo codice, con le varianti dettate dalla abolizione dell’adunanza dei creditori. E qui emerge, in modo ancor più evidente, la difficoltà del nuovo legislatore a liberarsi del vecchio sistema.
Invero, il secondo comma dell’art. 107 CCII dispone che “Sono sottoposte alla votazione dei creditori tutte le proposte presentate dal debitore e dai creditori, seguendo, per queste ultime, l'ordine temporale del loro deposito. Il giudice delegato regola l'ordine e l'orario delle votazioni con proprio decreto”. In forza di tale disposizione, quindi, il giudice delegato, in caso di proposte plurime, deve suddividere lo spazio temporale tra la data di inizio delle votazioni e quella finale in più frazioni entro ciascuna delle quali i creditori sono chiamati ad esprimere il voto su una proposta (prima su quella del debitore e poi su ciascuna di quelle formulate dai creditori seguendo l’ordine cronologico), sicché i creditori potranno votare sulla proposta del debitore entro una certa data, sulla proposta A presentata da un creditore entro altra data, sulla proposta B presentata da un creditore successivamente entro altra data ancora, e così via.
A parte lo sconcerto dei creditori di dover rispettare tali termini, a parte il fatto che la norma non precisa le modalità dell’emissione di questo provvedimento, né gli effetti della violazione del termine per il caso che un creditore voti a favore di una proposta nel termine fissato per esprimersi sull’altra, si vede che si è riprodottolo pedissequamente il meccanismo dell’attuale legge fallimentare in un sistema completamente diverso, che non prevede l’assemblea dei creditori. La nuova norma riprende, infatti, quella del quarto comma dell’art. 175 l. fall., secondo cui “Sono sottoposte alla votazione dei creditori tutte le proposte presentate dal debitore e dai creditori, seguendo, per queste ultime, l'ordine temporale del loro deposito”, specificando che “il giudice delegato regola l'ordine e l'orario delle votazioni con proprio decreto”.
Orbene, la successione delle votazioni una su ciascuna proposta, si spiega agevolmente nella contestualità dell’unica adunanza alla quale necessariamente va messa a votazione prima una proposta, poi un’altra e così via, per cui è logico che l’attuale art. 175 l. fall. indichi l’ordine da seguire e che questo sia fissato dal giudice delegato, ma in un sistema che, abolita l’assemblea dei creditori, prevede un termine iniziale ed uno finale entro cui ciascun di essi può esprimere il proprio voto, diventa inutile e farraginoso stabilire un ordine e un orario di votazione; sarebbe stato sufficiente dire che i creditori possono esprimere nel termine fissato il loro voto su ciascuna delle proposte loro comunicate. 
Ad ogni modo, nell’attuale legge fallimentare, la successione delle votazioni, una su ciascuna proposta, seppur nella contestualità dell’unica adunanza, fa capire chiaramente come sia possibile per ogni creditore esprimere il voto su ciascuna, sia diversificando il proprio parere, favorevole per una e negativo per l’altra, sia manifestando il consenso per ognuna quando ritenga tutte le proposte convenienti e non sappia scegliere, o il dissenso per ciascuna quando ritenga tutte le proposte non soddisfacenti . A maggior ragione ricorre la stessa libertà espressiva nel voto a distanza nel nuovo codice, sia che questa debba manifestarsi nell’ordine e negli orari fissati dal giudice delegato sia nello spazio temporale comunque a lasciato ai creditori. 
Di conseguenza, il voto di ogni creditore sarà conteggiato per ciascuna proposta in senso favorevole o contrario a seconda di come il votante si è espresso; ovviamente, se il creditore ha votato a favore (o contro) tutte le proposte, come tale sarà considerato nella determinazione delle maggioranze raggiunte da ognuna di esse. Né il voto plurimo, per il fatto che potrebbe incidere allo stesso modo per tutte, perde significato perché gli effetti potrebbero essere diversi per ciascuna proposta dato che bisogna tener conto dei consensi raccolti dalle altre proposte[45]. 
Nessuno sforzo innovativo ha fatto il nuovo legislatore nel concordato liquidatorio giudiziale in presenza di proposte plurime, nei casi eccezionali in cui queste vengano sottoposte all’esame dei creditori. A differenza, infatti, di quanto previsto dall’art. 105 CCII che, come ricordato, prevede la comunicazione ai creditori delle proposte concorrenti unitamente alla relazione integrativa del commissario del concordato preventivo, l’art. 241 CCII perpetua il criticato, e criticabile, sistema descritto dall’art. 125 l. fall., che affida al comitato dei creditori, in caso di presentazione di più proposte o se comunque ne sopraggiunge una nuova prima che il giudice delegato ordini la comunicazione, il compito di selezionare “quella da sottoporre all'approvazione dei creditori”. Solo “su richiesta del curatore, il giudice delegato può ordinare la comunicazione ai creditori di una o di altre proposte, tra quelle non scelte, ritenute parimenti convenienti”, sicché la possibilità che i creditori siano chiamati a scegliere tra più proposte è sottoposta alla duplice condizione che il curatore, in contrasto con la scelta fatta dal comitato dei creditori , chieda al giudice delegato di dare rilevanza anche ad una o più delle proposte scartate dal comitato e che il giudice delegato ritenga parimenti conveniente sottoporre ai creditori la o le proposte accantonate dal comitato e valorizzate dal curatore[46].
Di conseguenza, le possibilità che i creditori siano chiamati a scegliere tra più proposte di concordato liquidatorio giudiziale sono davvero molto esigue, anche per i tempi entro cui queste nuove proposte devono pervenire, e cioè prima della comunicazione della iniziale proposta ai creditori[47]. Ad ogni modo, in quei casi in cui dovessero essere sottoposte ai creditori più proposte, non è prevista alcuna relazione integrativa, né un parere comparativo da parte del curatore, in quanto l’art. 241, nella ult. parte del secondo comma, (così come l’art. 125 l. fall.) si limita a stabilire che “su richiesta del curatore, il giudice delegato può ordinare la comunicazione ai creditori di una o di altre proposte, tra quelle non scelte, ritenute parimenti convenienti”, senza aggiungere, come fa nella prima parte del comma trattando della proposta iniziale, che questa va comunicata ai creditori “unitamente al parere del comitato dei creditori e del curatore”. Tuttavia, anche ad ammettere che la comunicazione della o delle proposte sopravvenute debba essere accompagnata dalla richiesta del curatore e dal decreto del giudice che l’ha accolta, rimane il fatto che, mancando una relazione comparativa tra le varie proposte (espressamente richiesta, come visto, dall’art. 105 nel vaso di proposte plurime nel concordato preventivo) i creditori si trovano nel comprensibile disagio di effettuare una scelta sulla base del parere del comitato dei creditori, che ha optato per una proposta, e del parere del curatore e della decisione del giudice, che hanno ritenuto degne di esame anche altre proposte scartate dal comitato, senza possibilità di chiarimenti, di scambio di opinioni e, tanto meno, di interlocuzione con il curatore o con gli altri creditori. 
Quanto alle maggioranze, il secondo comma dell’art. 109 CCII, riprendendo pedissequamente la parte del primo comma dall’art. 177 l. fall. introdotta con la riforma del 2015, dispone che, quando sono poste al voto più proposte di concordato preventivo, si considera approvata quella che “ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto” con preferenza, in caso di parità, per quella del debitore o, in caso di parità fra proposte di creditori, per quella presentata per prima.
Quando la norma afferma che “si considera approvata la proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto”, non pretende che sia da considerare approvata la proposta prevalente tra le presenti, anche se non ha raggiunto la maggioranza dei crediti ammessi al voto, e che non sia richiesta la maggioranza tra classi, ma vuole, invece, ribadire che tra tutte le proposte che abbiano raggiunto la maggioranza quantitativa e nelle classi come richieste dal primo comma dell’art. 109, è preferita quella che ha riportato il maggior numero di consensi (e in caso di parità stabilisce quale debba prevalere); tant’è che poi prende in considerazione l’ipotesi che nessuna delle proposte “sia stata approvata con le maggioranze di cui al primo e al secondo periodo del presente comma”. 
Quest’ultimo inciso contenuto nel secondo comma dell’art. 109 CCII è certamente dovuto all’utilizzo acritico del sistema del copia e incolla dell’espressione utilizzata dall’art. 177 l. fall.; qui la disposizione sulle maggioranze in caso di proposte plurime è inserita nello stesso primo comma, che nei primi due periodi tratta delle maggioranze in generale, sicché quando nella norma fallimentare si ipotizza che nessuna delle proposte concorrenti poste al voto sia stata approvata con le maggioranze di cui al primo e secondo periodo del presente comma, è chiaro il riferimento alla approvazione da parte della maggioranza dei crediti ammessi al voto e alla maggioranza nel maggior numero di classi, che, appunto, costituiscono i primi due periodi “del presente comma”. L’art. l’art. 109 CCII ha, invece, dato la dignità di un autonomo comma, il secondo, alla regolamentazione del voto in caso di proposte plurime, concentrando nel primo quella generale riferita alle maggioranza dei crediti ammessi al voto e a quella nelle classi in caso di proposte singole, di modo che avrebbe dovuto parlare di non approvazione con le maggioranze di cui al primo comma.
E’ chiaro, comunque, nonostante questo piccolo incidente di percorso, che, anche nella fattispecie delle proposte plurime il concordato è approvato solo se riceve il voto dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto e che, qualora siano previste classi di creditori, se la tale maggioranza si raggiunge anche nel maggior numero di classi; come, peraltro evidenziato anche dal richiamo finale del secondo comma dell’art. 109 all’applicazione delle disposizioni di cui al primo comma. Del resto, se così non fosse, non si spiegherebbe la previsione dell’ipotesi che nessuna delle proposte concorrenti poste al voto sia stata approvata con le maggioranze di cui al primo e secondo periodo del presente comma (rectius, di cui al primo comma), perché, salvo l’inverosimile caso che nessuno voti (neanche il creditore concorrente), vi sarà sempre una proposta che abbia ricevuto una quantità di voti che supera quelli ottenuti da un’altra opzione e, al massimo si potrà essere parità, che la legge regola a parte.
In sostanza le alternative prospettate, anche dal nuovo codice, sono due: 
a-le maggioranze di legge sono raggiunte almeno da una proposta o da più, nel qual caso si sceglie quell’unica che ha superato tali livelli o, tra le più che lo hanno superato, quella che ha riportato la maggioranza più elevata; con l’avvertenza che, ove un unico creditore sia titolare di crediti in misura superiore alla maggioranza dei crediti ammessi al voto, le proposte devono superare anche il vaglio della maggioranza per teste. 
In caso di parità tra la proposta di un creditore e quella del debitore, il secondo periodo del secondo comma dell’art. 109 dà la preferenza a quella del debitore, il che ben si spiega con l’opportunità di privilegiare l’offerta del titolare dell’impresa quando i creditori non hanno effettuato una scelta sicura, nel mentre il ricorso alla priorità cronologica in caso di parità tra proposte dei concorrenti è un criterio come un altro che si rifà all’ordine con cui le varie proposte vengono sottoposte all’esame dei creditori.
b-Nessuna proposta ottiene i voti necessari a raggiugere le maggioranze di legge[48], che è l’esito più frequente in presenza di più proposte che possono portare ad una dispersione del voto; in tal caso, il secondo comma dell’art. 109, riprendendo anche sul punto il primo comma dell’art. 177 l. fall., stabilisce che “il giudice delegato, con decreto da adottare entro trenta giorni dal termine di cui all’articolo 110, comma 2, rimette al voto la sola proposta che ha conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto, fissando il termine per la comunicazione ai creditori e il termine a partire dal quale i creditori, nei venti giorni successivi, possono far pervenire il proprio voto per posta elettronica certificata”. 
Ovviamente l’art. 177 l. fall., nel fissare il termine per il giudice delegato, fa riferimento al quarto comma dell’art. 178, ossia all’ipotesi che nel termine di venti giorni successivo all’adunanza nessuna delle proposte abbia raggiunto le maggioranze di legge, nel mentre la nuova norma, eliminata l’adunanza dei creditori e la possibilità del voto successivo, richiama il termine di cui all’art. 110, comma 2, rapportato al giorno successivo alla chiusura delle operazioni di voto, a sua volta costituito dal termine finale per la espressione del voto. Di conseguenza, entro questo termine, il giudice deve prendere l’iniziativa di chiedere una nuova espressione di voto sulla proposta che nella votazione precedente ha ricevuto il maggior numero di consensi, ma non quelli necessari per raggiungere le maggioranze. 
Dovendo il provvedimento del giudice essere comunicato ai creditori è opportuna la previsione che sia fissato un termine entro cui effettuare tale comunicazione, evitando sia il silenzio che espressioni vaghe, come “immediatamente” o “nel più breve tempo possibile” e simili; piuttosto si poteva evitare di fissare un termine per l’inizio della decorrenza per la manifestazione del voto, dato che, una volta posta come obbligatoria la comunicazione, il termine poteva decorrere dalla ricezione di questa. 
Nulla è detto in ordine all’impugnazione del provvedimento del giudice che disponga il voto su una proposta nel caso nessuna abbia raggiunto le maggioranze di legge e rimane il dubbio se sia utilizzabile il reclamo ex art. 124 CCII o la doglianza possa essere fatta valere in sede di omologazione o siano praticabili entrambi i rimedi. 
A questa minuziosa, seppur non del tutto lineare, descrizione contenuta nel secondo comma dell’art. 109 per l’approvazione di pluralità di proposte di concordato preventivo, corrisponde l’indicazione più generica del quarto comma dell’art. 244- che riprende nella sostanza il pari comma dell’art. 128 l. fall., per il concordato liquidatorio giudiziale, dovuta probabilmente alla eccezionalità che in tale procedura vengano sottoposte ai creditori più proposte, per i motivi già ricordati.
Comunque, quando vengono sottoposte ai creditori più proposte, la norma richiamata dispone che “si considera approvata quella tra esse che ha conseguito il maggior numero di consensi a norma dei commi 1, 2 e 3, e, in caso di parità, la proposta presentata per prima”. Qui il richiamo al comma 1 fa capire che il concordato deve essere comunque approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto e, in caso di formazione di classi, tale maggioranza deve essersi verificata anche nel maggior numero di classi; il richiamo al comma 2 ribadisce che anche nelle proposte plurime vale il principio del silenzio assenso, che, come visto è abbastanza distorsivo della volontà dei creditori; infine, il richiamo al comma 3 sancisce la irrilevanza delle variazioni del numero dei creditori ammessi o dell'ammontare dei singoli crediti, che avvengano per effetto di un provvedimento emesso successivamente alla scadenza del termine fissato dal giudice delegato per le votazioni. 
In caso di parità tra le proposte che hanno superato le maggioranza, il quarto comma dell’art. 244 CCII precisa che viene preferita quella presentata per prima; non viene, invece presa in considerazione l’ipotesi che nessuna delle proposte raggiunga le maggioranze, il che ben si spiega col fatto che si tratta di concordato inserito nell’ambito di una liquidazione giudiziale già aperta, per cui se lo strumento concordatario di chiusura della procedura di liquidazione non trova il consenso su nessuna delle sue formulazioni, diventa superfluo portare almeno una proposta al voto dei creditori perché, a differenza di quanto accade nel concordato preventivo in cui si cerca di trovare una soluzione concordata alternativa alla dichiarazione di insolvenza, qui è chiaro che i creditori non approvando alcuna delle proposte hanno optato per la continuazione della liquidazione giudiziale.
7 . Il conflitto di interessi nelle proposte concorrenti
Nella legge fallimentare manca una norma generale, analoga a quelle di cui all'art. 2373 c.c. e all'art. 2379-ter c.c., in materia di assemblea delle società, che disciplini il conflitto d'interesse dei creditori nel voto sul concordato in quanto le previsioni di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 127 e comma 4 dell’art. 177 l. fall. sono riferite soltanto ad alcune ipotesi di esclusione dal voto giustificabili con l'esigenza di neutralizzare un conflitto d'interesse; tuttavia l'esigenza della sterilizzazione dei conflitti d’interesse non ricorre solo nei casi espressamente previsti, ma è imposta dal fondamentale principio dell'autonomia privata nella quale vanno iscritti i concordati che proprio al momento dell’approvazione della proposta esprimono i loro profili contrattualistici. Il patto concordatario poggia sull’approvazione a maggioranza ma poi vincola tutti i creditori concorsuali; e un corretto operare del principio di maggioranza richiede che i creditori portatori di interessi personali in conflitto con quello comune agli altri partecipanti alla votazione, siano esclusi dal voto e dal calcolo delle maggioranze perché l’interesse personale fa venire meno la strumentalità della decisione rispetto al perseguimento dell'interesse comune. 
Il discorso sul conflitto di interessi si è sviluppato principalmente nell’ambito del concordato fallimentare perché qui, a partire dalla riscrittura dell’art. 124 ad opera del d.lgs n. 5 del 2006, il concordato fallimentare può essere proposto, oltre che dal debitore, anche dai creditori o terzi, senza che sia prevista alcuna disposizione sul diritto di voto da parte del creditore proponente o soggetti a lui collegati.
La questione è stata risolta dalle Sezioni Unite della S. Corte[49] che, superando un precedente orientamento, hanno condivisibilmente osservato che l'eteronomia nei confronti della minoranza, insita nella regola di prevalenza della maggioranza, in tanto è applicabile all'approvazione del concordato, così come alle assemblee societarie, in quanto sia giustificata dalla necessità di realizzare un interesse comune a tutti i partecipanti; sicché il principio (di autonomia) è messo in crisi tutte le volte in cui la scelta della maggioranza sia inquinata in maniera decisiva dalla presenza, in capo a taluni dei suoi componenti, di un conflitto di interessi, il quale va pertanto neutralizzato, o sterilizzato; e, dopo aver dimostrato l’inesattezza dell’assioma che l'interesse comune richiede che vi sia un soggetto giuridico collettivo che sia titolare dello stesso[50], spiegano che “perché sia configurabile un conflitto d'interessi di un soggetto, in quanto parte di una collettività è invero sufficiente il contrasto di un suo interesse individuale con l'interesse comune all'intera collettività, mentre non è necessario che quest'ultima costituisca un distinto soggetto o centro d'imputazione di situazioni giuridiche”, così come accade anche nelle società con personalità giuridica, ove l'interesse sociale rispetto al quale può porsi in conflitto l'interesse personale del socio “non è più da tempo considerato l'interesse della impresa in sé o l'interesse proprio della società come persona giuridica, secondo le note versioni dell'istituzionalismo, ma è qualificato nient'altro che l'interesse comune dei soci”,
Ne segue che come “l'interesse sociale va identificato con l'interesse comune dei soci in quanto partecipanti alla compagine sociale, senza alcuna intestazione di questo interesse alla società-persona giuridica, così l'interesse collettivo della massa dei creditori va identificato nell'interesse comune dei creditori in quanto ammessi a partecipare al concorso, senza la necessità di andare alla ricerca di un ente cui imputare il detto interesse”, di tal che un interesse personale è configurabile quando il creditore sia portatore, per conto proprio o di terzi, di un interesse ad un vantaggio particolare da conseguirsi mediante il concordato, non condiviso dagli altri creditori e fondato non già sulla partecipazione al concorso, quanto su una situazione esterna del creditore. Da qui la conclusione che “è escluso dal voto sulla proposta di concordato fallimentare e dal calcolo delle maggioranze il creditore che abbia presentato la proposta di concordato fallimentare”.
Quando nel 2015 è stato introdotto l’istituto delle proposte concorrenti, è stato messo a disposizione dei creditori una possibilità ulteriore rispetto a quella di accettare o rifiutare la proposta del debitore giacché, con le proposte concorrenti, si consente ai creditori che abbiano determinate caratteristiche di porsi in competizione con il debitore concordatario presentando una proposta di concordato alternativa da sottoporre all’assemblea dei creditori, che potranno quindi scegliere tra le più proposte presenti quella che ritengono preferibile. 
Nel momento stesso in cui si è data ai creditori chiamati al voto la possibilità di scelta tra la proposta e il piano presentati dal debitore e la proposta e il piano introdotti da altri creditori, il legislatore si è posto anche il problema di trovare un equilibrio tra i contrastanti interessi del debitore che non vota sulla sua proposta non potendo essere creditore verso se stesso, del terzo proponente che, votando, accetta una proposta fatta da lui stesso, e la massa degli altri creditori che hanno interesse a far passare la proposta più conveniente attraverso una competizione equa e non condizionata degli interessi personali.
Il legislatore del 2015 non ha negato il diritto di voto al creditore proponente e, spinto anche dall’intento di incrementare il mercato dei distressed debts[51], non ha trovato di meglio che statuire che “i creditori che presentano una proposta di concordato concorrente hanno diritto di voto sulla medesima solo se collocati in una autonoma classe”. In tal modo il legislatore riconosce il conflitto di interessi dei creditori proponenti a votare sulla propria stessa proposta (e non potrebbe essere diversamente), ma ritiene di neutralizzarlo legalizzandolo mediante la tecnica del classamento, in quanto ammette la loro partecipazione al voto, a condizione che siano inseriti in una autonoma classe.
Il compromesso trovato dal legislatore è poco efficace perché il proponente la proposta alternativa, seppur collocato in un’apposita classe, quando esprime il voto sulla proposta da lui presentata assume l’innaturale duplice ruolo del proponente e (parzialmente, cioè per il suo voto) dell'accettante, con possibilità anche di essere determinante nell’approvazione ove abbia un credito idoneo, nella singola fattispecie, a spostare la maggioranza; e la sua collocazione in una autonoma classe (pensando probabilmente che, esclusa la formazione di una classe unica, il proponente dovrebbe formare almeno tre classi ed ottenere la maggioranza almeno in due di esse, oltre che la maggioranza quantitativa dei crediti) è solo un larvato palliativo essendo notorio che è sufficiente un minimo di esperienza nella formazione delle classi per evitare che la formazione delle classi rappresenti un condizionamento all’eventuale maggioranza. 
Tuttavia, anche lì dove il proponente alternativo non riesca a formare classi in modo da avere la sicurezza di raggiungere la maggioranza nel maggior numero di classi, sicuramente, a meno che non sia un completo sprovveduto, farà in modo da avere la maggioranza quanto meno nella sua classe di appartenenza nell’ambito della quale egli voterà in modo favorevole alla sua proposta[52]; e questo suo voto favorevole alla proposta da lui presentata, seppur da solo non consente il raggiungimento dei quorum, dovendo la proposta essere approvata dalla maggioranza dei crediti ammessi al voto nelle altre classi, costituisce comunque un vantaggio in quanto permette ad un creditore di sostenere col voto, in patente conflitto di interessi, la proposta da lui stesso presentata contribuendo a raggiungere le maggioranze di legge con il peso del credito complessivo di cui dispone, nel mentre il creditore escluso dal voto per conflitto d'interessi non concorre all'approvazione del concordato (come accade al creditore proponete il concordato fallimentare secondo la ricordata costruzione delle Sezioni Unite[53]); così come non vi concorre il debitore che ha presentato il concordato che non vota sulla sua proposta
La disparità di trattamento tra creditore concorrente e debitore concordatario diventa macroscopica se si considera che il primo vota anche sulla proposta presentata inizialmente dal debitore, ovviamente esprimendo voto negativo[54], nel mentre il secondo non vota sulla proposta alternativa. 
Non so se nei non numerosi casi che si sono avuti in Italia di proposte concorrenti il creditore proponente sia stato ammesso al voto sulla proposta originaria del debitore, benché in chiaro conflitto di interessi essendo la proposta del debitore alternativa alla sua ed una sola può essere approvata e portata all’omologa, ma è presumibile che ciò sia avvenuto dal momento che nella legge fallimentare manca una norma generale che escluda dalla votazione chi si trovi in conflitto di interessi, e la questione non risulta affrontata nei provvedimenti noti in materia[55]. Sotto questo profilo, peraltro, non sarebbe possibile ricorrere all’espediente della classazione, perché il voto viene espresso sulla proposta presentata dal debitore, così come formulata, che può anche non prevedere classi, né potrebbe essere il giudice d’imperio a ordinare al debitore, una volta presentata una proposta concorrente, di formare le classi per consentire il voto a costui.
In sostanza, dietro il paravento della classazione, la realtà è che il creditore proponente esprime voto favorevole sulla sua proposta e voto negativo sulla proposta del debitore, incidendo pesantemente sull’esito delle votazione in quanto contribuisce all’approvazione della sua proposta e alla mancata approvazione della concorrente proposta del debitore, nel mentre l’interesse personale, in conflitto con quello generale della massa dei creditori, che egli fa valere con tali voti dovrebbe precludergli la possibilità di incidere sulla formazione della maggioranza, sia in positivo che in negativo; di contro il debitore non vota- e non si saprebbe per quale credito potrebbe votare- né sulla sua proposta né su quella del creditore proponente. Eppure, come correttamente ricorda il Tribunale di Roma[56], “Il pertinente ordito normativo di disciplina è all'evidenza, strutturato nel porre in una posizione di sostanziale parità, quanto all'esercizio delle facoltà a ciò utili, sia l'imprenditore originariamente proponente il concordato, sia il soggetto legittimato all'inoltro di proposta concorrente e ciò perché, entrambi, propulsori di iniziative funzionali alla composizione della debitoria gravante sull'impresa, rimettendo, quindi, al ceto creditorio, all'atto del voto, le scelte finali relative al percorso da intraprendere, previa adeguata ed esaustiva informativa delle caratteristiche di ciascuno e delle pertinenti concrete finalità avute di mira”. Parità che chiaramente viene meno se, proprio nel momento cruciale della espressione del voto, le capacità di incidere sulla formazione delle maggioranze sono così squilibrate a favore del creditore concorrente.
A questo si ricollega un altro problema, non affrontato dal legislatore, e, cioè il ruolo che assumono il coniuge del proponente la proposta alternativa oggetto di votazione, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, la società che controlla la società proponente, le società da questa controllate e quelle sottoposte a comune controllo, nonché i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta di concordato.
Nell’ult. comma dell’art. 177 si fa riferimento al coniuge, parenti e società collegate al debitore e non al creditore, per cui i soggetti indicati dovrebbero poter esprimere il voto sulla proposta concorrente[57], con la illogica conseguenza che i soggetti collegati al creditore (inseriti o non anch’essi in classe separata) possono votare favorendo la formazione delle maggioranze della proposta del creditore ad essi collegato e contrastando la proposta del debitore, nel mentre i soggetti collegati in qualche modo al debitore (coniuge, parenti, società controllate, ecc.) sono esclusi dal voto su ambedue le proposte (art. 127, commi 5 e 6, 177, comma 4, l. fall.). 
La situazione cambia nel nuovo codice avendo il nuovo legislatore, come già detto, introdotto, sia nel concordato preventivo che in quello fallimentare e in quello minore, la regola che esclude dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto di interessi; intervento, però anche qui parziale perché risolve alcune delle problematiche prospettate, ma ne lascia aperte, anzi ne crea, altre. 
Il comma sesto dell’art. 109 CCII ripropone, infatti, in modo più articolato la disposizione di cui al pari comma dell’art. 163 l. fall., per cui anche in futuro “il creditore che propone il concordato ovvero le società da questo controllate, le società controllanti o sottoposte a comune controllo, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, del codice civile possono votare soltanto se la proposta ne prevede l'inserimento in apposita classe”, ma rispetto all’attuale legge fallimentare, dopo aver elencato nel comma quinto dell’art. 109 i soggetti esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze riprendendo la formula del comma quarto dell’art. 177 l. fall., aggiunge in chiusura: “Sono inoltre esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto d'interessi”.
C’è solo da stupirsi come una regola del genere non sia stata introdotta nella legge fallimentare con uno dei tanti interventi normativi che si sono succeduti dall’inizio della riforma risalente al 2005[58], ma ora la norma esiste e non credo possa mettersi più in dubbio che il creditore che formula una proposta alternativa non può esprimere il voto sulla proposta del debitore in quanto in conflitto di interessi, essendo evidente che il proponente alternativo ha interesse a far bocciare la proposta iniziale, indipendentemente dalla bontà del contenuto e dall’utilità per i creditori in quanto ha l’interesse personale a favorire l’approvazione della sua proposta, per la proposizione della quale ha probabilmente anche impegnato danaro per rendersi cessionario dei crediti necessari per raggiungere la soglia del 10%. 
Pertanto, in applicazione della parte finale del quinto comma dell’art. 109, al creditore proponente una proposta alternativa è precluso il voto sulla proposta del debitore e il suo credito non è considerato ai fini delle maggioranze, ma contestualmente, ai sensi del sesto comma dell’art. 109, lo stesso creditore può esprimere il voto sulla propria proposta concorrente, purché inserito in apposita classe.
Non è una soluzione del tutto soddisfacente, ma sicuramente più equa rispetto a quella attuale in quanto le posizioni delle parti si riequilibrano; da un lato, infatti, non viene sterilizzata la posizione di chi sia, o sia divenuto per acquisti, titolare di almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata ed abbia investito capitali per legittimarsi alla proposizione di una proposta alternativa (anche perché se il nuovo proponente che sia titolare di una quota consistente dei crediti non potesse votare, la sua proposta sarebbe automaticamente destinata all’insuccesso), dall’altro la posizione di tale creditore viene sterilizzata nel voto (e nel computo delle maggioranze) sulla proposta del debitore, il quale tanto più si avvantaggia quanto più alto è il credito di cui dispone il creditore concorrente in quanto questo credito è escluso dal monte crediti e diventa più agevole il raggiungimento della maggioranza, che è il beneficio che compensa il voto del concorrente sulla sua stessa proposta. 
E questo schema può riproporsi per ciascun creditore concorrente qualora vi siano più domande alternative, nel senso che ciascun proponente vota sulla sua proposta, purché incluso in apposita classe, ma è escluso dal voto e dal calcolo delle maggioranze quando si vota sulla proposta del debitore e degli altri proponenti.
Identica situazione si ripete nel concordato liquidatorio giudiziale, ove l’ult. parte del comma quinto e il comma sesto dell’art. 243 riprendono alla lettera i pari commi dell’art. 109, con un ribaltamento ancor più profondo delle rispettive posizioni rispetto all’attuale regime della legge fallimentare.
Come si è visto, infatti, pur essendo i creditori e terzi legittimati fin dal 2006 a proporre la domanda di concordato fallimentare, manca nella legge fallimentare una norma che, a somiglianza di quella dettata dall’art. 163, co. 4, regoli il voto di tali proponenti sulla loro proposta, tanto che son dovute intervenire le Sezioni unite per affermare che versa in situazione di conflitto di interessi colui che vota sulla propria proposta con la conseguente esclusione di quella posizione dal voto e dal computo delle maggioranze. 
Il nuovo codice, nel momento in cui pone, anche nel concordato liquidatorio giudiziale, la regola generale che esclude dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto di interessi (art. 243, co, 5), ammette al voto i creditori che propongono il concordato, purché il credito sia inserito in apposita classe. Pertanto, il creditore (l’unico o i più) proponente il concordato liquidatorio giudiziale non è più escluso dal voto e dal calcolo delle maggioranze per trovarsi in conflitto di interessi, come attualmente avviene nel concordato fallimentare secondo la soluzione offerta dalle Sezioni Unite, ma partecipa al voto sulla sua proposta, a patto che sia inserito in una apposita classe. Di conseguenza, la valorizzazione del conflitto di interessi al fine di escludere il voto va riferita a tutte le altre situazioni in cui si determina un conflitto diverso da quello del voto del creditore proponente sulla propria proposta; tra queste, così come nel concordato preventivo, sono da includere il voto sulla domanda presentata del debitore e su quelle proposte da altri terzi, nel caso sempre che vengano sottoposte all’approvazione più proposte, di modo che ciascun creditore che presenta una proposta concordataria può esprimere il voto sulla propria proposta, purché immesso in una apposita classe, nel mentre non può esercitare il voto sulle proposte presentata dal debitore e da altri eventuali creditori e credito relativo è escluso dal calcolo delle maggioranze. 
Rimane il problema che sia il comma sesto dell’art. 109 che il pari comma dell’art. 243, oltre ad ammettere al voto il creditore proponente, a condizione che sia incluso in una apposita classe, estendono lo stesso trattamento alle società da questo controllate, alle società controllanti o sottoposte a comune controllo, ai sensi dell’art. 2359, primo comma, cod. civ.; contestualmente nel comma quinto di entrambe le norme è rimasto il divieto del voto e l’esclusione dal computo delle maggioranze per le società collegate (termine unico per indicare le varie situazioni appena descritte) al debitore e per il coniuge, la parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso, il convivente di fatto del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, e per i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della domanda di concordato.
Questa regolamentazione crea una doppia asimmetria:
a-se il concordato è proposto da un creditore, questi può esprimere il voto sulla sua proposta, purché immesso in apposita classe, ed egualmente possono votare le società a lui collegate, sempre se appositamente classate, nel mentre sulla proposta presentata dal debitore, oltre a non poter ovviamente votare l’interessato non essendo creditore di se stesso, non possono esprimere il voto neanche le società creditrici a lui collegate, per il divieto di cui al quinto comma delle norme citate, non superato, come invece per le proposte provenienti dal creditore, dalla previsione del sesto comma; il che accentua ulteriormente la già denunciata disparità tra la posizione del debitore e quella dei creditori proponenti, frutto, specie nel concordato liquidatorio giudiziale, di un inspiegabile ostracismo legislativo allo sviluppo delle proposte provenienti dal debitore.
b-Nel comma quinto degli artt.109 e 243 sono esclusi dal voto, come visto, anche coloro che si trovano in un rapporto di coniugio, di parentela, di convivenza o di affinità con il debitore, il che non ha impedito alle Sezioni Unite di ritenere anche i soggetti legati al creditore proponente dagli stessi vincoli quali portatori di un conflitto di interessi, sulla base dell’ovvia considerazione che se è escluso dal voto il creditore proponente il concordato fallimentare a maggior ragione lo sono questi soggetti a lui legati, altrimenti sarebbe facile eludere il divieto. 
Applicando lo stesso criterio interpretativo al nuovo concordato preventivo e al concordato liquidatorio giudiziale, nei quali il creditore proponente è ammesso al voto sulla propria proposta purché inserito in apposita classe, ne discende che, se il creditore proponente è una società, questa può votare sulla propria proposta purché sia inclusa in una classe ed egualmente possono votare, sempre se inclusi in una apposita classe, le società ad essa collegate; se, invece il creditore proponente è una persona fisica, egli può ancora votare una volta che sia stato classato, ma il suo coniuge e i sui parenti, affini, conviventi sono esclusi dal voto e dal calcolo delle maggioranze, in quanto colpiti dal divieto di cui al quinto comma degli artt. 109 e 243, non agevolmente superabile sia perché rientranti comunque sotto la mannaia del conflitto di interessi, sia perché questi soggetti non sono tra quelli compresi nel sesto comma, come le società collegate.
Sarebbe stato quanto mai opportuno un intervento chiarificatore del legislatore, che, invece, ha inserito il conflitto di interessi quale situazione impeditiva del voto, ma non ha poi coordinate il nuovo divieto con le altre forme di limitazioni riprese dall’attuale legge fallimentare; queste erano nate per evitare che il debitore proponente, che non vota, potesse influenzare le votazioni tramite i soggetti collegati indicati, per cui avrebbero dovuto essere completamente riviste per adattarle alla nuova fattispecie delle proposte concorrenti e al conflitto di interessi.
Nel concordato minore i problemi che si stanno esaminando non si pongono perché non sono previste proposte plurime, né inizialmente né dopo l’apertura della procedura su istanza del sovraindebitato, unico legittimato a proporre la domanda. 

Note:

[1] 
Cass. 25 gennaio 2021, n. 1518 in ilcaso.it, febbraio 2021.
[2] 
L’accordo di composizione è, infatti, una procedura che mira all'omologazione giudiziale di una proposta di accordo, dal contenuto non predeterminato dalla legge, che il debitore in stato di sovraindebitamento, non suscettibile di essere dichiarato fallito, formula ai propri creditori e che, in caso di esito positivo del procedimento, vincola tutti i creditori. Cfr. Cass. 3 luglio 2019, n.17834, in Ilfallimentarista.it, 21 agosto 2019 con nota di G. Giuliana, che sottolinea come le indicate affinità consentano “di ritenere non seriamente contestabile l'accostamento all'istituto concordatario, e postula che si debbano estendere all'accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento i principi che la giurisprudenza di questa Corte ha enucleato in relazione al possibile contenuto della proposta concordataria, col solo limite, naturalmente, della compatibilità”.
[3] 
S. Leuzzi, Attualità e prospettive del piano del consumatore sovraindebitato, in dirittodellacrisi.it, 21 luglio 2021.
[4] 
Il concordato senza voto è, altresì, previsto in materia bancaria (art. 93 t.u.b.) ed assicurativa (art. 262 codice assicurazioni), nella liquidazione coatta amministrativa (art. 214 l. fall.), nell’amministrazione straordinaria (art. 78 l. 270/1999).
[5] 
L’art. 6, co. 1, lett. f) l. 19 ottobre 2017, n. 155 dispone di “sopprimere l'adunanza dei creditori, previa regolamentazione delle modalità telematiche per l'esercizio del voto e la formazione del contraddittorio sulle richieste delle parti”.
[6] 
Per la verità, l’art. 47, che ha come rubrica “Apertura del concordato preventivo” non richiede, a differenza dell’art. 163, co. 1, l. fall., una dichiarazione di apertura della procedura, limitandosi a dettare il contenuto del decreto iniziale, che, pertanto, può essere considerato come il decreto di apertura. Questa omissione non è spiegabile, se si considera che anche nel concordato minore, l’art. 78 prevede che “Il giudice, se la domanda è ammissibile, dichiara aperta la procedura con decreto…”.
[7] 
Quest’ultima parte della norma riprende l’art. 163, co. 2, n. 2-bis l.fall.- aggiunto con il d.l. 3 maggio 2016, n. 59, convertito dalla l. 30 giugno 2016, n. 119-, ma, in questa norma le “modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione dei creditori, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione della procedura da soggetti terzi” sono riferite allo svolgimento dell’adunanza dei creditori che, appunto, in relazione al numero dei creditori e alla entità del passivo, può essere svolta in via telematica con le modalità indicate, nel mentre, nell’art. 47 CCII, le modalità richiamate sono indirizzate a salvaguardare il contraddittorio in assenza dell’adunanza, e, a tale scopo, è dettato lo scadenzario di cui all’art. 107.
[8] 
Nulla è detto in proposito neanche nella relazione che accompagnava il disegno di legge delega elaborato dalla Commissione Rordorf.
[9] 
Secondo cui “i creditori fanno pervenire, anche mediata telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata all’organismo di composizione della crisi, dichiarazione sottoscritta del proprio consenso alla proposta…”.
[10] 
Cass. 8 febbraio 2019, n. 3860, in Guida al diritto 2019, 29, 76; App. Trieste 17 luglio 2014; Trib. Pesaro 18 luglio 2014; Trib. Pordenone 10 aprile 2014, tutte in ilcaso.it.
[11] 
Nella vigente legge n. 3 del 2012 la normativa sul voto è formulata in modo diverso, ma anche attualmente è fissata una data unica per l’espressione del voto, che è di 10 giorni prima dell’udienza fissata dal giudice (art. 11, co. 1): Udienza che, quindi, non è fissata per l'adunanza dei creditori, non prevista, come detto, neanche nell’attuale legge, ma per lo svolgimento di altre attività del giudice, tra cui la cancellazione delle trascrizioni e la cessazione di ogni forma di pubblicità in caso di revoca del decreto di apertura della procedura (art. 10, co. 3) allorché all’udienza venga accertata la presenza di iniziative o atti di frode ai creditori da parte del debitore.
[12] 
Secondo l’attuale giurisprudenza della S. Corte, nel computo dei voti espressi fuori udienza tempestivamente o nei venti giorni successivi, si deve tenere conto non solo dei suffragi inviati in Cancelleria ma anche delle dichiarazioni trasmesse dai creditori al commissario giudiziale, in quanto la norma sul concordato preventivo- diversamente dal secondo comma dell’art. 125, in materia di concordato fallimentare - non fornisce alcuna indicazione sul luogo in cui tali dichiarazioni debbono pervenire, non essendo decisiva nel senso del deposito in Cancelleria la previsione della loro annotazione in calce al verbale da parte del cancelliere (Cass. 8 febbraio 2019, n.3860, cit; Cass. 3 febbraio 2014, n.2326, in ilcaso.it, settembre 2014).
[13] 
Ed, infatti, la Cassazione ha statuito che “In tema di concordato fallimentare, l'art. 125 l.fall impone che le eventuali manifestazioni di dissenso dei creditori debbano pervenire in cancelleria, sicché non sono valide se trasmesse direttamente al curatore (Cass. 2 dicembre 2016, n. 25416; Cass. 3 febbraio 2014, n. 2326, cit.
[14] 
L’art. 178, co. 1, l. fall. dispone che dell’adunanza si redige un processo verbale, sottoscritto dal giudice delegato, dal commissario e dal cancelliere, nel quale “sono inseriti i voti favorevoli e contrari dei creditori con l'indicazione nominativa dei votanti e dell'ammontare dei rispettivi crediti. È altresì inserita l'indicazione nominativa dei creditori che non hanno esercitato il voto e dell'ammontare dei loro crediti”.
[15] 
L’ult. modifica del quarto comma dell’art. 178 l. fall.- dovuta al d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito dalla l. 6 agosto 2015, n. 119- ha inequivocabilmente limitato il novero degli aventi diritto al voto postumo ai soli creditori che non hanno esercitato tale facoltà. Chiarisce, infatti Cass. 5 agosto 2019, n. 20892, che, nell’attuale regime, “la revoca del voto espresso dal creditore soggiace agli stringenti limiti di cui all'art. 178, comma 4, l.fall., che permette al solo creditore che non abbia espresso il proprio assenso o diniego in adunanza, di far pervenire un suffragio postumo nei venti giorni dalla chiusura del verbale di quest'ultima, così implicitamente escludendo la possibilità di modificare il voto già espresso in detta sede, e all'art. 179, comma 2 l.fall., che tale possibilità di modifica circoscrive al caso di mutamento delle condizioni di fattibilità del piano”. Posto che l’ultimo momento utile per rendere noto un ripensamento del voto già espresso è appunto la conclusione della votazione in adunanza, nel nuovo codice, essendo previsto un termine iniziale ed uno finale per l’espressione del voto, è da ritenere che lo jus poenitendi sia possibile nell’ambito di tale spazio temporale.
[16] 
Tanto più che la nuova normativa non riproduce l’art. 181 l.fall. nella parte in cui dispone che l'omologazione del concordato deve intervenire nel termine di nove mesi, prorogabile di massimo sessanta giorni, dalla presentazione del ricorso ai sensi dell'articolo 161.
[17] 
Innovazione opportuna, che reintroduce quanto attualmente prevede l’art. 172 l. fall. in quanto, come sottolineato anche nella Relazione che accompagna il decreto correttivo, è evidente l’interesse del P.M., che è coinvolto nel procedimento fin dal momento del deposito della domanda (si veda, al riguardo, l’art. 40, comma 3), a conoscere gli esiti delle verifiche svolte dal commissario giudiziale, in particolar modo sulle cause del dissesto.
[18] 
Costoro sono i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso, i quali, a norma del comma successivo, “possono formulare osservazioni e contestazioni”. Tra gli interessati non sono compresi “coloro che hanno formulato proposte alternative” giacché questi, per presentare una tale proposta, devono essere creditori, titolari di crediti pari almeno al dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata dal debitore (art. 90).
[19] 
A norma del primo comma dell’art. 175 l. fall., “nell’adunanza dei creditori il commissario giudiziale illustra la sua relazione e le proposte definitive del debitore e quelle eventualmente presentate dai creditori ai sensi dell’art. 163, comma quarto”.
[20] 
Raffrontando le due norme si rileva che sia le relazioni integrative di cui all’art. 105 che quella riassuntiva di cui all’art. 107 vanno comunicate “almeno quindici giorni prima della data iniziale stabilita per il voto” e, considerata la tempistica, ad esempio quella delle proposte concorrenti che possono essere presentate fino a trenta giorni prima della data iniziale del voto (art. 90), è verosimile che la relazione comparativa sia coeva a quella riassuntiva; infatti, a norma del quarto comma dell’art. 105, “la relazione integrativa contiene, la comparazione tra tutte le proposte depositate”, il che vuol dire che il commissario deve comunque attendere la scadenza del termine di 30 giorni prima della data iniziale per il voto fissato per la presentazione delle proposte concorrenti per presentare, nei 15 giorni successivi la relazione integrativa, per cui inevitabilmente il tempo disponibile per la presentazione e comunicazione della relazione integrativa viene a sovrapporsi con quello previsto per la presentazione e comunicazione della relazione riassuntiva.
[21] 
Sul termine in questione è intervenuto il decreto correttivo n. 147 del 2020. Il testo originario prevedeva che il commissario dovesse provvedere al deposito e alla comunicazione “entro cinque giorni prima della data iniziale stabilita per il voto”, Nella Relazione accompagnatoria si mette l’accento sull’ampliamento a sette giorni dell’iniziale termine di cinque, ma l’innovazione è stata ben più profonda in quanto la originaria dizione “entro sette giorni prima della data iniziale stabilita per il voto”, consentiva il deposito e la comunicazione della relazione finale fino al giorno della data iniziale di votazione, nel mentre la nuova dizione che, come nei commi precedenti per i quali i depositi e le comunicazioni debbano avvenire almeno tot giorni prima della data iniziale stabilita per il voto, fissa quella data come termine finale per compiere l’operazione richiesta.
[22] 
Ad ogni modo, pur dando per ammesso che il commissario depositi in cancelleria e comunichi al giudice le contestazioni e le osservazioni pervenutegli , per consentire a quest’ultimo di chiedere chiarimenti al debitore bisogna immaginare che egli convochi questi nel breve termine di otto giorni, posto che le osservazioni e contestazioni possono pervenire al commissario fino a 10 giorni prima della data iniziale stabilita per il voto e i provvedimenti del giudice vanno comunicati almeno due giorni prima della stessa data (art. 107, co. 7), il che non sembra facilmente realizzabile.
[23] 
Il caso più frequente è quello in cui il creditore rivendichi un privilegio che il debitore abbia negato includendolo tra i chirografi per i quali la proposta prevede un pagamento non integrale e che il commissario ha poi confermato, o che sia stato questi a declassarlo al chirografo o comunque un altro creditore abbia sollevato contestazioni in proposito.
[24] 
Prima della riforma degli anni 2005-2007 si dibatteva se il giudice potesse intervenire solo a seguito delle contestazioni sollevate dal debitore o da altri creditori ovvero potesse esercitare d’ufficio tale potere, ma dopo la riforma, benché la norma sia rimasta immutata, è pacifica la necessità di una contestazione da parte del debitore o di un creditore, a causa del ridimensionamento del ruolo del giudice nel concordato.
[25] 
In termini Cass. 5 marzo 2020, n.6197; Conf., Cass. 21 novembre 2019, n. 30456; Cass. 8 gennaio 2019, n. 208; Cass. 21 dicembre 2018, n. 33345, in Guida al diritto 2019, 21, 44; Cass. 25 settembre 2014 n. 20298; Cass. 14 febbraio 2002 n. 2104, in Fallimento 2003, 25; Cass 22 settembre 2000, n. 12545; ecc.
[26] 
In termini, Cass. 21 novembre 2019, n. 30456, cit., lo stesso concetto è contenuto, seppur in modo non altrettanto esplicito nelle decisioni più recenti di cui alla nota che precede.
[27] 
Esempio: creditore chirografario che vanta un credito di 100; ammesso al voto, a seguito di contestazione, per 50; voto negativo del creditore per 50; conferma dell’ammissione provvisoria per 50 in sede di omologa; riconoscimento in giudizio ordinario del credito per 100; il voto negativo per 100 avrebbe impedito il raggiungimento della maggioranza quantitativa; il concordato rimane omologato e va portato in esecuzione.
[28] 
Il primo comma dell’art. 108, riprendendo le risultanze della attuale giurisprudenza, espressamente precisa che la decisione del giudice sui crediti contestati non pregiudica “le pronunzie definitive sulla sussistenza e sulla collocazione dei crediti stessi”, il che fa intendere che il giudice può risolvere, sempre ai soli fini del voto, anche le contestazioni sulla natura privilegiata o chirografaria del credito, ossia sulla sua collocazione ai fini di stabilire se il creditore ha diritto al voto.
[29] 
Né la novità contenuta nel primo comma dell’art. 108, secondo cui il giudice delegato “provvede nello stesso modo in caso di rinuncia al privilegio”, introduce elementi chiarificatori sulle modalità dell’esercizio del potere decisionale del giudice; anzi crea ulteriori ombre, perché diventa difficile capire come e perché, nel momento in cui il creditore rinuncia al privilegio acquisendo la legittimazione al voto per la parte rinunciata a norma del terzo comma dell’art. 109, debba intervenire il giudice per ammettere provvisoriamente tale creditore al voto. Probabilmente il legislatore prefigura l’intervento del giudice per definire le eventuali contestazioni sulla rinuncia al privilegio, anche se le questioni che in proposito possono sorgere attengono principalmente alla manifestazione del voto da parte del creditore privilegiato senza una espressa rinuncia al privilegio.
[30] 
Cass. 5 ottobre 2000, n. 13282, in ilcaso.it, agosto 2010; Conf. Cass., 22 novembre 1993, n. 11192, cit, per la quale, appunto, “qualora il creditore indicato come chirografario per l'intero credito nell'elenco predisposto dal commissario giudiziale dichiari di limitare il proprio voto alla parte di credito da lui ritenuto chirografario, escludendo la parte ritenuta privilegiata, l'adesione va considerata per l'intero ammontare del credito provvisoriamente ammesso”.
[31] 
L’unica ipotesi in cui una situazione del genere può verificarsi è che in sede di omologa venga escluso un creditore che abbia avuto influenza nella formazione delle maggioranze, per cui diventa rilevante il voto del creditore escluso, il quale, tuttavia, non sa se questa evenienza potrà verificarsi, per cui, per dimostrare il proprio interesse a proporre l’opposizione deve egli contestare l’ammissione di un creditore, eliminato il quale, il suo voto diventa determinante.
[32] 
Anzi, considerato che l’unico altro provvedimento che il giudice può prendere in tema di votazioni, la cui disciplina è contenuta nell’art. 107, è quello che fissa l’ordine e l’orario delle votazioni in caso di proposte plurime, può dirsi che la disposizione contenuta nel settimo comma avrebbe trovato più idonea collocazione o in una norma autonoma o, al più nell’art. 108.
[33] 
Eventualmente prevedendo l’audizione degli interessati, ove ritenuta necessaria dal giudice, in modo da realizzare un minimo di contraddittorio tra le parti coinvolte dalla contestazione.
[34] 
Del resto un trattamento simile è già previsto per i voti dati dal coniuge, parenti, conviventi, ecc. che il quinto comma dell’art. 109 esclude dal voto e dal computo delle maggioranze; costoro non sono compresi nell’elenco dei creditori redatto dal commissario, per cui, se non sorgono contestazioni tali da richiedere l’intervento del giudice, non votano, tuttavia se, comunque, inviano il voto al commissario, è questi che, al momento del calcolo delle maggioranze, li esclude “dal voto e dal computo delle maggioranze”.
[35] 
Nel concordato semplificato introdotto del d.l. 24 agosto 2021, n. 118 lo stesso principio è portato alle sue estreme conseguenze, nel senso che la proposta concordataria omologata vincola tutti i creditori, come si desume dal richiamo dell’art. 184 l. fall., sebbene questi non abbiano espresso alcun voto.
[36] 
Era solo questa seconda maggioranza che poteva essere raggiunta anche nei venti giorni successivi alla chiusura dell’adunanza, nel mentre la prima doveva essere accertata già a tale data, di modo che, in mancanza, diventava superfluo anche attendere il termine indicato.
[37] 
Questa è la versione finale del testo delle due norme dovuta al decreto correttivo del 2007, in quanto la prima versione modificata prevedeva che “il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto nella classe medesima”; norma monca e priva di senso perché dettava una regola per il calcolo delle maggioranze all’interno delle classi ma nulla diceva in ordine al numero delle classi che devono esprimere il voto favorevole.
[38] 
È apparso irragionevole- si legge nella Relazione- richiedere una maggioranza più elevata proprio in una procedura che di regola è destinata alla risoluzione di crisi di minori dimensioni”. 
[39] 
Con la stessa riforma veniva introdotto il concordato con riserva e il concordato con continuità, nonché una serie di norme di contorno atte a facilitare la continuità.
[40] 
S. Ambrosini, Il nuovo concordato preventivo: “finalità”, “presupposti” e controllo sulla fattibilità del piano (con qualche considerazione di carattere generale), in ilcaso.it, febbraio 2019.
[41] 
La l. n. 155 del 2017, all’art. 6, lett. f), dopo aver previsto l’abolizione dell’adunanza dei creditori, dispone di “adottare un sistema di calcolo delle maggioranze anche «per teste», nell'ipotesi in cui un solo creditore sia titolare di crediti pari o superiori alla maggioranza di quelli ammessi al voto, con apposita disciplina delle situazioni di conflitto di interessi” e, alla lett. g) di “disciplinare il diritto di voto dei creditori con diritto di prelazione, il cui pagamento sia dilazionato, e dei creditori soddisfatti con utilità diverse dal denaro”.
[42] 
Che impone di “disciplinare e incentivare le proposte di concordato liquidatorio giudiziale da parte di creditori e di terzi, nonché' dello stesso debitore, ove questi apporti risorse che incrementino in modo apprezzabile l'attivo”, che corrisponde alla pari disposizione dell’art. 6, co. 1, lett. a).
[43] 
Per la verità, le due norme sebbene richiedano un apporto esterno, che entrambe qualificano nel 10%, rapportano tale percentuale ad entità diverse, che ne fa variare notevolmente l’importo. Per l’art. 240, infatti, l’apporto delle risorse esterne deve incrementare “il valore dell’attivo di almeno il dieci per cento”, nel mentre per l’art. 84 l’apporto esterno deve incrementare di almeno il dieci per il soddisfacimento dei creditori chirografari. Sarebbe stato più coerente introdurre una sistema di calcolo uniforme, ma, a voler mantenere i due sistemi, sarebbe più logico rapportare ribaltarli giacché, nel concordato preventivo, il riferimento alla soddisfazione dei creditori richiede una previsione del grado di soddisfacimento dei chirografari nella liquidazione giudiziale, che può essere calcolato solo con ampi margini di approssimazione al momento della presentazione di una domanda concordataria; nel concordato liquidatorio giudiziale, ove sicuramente è già stato effettuato l’inventario, redatto il programma di liquidazione e, molto probabilmente, anche completato lo stato passivo, è più congruo e agevole stabilire quanto può in sede di procedura maggiore essere attribuito ai creditori chirografari e, quindi, calcolare con una certa approssimazione l’incremento del 10% della loro soddisfazione.
[44] 
Situazione ben diversa da quella delle offerte concorrenti con le quali si consente ai terzi di inserirsi nel procedimento di liquidazione dei beni e, quindi, permette a terzi di porsi in competizione, non con il debitore, ma con il soggetto già individuato dal debitore concordatario come cessionario dell’azienda, di uno o più rami d’azienda oppure di singoli beni, presentando una offerta migliorativa nel pieno rispetto del piano del debitore. Di conseguenza, nelle proposte alternative, la concorrenza si attua dando ai creditori chiamati al voto la possibilità di scelta tra la proposta e il piano presentati dal debitore e quelli introdotti da altri creditori, nel mentre, nelle offerte concorrenti, ai creditori viene sottoposta una sola proposta, che è quella che recepisce l’offerta risultante migliore, secondo una selezione regolamentata dalla legge, tra le varie offerte pervenute, cui il piano originario deve conformarsi.
[45] 
Ad esempio, ipotizzato che la proposta A abbia ricevuto consensi del 30% dei creditori e la proposta B del 45%, il voto favorevole del creditore che rappresenti il 7% del monte crediti permette alla sola proposta B di arrivare e superare il 51%, nel mentre, di contro, il dissenso dello stesso creditore per tutte le proposte non consente a nessuna delle due di raggiungere la maggioranza assoluta
[46] 
Sarebbe stato il caso di aggiornare questo meccanismo di selezione delle proposte plurime lasciando ai creditori la scelta tra le varie proposte, previo un controllo del comitato dei creditori teso ad escludere solo le proposte manifestamente non degne di essere valutate.
[47] 
Il che val quanto dire che, se questa è presentata da un terzo entro l’anno dall’apertura della procedura di liquidazione giudiziale o oltre i due anni dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo, il debitore insolvente viene esautorato dal diritto di contrapporre una sua proposta alternativa a quella del terzo.
[48] 
Per la verità, il secondo comma dell’art. 109 fa l’ipotesi che “nessuna delle proposte concorrenti poste al voto sia stata approvata con le maggioranze…..: espressione anche questa non del tutto precisa, tuttavia sufficientemente chiara da far capire che le proposte concorrenti non approvate non sono soltanto quelle presentate da creditori o terzi in alternativa a quella del debitore, ma comprende la non approvazione da parte dei creditori di alcuna delle proposte in discussione, compresa quella del debitore, essendo evidente che anche questa diventa concorrente con le altre ed è ammessa al voto per prima.
[49] 
Cass. sez, un. 28 giugno 2018, n. 17186, in Giur. comm. 2019, 2, II, 307.
[50] 
Così Cass10 febbraio 2011 n. 3274, in Fallimento 2011, 403.
[51] 
Contando sul fatto che il creditore che presenta una proposta concorrente ha interesse anche a sostenerla col voto e farla approvare, per cui è portato ad acquistare crediti ben oltre la soglia del 10% richiesta per la legittimazione alla presentazione della proposta.
[52] 
Non credo rientri nell’ordine delle cose verosimili che il creditore proponente esprima voto contrario sulla propria proposta.
[53] 
Ed è evidente che le due tecniche- l'esclusione dal voto e il classamento obbligatorio- non sono sovrapponibili (come sembrano voler dire le Sezioni unite in precedenza richiamate), essendo chiaramente più vantaggioso per il creditore concorrente esprimere il voto (ovviamente favorevole) sulla propria proposta, seppur inserito in una classe, piuttosto che essere escluso dal voto e dal calcolo delle maggioranze.
[54] 
Anche qui, non credo che rientri nell’ordine delle cose verosimili che il creditore proponente esprima voto favorevole sulla proposta presentata dal debitore.
[55] 
Trib. Roma, 3 giugno 2020, in unijuris.it; Trib. Roma, 5 agosto 2019, in ilcaso.it; Trib. Vicenza, 30 aprile 2019, in ilcaso.it; Trib. Brescia, 21 giugno 2018, in Fallimento, 2019, p. 74 ss.; Trib. Napoli, 2 febbraio 2018, cit; Trib. Bergamo, 3 marzo 2016, in ilfallimentarista.it.
[56] 
Trib. Roma 3 giugno 2020.
[57] 
In tal senso G. D’Attorre, op. cit., che sottolinea questo aspetto proprio a prova della disparità di trattamento a carico del debitore che subisce l’esclusione dal voto anche di queste categorie di creditori.
[58] 
Eppure, il conflitto di interesse è stato preso in considerazione come causa escludente il voto in singole fattispecie, come ad esempio nell'art. 37-bis l. fall., che in tema di voto sulla sostituzione del curatore esclude dal voto i creditori in conflitto d'interessi o nell'art. 40 l. fall. in tema di esclusione dal voto del componente del comitato dei creditori in conflitto di interessi, che dimostrano come il legislatore fallimentare nei casi specifici indicati già configurava l’opportunità di sterilizzare il voto emesso da un creditore in conflitto di interessi con quello collettivo. 

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