Saggio
Consumatore e sovraindebitamento misto*
Luigi Nannipieri, Consigliere Corte Appello Firenze
19 Aprile 2024
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Sommario:
Dinanzi al giudice può infatti presentarsi un sovraindebitato con massa debitoria mista[2], “grigia”, variamente composta da debiti consumeristici “bianchi” e da debiti “commerciali” “neri”. Posto che la procedura da seguire, a mio avviso, può che essere una sola, perché unico è il patrimonio, sul quale tutti i creditori, bianchi e neri, debbono potersi soddisfare in condizioni di parità ex artt. 2740, 2741 c.c.[3], cosa fare? Che qualifica attribuire a questo soggetto?
Una prima, radicale, soluzione potrebbe essere quella di puntare tutto, in modo oggettivo e con lo sguardo rivolto al passato, alla purezza assoluta della massa: solo chi ha debiti consumeristici al 100%, bianco candido, è vero consumatore, tutti gli altri non lo sono, anche se il “sacco” delle passività che si portano dietro è solo debolmente grigio ed indipendentemente dalla attività che svolgono attualmente [4].
Opposta ma parimenti radicale soluzione potrebbe essere quella di puntare tutto in chiave soggettiva ed al presente: non importa se il sacco delle passività che porti è grigio, magari scuro; adesso, quando proponi il tuo piano, sei ormai uscito dal mercato imprenditoriale-professionale, ora hai comunque indossato i panni bianchi del consumatore; se vuoi ripartire con questi panni la procedura giusta per il tuo “fresh start” è comunque quella dell’art. 67 CCII[5].
Entrambe queste soluzioni (non semplici ma solo) semplicistiche conducono ad approdi insoddisfacenti ed iniqui: il grigio chiaro non è equiparabile al nero[6]; il sacco grigio scuro non può essere nascosto solo rivestendosi di bianco, magari strumentalmente[7].
In un sistema normativo in bianco e nero occorre trovare una chiave interpretativa assennata per classificare le sfumature di grigio che si presentano nel mondo reale.
Tuttavia le medesime, esatte parole, inserite in contesti sistematici diversi ed utilizzate per differenti finalità applicative possono assumere significati non sovrapponibili[9].
Parecchi e non trascurabili sono, in effetti, gli elementi di eterogeneità; tra i più significativi:
a) il consumatore del codice del consumo è una “nozione fondamentalmente relazionale, nel senso che è tale chi agisce in quanto parte di un rapporto istituito con un altro soggetto: il ‘professionista”[10]; nel sovraindebitamento il consumatore è invece tale anche a prescindere da relazioni con professionisti: i debiti ben possono derivare da obbligazioni assunte con altri consumatori (ad esempio canoni di locazione da corrispondere ad un privato) oppure avere origine non contrattuale (risarcimento danni, etc): il consumatore del CCII non è la necessaria controparte del professionista ma, più in generale, un soggetto che agisce al di fuori dell’ambito imprenditoriale, professionale[11];
b) il consumatore del codice del consumo quando agisce in giudizio lo fa con un oggetto ed uno scopo esattamente corrispondenti alla singola, pregressa obbligazione contratta e per la quale è sorta controversia; il consumatore sovraindebitato quando propone un piano di ristrutturazione relativo ad una massa di debiti agisce in giudizio per uno scopo sostanzialmente diverso rispetto a quello per il quale tali debiti sono stati a suo tempo assunti, guardando più al futuro che al passato, come positivamente testimoniato dalle stesse nozioni di crisi ed insolvenza, strutturate con proiezione prospettica in avanti[12] e considerata la preminente finalità esdebitatoria[13];
c) la definizione di consumatore del codice del consumo deriva dalla legislazione unionale quindi deve essere interpretata in modo euroconforme; per il consumatore sovraindebitato manca allo stato una legislazione unionale di riferimento: la direttiva insolvency 2019/1023, come chiarito espressamente dall’art. 2, comma secondo, lettera h), non si applica a “una persona fisica diversa da un imprenditore”, anche se nei “considerando” si sottolinea che il sovraindebitamento del consumatore rappresenta “un problema di grande rilevanza economica e sociale” e si invitano gli Stati e la Commissione a provvedere[14] .
Pur dovendosi considerare queste ed altre innegabili differenze di contesto e finalità, la perfetta identità testuale delle definizioni e la dichiarata intenzione del legislatore di ancorare la nozione del CCII a quella del codice di consumo non possono non indurre a verificare quali sono le soluzioni che sono state adottate per l’“euroconsumatore” e valutare se possano essere utili ed attagliarsi in qualche modo anche al debitore sovraindebitato.
La Corte di Giustizia ha avuto modo di occuparsi, in alcune pronunzie, della possibilità di riconoscere la qualifica di consumatore in caso di obbligazione contratta con “scopo promiscuo”. La sentenza più significativa e recente è relativa ad un rinvio pregiudiziale del Tribunale di Varsavia sull’interpretazione dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori[15].
Il caso aveva ad oggetto un mutuo contratto congiuntamente da due soggetti, uno imprenditore e l’altro no; il 35% circa delle somme mutuate era destinato a estinguere debiti dell’attività di impresa di uno dei mutuatari, il restante 65% era destinato a fini di consumo (acquisto-ristrutturazione dell’immobile destinato ad abitazione del soggetto non imprenditore, etc); il giudice polacco chiedeva se in tale contesto la parte mutuataria poteva o meno qualificarsi consumatore.
La Corte nella motivazione ricorda che in varie direttive, sia pure solo a livello di “considerando”, è contenuta la seguente indicazione: “qualora il contratto sia concluso per fini che parzialmente rientrano nel quadro delle attività commerciali della persona e parzialmente ne restano al di fuori e lo scopo commerciale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale del contratto, la persona in questione dovrebbe altresì essere considerata un consumatore”[16]; condivide poi le conclusioni dell’Avvocato generale secondo le quali “la natura imperativa delle disposizioni contenute nella direttiva 93/13 e le particolari esigenze di tutela del consumatore ad esse connesse richiedono che sia privilegiata un’interpretazione estensiva della nozione di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), di tale direttiva, al fine di garantire l’effetto utile di quest’ultima”.
La Corte si preoccupa di spiegare come la scelta di adottare il criterio interpretativo suggerito dai “considerando” (“limitatezza-non predominanza” dello scopo commerciale) non determini contrasto con precedenti sentenze nelle quali era stato indicato il più restrittivo canone della “marginalità- trascurabilità”[17], posto che allora la questione era diversa ed aveva ad oggetto il foro del consumatore, quale regola a carattere sostanzialmente eccezionale, nell’ambito di esigenze di certezza e prevedibilità del giudice competente[18].
Infine sono fornite al giudice del rinvio alcune indicazioni concrete: occorre “tener conto di tutte le circostanze del caso”, sulla base di criteri non solo “quantitativi” ma anche “qualitativi”[19].
Il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore rappresenta, come indicato nella relazione illustrativa, una “una procedura di particolare favore in quanto consente al debitore di sottrarsi al giudizio e all’approvazione dei creditori”; ha una finalità di speciale protezione di quel soggetto, analogamente alle previsioni in tema di clausole abusive, ma non mi pare che possa essere connotata in termini di “eccezionalità” o correlata ad esigenze di certezza del diritto, come avviene per le regole in tema di foro del consumatore.
Tra i due parametri in precedenza richiamati appare quindi più corretto recepire, in linea di massima, quello leggermente più ampio ed inclusivo.
In sintesi, traendo le fila del discorso, potrebbe sostenersi che il piano di ristrutturazione possa avere ad oggetto, in parte, pure debiti derivanti da una attività imprenditoriale o professionale o comunque non consumeristici, purché in forma “limitata e non predominante” (il grigio deve essere chiaro, non scuro), avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, che dovranno essere vagliate complessivamente dal giudice, in base a criteri non solo quantitativo-percentuali, ma anche qualitativi; tra quest’ultimi potrebbero indicarsi: l’attuale condizione soggettiva del debitore (conta principalmente la composizione ed il colore del “sacco” delle passività, ma, “nel contesto generale”, un rilievo deve essere attribuito pure al colore attuale della veste di chi porta con sé il sacco e se ne vuole liberare); la collocazione temporale delle obbligazioni (con il passare del tempo il nero sbiadisce un po’; se la veste bianca del consumatore è indossata da tanto tempo è difficile che si tratti di un mascheramento), la loro “qualità”, ovvero fonte e natura (ad esempio: è vero che avevo una “partecipazione di rilievo” nella società per la quale avevo prestato fideiussione e quindi quel consistente debito non può considerarsi “consumeristico”, ma ero comunque un mero socio di capitali); la composizione del patrimonio, quando e con quali risorse sono stati acquisiti i beni (prima di tutto l’abitazione), etc.
Il carattere se non eccezionale almeno “di particolare favore” del piano di ristrutturazione e l’indicazione normativa dell’art. 66 CCII in merito al concordato minore per le procedure familiari “miste”[20] potrebbero poi fondare la regola (sull’onere della prova e quindi) di giudizio finale per i casi dubbi: se c’è irrisolvibile incertezza la domanda di ristrutturazione fondata sulla dedotta qualifica di consumatore non può trovare accoglimento.
In ogni caso è opportuno sottolineare che, come già esposto, il giudice, per giungere a conclusioni aderenti alla effettiva natura del sovraindebitamento, non può limitarsi a soppesare unicamente il dato oggettivo, ovvero la quantità e percentuale di debiti dell’uno e dell’altro tipo, ma, utilizzando le espressioni della Corte di Giustizia, è tenuto ad apprezzare il complessivo “contesto”, nel quale risultano “pertinenti” anche i concorrenti criteri soggettivi, qualitativi, temporali, che possono rivelarsi determinanti nel far pendere la bilancia da un certo lato.
Classificare una tonalità di grigio, assimilandola al bianco oppure al nero, comporta sempre un certo margine di opinabilità e, pur con l’adozione di criteri di massima (si spera in progressivo affinamento e condivisione), il rischio è che una stessa situazione sia apprezzata diversamente a seconda della visione dell’osservatore, ma credo che il vecchio, classico “prudente apprezzamento del giudice” sia allo stato indispensabile per riuscire ad incasellare con equilibrio nell’attuale rigido sistema normativo del CCII fattispecie concrete che nella realtà si presentano spesso sfumate e frastagliate.
Tutto questo, ovviamente, salvo prossimi “correttivi” del legislatore.
Note: