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Commento

Prime applicazioni del PRO: la realtà supera le attese*

Giorgio Lener, Ordinario di Istituzioni di diritto privato nell’Università di Roma “Tor Vergata”
Luigi Amerigo Bottai, Avvocato in Roma

28 Marzo 2023

*Il commento è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.

Visualizza: Trib. Udine, 9 marzo 2023, Pres. Venier, Est. Barzazi

Visualizza: Trib. Vicenza, 17 febbraio 2023, Pres. Est. Limitone

Gli autori esaminano i primi due decreti di ammissione al “Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione” e ne evidenziano gli aspetti innovativi rilevanti. L’occasione offre lo spunto per riflettere sull’applicazione di taluni istituti e per verificarne la convenienza rispetto agli strumenti limitrofi del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, anche avuto riguardo all’attuale contesto economico conseguente alla pandemia.

The authors examine the first two decrees of admission to the “Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione” and highlight their relevant innovative aspects. The occasion provides an opportunity to reflect on the application of certain provisions and to verify the convenience of “PRO” in comparison with the neighboring instruments of “Concordato preventivo” and “Accordi di ristrutturazione”, also taking into account the current economic context following the pandemic.
Riproduzione riservata
1.1 . Tribunale di Vicenza
Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (per brevità, “PRO”), nuovo “strumento” ex artt. 64 bis ss. CCII, cerca di crearsi un “Lebensraum” nella prassi, aprendosi, con la prima pronuncia in epigrafe (Trib. Vicenza), all’ipotesi di un contenuto puramente liquidatorio.
La fattispecie “vicentina” – che si è potuta ricostruire grazie alla cortesia dei legali della ricorrente e alla conseguente lettura, tra l’altro, del ricorso – è assai semplice. Per un verso, l’attivo è sostanzialmente composto soltanto da un immobile, oltre che da liquidità, e la proposta di soddisfacimento dei creditori è “sorretta” da un’offerta irrevocabile d’acquisto dei cespiti; per l’altro, la composizione del “ceto” creditorio è, numericamente e qualitativamente, molto “snella”, perché sono pressoché assenti crediti privilegiati generali (soprattutto, di modestissima entità è il credito dell’Erario, potenziale vulnus del PRO, su cui si svolgerà appresso qualche considerazione) e la debitoria si esaurisce nei riguardi dei creditori ipotecari bancari, con degradazione al rango chirografario dell’ipotecario di secondo grado per la quota non “coperta” dall’offerta irrevocabile, mentre i chirografari “genetici” sono pur sempre di matrice bancaria (con postergazione dei modesti crediti per finanziamento dei soci).
Da segnalare l’articolazione in classi proposta dalla ricorrente, necessaria – come noto – ex art. 64 bis, comma 1, CCII e oggetto del controllo del Tribunale ai fini dell’emissione del decreto di ammissione (diversamente dal concordato in continuità, nel quale la corretta formazione delle classi è verificata ai fini dell’omologazione, ex art. 112, comma 2, lett. d), CCII), ciò di cui si ha conferma con riguardo al controllo ex art. 47, comma 1, lett. b), CCII). In particolare, i creditori sono stati suddivisi nelle seguenti classi: (i) Classe 1, creditori ipotecari (nei limiti della capienza della garanzia reale), non votanti perché soddisfatti entro 15 giorni dall’omologazione; (ii) Classe 2, creditori privilegiati, del pari non votanti perché soddisfatti entro 15 giorni dall’omologazione; (iii) Classe 3, creditori chirografari, votanti; (iv) Classe 4, creditore chirografario per degradazione (per la quota non “coperta” dalla garanzia reale di secondo grado), votante; (v) Classe 5, «classe figurativa» composta, per lo più, da creditori postergati (soci per finanziamento), non votanti.
Proprio la elementare composizione dei creditori, per numero e qualità delle rispettive pretese, potrebbe indurre l’interrogativo se non sarebbe stato più agevole risolvere la crisi tramite la stipulazione di accordi di ristrutturazione. La peculiarità del caso in esame è che la ricorrente aveva già stipulato quegli accordi, omologati due anni prima, rimasti parzialmente inadempiuti; donde la comminatoria della risoluzione da parte del creditore ipotecario di primo grado e la conseguente istanza per l’apertura della liquidazione giudiziale. Ergo, per contrastare quell’istanza, la “strada” verso il PRO – “anticipata” con ricorso ex art. 44 CCII – era tracciata, in ragione della contrarietà dell’ipotecario di primo grado, superata attraverso la previsione del pagamento (integrale) in termini tali da non attribuirgli il diritto di voto e del beneficio dell’esame «in via prioritaria [della domanda] diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale […]» (art. 7, comma 2, CCII).
Peraltro, la pendenza dell’istanza di liquidazione giudiziale aveva portato il Tribunale a differire brevemente l’udienza “pre-fallimentare”, assegnando un termine per il deposito del piano e della proposta allo spirare del quale la ricorrente era stata in condizione di depositare una “lettera di conforto” dell’attestatore in ordine all’assenza, allo stato, di elementi ostativi all’asseverazione del piano, riservandosi il deposito dell’attestazione nel termine che il Tribunale, auspicabilmente, avrebbe potuto concedere ex art. 47, comma 4, seconda proposizione, CCII, pur non oggetto di relatio da parte dell’art. 64 bis CCII (il che solleva il tema della possibilità di ricorrere all’analogia anche là dove il legislatore abbia espressamente previsto un articolato insieme di norme applicabili, come accade con gli ampi rinvii nel PRO). A tale ultimo riguardo, di là dal tema inerente all’analogia legis, merita approvazione la cooperazione del Giudicante (che, peraltro, ha confermato le misure protettive già concesse nella fase “prenotativa”) verso una soluzione della crisi diversa dalla liquidazione giudiziale, nel “solco” dell’art. 7, comma 2, CCII, sebbene, a rigore, il mancato deposito dell’attestazione avrebbe dovuto comportare l’inammissibilità del ricorso.
1.2 . Tribunale di Udine
La seconda fattispecie in ordine di tempo (Trib. Udine) si presenta, anch’essa, relativamente semplice, quanto alla composizione del “ceto” creditorio, suddiviso in cinque classi, tre chirografarie, di cui una “strategica”, e due privilegiate (rispettivamente, Erario e Comuni per tributi locali), entrambe, queste ultime, destinatarie di una proposta a stralcio in forza della “rottamazione quaterex art. 1, comma 248, L. n.197/2022 (che “promuove” a prededucibile il credito risultante per effetto della “rottamazione”). Con la peculiarità, però, che nel ricorso, erano stati “classati” i soli crediti privilegiati non “rottamabili”, mentre non erano stati “classati” i crediti privilegiati per i quali si era manifestata adesione alla “rottamazione”, nell’assunto che le rate da “rottamazione” sarebbero state soddisfatte non appena fossero divenute esigibili. Da segnalare, inoltre, un consistente apporto di finanza esterna e, soprattutto, la prospettiva di «riavviare» (così si legge nel ricorso, anche in tal caso consultato grazie alla cortesia del legale della ricorrente) l’attività di consulenza immobiliare, il che apre alla teorica possibilità della continuazione dell’attività d’impresa, ma, per ciò stesso, all’alternativa evenienza della cessazione di essa, nella direzione di un PRO liquidatorio.
Pure nella fattispecie friulana l’ammissione al PRO è giunta al termine di una fase “prenotativa”, peraltro assai breve (tre settimane), per la pendenza di due istanze di liquidazione giudiziale, ad iniziativa dell’Agenzia delle Entrate e di un creditore bancario chirografario (con la conferma delle misure protettive concesse nella predetta fase “prenotativa” ex art. 54, comma 2, CCII). Il vero “scoglio”, dunque, era l’assenza di tempo per poter pervenire alla stipulazione di un accordo con l’Erario ai sensi dell’art. 63 CCII (oltre che coi creditori bancari), ciò che ha indotto a “virare” verso il PRO.
In ragione del potere di controllo in ordine alla formazione delle classi, demandato al Tribunale in sede di ammissione al PRO (diversamente – come si è poc’anzi rammentato – dal concordato in continuità), il Tribunale – con provvedimento interlocutorio – ha svolto alcuni rilievi, il più interessante dei quali concerne il “classamento” dell’Erario, che la ricorrente aveva proposto escludendo il credito risultante dall’esercizio del diritto potestativo alla “rottamazione”, avvenuto prima del deposito del ricorso. Ad avviso del Tribunale, invece, il “classamento” avrebbe dovuto concernere l’integrale credito, incluso quello ante “rottamazione”, perché «l’estinzione del debito a titolo di interessi, sanzioni, aggi si verifica soltanto con il pagamento di tutto quanto dovuto per capitale e per rimborso di eventuali spese per procedure esecutive e di notificazione della cartella di pagamento», e la (“elevazione” della qualità del credito alla) «prededuzione presuppone l’intervenuta omologazione del piano» («rappresentando la misura del quantum prevista dalla speciale normativa fiscale la percentuale di soddisfacimento in concreto offerta», si legge, ad ulteriore chiarimento, nel decreto di ammissione). Inoltre, apprezzabilmente aderendo alla richiesta di concessione di termine ex art. 47, comma 4, seconda proposizione, il Tribunale ha «ritenuto che, nonostante l’art. 64 bis CCII richiami soltanto, parzialmente, il comma 2 del precedente art. 47 e non già il comma 4 (che, in relazione alla domanda di accesso al concordato preventivo, prevede la facoltà del Tribunale di concedere un termine non superiore a quindici giorni per integrare il piano o produrre documentazione), debbano comunque essere sottoposte al contraddittorio della ricorrente le valutazioni del Tribunale che parrebbero ostare all’emissione del decreto di cui all’art. 64 bis, comma 4, CCII».
Con la memoria integrativa la ricorrente, andando al di là di quanto chiesto dal Tribunale (ma, probabilmente, all’esito dell’interlocuzione col creditore erariale), ha suddiviso i creditori in sedici classi, tredici delle quali risultanti dalla scomposizione dei debiti – soddisfatti in misura percentuale diversa per effetto dello stralcio consentito dalla L. n. 197/2022 – verso l’Erario e i Comuni (col paradosso della “chiamata” al voto di tre classi di creditori che, per effetto della “rottamazione”, non riceveranno alcunché) e con la sedicesima, la sola non votante (perché si prevede il pagamento ben prima dei 180 giorni dall’omologazione), composta dai professionisti, per il 25% del credito non prededucibile ex art. 6 CCII.
Con il decreto in epigrafe, il Tribunale di Udine, nell’ammettere la ricorrente al PRO, ha svolto alcune considerazioni interessanti, la più significativa delle quali attiene alla stralciabilità, in tesi generale, del debito erariale e contributivo, in quanto «le norme del CCII dedicate al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione non contengono alcuna disciplina specifica in materia di crediti tributari e contributivi, ma ciò non può escludere la possibilità per il debitore di proporre un pagamento parziale o dilazionato di tali crediti, mediante l’inserimento in apposite classi, stante la prevista necessità di unanime consenso delle stesse». L’ampiezza della considerazione lascia emergere, per l’appunto, un’apprezzabile apertura verso la configurabilità di una proposta a stralcio di quei debiti, pur al di fuori dei “binari” degli artt. 63 e 88 CCII.
2.1 . Sul PRO liquidatorio
Il maggior interesse destato dalla prima fattispecie, “vicentina”, attiene alla possibilità di ricorrere al PRO con finalità esclusivamente liquidatoria e non soltanto per il risanamento in continuità. Lo si evince dalla lettura del ricorso, mentre il decreto di ammissione non fornisce indicazioni decisive, in quanto la conferma del commissario giudiziale, già nominato nella “fase” ex art. 44 CCII, viene disposta, «occorrendo, anche quale liquidatore» (ben potendo, in astratto, trattarsi di piano in continuità con la previsione della dismissione di alcune componenti dell’attivo).
Che la “genesi” del PRO abbia riguardo ad un piano in continuità non pare revocabile in dubbio, perché “strumento” introdotto dal D.Lgs. n. 83/2022, di novellazione del CCII per adeguarlo alla dir. 1023/2019, relativa ai «quadri di ristrutturazione preventiva» (i.e. in continuità). Ne costituisce conferma la Relazione illustrativa al menzionato decreto legislativo, che richiama gli artt. 9-11 dir. 1023 e dà conto del profilo problematico a cui si è ritenuto di dare risposta, vale a dire quale disciplina vada applicata in ipotesi di piano di risanamento approvato all’unanimità dalle classi di creditori.
Appare opportuno qualche chiarimento.
In primo luogo, quel profilo mostra come – di là dalla collocazione “geografica” nel CCII – il PRO sia un “derivato” del concordato preventivo, e non solo per la messe di norme richiamate. Infatti, è nel concordato preventivo (in continuità, per l’appunto) che si sarebbe potuto affrontare (e sciogliere) il “nodo” dell’approvazione unanime, siccome l’art. 11 dir. 1023 disciplina la c.d. “ristrutturazione trasversale”, imponendo solo in essa l’adozione di una regola di distribuzione del patrimonio (o del valore aziendale, se si preferisce), che sia l’APR o la RPR (e, en passant, sia dato soggiungere che si è adottata un’APR “temperata”, tenuto conto che l’APR va applicata sul valore – virtuale – di liquidazione, sì che non è stata per nulla accantonata). Ne discende che l’approvazione da parte della totalità delle classi prescinde dall’adozione di una regola generale di distribuzione del valore: che, poi, il riferimento sia all’art. 9 (che detta la regola generale dell’approvazione unanime e che non può leggersi senz’aver riguardo alle due disposizioni seguenti) o, a contrariis, all’art. 11 dir. 1023, è questione davvero di poco conto. Senza introdurre un nuovo “strumento”, dunque, si sarebbe potuto regolare il profilo in esame nell’ambito del concordato preventivo in continuità, là dove ha trovato disciplina la “ristrutturazione trasversale” (all’art. 112, comma 2, CCII) ([1]); ma la scelta è stata di politica legislativa, nel convincimento che vi sia un “nucleo minimo” incomprimibile della concorsualità costituito dall’adozione di un criterio di distribuzione del valore (e, dunque, dal rispetto, in senso assoluto o relativo, delle regole di priorità, il che val quanto dire dell’ordine delle cause legittime di prelazione) ([2]). Si può discutere, per il vero, se il risultato sia stato conseguito, siccome non v’è alcuna definizione legislativa di “procedura concorsuale”, i cui tratti identificativi – proprio in ragione di questa lacuna definitoria – sono variabili in funzione dell’interpretazione sistematica che si prediliga ([3]); tuttavia, se un valore, come si ritiene, debba ancora attribuirsi alla funzione nomofilattica della Suprema Corte – pur facendosi in dottrina parola di «nomofilachia inversa» ([4]) –, è ai «cerchi concentrici» di Cass. 9087/2018 ([5]), testualmente ripresa da Cass. 40913/2021 ([6]), che occorre riferirsi, e alla riconduzione degli accordi di ristrutturazione all’alveo delle procedure concorsuali, anche prima dell’introduzione della “variante” dell’efficacia estesa di essi, là dove di regole di distribuzione del patrimonio non v’è traccia (né può ritenersi che, implicitamente – e surrettiziamente –, una definizione di procedura concorsuale sia stata introdotta proprio nel “gioco differenziale”, sul punto di quella distribuzione, tra PRO e concordato preventivo in continuità). E la questione non è oziosa, sol che si consideri che l’art. 170, comma 2, CCII, nel regolare la retrodatazione del periodo sospetto ai fini della revocatoria, fa parola di «apertura della liquidazione giudiziale» che segue «alla domanda di accesso a una procedura concorsuale».
In secondo luogo, l’introduzione della “ristrutturazione trasversale” all’art. 112, comma 2, CCII non ha risolto in toto il “nodo” problematico sopra cennato, almeno in termini di compiutezza astratta della disciplina. La tutela imposta dall’art. 11 dir. 1023, attraverso la necessaria adozione di un criterio di distribuzione del valore (RPR o APR che sia, quand’anche “temperata” ex art. 11, par. 2, comma 2, dir. 1023), concerne, esclusivamente, la classe dissenziente, e non già la totalità delle classi, come all’apparenza si legge nell’art. 84, comma 6, CCII. Quest’ultima, tuttavia, non è disposizione con piena valenza precettiva (vi si ritornerà subito appresso), contenendo – lo si legge nella Relazione illustrativa sub art.16 del(lo schema di) D.Lgs. – delle mere «istruzioni per l’uso» a beneficio dell’impresa che si “affaccia” al concordato in continuità e dei professionisti che l’assistono. Assai semplicemente, qualora si ignori l’orientamento dei creditori nei riguardi del piano in corso di predisposizione (rectius, della proposta che si andrà a formulare), per certo non si sbaglia se si “costruisce” il piano prevedendo che il surplus da continuità venga distribuito in modo tale che ogni classe di rango superiore riceva, «complessivamente», di più della classe di rango inferiore: se la classe superiore sarà dissenziente, ne risulterà rispettato il disposto dell’art. 112, comma 2, CCII; se la classe superiore sarà consenziente, la proposta risulterà contraddistinta da un “eccesso di zelo”. Ma, per l’appunto, non per questo può trasformarsi in requisito di ammissibilità ciò che, in fedele attuazione della dir. 1023, è requisito soltanto di omologazione (del che si trae conferma dall’art. 47, comma 1, lett. b), CCII, con riguardo al controllo di mera «ritualità della proposta» ([7])). Ora, se la tutela è della sola classe dissenziente, appare irragionevole ritenere che la norma dell’art. 112, comma 2, CCII trovi applicazione anche in ipotesi di consenso unanime delle classi. Qui potrebbe venire in soccorso la parziale precettività della disposizione dell’art. 84, co. 6, CCII, tale limitatamente alla necessità di distribuire il valore di (virtuale) liquidazione giudiziale secondo l’APR; d’altronde, l’art. 87, comma 3, CCII (norma condivisibilmente non oggetto di relatio per il PRO, attesane la ratio) prescrive che l’attestatore asseveri, tra l’altro, che «il piano è atto […] a riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale». Se ne potrebbe desumere che quella da ultimo richiamata è previsione inderogabile nel concordato in continuità (ma non nel PRO, salvo il dubbio per l’applicabilità dell’art. 153 CCII per il tramite del rinvio all’art. 96 CCII), anche in caso di approvazione unanime delle classi, potendosi, per l’effetto, distribuire liberamente il surplus da continuità e, dunque, senza i vincoli dell’art. 112, comma 2, CCII (il più stringente dei quali è nel principio di c.d. “non discriminazione”, vale a dire nella necessità di trattare la classe dissenziente in modo eguale ad altra classe di creditori di pari rango; il che pone fuori gioco – almeno, prima facie – la possibilità di creare una classe di creditori “strategici”, a cui riservare un maggior soddisfacimento, a dispetto del Considerando 56 dir. 1023, quale “temperamento” dell’APR). Se, però, dal piano della (in)compiutezza astratta della disciplina introdotta, si passi a considerazioni empiriche, è altamente improbabile che, ove si ritenga di poter ottenere il consenso unanime delle classi, ci si “avventuri” in un concordato in continuità, tenuto conto, per un verso, che vi è flessibilità nel passaggio dal PRO al concordato (v. art. 64 quater CCII), e viceversa; per l’altro, che il PRO consente la distribuzione libera dell’intero valore aziendale, e non del solo surplus da continuità e lascia “nelle mani” dell’imprenditore la gestione, anche straordinaria. In vero, la lettera dell’art. 64 bis, comma 1, CCII potrebbe indurre ad opinare diversamente, là dove si fa parola di distribuzione del «valore generato dal piano» «anche in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile e alle disposizioni che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione […]». In particolare, per «valore generato dal piano» si potrebbe intendere il surplus da continuità, perché è il solo valore che, per l’appunto, può essere «generato», diacronicamente, dalla prosecuzione dell’attività d’impresa, laddove il valore di liquidazione (giudiziale) esiste ex se, in una dimensione temporale sincronica. Tuttavia, l’eliminazione della relatio all’art. 84, comma 5, CCII – raccogliendo alcune considerazioni critiche all’indomani del “varo” della proposta di d.lgs. di attuazione della dir. 1023 ([8]) –, in una con la mancata relatio all’art. 87, comma 3, CCII, sono indice della scelta di rimettere esclusivamente al creditore la contestazione del difetto di convenienza rispetto alla liquidazione giudiziale; ed è coerente con la scelta di fondo di consentire al debitore di distribuire quel che vuole e nei termini che vuole, derogando ai principi della responsabilità patrimoniale generica, della par condicio e (del rispetto) dell’ordine delle cause di prelazione ([9]). Resta il dubbio, sopra cennato, dell’applicabilità dell’art. 153 CCII, a cui rinvia, nel concordato preventivo, l’art. 96 CCII, a sua volta richiamato dall’art. 64 bis, comma 9, CCII; ciò perché l’art. 153, comma 1, CCII prevede che «[i] creditori garantiti da ipoteca, pegno o privilegio fanno valere il loro diritto di prelazione sul prezzo dei beni vincolati per il capitale, gli interessi e le spese […]», così segnando, attraverso la mera riaffermazione di regole altrove codificate (così, per l’ipoteca, all’art. 2808 c.c.), la misura minima del soddisfacimento. Proprio in questa considerazione, però, sta il superamento del dubbio, nel rapporto tra lex generalis (all’art. 153 CCII) e lex specialis (all’art. 64 bis, comma 1, CCII, nel delineare il contenuto libero del PRO), e nella conseguente in-applicabilità dell’art. 153 CCII al PRO, in quanto “non compatibile” (criterio che presiede sempre alla relatio normativa, peraltro esplicitato nell’incipit dell’art. 64 bis, comma 9, CCII).
Posti i chiarimenti che precedono, si può tornare al quesito dell’ammissibilità di un PRO liquidatorio. La “genesi” di esso – nell’attuazione della dir. 1023, nonostante le molteplici voci contrarie riguardo al nesso con la “Insolvency” ([10]) – dovrebbe portare a ritenere che il piano di ristrutturazione possa essere solo in continuità. Vero è che il legislatore non ha introdotto nessuna disposizione univoca al riguardo (e lo “switch” bidirezionale col concordato preventivo non è, ex litteris, limitato al solo concordato in continuità); e, se lo avesse fatto nella direzione liquidatoria, avrebbe potuto tacciarsi, qui sì, di eccesso di delega. Ora, però, che si dispone di un nuovo istituto, è auspicabile, pur con una consapevole forzatura, che la prassi – come nella fattispecie in esame – vada nella direzione di un utilizzo ad ampie “maglie” ([11]); tanto più perché il futuro del concordato preventivo liquidatorio non è roseo dopo la legge-delega n. 155/2017 (e la previsione dell’apporto di risorse esterne tali da incrementare l’attivo del 10%) e la “variante” liquidatoria del PRO copre una lacuna non colmabile tramite gli accordi di ristrutturazione, perché l’efficacia estesa di essi postula, in termini generali, la continuità (v. art. 61, comma 2, lett. b), e comma 5, seconda proposizione). Di là dall’auspicio, gli indici normativi, per l’appunto, non sono univoci nella direzione della necessaria continuità: il riferimento più netto è alla esplicita inapplicabilità dell’art. 114 CCII (oltre al rinvio a norme dettate esclusivamente per il concordato in continuità, quale, su tutte, l’art. 94 bis CCII ([12])); va, però, aggiunto che, in sede di definitiva adozione del D.Lgs., si è introdotta la relatio all’art. 84, comma 8, CCII – che concerne, tra l’altro, la «liquidazione del patrimonio» –, così depotenziando quel riferimento (sebbene si potrebbe ritenere che la nomina del liquidatore ivi prevista sia compatibile con la continuità del piano, solo in parte, dunque, e non in toto, liquidatorio). Al riguardo si è pure osservato che, qualora il piano abbia carattere liquidatorio e dovesse convertirsi in concordato preventivo ex art. 64 quater CCII, «non potrà aspirare alla ristrutturazione trasversale», limitata ai concordati in continuità ([13]).
2.2 . Sulla formazione delle classi
Profilo comune ad entrambe le pronunce in esame, com’è ovvio, è la formazione delle classi, siccome di rilevanza centrale nel PRO.
Preliminarmente, merita domandarsi se i lavoratori vadano soddisfatti necessariamente entro 30 giorni, dal momento che l’art. 86 CCII (che, per il concordato in continuità, ne consente il soddisfacimento entro il termine massimo di sei mesi) non è oggetto di relatio nel PRO. Si ripropone qui, come per l’art. 47, comma 4, CCII, il quesito se l’ampiezza dei rinvii a norme dettate per il concordato preventivo, ex professo contenuti nell’art. 64 bis CCII, precluda il ricorso all’analogia. In tesi generale, non possono ravvisarsi ostacoli all’applicazione dell’art. 12 delle “Preleggi”, dovendosi, però, valutare se l’omesso rinvio sia il portato di una scelta legislativa che concorre a delineare il “proprium” della fattispecie. Appare eccessivo, al riguardo, ritenere che la libertà di distribuzione del valore nel PRO debba essere “bilanciata”, quasi fosse una sanzione, dall’impossibilità di dilazionare a 6 mesi – beninteso, attribuendo il diritto di voto e collocandoli in apposita classe – il pagamento dei lavoratori subordinati, tanto più perché essi vanno soddisfatti integralmente (in denaro) ai sensi dell’art. 64 bis, comma 1, CCII, e, quindi, ricevono (potenzialmente) piena tutela. Tuttavia, ostacolo arduo a superarsi è l’incipit «in ogni caso», con cui si apre l’ultima proposizione di detta norma, e che parrebbe comportarne l’inderogabilità, anche con riguardo al termine di 30 giorni. Al contempo, però, il comma 7 dell’art. 64 bis CCII potrebbe stemperare la conclusione appena adombrata, perché, nel regolare i “chiamati” al voto, esclude, in linea generale, i creditori soddisfatti entro 180 giorni dall’omologazione e, subito appresso – riproducendo la struttura “binaria”, sul punto, dell’art. 109, comma 5, CCII –, indica in trenta giorni, per i crediti di cui all’art. 2751 bis, n, 1), c.c., «il termine di cui al periodo precedente»; ciò che sembrerebbe schiudere l’adito alla dilazionabilità. Ora, a favore di un’interpretazione rigida potrebbe militare uno dei tratti distintivi del PRO, vale a dire la quasi totale assenza di controlli da parte del Tribunale in sede di omologazione, specie nel raffronto con l’art. 112 CCII, di cui viene espressamente esclusa l’applicabilità (tant’è che il controllo sui criteri di formazione delle classi è anteposto, rispetto al concordato preventivo, alla fase di ammissione, e non ha luogo in sede di omologazione, là dove – eccettuata l’ipotesi di contestazione del difetto di convenienza – «il tribunale omologa […] nel caso di approvazione da parte di tutte le classi»); di guisa che la pienezza della tutela dei lavoratori subordinati potrebbe ritenersi “consegnata”, in ipotesi, anche all’immediatezza del relativo soddisfacimento. D’altro canto, nell’attribuzione del diritto di voto – e, prim’ancora, nell’attestazione della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano – dovrebbe ravvisarsi adeguata protezione degli interessi dei lavoratori subordinati, il che indurrebbe a ritenere applicabile in via analogica l’art. 86 CCII ([14]).
Nella prospettiva della “levità” della “fase” di omologazione (e dell’intero procedimento), si colloca, peraltro, la celerità del PRO, vero “atout”, sebbene solo de facto, siccome tra le norme oggetto di relatio vi è l’art. 113 CCII, il cui secondo comma indica in 12 mesi dalla presentazione della domanda il termine entro cui deve intervenire la sentenza di omologazione. Senz’altro significativo, in entrambe le decisioni in epigrafe, è che per le operazioni di voto sia stato previsto un termine assai breve (tra 4 e 6 giorni) e, soprattutto, che ne sia stato disposto l’inizio ad un mese circa dal decreto di ammissione (probabilmente avrà influito la pendenza di istanze di liquidazione giudiziale, ma resta l’utile indicazione); e nella stessa direzione va la possibile nomina del commissario quale liquidatore. Ergo, l’omologazione, se del caso, potrà intervenire in 4 mesi circa dal deposito della domanda “prenotativa” (e in 3 mesi circa dal deposito della domanda di omologazione).
Ritornando al quesito sull’articolazione delle classi, non pare necessario – pur se, prudentemente, risponde al brocardo «quod abundat …» – “classare” i creditori soddisfatti entro 180 giorni, in quanto non votanti; ciò di cui può trovarsi conferma nella correlazione, all’art. 64 bis, comma 1, CCII, tra la «previa suddivisione [di essi] in classi» e l’approvazione della proposta «dall’unanimità delle classi». D’altronde, nell’accezione della dir. 1023, si è dinanzi a creditori «non interessati», sempre che trovi conferma quanto detto per le vie brevi da funzionari UE, vale a dire che il soddisfacimento entro quello spatium temporis sia tale da consentire di ritenere che sui «rispettivi crediti o interessi [non] incide il piano di ristrutturazione» (art. 2, par. 1, n. 2), dir. 1023), sì che, ai sensi dell’art. 15, par. 2, dir. 1023, li si possa considerare «non […] coinvolti nell’adozione del piano di ristrutturazione».
Altro è a dire per i creditori postergati, ultima classe, non votante, del PRO “vicentino”. Come noto, Cass. 16348/2018 ([15]) [seguita poi da Cass. 34539/2019 ([16])] ha statuito che, «in mancanza di una norma espressa […] non può affermarsi che i creditori postergati debbano essere sempre esclusi dal voto, in quanto indifferenti all’esito della proposta concordataria, dovendosi al contrario ritenere che il postergato – il quale è pur sempre un creditore del proponente – abbia comunque un interesse giuridicamente rilevante ad esprimere il proprio gradimento o meno sulla proposta concordataria rispetto all’alternativa fallimentare […]». Essi possono – anzi, parrebbe, debbono – essere collocati in una classe con diritto di voto, «purché il trattamento previsto […] sia tale da non derogare alla regola del loro soddisfacimento sempre posposto a quello integrale degli altri creditori chirografari». Tuttavia, calando questo principio nel PRO, all’opposto contraddistinto dalla totale libertà di allocazione del valore, si potrebbe prevedere il soddisfacimento dei postergati anche in via temporalmente antergata e, addirittura, in misura maggiore rispetto ad altri creditori; fermo, però, l’inserimento in una classe ad hoc e l’attribuzione del diritto di voto ([17]).
Quanto, infine, ai crediti oggetto di “rottamazione”, il Tribunale friulano rimarca che lo stralcio degli importi originariamente dovuti è conseguenza dell’integrale pagamento delle somme risultanti dalla “rottamazione” medesima, di tal che, al momento del voto, il credito sarebbe da considerare nella misura “piena” e da “classare”, proprio ai fini del voto. Ora, il co. 244 dell’art. 1, L. n. 197/2022, stabilisce che, «in caso di mancato ovvero di insufficiente o tardivo versamento, superiore a cinque giorni, dell’unica rata ovvero di una di quelle in cui è stato dilazionato il pagamento delle somme di cui al comma 232, la definizione non produce effetti»: la disposizione in parola deve interpretarsi quale condicio iuris risolutiva, perché, altrimenti, non si giustificherebbero gli effetti immediati prodotti dall’adesione alla “rottamazione”, di cui al comma 240 (inter alia, l’inconfigurabilità dell’inadempimento, va da sé, rispetto al debito originario). Se così è, l’adesione alla proposta ex lege di remissione risolutivamente condizionata comporta l’immediata riduzione del debito, salva “riespansione” di esso in ipotesi di successiva inadempienza. Ma, allora, i relativi crediti – il cui pagamento, giocoforza, deve prevedersi, nel piano, alle scadenze di legge – non avrebbero dovuto “classarsi”, perché esigibili solo a quelle scadenze e immediatamente soddisfatti.
2.3 . Sul trattamento dei crediti tributari e previdenziali nel PRO
Un ultimo profilo, infine, merita di essere segnalato ed è l’apertura, in termini generali (dunque, a prescindere dalla “rottamazione”, rilevante nella specie), del Tribunale friulano per la compatibilità col PRO di una proposta, agli Enti erariali e previdenziali, di un pagamento dilazionato o, addirittura, parziale. È di notevole rilevanza, infatti, poter “disancorare” accordi di tal fatta dai “binari” degli artt. 63 e 88 CCII ([18]); ciò a cui si è giunti, nel concordato in continuità, con la parziale introduzione della RPR.
La necessaria collocazione in una classe a sé (per la necessaria corrispondenza biunivoca, in punto di omogeneità di posizione giuridica e interessi economici, tra grado di privilegio e classe) dei crediti in parola, in una col diritto di veto all’approvazione del PRO, attraverso la non espressione del voto, sembrano tutele idonee senza che occorra ipotizzare, in astratto, la novellazione, ad es. con l’introduzione di una disposizione simile a quella che il legislatore stava opportunamente per adottare, pochi giorni or sono, per la composizione negoziata (prevedendosi l’efficacia dell’accordo con Agenzia delle Entrate, Riscossione, INPS e INAIL, se «raccolt[o] in un processo verbale sottoscritto dalle parti, dal giudice e dal cancelliere dopo che il giudice, sentito l’esperto sul fatto che le trattative sono in corso e si stanno svolgendo secondo correttezza e buona fede, ne ha valutato la convenienza rispetto alla liquidazione giudiziale e ha verificato l’assenza di pregiudizio per gli altri creditori»). Nel PRO, potrebb’essere di aiuto l’applicazione dell’art. 87, co. 2, CCI, tenuto conto della doverosità dell’indicazione delle «ragioni per cui la proposta concordataria è preferibile rispetto alla liquidazione giudiziale»; tuttavia, nel concreto, è altamente opportuno che l’attestazione vada nella direzione del comma 3 e, ancor più, dell’art. 88, comma 2, CCII, con l’espressa presa di posizione in ordine all’assenza di un trattamento deteriore rispetto a quello che si conseguirebbe in caso di liquidazione giudiziale (se PRO in continuità) oppure in ordine alla convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale (se PRO liquidatorio).
Giova aggiungere che l’omologazione “forzosa”, in caso di mancata adesione degli enti fiscali e previdenziali, non può trovare applicazione al PRO, per la semplice constatazione che occorre il voto favorevole anche delle suddette classi [mentre nel concordato in continuità il c.d. cram down è sostituito dal meccanismo della ristrutturazione trasversale, in ossequio all’art. 9, par. 6, dir. 1023 ([19])]. L’eccezionalità del potere sostitutivo giudiziale impedisce, poi, di poter ragionare in termini di applicazione analogica dell’art. 88 CCII, quand’anche il PRO fosse liquidatorio.
Una chiosa, de iure condendo. Soltanto la futura “delega fiscale”, il cui D.D.L. di riforma è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 marzo scorso (e presentato alla Camera dei Deputati il 23 marzo, col n. 1038), potrà tradurre in legge il criterio direttivo di cui all’art. 9, che – secondo un testo consultabile sul web – mira ad estendere la disciplina degli accordi sul pagamento parziale o dilazionato dei tributi, anche locali, con intervento del tribunale, nell’ambito della composizione negoziata e dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Sempre che quello consultato sia effettivamente il testo del D.D.L. presentato alla Camera col n. 1038 – in quanto, alla data odierna, non è ancora disponibile sul sito istituzionale –, parrebbe irragionevole non aver incluso il PRO, sì che si confida nel “ravvedimento” del legislatore, salvo a ritenere che la scelta sia consapevole nella direzione di ritenere – come si è sopra ipotizzato e come ha affermato il Tribunale di Udine – la compatibilità del PRO con la dilazione e persino lo stralcio dei debiti erariali (e, va aggiunto, contributivi, questi ultimi, va da sé al di fuori della predetta “delega fiscale”).
3 . Opportunità (e un solo rischio) della scelta del PRO nell’attuale contesto economico
Da quanto fin qui illustrato emergono i punti di forza dello strumento di regolazione della crisi in commento, insieme ai (minori) svantaggi che lo stesso presenta al cospetto dei limitrofi procedimenti ristrutturatori.
Giova rammentare che l’introduzione di un procedimento [o procedura? ([20])] concorsuale flessibile e svincolato dalle rigidità del concordato preventivo appariva decisamente opportuna, per consentire al debitore di predisporre la proposta di regolazione della crisi o dell’insolvenza in una «logica ex ante» ([21]), cioè senza sapere se essa sarà approvata da tutte le classi di creditori, ma con una libertà d’azione rispetto alle “strettoie” concordatarie che ne costituisce un considerevole vantaggio competitivo. Poter trattare i creditori privilegiati (e/o prededucibili) in modo difforme da quanto impongono le regole degli artt. 84 e 112 CCII, confidando nella loro non opposizione – posto che, per l’approvazione, potrebbe bastare il voto favorevole del 33,33% dei crediti in ogni classe (ex art. 64 bis, comma 7, CCII), purché voti almeno il 50% di essi –, da un lato, andava espressamente regolato a pena d’inammissibilità, dall’altro, e contestualmente, permette di liberare risorse preziose per soddisfare in misura apprezzabile i chirografari.
Rispetto ad ogni tipologia di concordato la suddivisione dei creditori in classi neppure si imbatte nelle griglie obbligatorie imposte dall’art. 85 CCII (non menzionato nell’art. 64 bis CCII), vale a dire per i creditori titolari di crediti tributari o previdenziali dei quali non sia previsto l'integrale pagamento ([22]), per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi, per i creditori che vengono soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro, nonché per i creditori proponenti il piano (ex art. 90 CCII) e per le parti ad essi correlate. Né sembrerebbero da “classare”, atteso il mancato richiamo, le «imprese minori» titolari di crediti chirografari derivanti da rapporti di fornitura di beni e servizi. Il “confezionamento” delle classi resta, pertanto, un’arma piuttosto efficace nelle mani del debitore, che potrebbe ricorrere legittimamente ad un certo grado di “gerrymandering”. Tuttavia, le tecniche di formazione delle classi devono tenere conto della probabilità che il piano non ottenga l’unanimità dei consensi (delle classi medesime) e che, quindi, si renda necessario convertire la domanda di omologazione del PRO in domanda di omologazione del concordato preventivo (in continuità; salvo, per quello liquidatorio, apportare risorse esterne in misura tale da incrementare l’attivo del 10% e assicurare il soddisfacimento dei chirografari al 20%), con conseguente, altrettanto probabile, ricorso alla ristrutturazione trasversale e applicazione dell’art. 112, comma 2, CCII.
Il vantaggio competitivo spicca anche nei confronti degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, di cui all’art. 61 CCII, per la duplice ragione – già tratteggiata in precedenza e che qui giova richiamare, in sede di considerazioni conclusive – che: a) in questi ultimi occorre l’adesione almeno del 75% degli appartenenti alla classe (cui gli effetti si vogliano estendere) ([23]), mentre nel PRO sono sufficienti, come appena rammentato, i 2/3 dei crediti dei votanti (purché abbia votato almeno la metà dei crediti della classe) per vincolare i dissenzienti e b) gli accordi non possono avere – salvo che per gli intermediari finanziari – carattere liquidatorio (ciò che, viceversa, dovrebbe ritenersi ammissibile nel PRO, oltre che per tutte le argomentazioni sopra svolte, anche perché non dev’essere attestata la «sostenibilità economica» dell’impresa, menzionata nell’art. 87, comma 3, CCII, non richiamato dall’art. 64 bis, comma 9, CCII (omesso richiamo che inerisce al “proprium” della fattispecie in esame).
Ma l’opportunità di avvalersi dello strumento in discorso emerge ancor più vivida nell’attuale contesto economico, nel quale risulta che quasi un quinto delle imprese che, nel biennio 2020/22, ha usufruito della “moratoria” sui mutui o sui leasing e quasi un quarto di chi ha richiesto prestiti c.d. “Covid” garantiti dallo Stato tramite il Mediocredito Centrale e SACE (ex artt. 1 e 13 D.L. n. 23/2020 e s.m.i.) oggi non sono più in grado di rimborsare puntualmente quei debiti, che, peraltro, diventano automaticamente privilegiati ai sensi del D.Lgs. n. 123/1998 e dell’art. 8 bis D.L. n. 3/2015, finanche sovraordinati a tutte le prelazioni di cui all’art. 2778 c.c., essendo posposti soltanto ai crediti previsti dall’art. 2751 bis c.c. ([24]). Si tratta di un dato allarmante, là dove si ponga mente all’ammontare totale delle garanzie prestate, pari a 253 miliardi di euro.
L’unico vero rischio dello strumento in esame si annida nella mancata approvazione da parte di tutte le classi, ma è un’eventualità governabile ex ante e, comunque, rimediabile con la conversione della procedura in un concordato preventivo, a termini dell’art. 64 quater CCII ([25]).
È giocoforza auspicare la massima riuscita del PRO, sia nell’interesse delle imprese tutte – comprese quelle in liquidazione, come dianzi specificato –, che possono usufruire di un commodus discessus dalla crisi, sia dal versante dell’amministrazione della giustizia (atteso che i tempi di approvazione del piano possono oscillare dai 30 ai 150 giorni effettivi, con notevole risparmio di tempo, come anticipato, rispetto al concordato).
D’altro canto, i controlli demandati al tribunale in sede di ammissione vertono solo – lo si è ricordato a più riprese – sulla ritualità della proposta ([26]) e sulla corretta formazione delle classi (art. 64 bis, comma 4, lett. a), CCII), lasciando alla fase di omologa soltanto la verifica della regolarità delle operazioni di voto (comma 8), a meno che non siano proposte opposizioni da parte di creditori dissenzienti ([27]). La ratio di tale limitazione risalta ben chiara nella Relazione illustrativa, in cui si sottolinea – in replica ai rilievi formulati dal Consiglio di Stato nel parere consultivo – che il nuovo istituto deroga esplicitamente ai principi-cardine del diritto della crisi sulla responsabilità patrimoniale del debitore e sulla par condicio creditorum, ossia agli artt. 2740, 2741 e 2778 ss. c.c. e a tutte le norme che contengono graduazioni delle cause di prelazione.
Ergo, il sindacato in sede di ammissione e, parimenti, in quella di omologazione non può spingersi a scrutinare aspetti appositamente non previsti dalla disciplina. Resta soltanto il dubbio, in proposito, se sia consentito al tribunale bloccare in limine proposte (i.e. piani) di ristrutturazione manifestamente non fattibili o palesemente inidonei a soddisfare i creditori, alla luce dell’omesso richiamo (certamente voluto) dell’art. 47, comma 1, CCII nella duplice direzione di qualsivoglia tipo di piano, in continuità o liquidatorio. Tuttavia, milita per la negativa tanto i) il fatto, decisivo, che i creditori sono arbitri insindacabili della loro sorte, in attuazione del principio generale di autoresponsabilità, quanto ii) l’aggettivo utilizzato nell’art. 64 bis, comma 4, lett. a), CCII sui poteri delibativi del tribunale – «valutata la mera ritualità della proposta» –, il che elide definitivamente ogni eterotutela giudiziale.

Note:

[1] 
V. L. Stanghellini, Il Codice della crisi dopo il d.lgs. 83/2022: la tormentata attuazione della direttiva europea in materia di “quadri di ristrutturazione preventiva”, in Quaderni di Ristrutturazioni Aziendali, fasc. 2/2022, p. 39 s.
[2] 
V. M. Fabiani - I. Pagni, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Il Fall., 2022, p. 1025 ss.
[3] 
Cfr. G. D’Attorre, La concorsualità “liquida” nella composizione negoziata, in Il Fall. 2022, p. 301.
[4] 
V., in tema di “medical malpractice”, A. Palmieri - R. Pardolesi, Responsabilità sanitaria e nomofilachia inversa, in Foro.it., 2019, I, c. 1603.
[5] 
In Il Fall., 2018, p. 984.
[6] 
In Dejure.it.
[7] 
Tracce del rischio di sovrapposizione di piani valutativi, tra l’art. 84, comma 6, e l’art. 112, comma 2, CCII si rinvengono in Trib. Bari, 23 gennaio 2023, in Ilcaso.it, 11.3.2023, là dove si legge che «[i]l concetto di ritualità della proposta richiama indubbiamente la verifica della completezza della documentazione depositata e della regolarità della procedura svolta; il controllo del tribunale non si arresta, tuttavia, ad una verifica meramente esteriore e formalista della proposta, dovendo necessariamente includere, anche al fine di evitare la diffusione di forme di abuso dello strumento concordatario in danno dei creditori e dell’economia nel suo complesso, il controllo sul rispetto dell’ordine delle prelazioni, sulla formazione delle classi, sull’assicurazione a ciascuno dei creditori di un’utilità economicamente rilevante» (corsivo aggiunto).
[8] 
G. Bozza, Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, in Dirittodellacrisi.it, 7.6.2022, passim.
[9] 
L. Panzani, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Quaderni di Ristrutturazioni Aziendali, Fasc. 3/2022, p. 12 ss. (e p. 5 ss. per alcune considerazioni in ordine al PRO liquidatorio). Va osservato, in merito, che il creditore, al quale sia offerto il soddisfacimento in misura inferiore rispetto a quanto ragionevolmente riceverebbe dalla liquidazione giudiziale, potrebbe giudicare prevalente, e.g., l’interesse alla prosecuzione dei rapporti con l’impresa in crisi e non proporre opposizione all’omologazione (mero esempio, beninteso, quello della prosecuzione dei rapporti, siccome l’art. 84, comma 3, CCII non è applicabile al PRO). All’opposto, qualora si ritenesse ammissibile un PRO liquidatorio (v. infra, nel testo), il rischio di opposizione sarebbe elevatissimo e, dunque, in termini pratici, non sarebbe passibile di esito positivo una proposta che non soddisfi il credito in misura almeno pari alla liquidazione giudiziale (tanto più perché troverà applicazione l’art. 87, comma 2, CCII).
[10] 
A partire dal parere del Consiglio di Stato del 13 maggio 2022 sullo schema di D.Lgs. approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, consultabile in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it.
[11] 
Cfr. l’auspicio conclusivo di M. Fabiani - I. Pagni, op. cit., p. 1036.
[12] 
V. S. Bonfatti, Il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, in Dirittodellacrisi.it, 15.8.2022, p. 21, cfr., inoltre, P. Beltrami - F. Carelli, Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 17.11.2022, p. 7 s. Secondo S. Ambrosini, Piano di ristrutturazione omologato (parte prima): presupposti, requisiti, ambito di applicazione, gestione dell’impresa. E una (non lieve) criticità, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 19.8.2022, par. 5, il rinvio, ad opera del comma 9 dell’art. 64 bis CCII, a disposizioni dettate per il solo concordato in continuità non risulta decisivo, giacché esse si applicano «in quanto compatibili». Né determinante appare la previsione del comma 5 circa la gestione “ordinaria e straordinaria” dell’impresa attribuita al debitore, dal momento che anche l’art. 94 CCII, pacificamente applicabile al concordato liquidatorio, stabilisce che egli «conserva […] l’esercizio dell’impresa» (e in entrambi i casi si precisa che ciò avviene sotto il “controllo” del commissario giudiziale). Nell’ipotesi estensiva, poi, il piano liquidatorio non dovrebbe essere vincolato neppure al soddisfacimento dei chirografari nella misura minima del 20%.
[13] 
M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, Piacenza, 2023, p. 280, il quale sottolinea il mancato richiamo degli effetti “purgativi” dei debiti anteriori in caso di cessione d’azienda o di rami.
[14] 
Ovviamente, solo se il piano è in continuità. L’applicazione in via analogica dell’art. 86 CCII, giustificata dalla eadem ratio (del “salvataggio” mediante piano di ristrutturazione con prosecuzione dell’attività), consentirebbe di superare il vaglio iniziale di ritualità della proposta anche nel caso di moratoria per le classi privilegiate, legittimata – la moratoria –dall’ultimo periodo del comma 7 dell’art. 64 bis CCII.
[15] 
In Dejure.it.
[16] 
In giustiziacivile.com, 17.9.2020.
[17] 
Sulla problematica del “classamento” dei soci e della loro partecipazione alla ristrutturazione v. A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, in Le Società, 2022, p. 945; A. Nigro, La nuova disciplina degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, in Ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, 11.10.2022, passim.
[18] 
V. M. Fabiani - I. Pagni, op. cit., p. 1032.
[19] 
In tema v. R. Brogi, Il nuovo concordato preventivo: il piano e le regole di competitività, in Quotidiano giuridico, 31.1.2023.
[20] 
Cfr., ancora, M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, cit., p. 277.
[21] 
V. la Relazione illustrativa al D.Lgs. 83/2022, sub art. 16.
[22] 
Su cui si rimanda alle considerazioni svolte nel precedente paragrafo.
[23] 
Salvo rammentare che quella percentuale si riduce al 60%, se il raggiungimento degli accordi risulti dalla relazione finale dell’esperto all’esito della composizione negoziata della crisi (art. 23, comma 2, lett. b), CCII).
[24] 
In tema v. S. Leuzzi - P. Rinaldi, La ristrutturazione del debito da finanziamento “emergenziale” garantito: una criticità e una proposta, in Dirittodellacrisi.it, 10.12.2021.
[25] 
Un ulteriore limite, di natura fiscale, si determinerebbe qualora l’art. 88, comma 4 ter, secondo periodo, TUIR venisse interpretato restrittivamente, reinserendo nell’area di tassabilità le sopravvenienze attive derivanti dalle riduzioni dei debiti dell’impresa ottenute in sede di PRO, in quanto non espressamente contemplato nella suddetta disposizione (non aggiornata al nuovo strumento), benché l’art. 25 bis, comma 5, CCII faccia riferimento alla suddetta norma fiscale per gli accordi conclusi all’esito della composizione negoziata. Ma proprio quest’ultima modifica, ancorché non esplicitamente estesa al PRO, mostra l’irragionevolezza dell’eventuale esclusione.
[26] 
La chiara delimitazione della formula normativa, che riecheggia il disposto dell’art. 125 L. fall. per l’ammissione al voto del concordato fallimentare, lascia intendere che il controllo verta unicamente nel far emergere eventuali vizi del procedimento e, dunque, sia qualificabile come di “pura legittimità”: v. G. Bozza, op. cit., § 4, p. 23, secondo cui è anche da escludere che il tribunale possa concedere un termine al debitore per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti (poiché il secondo periodo del comma 4 dell’art. 47 CCII non è richiamato) o che sia obbligato a sentire il debitore; in giurisprudenza, v. Cass. 29.10.2013, n. 24359, in Deiure.it; Trib. Milano 5.3.2012, in Ilcaso.it, 19.11.2012.
[27] 
Nel qual caso, a termini dell’art. 64 bis, comma 8, il tribunale può egualmente omologare il piano se il credito dell’opponente risulti soddisfatto in misura non inferiore alla liquidazione giudiziale. E in ipotesi di reclamo avverso l’omologa, ove accolto, il giudice d’appello può persino confermare la sentenza di prime cure “se l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, riconoscendo a quest’ultimo il risarcimento del danno” (art. 53, comma 5 bis, richiamato dall’art. 64 bis, 9° comma).

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  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

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del trattamento dei dati personali

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