Il recente breve saggio di Alberto Jorio su Composizione negoziata e pubblico ministero, pubblicato su questa Rivista, merita, a mio modo di vedere, una postilla, per vero tendenzialmente adesiva.
Partiamo da alcuni dati storici per poter disporre di un panorama normativo completo che aiuti a delineare una soluzione in ordine a quale ruolo deve avere il Pubblico ministero non solo nella composizione negoziata ma più in generale in tutti i percorsi regolativi della crisi.
Allo stadio attuale della legislazione il pubblico ministero partecipa, di default, al procedimento di concordato (art. 161 l.fall.)[1] e può promuovere con la richiesta di cui all’art. 7 l.fall. la domanda di fallimento quando la notita decoctionis gli perviene da un giudice “civile”[2].
Lo scenario normativo cambia con il codice della crisi là dove l’art. 38 CCII stabilisce che “Il pubblico ministero presenta il ricorso per l'apertura della liquidazione giudiziale in ogni caso in cui ha notizia dell'esistenza di uno stato di insolvenza”, mentre resta inalterata la presenza del pubblico ministero nel concordato preventivo.
Un ultimo tassello lo possiamo ritrovare nel d.l. 118/2021, là dove non esiste una espressa previsione che veda coinvolto il pubblico ministero nella composizione negoziata, fermo, però, restando che potrà essere il giudice ad effettuare la segnalazione sia quando è chiamato a confermare, modificare o revocare le misure protettive o quando è chiamato a rilasciare le autorizzazioni di cui all’art. 10 d.l. 118/2021[3]. Ciò che la legge non dice è che vi sia una segnalazione da parte dell’esperto o da parte della commissione o, ancora, da parte del segretario generale della camera di commercio, soluzione, invece, adottata dall’OCRI a “chiusura del cerchio” quando la composizione assistita non va a buon fine e il debitore si trova in stato di decozione[4].
Fatta questa premessa con la quale si è disegnato il perimetro normativo sul quale operare un ragionamento più generale, a me pare che il Documento elaborato dalla Procura Generale presso la Suprema Corte di Cassazione (e pubblicato su questa Rivista), di per sé, presenti pochi profili di criticità, salva la circostanza che mi pare del tutto condivisibile la lettura proposta da Alberto Jorio quando postula che volutamente nella composizione negoziata non è lacunoso il fatto che non sia prevista la segnalazione dell’esperto.
Sennonché, il tema ha poco respiro perché quando entrerà in vigore (in difetto di sempre possibili aggiustamenti) il codice della crisi, il fatto che le iniziative del pubblico ministero siano attivabili “in ogni caso” si tradurrà nel risultato che chiunque potrà effettuare una qualunque segnalazione e quindi lo potrà fare sia l’esperto che un organo di controllo, come un passante per strada che vede una saracinesca di un negozio abbassata e che annusa che quell’imprenditore sia insolvente. Proprio perché stiamo discutendo di una fase transitoria, riterrei poco produttivo modificare l’assetto della composizione negoziata che, una volta innestata nel Titolo secondo del Codice della crisi, dovrà, necessariamente, coordinarsi con il disposto dell’art. 38 CCII.
Ecco allora che ci veniamo a trovare dinanzi al tema di fondo che il Documento fa trapelare. In tale documento vi è un continuo richiamo alla centralità del ruolo del pubblico ministero nel codice della crisi ma ciò non dipende da una “deriva” della Procura Generale ma da una scelta voluta dal legislatore del Codice.
Il problema che si pone è un problema di vertice del sistema regolatorio della crisi perché si tratta di armonizzare autonomia privata ed eteronomia autoritativa.
Questo argomento-matrice può trovare soluzione partendo da una prospettiva ideologica[5] o da una prospettiva funzionalistica, o perlomeno spesso sono questi i pilastri dell’argomentazione.
Proviamo, però, a spostare l’asse del ragionamento sul piano dei valori: il valore è rappresentato solo dal miglior soddisfacimento dei creditori o il valore è esemplificato anche dal contesto di mercato e cioè dell’impresa quale protagonista in un proscenio più ampio che vede al centro degli interessi, quello al buon funzionamento dell’economia del Paese?
Come si nota, le soluzioni possono essere molte e possono derivare da più che legittimi convincimenti. Ciò posto a me pare che sia premessa indiscussa quella per cui l’insolvenza – non la crisi – di una impresa sia un fatto che non riguarda il rapporto binario debitore/creditore/i, ma impone che vengano valutati interessi altri: da quelli delle controparti commerciali a quelli dei lavoratori a quelli dei creditori pubblici.
Tuttavia, una volta stabilito che per proteggere interessi plurali non è affatto eterodosso che esista un soggetto che possa partecipare a procedimenti concorsuali per far valere un interesse generale[6], occorre adottare scelte operative di estrema cautela. Per questa ragione, in disparte il tema della composizione negoziata, a me pare che la vera criticità sia rappresentata dal modo in cui le iniziative vengono adottate anche perché, in fondo, le regole corrono sempre secondo il passo delle persone.
In tal senso non trovo condivisibile la postulazione ideologica che il pubblico ministero sia centrale nella regolazione delle crisi d’impresa; al contrario, il pubblico ministero dovrebbe avviare una iniziativa proprio e solo le volte in cui i privati non sono in grado di autodisciplinarsi o quando l’autodisciplina tra taluni privati pregiudica gli interessi di altri.
Esiste una disposizione del codice di procedura civile (art. 70, 3° comma, c.p.c.) che è stata interpretata con grande parsimonia dalle procure della repubblica perché è rarissimo che il pubblico ministero sia intervenuto nelle cause civili ravvisandone un pubblico interesse[7]. Orbene, questo self restraint, con i dovuti accorgimenti, al lume del fatto che il mercato evoca la presenza di più interessi, dovrebbe rappresentare la cifra della presenza del pubblico ministero, una sorta di tutore della legalità che opera, però, da una posizione defilata e non centrale. Diversamente, specie vigente l’art. 38 CCII, potremo avere iniziative pubbliche diffuse motivate da un articolo di stampa, da un biglietto anonimo, da un astio personale nei confronti di un imprenditore. Oppure, potremo avere un controllo pubblico dell’economia non gestito dalla politica ma da un organo giudiziario sostanzialmente irresponsabile.
Il presidio del pubblico ministero sarà giustificabile, allora quando si dimostrerà l’adeguatezza dell’intervento rispetto alla tutela di interessi generali che altrimenti sarebbero stati pretermessi. Ma sarà anche necessario, e qui sì alcuni brani del Documento appaiono di significativa importanza, che le iniziative vengano assunte dopo una seria istruttoria e che vi possa essere la rinuncia alla iniziativa: in sostanza, a differenza dell’obbligatorietà dell’azione penale, l’iniziativa del pubblico ministero nell’universo dell’insolvenza dovrà calibrarsi con particolare attenzione al caso di specie, perché occorrerà, sempre, ponderare se valga la pena far aprire una liquidazione giudiziale; si tratta cioè di una iniziativa non doverosa[8]. Infatti, se è ben vero che determinate imprese non devono restare sul mercato perché trasmettono un virus, quello del creare altre povertà e del bruciare altre risorse, è parimenti vero che in tanti casi una liquidazione giudiziale a nulla serve se non a fagocitare nuovi costi che a loro volta bruciano risorse. Si corre il rischio che per una spinta alla pulizia etnica delle imprese insolventi, ma ormai paralizzate e sostanzialmente innocue, si generino costi, quelli professionali in primo luogo, destinati a non essere remunerati. L’esperienza insegna che tante volte l’apertura della procedura liquidatoria non è in grado di restituire un solo euro, eppure l’impegno dei professionisti, il tempo occupato da giudici e cancellieri sono risorse sprecate. Occorre, allora, fare molta attenzione quando al pubblico ministero si affida l’arma dell’iniziativa predicandone la centralità.
È, poi, doveroso ricordare che il ruolo del pubblico ministero presupporrà anche un approccio che tenga conto del valore del capitale umano: come è virtuosa la condotta del pubblico ministero che si reca sul luogo dove è stato perpetrato un delitto per rendersi conto del contesto, parimenti virtuoso sarà il comportamento di quel pubblico ministero che, ai fini civili, si vorrà misurare con la realtà dell’impresa, che ne voglia respirare l’acre odore di chi ci lavora, perché le carte spianate sul tavolo dell’ufficio sono fredde e da esse non trasuda il valore del lavoro. La giustizia, quella con la G maiuscola, pretende che prima dei protocolli, prima dei modelli o dei formulari venga il confronto con chi dovrà assoggettarsi ad una decisione.
Ed infine, quando pensiamo alle regole domestiche, cerchiamo di avere l’umiltà di ricordare che ciò che appare a qualche lettore superficiale uno svilimento del ruolo del pubblico ministero, è sempre molto di più di quanto conosciamo a livello di legislazione europee confrontabili, là dove una iniziativa analoga a quella conosciuta dal nostro sistema non è affatto contemplata. Non nell’InsolvezOrdnung (Parte II, Sezioni 13 e 14) né nel testo di rifusione della legge spagnola in materia fallimentare (Texto Refundido de la Ley Concursal), approvato con il regio decreto legislativo 1/2020 del 5 maggio 2020 (art. 3, 4)[9], là dove, al contrario, il Pubblico ministero che prende conoscenza di un reato fallimentare, comunica la circostanza al giudice affinché solleciti i creditori; né nel Código da Insolvência e da Recuperação de Empresas (art. 13) ove è, invece, previsto che il Pubblico ministero rappresenti i creditori pubblici; nel Codice di diritto economico del Belgio pure manca una previsione al riguardo. Troviamo, invece, qualche disposizione che assomigli ai nostrani art. 7 l.fall. e 38 CCII, nella liquidation judiciaire in Francia. Il panorama europeo, con riferimento ai sistemi di civil law, ci offre un contesto nel quale la presenza del pubblico ministero è, tutto sommato, marginale.
Forse possiamo pensare che il nostro ordinamento sia più avanzato perché, come anticipato in premessa, un ruolo di garanzia pubblica è necessario, ma ciò che davvero conta è il principio di prudenza e proporzionalità nell’intervento cui dovranno conformarsi le procure della repubblica.