La naturale inclinazione del creditore-banca ad assumere un approccio razionale al recupero del credito si traduce nella tendenza a reclamare, al tavolo della negoziazione con l’impresa in difficoltà, un livello di soddisfacimento almeno pari a quello conseguibile nell’ipotesi virtuale di escussione della garanzia.
A fronte di disponibilità limitate rispetto all’estensione del passivo, pertanto, ogni qualvolta la soddisfazione dei creditori sia prospettabile come necessariamente parziale, il varco d’uscita dalla crisi finisce per restringersi. In particolare, finisce per crearsi una waterfall di pagamenti nel cui quadro le banche garantite ricavano dai propri crediti una soddisfazione massima, liberando ad appannaggio dei non garantiti una porzione di liquidità del tutto marginale e residua.
Se a ciò si aggiunge la presenza endemica di altri prelatizi – erario ed enti di previdenza, soprattutto – i tavoli di mediazione rischiano di rivelarsi scomodi e traballanti, mostrandosi così squilibrati da consentire di rado la decantazione e la sintesi di interessi divergenti.
Il corollario è nell’incremento verosimile del numero di composizioni negoziate destinate ad esondare in altrettanti concordati preventivi, sebbene l’art. 11 del D.L. n. 118/2021 sembri riconsegnare un tendenziale ruolo di primazia al contratto in luogo del processo.
Solo in sede concordataria, tuttavia, il debitore potrebbe manipolare, allo stato, il privilegio di SACE o MCC, attraverso una proposta di degradazione del relativo credito ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 160, comma 2, L. fall. La prospettiva si rivelerebbe, tra l’altro, perseguibile soltanto nell’ipotesi in cui la banca abbia già escusso la garanzia, tanto che il garante, surrogandosi nel credito del garantito, ne abbia mutuato la natura privilegiata, esponendosi al declassamento in forza della norma testé richiamata, al pari degli altri prelazionari.
Per converso, quando il deposito del piano è tempestivo la surroga non è quasi mai ancora intervenuta. In tal caso, il debitore in difficoltà non troverà dinanzi a sé il garante parastatale, ma l’istituto di credito, con l’onere gravoso e conseguente di appostare un fondo rischi in privilegio per l’importo differenziale tra la misura della garanzia e l’ammontare della soddisfazione chirografaria prospettato.
Questo scotto finanziario rischia di assumere una dimensione diffusa, finendo per minare a tutto campo l’efficacia delle ristrutturazioni e con esse la stabilità dell’economia, benché il vantaggio a livello di sistema non sia agevolmente intercettabile. Infatti, dal concordato e dal fallimento raramente si traggono condizioni satisfattive migliori rispetto alle proposte negoziali veicolabili nei tavoli bancari: la probabilità che il privilegio dei garanti si “mangi” gran parte degli attivi concordatari e fallimentari è, in tal senso, elevatissima.
Ma siamo certi che questa sia la volontà del legislatore? La risposta non può che essere negativa.
Soprattutto nel D.L. n. 34/2020 (Decreto "Rilancio") vengono innestate misure a sostegno del settore bancario nazionale, proprio con lo scopo inverso di salvaguardare la stabilità finanziaria messa a repentaglio dall'emergenza pandemica.
La predisposizione di modelli pubblicistici di garanzia per le esposizioni passive maturate dagli intermediari bancari costituisce una classica forma di intervento orchestrata al fine di prevenire perdite di fiducia nella solidità del sistema creditizio, riducendo, altresì, i costi di finanziamento che le imprese bancarie sono tenute a addossarsi per la propria continuità operativa. Il sussidio pubblico indiretto permette, in effetti, di attutire il pressing speculativo degli investitori, stimolati dall’opportunità di beneficiare della maggiore forza finanziaria statale e quindi ben disposti ad accontentarsi di tassi di rendimento più contenuti sui titoli emessi dagli enti creditizi beneficiari.
In verità, lo Stato, nell’accantonare sul proprio bilancio – che grava sull’intera collettività dei suoi cittadini – le coperture delle garanzie SACE e MCC, ne ha già sopportato il relativo costo, obiettivamente assumendone l’impegno di spesa.
In tal modo, al sistema creditizio è stato attribuito un ruolo centrale e protetto nell’itinerario di ripartenza del Paese, anche in armonia con la sua funzione sociale[19]. In altri termini, lo Stato italiano ha inteso sfruttare proprio la liquidità di un comparto creditizio sano per soccorrere le imprese, rimandando così al futuro un possibile, ma già preventivato esborso, nel caso in cui i beneficiari del finanziamento non dovessero essere in grado di restituire quanto ricevuto.
La garanzia pubblica ha la funzione di far sì che sia lo Stato a sobbarcarsi la parte del rischio di credito correlata alla pandemia e di permettere che il finanziamento sia erogato anche in favore di quelle imprese che, proprio in ragione della crisi economica, versano in una situazione patrimoniale che non consentirebbe il beneficio dell’accesso al credito. Come è stato giustamente osservato “lo Stato si comporta come una sorta di assicuratore che copre la perdita improvvisa di capacità produttiva”[20].
Pertanto, se SACE e MCC attingono alla riserva e si fanno rimborsare dallo Stato le somme che hanno versato alla banca creditrice in qualità di garanti compiono un’operazione di “prelievo” che non rivela impatto alcuno. Eppure, la norma sembra obbligare detti enti ad aggredire ugualmente l’impresa, quand’anche le garanzie abbiano già ricevuto copertura contabile dallo Stato.
Il meccanismo di funzionamento delle garanzie bancarie è destinato, in tal modo, a mietere molte vittime tra le realtà produttive più fragili, che potrebbero ristrutturare i crediti garantiti solo in sede concordataria e sempre che l’escussione e la relativa surroga del garante si siano prodotte in maniera assai sollecita.
Anche in tal caso, tuttavia, l’esito del concordato preventivo sarebbe deteriore per i fornitori, le cui percentuali di soddisfazione si rimpicciolirebbero ulteriormente rispetto alle proposte che i creditori sarebbero in grado di formulare in contesti meno impattanti sulla supply chain come quelli dei piani attestati o degli accordi di ristrutturazione, magari sottoscritti in esito a percorsi interlocutori di composizione negoziata ex D.L. 118 del 2021.
Urge, allora, ragionare sulla possibilità di rettificare l’assetto delle regole al fine di consentire al debitore-impresa di incidere, attraverso gli strumenti negoziali e concorsuali, in modo più performante anche sui crediti bancari garantiti da SACE e MCC.