Nella legge fallimentare manca una norma generale, analoga a quelle di cui all'art. 2373 c.c. e all'art. 2379-ter c.c., in materia di assemblea delle società, che disciplini il conflitto d'interesse dei creditori nel voto sul concordato in quanto le previsioni di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 127 e comma 4 dell’art. 177 l. fall. sono riferite soltanto ad alcune ipotesi di esclusione dal voto giustificabili con l'esigenza di neutralizzare un conflitto d'interesse; tuttavia l'esigenza della sterilizzazione dei conflitti d’interesse non ricorre solo nei casi espressamente previsti, ma è imposta dal fondamentale principio dell'autonomia privata nella quale vanno iscritti i concordati che proprio al momento dell’approvazione della proposta esprimono i loro profili contrattualistici. Il patto concordatario poggia sull’approvazione a maggioranza ma poi vincola tutti i creditori concorsuali; e un corretto operare del principio di maggioranza richiede che i creditori portatori di interessi personali in conflitto con quello comune agli altri partecipanti alla votazione, siano esclusi dal voto e dal calcolo delle maggioranze perché l’interesse personale fa venire meno la strumentalità della decisione rispetto al perseguimento dell'interesse comune.
Il discorso sul conflitto di interessi si è sviluppato principalmente nell’ambito del concordato fallimentare perché qui, a partire dalla riscrittura dell’art. 124 ad opera del d.lgs n. 5 del 2006, il concordato fallimentare può essere proposto, oltre che dal debitore, anche dai creditori o terzi, senza che sia prevista alcuna disposizione sul diritto di voto da parte del creditore proponente o soggetti a lui collegati.
La questione è stata risolta dalle Sezioni Unite della S. Corte[49] che, superando un precedente orientamento, hanno condivisibilmente osservato che l'eteronomia nei confronti della minoranza, insita nella regola di prevalenza della maggioranza, in tanto è applicabile all'approvazione del concordato, così come alle assemblee societarie, in quanto sia giustificata dalla necessità di realizzare un interesse comune a tutti i partecipanti; sicché il principio (di autonomia) è messo in crisi tutte le volte in cui la scelta della maggioranza sia inquinata in maniera decisiva dalla presenza, in capo a taluni dei suoi componenti, di un conflitto di interessi, il quale va pertanto neutralizzato, o sterilizzato; e, dopo aver dimostrato l’inesattezza dell’assioma che l'interesse comune richiede che vi sia un soggetto giuridico collettivo che sia titolare dello stesso[50], spiegano che “perché sia configurabile un conflitto d'interessi di un soggetto, in quanto parte di una collettività è invero sufficiente il contrasto di un suo interesse individuale con l'interesse comune all'intera collettività, mentre non è necessario che quest'ultima costituisca un distinto soggetto o centro d'imputazione di situazioni giuridiche”, così come accade anche nelle società con personalità giuridica, ove l'interesse sociale rispetto al quale può porsi in conflitto l'interesse personale del socio “non è più da tempo considerato l'interesse della impresa in sé o l'interesse proprio della società come persona giuridica, secondo le note versioni dell'istituzionalismo, ma è qualificato nient'altro che l'interesse comune dei soci”,
Ne segue che come “l'interesse sociale va identificato con l'interesse comune dei soci in quanto partecipanti alla compagine sociale, senza alcuna intestazione di questo interesse alla società-persona giuridica, così l'interesse collettivo della massa dei creditori va identificato nell'interesse comune dei creditori in quanto ammessi a partecipare al concorso, senza la necessità di andare alla ricerca di un ente cui imputare il detto interesse”, di tal che un interesse personale è configurabile quando il creditore sia portatore, per conto proprio o di terzi, di un interesse ad un vantaggio particolare da conseguirsi mediante il concordato, non condiviso dagli altri creditori e fondato non già sulla partecipazione al concorso, quanto su una situazione esterna del creditore. Da qui la conclusione che “è escluso dal voto sulla proposta di concordato fallimentare e dal calcolo delle maggioranze il creditore che abbia presentato la proposta di concordato fallimentare”.
Quando nel 2015 è stato introdotto l’istituto delle proposte concorrenti, è stato messo a disposizione dei creditori una possibilità ulteriore rispetto a quella di accettare o rifiutare la proposta del debitore giacché, con le proposte concorrenti, si consente ai creditori che abbiano determinate caratteristiche di porsi in competizione con il debitore concordatario presentando una proposta di concordato alternativa da sottoporre all’assemblea dei creditori, che potranno quindi scegliere tra le più proposte presenti quella che ritengono preferibile.
Nel momento stesso in cui si è data ai creditori chiamati al voto la possibilità di scelta tra la proposta e il piano presentati dal debitore e la proposta e il piano introdotti da altri creditori, il legislatore si è posto anche il problema di trovare un equilibrio tra i contrastanti interessi del debitore che non vota sulla sua proposta non potendo essere creditore verso se stesso, del terzo proponente che, votando, accetta una proposta fatta da lui stesso, e la massa degli altri creditori che hanno interesse a far passare la proposta più conveniente attraverso una competizione equa e non condizionata degli interessi personali.
Il legislatore del 2015 non ha negato il diritto di voto al creditore proponente e, spinto anche dall’intento di incrementare il mercato dei distressed debts[51], non ha trovato di meglio che statuire che “i creditori che presentano una proposta di concordato concorrente hanno diritto di voto sulla medesima solo se collocati in una autonoma classe”. In tal modo il legislatore riconosce il conflitto di interessi dei creditori proponenti a votare sulla propria stessa proposta (e non potrebbe essere diversamente), ma ritiene di neutralizzarlo legalizzandolo mediante la tecnica del classamento, in quanto ammette la loro partecipazione al voto, a condizione che siano inseriti in una autonoma classe.
Il compromesso trovato dal legislatore è poco efficace perché il proponente la proposta alternativa, seppur collocato in un’apposita classe, quando esprime il voto sulla proposta da lui presentata assume l’innaturale duplice ruolo del proponente e (parzialmente, cioè per il suo voto) dell'accettante, con possibilità anche di essere determinante nell’approvazione ove abbia un credito idoneo, nella singola fattispecie, a spostare la maggioranza; e la sua collocazione in una autonoma classe (pensando probabilmente che, esclusa la formazione di una classe unica, il proponente dovrebbe formare almeno tre classi ed ottenere la maggioranza almeno in due di esse, oltre che la maggioranza quantitativa dei crediti) è solo un larvato palliativo essendo notorio che è sufficiente un minimo di esperienza nella formazione delle classi per evitare che la formazione delle classi rappresenti un condizionamento all’eventuale maggioranza.
Tuttavia, anche lì dove il proponente alternativo non riesca a formare classi in modo da avere la sicurezza di raggiungere la maggioranza nel maggior numero di classi, sicuramente, a meno che non sia un completo sprovveduto, farà in modo da avere la maggioranza quanto meno nella sua classe di appartenenza nell’ambito della quale egli voterà in modo favorevole alla sua proposta[52]; e questo suo voto favorevole alla proposta da lui presentata, seppur da solo non consente il raggiungimento dei quorum, dovendo la proposta essere approvata dalla maggioranza dei crediti ammessi al voto nelle altre classi, costituisce comunque un vantaggio in quanto permette ad un creditore di sostenere col voto, in patente conflitto di interessi, la proposta da lui stesso presentata contribuendo a raggiungere le maggioranze di legge con il peso del credito complessivo di cui dispone, nel mentre il creditore escluso dal voto per conflitto d'interessi non concorre all'approvazione del concordato (come accade al creditore proponete il concordato fallimentare secondo la ricordata costruzione delle Sezioni Unite[53]); così come non vi concorre il debitore che ha presentato il concordato che non vota sulla sua proposta
La disparità di trattamento tra creditore concorrente e debitore concordatario diventa macroscopica se si considera che il primo vota anche sulla proposta presentata inizialmente dal debitore, ovviamente esprimendo voto negativo[54], nel mentre il secondo non vota sulla proposta alternativa.
Non so se nei non numerosi casi che si sono avuti in Italia di proposte concorrenti il creditore proponente sia stato ammesso al voto sulla proposta originaria del debitore, benché in chiaro conflitto di interessi essendo la proposta del debitore alternativa alla sua ed una sola può essere approvata e portata all’omologa, ma è presumibile che ciò sia avvenuto dal momento che nella legge fallimentare manca una norma generale che escluda dalla votazione chi si trovi in conflitto di interessi, e la questione non risulta affrontata nei provvedimenti noti in materia[55]. Sotto questo profilo, peraltro, non sarebbe possibile ricorrere all’espediente della classazione, perché il voto viene espresso sulla proposta presentata dal debitore, così come formulata, che può anche non prevedere classi, né potrebbe essere il giudice d’imperio a ordinare al debitore, una volta presentata una proposta concorrente, di formare le classi per consentire il voto a costui.
In sostanza, dietro il paravento della classazione, la realtà è che il creditore proponente esprime voto favorevole sulla sua proposta e voto negativo sulla proposta del debitore, incidendo pesantemente sull’esito delle votazione in quanto contribuisce all’approvazione della sua proposta e alla mancata approvazione della concorrente proposta del debitore, nel mentre l’interesse personale, in conflitto con quello generale della massa dei creditori, che egli fa valere con tali voti dovrebbe precludergli la possibilità di incidere sulla formazione della maggioranza, sia in positivo che in negativo; di contro il debitore non vota- e non si saprebbe per quale credito potrebbe votare- né sulla sua proposta né su quella del creditore proponente. Eppure, come correttamente ricorda il Tribunale di Roma[56], “Il pertinente ordito normativo di disciplina è all'evidenza, strutturato nel porre in una posizione di sostanziale parità, quanto all'esercizio delle facoltà a ciò utili, sia l'imprenditore originariamente proponente il concordato, sia il soggetto legittimato all'inoltro di proposta concorrente e ciò perché, entrambi, propulsori di iniziative funzionali alla composizione della debitoria gravante sull'impresa, rimettendo, quindi, al ceto creditorio, all'atto del voto, le scelte finali relative al percorso da intraprendere, previa adeguata ed esaustiva informativa delle caratteristiche di ciascuno e delle pertinenti concrete finalità avute di mira”. Parità che chiaramente viene meno se, proprio nel momento cruciale della espressione del voto, le capacità di incidere sulla formazione delle maggioranze sono così squilibrate a favore del creditore concorrente.
A questo si ricollega un altro problema, non affrontato dal legislatore, e, cioè il ruolo che assumono il coniuge del proponente la proposta alternativa oggetto di votazione, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, la società che controlla la società proponente, le società da questa controllate e quelle sottoposte a comune controllo, nonché i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta di concordato.
Nell’ult. comma dell’art. 177 si fa riferimento al coniuge, parenti e società collegate al debitore e non al creditore, per cui i soggetti indicati dovrebbero poter esprimere il voto sulla proposta concorrente[57], con la illogica conseguenza che i soggetti collegati al creditore (inseriti o non anch’essi in classe separata) possono votare favorendo la formazione delle maggioranze della proposta del creditore ad essi collegato e contrastando la proposta del debitore, nel mentre i soggetti collegati in qualche modo al debitore (coniuge, parenti, società controllate, ecc.) sono esclusi dal voto su ambedue le proposte (art. 127, commi 5 e 6, 177, comma 4, l. fall.).
La situazione cambia nel nuovo codice avendo il nuovo legislatore, come già detto, introdotto, sia nel concordato preventivo che in quello fallimentare e in quello minore, la regola che esclude dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto di interessi; intervento, però anche qui parziale perché risolve alcune delle problematiche prospettate, ma ne lascia aperte, anzi ne crea, altre.
Il comma sesto dell’art. 109 CCII ripropone, infatti, in modo più articolato la disposizione di cui al pari comma dell’art. 163 l. fall., per cui anche in futuro “il creditore che propone il concordato ovvero le società da questo controllate, le società controllanti o sottoposte a comune controllo, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, del codice civile possono votare soltanto se la proposta ne prevede l'inserimento in apposita classe”, ma rispetto all’attuale legge fallimentare, dopo aver elencato nel comma quinto dell’art. 109 i soggetti esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze riprendendo la formula del comma quarto dell’art. 177 l. fall., aggiunge in chiusura: “Sono inoltre esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto d'interessi”.
C’è solo da stupirsi come una regola del genere non sia stata introdotta nella legge fallimentare con uno dei tanti interventi normativi che si sono succeduti dall’inizio della riforma risalente al 2005[58], ma ora la norma esiste e non credo possa mettersi più in dubbio che il creditore che formula una proposta alternativa non può esprimere il voto sulla proposta del debitore in quanto in conflitto di interessi, essendo evidente che il proponente alternativo ha interesse a far bocciare la proposta iniziale, indipendentemente dalla bontà del contenuto e dall’utilità per i creditori in quanto ha l’interesse personale a favorire l’approvazione della sua proposta, per la proposizione della quale ha probabilmente anche impegnato danaro per rendersi cessionario dei crediti necessari per raggiungere la soglia del 10%.
Pertanto, in applicazione della parte finale del quinto comma dell’art. 109, al creditore proponente una proposta alternativa è precluso il voto sulla proposta del debitore e il suo credito non è considerato ai fini delle maggioranze, ma contestualmente, ai sensi del sesto comma dell’art. 109, lo stesso creditore può esprimere il voto sulla propria proposta concorrente, purché inserito in apposita classe.
Non è una soluzione del tutto soddisfacente, ma sicuramente più equa rispetto a quella attuale in quanto le posizioni delle parti si riequilibrano; da un lato, infatti, non viene sterilizzata la posizione di chi sia, o sia divenuto per acquisti, titolare di almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata ed abbia investito capitali per legittimarsi alla proposizione di una proposta alternativa (anche perché se il nuovo proponente che sia titolare di una quota consistente dei crediti non potesse votare, la sua proposta sarebbe automaticamente destinata all’insuccesso), dall’altro la posizione di tale creditore viene sterilizzata nel voto (e nel computo delle maggioranze) sulla proposta del debitore, il quale tanto più si avvantaggia quanto più alto è il credito di cui dispone il creditore concorrente in quanto questo credito è escluso dal monte crediti e diventa più agevole il raggiungimento della maggioranza, che è il beneficio che compensa il voto del concorrente sulla sua stessa proposta.
E questo schema può riproporsi per ciascun creditore concorrente qualora vi siano più domande alternative, nel senso che ciascun proponente vota sulla sua proposta, purché incluso in apposita classe, ma è escluso dal voto e dal calcolo delle maggioranze quando si vota sulla proposta del debitore e degli altri proponenti.
Identica situazione si ripete nel concordato liquidatorio giudiziale, ove l’ult. parte del comma quinto e il comma sesto dell’art. 243 riprendono alla lettera i pari commi dell’art. 109, con un ribaltamento ancor più profondo delle rispettive posizioni rispetto all’attuale regime della legge fallimentare.
Come si è visto, infatti, pur essendo i creditori e terzi legittimati fin dal 2006 a proporre la domanda di concordato fallimentare, manca nella legge fallimentare una norma che, a somiglianza di quella dettata dall’art. 163, co. 4, regoli il voto di tali proponenti sulla loro proposta, tanto che son dovute intervenire le Sezioni unite per affermare che versa in situazione di conflitto di interessi colui che vota sulla propria proposta con la conseguente esclusione di quella posizione dal voto e dal computo delle maggioranze.
Il nuovo codice, nel momento in cui pone, anche nel concordato liquidatorio giudiziale, la regola generale che esclude dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto di interessi (art. 243, co, 5), ammette al voto i creditori che propongono il concordato, purché il credito sia inserito in apposita classe. Pertanto, il creditore (l’unico o i più) proponente il concordato liquidatorio giudiziale non è più escluso dal voto e dal calcolo delle maggioranze per trovarsi in conflitto di interessi, come attualmente avviene nel concordato fallimentare secondo la soluzione offerta dalle Sezioni Unite, ma partecipa al voto sulla sua proposta, a patto che sia inserito in una apposita classe. Di conseguenza, la valorizzazione del conflitto di interessi al fine di escludere il voto va riferita a tutte le altre situazioni in cui si determina un conflitto diverso da quello del voto del creditore proponente sulla propria proposta; tra queste, così come nel concordato preventivo, sono da includere il voto sulla domanda presentata del debitore e su quelle proposte da altri terzi, nel caso sempre che vengano sottoposte all’approvazione più proposte, di modo che ciascun creditore che presenta una proposta concordataria può esprimere il voto sulla propria proposta, purché immesso in una apposita classe, nel mentre non può esercitare il voto sulle proposte presentata dal debitore e da altri eventuali creditori e credito relativo è escluso dal calcolo delle maggioranze.
Rimane il problema che sia il comma sesto dell’art. 109 che il pari comma dell’art. 243, oltre ad ammettere al voto il creditore proponente, a condizione che sia incluso in una apposita classe, estendono lo stesso trattamento alle società da questo controllate, alle società controllanti o sottoposte a comune controllo, ai sensi dell’art. 2359, primo comma, cod. civ.; contestualmente nel comma quinto di entrambe le norme è rimasto il divieto del voto e l’esclusione dal computo delle maggioranze per le società collegate (termine unico per indicare le varie situazioni appena descritte) al debitore e per il coniuge, la parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso, il convivente di fatto del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, e per i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della domanda di concordato.
Questa regolamentazione crea una doppia asimmetria:
a-se il concordato è proposto da un creditore, questi può esprimere il voto sulla sua proposta, purché immesso in apposita classe, ed egualmente possono votare le società a lui collegate, sempre se appositamente classate, nel mentre sulla proposta presentata dal debitore, oltre a non poter ovviamente votare l’interessato non essendo creditore di se stesso, non possono esprimere il voto neanche le società creditrici a lui collegate, per il divieto di cui al quinto comma delle norme citate, non superato, come invece per le proposte provenienti dal creditore, dalla previsione del sesto comma; il che accentua ulteriormente la già denunciata disparità tra la posizione del debitore e quella dei creditori proponenti, frutto, specie nel concordato liquidatorio giudiziale, di un inspiegabile ostracismo legislativo allo sviluppo delle proposte provenienti dal debitore.
b-Nel comma quinto degli artt.109 e 243 sono esclusi dal voto, come visto, anche coloro che si trovano in un rapporto di coniugio, di parentela, di convivenza o di affinità con il debitore, il che non ha impedito alle Sezioni Unite di ritenere anche i soggetti legati al creditore proponente dagli stessi vincoli quali portatori di un conflitto di interessi, sulla base dell’ovvia considerazione che se è escluso dal voto il creditore proponente il concordato fallimentare a maggior ragione lo sono questi soggetti a lui legati, altrimenti sarebbe facile eludere il divieto.
Applicando lo stesso criterio interpretativo al nuovo concordato preventivo e al concordato liquidatorio giudiziale, nei quali il creditore proponente è ammesso al voto sulla propria proposta purché inserito in apposita classe, ne discende che, se il creditore proponente è una società, questa può votare sulla propria proposta purché sia inclusa in una classe ed egualmente possono votare, sempre se inclusi in una apposita classe, le società ad essa collegate; se, invece il creditore proponente è una persona fisica, egli può ancora votare una volta che sia stato classato, ma il suo coniuge e i sui parenti, affini, conviventi sono esclusi dal voto e dal calcolo delle maggioranze, in quanto colpiti dal divieto di cui al quinto comma degli artt. 109 e 243, non agevolmente superabile sia perché rientranti comunque sotto la mannaia del conflitto di interessi, sia perché questi soggetti non sono tra quelli compresi nel sesto comma, come le società collegate.
Sarebbe stato quanto mai opportuno un intervento chiarificatore del legislatore, che, invece, ha inserito il conflitto di interessi quale situazione impeditiva del voto, ma non ha poi coordinate il nuovo divieto con le altre forme di limitazioni riprese dall’attuale legge fallimentare; queste erano nate per evitare che il debitore proponente, che non vota, potesse influenzare le votazioni tramite i soggetti collegati indicati, per cui avrebbero dovuto essere completamente riviste per adattarle alla nuova fattispecie delle proposte concorrenti e al conflitto di interessi.
Nel concordato minore i problemi che si stanno esaminando non si pongono perché non sono previste proposte plurime, né inizialmente né dopo l’apertura della procedura su istanza del sovraindebitato, unico legittimato a proporre la domanda.