Saggio
Correttivo ter e accesso alle procedure di sovraindebitamento: la toppa è peggio del buco?*
Luigi Nannipieri, Consigliere della Corte d’Appello di Firenze
4 Novembre 2024
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Sommario:
In questo breve scritto, ritornando in larga misura su questioni già affrontate, cercherò di spiegare perché, a mio avviso, in tema di accesso alle procedure di sovraindebitamento, i recenti “correttivi” del D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 rischiano, sotto alcuni profili, di porre delle “toppe” peggiorative alla disciplina previgente e, sotto altri profili, non “rattoppano” dove invece era necessario ed era stato espressamente richiesto.
Il tema è quello del sovraindebitamento della persona fisica, che ha caratteristiche in qualche modo peculiari.
La persona fisica è necessariamente un consumatore ed in tale veste non può non contrarre obbligazioni; eventualmente possono cumularsi anche debiti di natura diversa, in relazione ad una concorrente attività imprenditoriale o professionale, presente o passata, esercita direttamente o meno. I debiti “civili” o “consumeristici” accompagnano quindi necessariamente il soggetto nell’arco di tutta la sua esistenza; i debiti “commerciali” o comunque “non consumeristici” possono sommarsi, con una certa frequenza, anche a prescindere dall’iscrizione nel registro delle imprese quale imprenditore individuale.
Per la persona fisica, a differenza delle società, la cancellazione dal registro delle imprese non determina poi la “estinzione”: il soggetto sopravvive e può svolgere altre attività (lavoratore dipendente, iniziare una attività libero-professionale od anche una diversa e nuova attività imprenditoriale, rimanere disoccupato comunque consumatore, etc).
La persona fisica può quindi contrarre debiti di natura eterogenea, svolgere attività diversificate, in contemporanea ed in successione nel tempo, comunque non cessando mai di agire almeno quale consumatore.
Ad un indebitamento eventualmente promiscuo e di varia origine corrisponde però un patrimonio necessariamente unico, sul quale tutti i creditori, consumeristici e non, possono e debbono soddisfarsi.
Già nella previgente legge fallimentare era stato chiarito che per l’insolvenza dell’imprenditore individuale rilevano indifferentemente sia i debiti “commerciali” che quelli “civili”, ovvero “consumeristici”, contratti per scopi estranei all’attività imprenditoriale svolta[1]; il fallimento interessava però (come l’attuale liquidazione giudiziale) solo l’imprenditore e poteva essere richiesto entro i limiti temporali dell’art. 10, correlati specificatamente alla cessazione dell’attività di impresa.
Per la liquidazione controllata disciplinata dal CCII la prospettiva è parzialmente diversa: se il debitore persona fisica non è soggetto alla liquidazione giudiziale il creditore può richiedere la liquidazione controllata senza che assuma alcun rilievo non solo l’origine del suo credito ma anche la qualifica soggettiva del debitore sovraindebitato, che in quel momento può essere semplice consumatore, consumatore e imprenditore minore, consumatore e libero professionista, consumatore e fideiussore non consumatore, etc.
Il sovraindebitamento e la correlata liquidazione controllata hanno infatti natura residuale, interessando “ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale” ex art. 2, lettera c), CCII[2].
Una razionale disciplina delle procedure di sovraindebitamento percorribili in alternativa alla liquidazione controllata dovrebbe necessariamente tenere conto di tali oggettive particolarità del debitore persona fisica: la relativa frequenza di un indebitamento “misto”; la continua possibilità, sino alla morte, di trovarsi in una situazione di sovraindebitamento, sia per debiti contratti quale mero consumatore (per i quali non è ipotizzabile una “cessazione dell’attività” se non, appunto, con il decesso), sia per debiti non consumeristici.
Unico il patrimonio ed unica anche la procedura che può essere richiesta[3].
Il CCII ha strutturato le procedure di sovraindebitamento diverse dalla liquidazione controllata in modo rigidamente alternativo: la ristrutturazione ex art. 67 può essere chiesta dal consumatore; il concordato minore ex art. 74 dagli altri sovraindebitati, “escluso il consumatore”[4].
In tale sistema rigidamente alternativo (consumatore/non consumatore) una prima questione interpretativa che si è posta è stata quella di qualificare le situazioni “grigie”, di indebitamento “misto” [5]. Seconda questione, distinta ma collegata, riguarda la sorte dell’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese e la possibilità di accesso al concordato minore nella forma liquidatoria in relazione al disposto dell’art. 33, comma 4, CCII come modificato dal D.Lgs. 26 ottobre 2020 n. 147 [6].
Questi, nell’ambito dell’accesso alle procedure di sovraindebitamento, erano due “buchi” che meritavano di essere “rattoppati” al meglio dal legislatore delegato-correttore.
Il D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136 è intervenuto in modo diretto sulla prima questione, modificando la nozione di consumatore; ha scelto deliberatamente di non intervenire sulla seconda questione, nonostante entrambe le commissioni parlamentari avessero chiesto di modificare l’art. 33, comma 4; ha invece introdotto, nello stesso art. 33, una nuova disciplina dei tempi per l’apertura della liquidazione controllata[7].
Tutte e tre queste scelte si prestano, secondo me, a considerazioni critiche.
Prima del 29 settembre 2024[8] poteva discutersi, ora no: per il legislatore quel soggetto non è un consumatore, non può accedere alla ristrutturazione dei debiti ex art. 67 CCII.
L’art. 1, comma 1, lettera a) del correttivo ter modifica la definizione di consumatore, specificando che lo stesso può accedere “agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” (solo) “per debiti contratti in tale qualità”[9].
Il riferimento agli “strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza” risulta impreciso, posto che, stando alla stessa definizione normativa, si tratta di “misure”, “accordi”, “procedure” “diversi dalla liquidazione”, ma in ogni caso con una finalità di “risanamento dell’impresa” che è ontologicamente estranea alla figura del consumatore[10]; peraltro si trattava di disciplinare in sostanza l’accesso ad una sola procedura alternativa alla liquidazione controllata e forse era più corretto intervenire direttamente sull’art. 67 CCII piuttosto che sulla definizione generale.
In ogni caso l’intento è quello di chiarire che la procedura “di favore” del piano di ristrutturazione è riservata in via esclusiva ai debiti interamente consumeristici; nella relazione illustrativa[11] si legge che si è voluto “esplicitare il principio secondo il quale solo i debiti contratti al di fuori di un'attività produttiva o professionale possono essere ristrutturati con il piano del consumatore” e che “la precisazione non nuoce alle ragioni dell'imprenditore e del professionista che si trovano in stato di sovraindebitamento sia per debiti legati all'attività svolta sia per debiti contratti al di fuori di essa. Essi, infatti, possono ristrutturare i propri debiti tramite lo strumento del concordato minore nel quale i creditori, spesso rappresentati da altre imprese, trovano una maggiore tutela tramite il voto e nell'ambito del giudizio di omologazione”.
Questo intervento, presentato quale una mera “precisazione”, in realtà ridisegna profondamente la struttura di fondo delle procedure di sovraindebitamento, configurando il piano ex art. 67 CCII su basi “oggettive” in modo integrale (se non “integralista”), correlate solo alla pregressa situazione debitoria che deve essere “pura” e prescindendo in qualche modo dalla effettiva realtà “soggettiva” del ricorrente al momento di presentazione della domanda: pretendere che i debiti da ristrutturare siano al 100% consumeristici comporta l’irragionevole esclusione di una serie di soggetti che possono anche essere, in quel momento, concretamente ed effettivamente al di fuori da qualsiasi contesto imprenditoriale o professionale e “nuoce” gravemente alle loro ragioni, perché nella migliore delle ipotesi li costringe ad un concordato minore liquidatorio (con necessità di apportare “risorse esterne che incrementino in misura apprezzabile l’attivo disponibile”[12]), nella peggiore, precluso anche il concordato minore, li “condanna” alla liquidazione controllata, con perdita inevitabile anche della casa di abitazione .
La “precisazione” del correttivo ter si pone poi in assoluta controtendenza, sia rispetto a precedenti scelte compiute dal legislatore italiano proprio in tema di sovraindebitamento (orientate all’accesso alle procedure secondo un criterio non di assolutezza ma di “prevalenza”), sia rispetto alle indicazioni provenienti dalla legislazione e giurisprudenza unionale (secondo le quali la qualifica di protezione del consumatore ben può essere mantenuta anche in presenza di una “contaminazione” commerciale, purché “limitata e non prevalente”).
Il D.L. 22 dicembre 2011 n. 212, poi “sorpassato” in sede di conversione dalla legge 27 gennaio 2012 n. 3, all’art. 1, lettera b) definiva il sovraindebitamento del consumatore come quello dovuto “prevalentemente all'inadempimento di obbligazioni contratte dal consumatore, come definito dal codice del consumo”. Nel testo iniziale del disegno di legge di delega per il codice della crisi tra i criteri direttivi per la scelta delle procedure di sovraindebitamento in caso di obbligazioni contratte a diverso titolo era indicato anche quello della “prevalenza”[13].
Nei “considerando” di varie direttive unionali si specifica che la qualifica di consumatore dovrebbe essere mantenuta anche quando la singola obbligazione sia stata contratta per scopi promiscui, purché “lo scopo commerciale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale”[14]; l’indicazione dei “considerando”, di per sé non vincolante, è stata recepita ed accolta nella giurisprudenza della Corte di Giustizia [15].
Nel testo definitivo della legge delega 155/2017 non vi sono principi e criteri direttivi specifici in ordine alla nozione di consumatore; il legislatore delegato, anche in sede di correttivo, così come ha introdotto la citata “precisazione”, ben poteva, all’opposto, chiarire in quali limiti era possibile ristrutturare ex art. 67 CCII anche debiti non interamente consumeristici; a tal fine poteva richiamare clausole generali (“prevalenza”, “limitatezza e non predominanza”) ed affidarsi al prudente apprezzamento del giudice della fattispecie complessiva oppure specificare in dettaglio una misura percentuale, altre concorrenti od alternative condizioni (ad esempio il tempo trascorso da precedenti attività imprenditoriali e professionali svolte, etc) .
“Precisare” che la massa debitoria deve necessariamente essere al 100% consumeristica secondo me è inopportuno e controproducente: si tagliano fuori soggetti che sono, nella realtà socio-economica, veri consumatori; si procede in controtendenza rispetto alle indicazioni, anche se generali e non vincolanti, dell’ordinamento unionale; la integralista richiesta di “purezza” rischia poi di alimentare condotte scorrette (ad esempio potrebbe indurre a soddisfare in via prioritaria e preferenziale solo i pregressi debiti commerciali, in modo da poter poi presentare il piano ex art. 67 CCII vantando la richiesta purezza ma con risorse fortemente già pregiudicate, in danno dei creditori “civili”).
In sostanza l’imprenditore individuale, anche sotto soglie, se intende cessare l’attività, deve necessariamente estinguere i propri debiti, in ipotesi tramite concordato minore liquidatorio prima della cancellazione dal registro delle imprese; dopo non potrà in alcun caso inserire i debiti commerciali, anche se marginali, in un piano di ristrutturazione del consumatore ex art. 67 CCII né potrà più accedere al concordato minore.
Può tuttavia accadere che la situazione di sovraindebitamento maturi incolpevolmente solo dopo la cancellazione dal registro delle imprese: il soggetto, ad esempio, confidava ragionevolmente di poter far fronte ai debiti commerciali pregressi anche attraverso il nuovo congruo stipendio da lavoratore dipendente, ma poi è stato licenziato per malattia o riduzione del personale. Vi è poi la massa dei “vecchi” ex imprenditori che all’epoca della risalente cancellazione neppure potevano avanzare domande di concordato minore. Sono tutti “condannati” alla liquidazione controllata?
Pure in tale ambito una disciplina irragionevolmente penalizzante rischia di incentivare condotte non corrette, ad esempio per l’imprenditore individuale sotto soglie a questo punto diventa conveniente, pur a fronte della cessazione di fatto dell’attività, non cancellarsi dal registro delle imprese e così mantenere aperta la via alternativa del concordato minore.
Anche per rimediare a tali incongruenze un orientamento della giurisprudenza di merito aveva ritenuto che la preclusione al concordato minore prevista dall’art. 33, comma 4, fosse riferita, in realtà, al solo imprenditore societario, che si estingue con la cancellazione ex 2495 c.c. e non all’imprenditore persona fisica[16]. Altra parte della giurisprudenza di merito riteneva invece non praticabile tale interpretazione, contraria al tenore testuale della disposizione[17].
Il correttivo ter ha ulteriormente complicato le cose:
a) ha aggravato o, meglio, ampliato l’estensione soggettiva del problema, posto che la “precisazione” in tema di consumatore necessariamente “puro” ha escluso la via di fuga del piano di ristrutturazione ex art. 67 CCII anche nell’ipotesi in cui i precedenti debiti della cessata attività imprenditoriale siano minoritari, limitati[18];
b) ha inserito nell’art. 33 ulteriori riferimenti all’imprenditore individuale, anche cancellato (vedi il nuovo comma 1 bis) e questo rafforza l’argomento testuale secondo il quale quando invece nella stessa disposizione di parla generalmente di “imprenditore”, si intende tanto l’imprenditore individuale che quello societario[19];
c) (soprattutto) entrambe le commissioni parlamentari nei pareri resi avevano espressamente richiesto che la preclusione al concordato minore fosse limitata alle sole imprese societarie minori[20] ed il legislatore delegato si è rifiutato di farlo, spiegando nella relazione: “tale precisazione non può essere inserita in quanto dopo la cancellazione dell’impresa dal registro delle imprese non può essere consentito il ricorso a strumenti quali il concordato minore, che presuppongono l’esistenza di un’attività imprenditoriale. L’esigenza di consentire al debitore persona fisica di esdebitarsi in questi casi è ampiamente soddisfatta dalla possibilità di chiedere la liquidazione controllata, se vi è attivo da liquidare, o la esdebitazione del debitore incapiente, se non vi è patrimonio da destinare ai creditori”.
Entrambe le argomentazioni della relaziona illustrativa sono tuttavia destituite di fondamento, non colgono nel segno.
La prima dimentica che il concordato minore può essere sia in continuità che liquidatorio e non vi è alcuna contraddizione od incompatibilità tra la scelta di cessare l’attività imprenditoriale, eventualmente cancellandosi anche dal registro delle imprese, e la successiva richiesta di concordato minore (ovviamente non in continuità ma) liquidatorio.
La seconda non coglie i profili di illegittimità, che attengono non al contrasto con la normativa unionale ed alla possibilità comunque di conseguire per altra (unica) via l’esdebitazione, bensì all’irragionevolezza intrinseca ed alla disparità di trattamento con altri sovraindebitati in situazione sovrapponibile.
In un sistema nel quale la liquidazione (giudiziale ma anche controllata) è costruita come extrema ratio risulta irragionevole precludere al debitore persona fisica, che vuole “rifarsi una vita” dopo la cancellazione del registro delle imprese, di sottoporre al voto dei creditori una proposta alternativa alla liquidazione, con incremento dell’attivo disponibile e magari mantenimento della abitazione principale[21].
Evidente poi è la disparità di trattamento rispetto ad altri soggetti in situazioni sovrapponibili: perché mai l’ex libero professionista[22], il socio illimitatamente responsabile di una società cancellata da oltre un anno[23], l’imprenditore irregolare[24], il fideiussore non consumatore[25] ed altri debitori “promiscui” possono avere l’opportunità di accedere (oltre che alla liquidazione controllata anche) al concordato minore, in ipotesi per loro maggiormente favorevole mentre l’ex imprenditore individuale no ? A fronte di una stessa situazione di indebitamento misto, nell’ambito della variegata e residuale categoria di “ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale”, il mero dato formale della cancellazione dal registro delle imprese certo non può giustificare razionalmente disparità di trattamento ex art. 3 della Costituzione[26].
Posto che il legislatore, nonostante le indicazioni di parte della dottrina e della giurisprudenza e la richiesta esplicita delle commissioni parlamentari, si è rifiutato di porre la “toppa” (questa sì veramente necessaria ed utile) non resta, allo stato, che rivolgersi al giudice delle leggi.
Nella relazione illustrativa è spiegato che si è voluto eliminare “una disparità di trattamento particolarmente evidente per le imprese minori” al contempo inserendo “una deroga al limite annuale per l’imprenditore individuale al fine di agevolarne l’esdebitazione, in coerenza con i principi della direttiva Insolvency”.
La disposizione che limita la possibilità di richiedere la liquidazione controllata “entro un anno dalla cessazione dell’attività”, per come testualmente formulata, sembrerebbe avere portata generale, ovvero riferirsi a tutte le ipotesi di sovraindebitamento. In realtà a me sembra che sia stata (erroneamente) concepita solo con riferimento alla attività imprenditoriale e dimenticandosi che per la liquidazione controllata del debitore persona fisica (a differenza di quella giudiziale) la qualifica di imprenditore (anche cessato) non assume rilievo.
In primo luogo, come già esposto, una persona fisica è comunque, inevitabilmente (almeno anche) un consumatore e non cessa mai di agire e contrarre obbligazioni in tale qualità se non con la morte, quindi una “cessazione dell’attività” di consumatore (che può di per sé condurre alla liquidazione controllata) non è ipotizzabile; il debitore persona fisica, cessata l’attività imprenditoriale e cancellato dal registro delle imprese, continuerà comunque ad operare, contraendo in ipotesi nuovi debiti, come disoccupato, lavoratore dipendente, libero professionista e magari anche nuovo e diverso imprenditore.
Quindi cosa dovrebbe concretamente accadere per un imprenditore individuale cancellato e ovviamente “sopravvissuto” in altra veste da oltre un anno?
Non può proporre un piano del consumatore anche se i debiti “commerciali” residui sono magari pochi e marginali (prima “toppa”, non opportuna, del correttivo ter); non può richiedere il concordato minore liquidatorio (qui era stata richiesta una opportuna “toppa” ma è stata rifiutata); può però chiedere la liquidazione controllata in proprio.
Ma la richiesta di liquidazione controllata “a tempo” da parte dei creditori come sarebbe disciplinata dall’altra “toppa” inserita al comma 1 dell’art. 34? La preclusione riguarderebbe le domande di apertura presentate dai creditori commerciali ante cancellazione oppure da tutti i creditori anteriori, pure quelli “civili”- “consumeristici” ?
In ogni caso a me pare che nessuna preclusione potrebbe ipotizzarsi per i creditori, “consumeristici” o no, “nuovi” e sopravvenuti, ovvero in relazione ai debiti inevitabilmente contratti anche nella vita dopo la cancellazione dal registro. Nell’ambito della liquidazione legittimamente aperta su richiesta dei nuovi creditori sopravvenuti si aprirebbe poi comunque il “concorso” anche con i precedenti creditori ante cancellazione, “commerciali” e non.
Insomma: per il debitore persona fisica che, cessata l’attività imprenditoriale (o professionale), continua comunque ad esistere, ad operare ed anche a contrarre nuovi debiti almeno come semplice consumatore la limitazione temporale per la richiesta di liquidazione controllata a me appare priva di senso.
Per la liquidazione giudiziale (come già per il fallimento) la cessazione dell’attività imprenditoriale determina il venir meno dello stesso presupposto soggettivo, per la liquidazione controllata del debitore persona fisica la cessazione dell’attività imprenditoriale (o professionale) non determina il venir meno del presupposto soggettivo: rimane in ogni comunque un soggetto sovraindebitato, che continua ad agire.
Peraltro questo intervento sull’art. 33 rischia di generare ulteriori aporie ed insanabili contraddizioni: ad esempio il libero professionista che ha cessato la propria attività da oltre un anno non potrebbe chiedere la liquidazione in proprio per i precedenti debiti commerciali, perché, stando al tenore testuale delle disposizioni, gli si applicherebbe la regola generale del comma 1 ma non la deroga del comma 1 bis, posto che non vi è stata “cancellazione dell’impresa individuale”.
In realtà la limitazione temporale per la richiesta di liquidazione controllata ha una ragionevole giustificazione, anche di parità di trattamento con le imprese “sopra soglie”, solo ed esclusivamente per le imprese (non individuali ma) societarie, che non hanno debiti “consumeristici e che si estinguono con la cancellazione ex 2495 c.c., con impossibilità di “rifarsi una vita” e contrarre nuove obbligazioni.
A questo punto è auspicabile un intervento maggiormente ponderato, con i tempi e gli approfondimenti propri della legge ordinaria, che magari riveda la nozione di consumatore in maggiore aderenza alle indicazioni dell’ordinamento unionale, superi la rigida struttura alternativa delle procedure di sovraindebitamento diverse dalla liquidazione controllata (una procedura “generale”, accessibile a prescindere dalla qualifica soggettiva e natura dei debiti faciliterebbe certamente l’accesso ed eviterebbe il rischio di inammissibilità “incrociate”), comunque differenzi in modo ragionevole la disciplina del sovraindebitamento del debitore persona fisica da quella delle imprese societarie minori, posto che alcune regole opportune od addirittura costituzionalmente imposte per le imprese minori societarie (quali l’esclusione dal concordato anche liquidatorio a seguito di cancellazione dal registro delle imprese oppure la limitazione temporale per la richiesta di liquidazione controllata in parallelo con quanto previsto per la liquidazione giudiziale) non vanno invece bene per il debitore persona fisica.
Note: