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Commento

Composizione negoziata e pubblico ministero*

Alberto Jorio, Professore emerito di diritto commerciale nell’Universita’ di Torino

22 Dicembre 2021

*Il commento è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Visualizza il commento di Massimo Fabiani

Visualizza: Importante documento della Procura Generale presso la Suprema Corte di Cassazione sul ruolo del PM nella crisi d’impresa

L’Autore svolge una riflessione sul ruolo del pubblico ministero nel contesto del nuovo istituto negoziale, alla luce dell’importante documento elaborato dalla Procura Generale presso la Suprema Corte di Cassazione.
Riproduzione riservata
1 . Una necessaria premessa
Le brevi note che seguono richiedono la seguente premessa: ho sempre ritenuto e continuo a ritenere che lo strumento più adeguato per l’emersione della crisi e per l’attivazione dei meccanismi idonei alla sua tempestiva composizione risieda in mix di iniziative, che coinvolgano sia i controllori interni all’impresa sia categorie di creditori particolarmente qualificate per dare l’allarme [1]. Ciò nella convinzione che, almeno per un notevole periodo di formazione della nuova cultura della prevenzione, il fare affidamento essenzialmente sulla coscienza dell’imprenditore costituisca un rischio elevato. La rappresentazione dell’imprenditore che, quoad coactus, si rivolge all’autorità competente per ricevere aiuto e protezione al fine di raggiungere, ove possibile e in un arco di tempo ristretto, un accordo con i creditori, o che, in alternativa, viene chiamato dalla stessa autorità su impulso dei controllori o dei creditori mi è sempre apparsa la soluzione più realistica. 
Restava il dilemma sulla individuazione dell’”autorità competente”, risoltosi per convincimento diffuso con l’esclusione del giudice, ma che, forse per un inespresso ossequio alla legge del contrappasso, ha costruito una farraginosa procedura incardinata sull’OCRI. Si è così accantonata la soluzione francese, ipotizzata anche dalla Direttiva Insolvency[2] e consistente della nomina da parte del giudice di un mandataire ad hoc, con il compito di favorire, ove possibile, un accordo con i creditori. Ciò nella convinzione, per me non condivisibile, che fosse impossibile seguire i nostri colleghi transalpini stante l’assenza, nel nostro ordinamento, del giudice di commercio e forse ignorando i ristretti ambiti dell’intervento del juge de commerce nella legislazione francese, che si limita ad ascoltare i propositi del debitore per superare la crisi e ad avvertirlo delle conseguenze negative della sua eventuale inerzia, incombenze comunque ben assolvibili da qualsiasi magistrato delle sezioni fallimentari dei nostri tribunali[3].
Un punto dolente che ha contribuito a rendere comunque ostico il percorso imperniato sulle funzioni dell’OCRI era rappresentato dalla immanenza del pubblico ministero, formalizzato in due disposizioni del CCII: l’art. 38, a mente del quale “Il pubblico ministero presenta il ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale in ogni caso in cui ha notizia dell’esistenza di uno stato di insolvenza”, e l’art. 22, a mente del quale il collegio, nei casi di condotta rinunciataria e inadempiente del debitore, “se ritiene che gli elementi acquisiti rendano evidente la sussistenza di uno stato di insolvenza del debitore, lo segnala con relazione motivata al referente”, il quale a sua volta “ne da notizia al pubblico ministero presso il tribunale competente”. Quest’ultimo “quando ritiene fondata la notizia di insolvenza, esercita tempestivamente, e comunque entro sessanta giorni dalla sua ricezione l’iniziativa di cui all’art. 38, comma 1”.
Così delineato, con la presenza di queste due disposizioni, un pericoloso “piano inclinato” verso la liquidazione giudiziale, i costruttori di questa nuova disciplina non hanno sufficientemente avvertito che il temuto “piano inclinato ” si sarebbe verificato nella più parte dei casi, almeno in un primo periodo ragionevolmente lungo, caratterizzato dalla presenza dell’insolvenza in quasi tutte le situazioni comportanti l’accesso all’OCRI, e comunque di sopravvenienza dell’insolvenza ai primi passi di svolgimento del procedimento, non essendo ancora sufficientemente metabolizzato il concetto di “insolvenza reversibile” (dove l’impossibilità di adempiere può convivere con le prospettive di recupero). Il sistema così costruito correva quindi forti rischi di insuccesso, e di qui il successivo Decreto 118/2021, destinato presumibilmente a sostituire anche oltre il 31 dicembre 2013 la composizione assistita innanzi all’OCRI e sul quale ho già espresso il mio giudizio favorevole[4]. 
Fatta questa premessa, veniamo al tema oggetto di queste brevi note, che riguardano la presenza o, meglio sarebbe dire, l’attuale assenza del pubblico ministero nel procedimento di composizione negoziata. 
2 . Il documento della Procura Generale presso la Corte di cassazione sull’intervento del Pubblico Ministero
Con un documento redatto da magistrati di grande esperienza e profondi conoscitori della materia concorsuale la Procura Generale della Repubblica presso la Corte di cassazione ha tracciato un quadro accurato dei momenti nei quali si prospetta l’intervento del pubblico ministero nelle crisi d’impresa[5]. Ne emergono il ruolo determinante del p.m. ma anche l’esigenza che si diffonda adeguatamente nelle procure la consapevolezza “del mutamento del proprio ruolo, finalizzato alla tutela dell’interesse pubblico e della generalità dei creditori, pur nell’indirizzo che tende alla salvaguardia della sopravvivenza dell’azienda tutte le volte che ciò sia possibile”.
Occorre essere franchi: l’equilibrio tra questi due poli, la tutela dei creditori (che si identifica nell’interesse pubblico) e la salvaguardia della sopravvivenza dell’azienda, ove possibile, è reso impervio dalla presenza dell’art. 38 del CCII, che legittima la richiesta della liquidazione giudiziale da parte del p.m. ogniqualvolta questi abbia notizia dell’insolvenza, senza immediata distinzione tra insolvenza irrimediabile e insolvenza reversibile. Opportunamente gli estensori del documento avvertono invece la necessità di “porre attenzione alla situazione di irreversibilità e all’allarme sociale che la prosecuzione dell’attività commerciale determina nell’ambiente economico”. Su questa premessa si fonda – secondo il Documento - la distinzione di obiettivi e di ruoli: da un lato “la finalità – cui è informato il codice - che è quella del salvataggio dell’impresa, per l’effettivo mantenimento della produzione e dei livelli occupazionali, nel rispetto delle scelte rimesse alla libera disponibilità dell’imprenditore commerciale”; dall’altro lato l’obiettivo del pubblico ministero, che inerisce “al rilievo di profili patologici della procedura con attenzione rivolta a eventuali atti in frode, che possono determinare la richiesta di revoca dell’ammissione della proposta di concordato, o abbreviazione dei termini ex art. 44 comma 2, CCII, la declaratoria di inammissibilità, di revoca o di diniego dell’omologazione del concordato preventivo, con eventuale richiesta di liquidazione giudiziale che determina la conversione della procedura”. Ma le funzioni del p.m., che trovano la loro matrice originaria nell’art. 173 della legge fallimentare, risultano ampliate nel CCII, e a ciò si aggiungono la pandemia determinata dal Covid 19 e “il ruolo preponderante che ha assunto la finanza pubblica nell’erogazione dei finanziamenti alle imprese [che] rende evidente come il tema dell’insolvenza post Covid-19 assumerà profili di rilevanza pubblicistica ancora più marcati”. Tutto ciò – assume il Documento - comporta la necessità di “un’accurata analisi delle cause dell’insolvenza e soprattutto della sua reversibilità con l’elaborazione, da parte dei Procuratori, di linee guida comuni”.
Gli estensori del Documento avvertono quindi il rischio che con l’ampliamento del ruolo del p.m. operato dal CCII non venga adeguatamente ed uniformemente inteso dalle procure il cambiamento di ruolo del p.m.: “da organo inquirente penale, finalizzato alla ricerca delle notizie di reato ed all’individuazione dei responsabili di tali reati a quello di parte delle procedure giudiziali di regolazione della crisi”[6]. Una parte che secondo gli estensori del Documento dovrebbe essere sempre presente nelle procedure di allerta, qualsiasi siano la forma e il significato intrinseco da queste assunti. E nel riconoscere che risponda allo scopo dell’immanenza del p.m. nella procedura di allerta la segnalazione del referente prevista dall’art. 22 del CCII[7], il Documento giudica negativamente l’assenza di un analogo meccanismo di previsione nel Decreto 118/2021 e nella legge di conversione, pur trattandosi, si legge, di “situazioni sostanzialmente analoghe”. La segnalazione al p.m., secondo il Documento, “sembrerebbe necessaria alla luce degli interessi pubblici sottesi all’insolvenza dell’imprenditore, in tutti i casi in cui sia evidente la mancanza dei presupposti per pervenire ad una soluzione concordata che consenta l’uscita dalla crisi a causa dall’accertamento di una insolvenza non reversibile”. La mancata previsione di un tale obbligo in capo all’esperto comporta che “le segnalazioni al PM potranno essere effettuate soltanto dal giudice ai sensi dell’art. 7, secondo comma, l. fall. ogni qual volta, nell’ambito del procedimento di composizione negoziata della crisi, egli sia chiamato dal debitore ad emettere un provvedimento (protettivo del patrimonio, di autorizzazione al compimento di determinati atti) e riscontri lo stato d’insolvenza del debitore medesimo”[8].
Ma non per questo il p.m. può dirsi “impotente” di fronte alla composizione negoziata. Tutt’altro, perché se è vero che “ai sensi dell’art. 6, comma 4, del d.l. 118/2021 dal giorno della pubblicazione dell’istanza di cui al comma 1 e fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata, la sentenza dichiarativa di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza non può essere pronunciata” resta il fatto che “la pubblicazione dell’istanza non impedisce, [….] fino alla archiviazione dell’istanza che apre la composizione negoziata, l’instaurazione o la prosecuzione dei procedimenti per la dichiarazione di fallimento o per l’accertamento dello stato di insolvenza, ma soltanto l’apertura della procedura di liquidazione. Ne deriva che nel corso della procedura di composizione negoziata il PM potrà depositare l’istanza per la dichiarazione di fallimento”.
3 . Un’opinione
A questo punto sorge spontaneo il seguente interrogativo: il (relativo) depotenziamento del p.m. nel procedimento di composizione negoziata, così come sopra descritto, è frutto di una “dimenticanza” del legislatore o corrisponde a un disegno voluto?
La risposta non è agevole, ma la si può tentare sulla base delle seguenti considerazioni:
i) L’art. 22 del CCII è fondamentalmente una disposizione punitiva nei confronti del debitore che ha disatteso tutti gli obblighi di comportamento prescritti dal Codice in presenza dell’insolvenza la quale a sua volta, se intesa come impossibilità di adempiere alle obbligazioni senza l’aiuto del ceto creditorio, è – si è detto - una componente naturale nelle situazioni previste dall’art. 22;
ii) La composizione negoziata è un procedimento a base squisitamente volontaria, disponibile soltanto dall’imprenditore, all’esito del quale al debitore sono aperte tutte le opzioni possibili, e tra esse il ricorso a soluzioni dirette a costringere la minoranza di creditori a soggiacere alla volontà della maggioranza assenziente o alla redazione di un piano che riceva il consenso di una parte dei creditori;
iii) l’architettura estremamente originale ed anche complessa della composizione negoziata esprime la volontà del legislatore di allontanarsi dalla procedura di composizione assistita incentrata sull’OCRI e vede quale autorità sufficientemente presente il tribunale o il giudice, ai quali soltanto è riconosciuto il potere di attivare il pubblico ministero. Le funzioni dell’autorità giudiziaria sono sufficientemente ampie e immanenti[9], tali da garantire la tutela del ceto creditorio e le esigenze di ordine pubblico;
iv) il procedimento di composizione assistita previsto dal CCII configura, nell’immaginario collettivo, una sorta di piano inclinato, al fondo del quale, se l’intesa non è raggiunta, il p.m. insta per la dichiarazione di insolvenza e l’apertura della liquidazione giudiziale, che altro non è se non fallimento, con il contorno dei reati di bancarotta;
v) la composizione negoziata vuol essere altra cosa: vuol essere l’offerta ad un imprenditore volenteroso e di buona fede, che ha già in testa la prospettiva di soluzione dei problemi della propria impresa, di effettuare un percorso protetto, al fondo del quale può anche stare una soluzione “capestro” per i suoi creditori: il concordato liquidatorio semplificato.
Mi pare che vi siano sufficienti ragioni per ritenere che il nuovo procedimento non necessiti di norme dirette a “chiudere il cerchio”. Meriterebbe piuttosto, e in ogni caso, che prima dell’allargamento dei poteri del p.m. si diffondesse quella cultura sulle nuove funzioni e quindi sul nuovo atteggiamento del pubblico ministero di fronte alle crisi d’impresa sui quali giustamente insiste il Documento. E a questo proposito mi sentirei di tornare a suggerire che – almeno in un primo tempo - si ripensi all’attuale sistemazione normativa che, come ricorda il Documento della Procura Generale, “nel corso della procedura di composizione negoziata il PM potrà depositare l’istanza per la dichiarazione di fallimento, o mantenere ferma quella già depositata”[10]. Se si vuole concedere adeguato spazio e “respiro” al nuovo istituto della composizione negoziata è opportuno trovare il modo per evitare di farle crescere accanto la malapianta della procedura fallimentare. Basterebbe, al riguardo, dare seguito alle indicazioni della Direttiva Insolvency, che agli artt. 6 e 7 prevede che la sospensione delle azioni esecutive individuali al fine di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione sospenda anche l’apertura “ di una procedura di insolvenza che potrebbe concludersi con la liquidazione delle attività del debitore” (art. 7, C° 2), ove nel concetto di “apertura di una procedura di insolvenza” debbano rientrare la stessa domanda di dar corso al procedimento e il procedimento stesso volto alla pronuncia giudiziale . Ed è ben vero che la sospensione è prevista dalla Direttiva “su richiesta di uno o più creditori”, ma nulla impedisce di adottare una previsione più tutelante delle chances di buon esito del particolare percorso indicato dal Decreto 118, il quale non a caso, all’art. 6, 1° comma, inibisce ai creditori di “iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari” sul patrimonio dell’imprenditore, e quindi anche di chiederne il fallimento[11]. Ed il divieto dovrebbe valere anche per il pubblico ministero, l’iniziativa del quale dovrebbe essere prevista soltanto a seguito di comunicazione del tribunale che abbia rilevato lo stato di insolvenza irreversibile. 

Note:

[1] 
A. Jorio, La riforma della legge fallimentare tra utopia e realtà, in La nuova disciplina delle procedure concorsuali. In ricordo di Michele Sandulli, Torino, 2019, 427 e in Dir. fall., 2019, 290 ss. Mi ero anche spinto a ipotizzare la introduzione nel nostro ordinamento di un sistema analogo agli unvoluntary cases del Chapter 11 statunitense (A. Jorio, Su allerta e dintorni, in Giur. comm., 2016, I, 261 ss. e in Le proposte per una riforma della legge fallimentare. Un dibattito dedicato a Franco Bonelli, a cura di M. Arato e G. Domenichini, Giuffrè, Milano, 2017, 55).
[2] 
V. Direttiva UE 30 giugno 2019, n. 1023, capo 2°, art. 5.
[3] 
L’evoluzione della legislazione francese in tema di crisi d’impresa ha destato sempre il mio interesse, inducendomi ad occuparmene in alcuni scritti (A. Jorio, La nuova legge francese sull’insolvenza: “ca ira, ca ira, ca ira, les creanciers on les pendrà!”, in Giur. comm., 1986, I, 625 ss.; ID., La riforma delle leggi francesi sull’insolvenza: un modello da imitare?, ivi, 1995, I, 698 ss.). Per le successive evoluzioni si possono consultare G. Carmellino, Le droit francais des entreprises en difficulté e i rapporti con la nuova normativa europea, in Fallimento, 2015, 1057 ss.; e, se si ha tempo, A. Jorio, Legislazione francese, raccomandazione della Commissione europea, e alcune riflessioni sul diritto interno, ivi, 1070 ss. Sulla procedura di sauvegarde v. il breve ma autorevole scritto di Y. Chaput, Profili comparatistici. Le droit francais de la sauvegarde des entreprises, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli, F. P. Luiso, E. Gabrielli, Torino, Giappichelli, 2016, vol. V, 177 ss. Sull’interessante procedura di sauvegarde accelerata v. R. Damann – P. Schneider, La sauvegarde financiere accelerée – analyse et perspectives d’avenir, in Recueil Dalloz, 2011, 1429 ss.; M. Menjucq, Adoption de la «sauvegarde financiere accelerée»: consecration du «prepackaged plan» en droit francais, in Revue des procedures collectives, nov./de c. 2010.6; N. Couturier, Les creanciers et la sauvegarde financiere de l’entreprise en difficulte´, in Bulletin Joly Societes, 2010, 683 ss.; R. Damann  - G. Podeur, Sauvegarde financiere express: vers une consecration legislative du ‘prepack a` la francaise, in Recueil Dalloz, 2010, 2005 ss.; F. X. Lucas, Le plan de sauvegarde apprete´ ou le prepacked plan a` la francaise, in Cahiers de droit de l’entreprise, 2009/5, 35 s.
[4] 
A. Jorio, Alcune riflessioni sulle misure urgenti: un forte vento di maestrale soffia sulla riforma, in dirittodellacrisi.it.
[5] 
Procura Generale della Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione, Il ruolo del pubblico ministero nella crisi d’impresa tra legge fallimentare Codice della crisi e dell’insolvenza e decreto-legge n. 118/2021, 17 novembre 2021, d’ora in poi il Documento.
[6] 
“Nel quadro di detta concezione e delle finalità dell’intervento del P.M. sembra dunque necessario che questo si spogli delle sue vesti puramente penalistiche ed eserciti le funzioni per lui previste dal codice della crisi allo scopo di garantire il buon andamento dell’economia e della legalità nello svolgimento della risoluzione della crisi di impresa che deve mirare alla conservazione dell’impresa, compatibilmente con la tutela di tutti gli altri interessi coinvolti. Il P.M. è chiamato a riflettere ed a porre la propria attenzione sia alle situazioni imprenditoriali di difficoltà (di preinsolvenza), sia a quelle avviate ad una regolazione concordata, sia alla liquidazione, muovendosi in una prospettiva di compatibilità tra esigenze punitive e di perseguimento dell’interesse generale anche attraverso il risanamento delle imprese. Le nuove previsioni legislative contenute nel CCII devono stimolare gli uffici di Procura ad un profondo rinnovamento culturale, e dall’adozione di quelle misure organizzative, che consentano ai singoli magistrati del Pubblico Ministero l’esercizio corretto e tempestivo delle loro prerogative in tema di controllo di legalità sulle dinamiche del sistema economico, favorendo ad un tempo l’efficacia della attività investigativa sul crimine economico ed il recupero di efficienza delle procedure concorsuali sia sotto il profilo della tutela del credito che della conservazione degli assets aziendali, profili che sono profondamente correlati alla tempestività della rilevazione della crisi d’impresa. In definitiva poiché è facilmente prevedibile che l’entrata in vigore del CCII determinerà un significativo aumento delle segnalazioni per l’esercizio dell’azione volta alla apertura della procedura di liquidazione giudiziale, alcune delle quali, come detto, avranno un carattere particolarmente ‘precettivo’, appare necessario non soltanto che gli uffici delle procure si attrezzino in questa prospettiva, ma anche che testino da subito la loro capacità di risposta a legislazione invariata” (così il Documento, p. 9).
[7] 
Seppure con l’esigenza di un’accurata “attività di ‘filtro’ delle segnalazioni […] al fine di scongiurare il rischio che l’obbligo di segnalazione ex art. 22 CCII costituisca un serio disincentivo al ricorso alla procedura di composizione assistita della crisi”(così il Documento, cit., p.16).
[8] 
“É facile prevedere che, soprattutto nei primi mesi di applicazione dell’istituto, sarà piuttosto elevato il numero di imprenditori che ricorreranno alla composizione negoziale della crisi. In caso di archiviazione della procedura per insolvenza irreversibile, l’assenza di un meccanismo di segnalazione autonomo, endogeno al procedimento, rappresenta sicuramente un profilo di grande criticità, che rende evidente come l’istituto non rappresenti una compensazione integrale dell’accantonamento delle procedure di allerta e composizione della crisi del CCII con riferimento alla tempestiva emersione dell’insolvenza. Tempestiva emersione che dipenderà esclusivamente, come detto, dalle segnalazioni degli organi giudiziari il che rende evidente l’assoluta indifferibilità dell’adozione di protocolli che assicurino un flusso di informazioni adeguate tra tribunali e procure della repubblica” (così il Documento, cit., p. 20). Ripropone questi rilievi M. Vitiello, La spinta per una precoce soluzione della crisi d’impresa ed il ruolo del pubblico ministero nell’accertamento dell’insolvenza; in il Fallimentarista.it, 6 dicembre 2021, per il quale “manca una norma di ‘chiusura del cerchio’ che conduca all’interessamento del pubblico ministero, unico organo pubblicistico tenuto a valutare nell’interesse collettivo se la situazione oggetto della segnalazione sia tale da consentire all’imprenditore interessato di restare sul mercato, o da rendere necessaria l’apertura di una procedura concorsuale liquidatoria”. Analogo problema viene indicato “a proposito della previsione di cui all’art. 15 del decreto legge convertito che, nel prescrivere l’obbligo per l’organo di controllo di segnalare tempestivamente all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza per la composizione negoziata della crisi e la nomina dell’esperto e di assegnare un termine non superiore a trenta giorni perché il destinatario della segnalazione riferisca in ordine alle iniziative intraprese, nulla prevede per l’ipotesi in cui il termine assegnato trascorra senza che l’organo amministrativo abbia segnalato alcunché”. 
[9] 
Mi sia consentito rinviare ancora a A. Jorio, Alcune riflessioni, cit.
[10] 
Così il Documento, cit, p. 20.
[11] 
Su questi temi cfr. ora F. De Santis, Le misure protettive e cautelari nella soluzione negoziata delle crisi d’impresa, in Fallimento, 2021, 1540 s.

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