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Saggio

Il piccolo imprenditore individuale cancellato, l’ircocervo e l’art. 33, comma 4, CCII*

Luigi Nannipieri, Giudice della Corte di Appello di Firenze

26 Febbraio 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Lo scritto tratta dell’ex piccolo imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese, attuale consumatore ma con situazione debitoria “mista”, interrogandosi sulle possibilità di accesso di tale soggetto alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, questione sulla quale si registra un contrasto nella giurisprudenza di merito, originato anche dalla disposizione dell’art. 33, comma 4, CCII. 
Riproduzione riservata
1 . Introduzione. L’ircocervo al bivio
L’ex piccolo imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese ma con debiti derivanti anche dalla pregressa attività è una figura relativamente frequente nella realtà, ma nel sistema normativo delineato dal CCII rischia di assumere i connotati di un animale ibrido e fantastico, che non si sa bene dove collocare, un po’ come il mitico ircocervo. 
Non esercita più attività imprenditoriale ma, a differenza delle imprese societarie cancellate, non è “estinto”, continua per sua fortuna a vivere, anche se nel presente si è trasformato, (se non nella realtà giuridica almeno) nella realtà economica, in semplice consumatore: ora è lavoratore dipendente, pensionato o disoccupato e, assieme ai debiti che gli sono rimasti dalla cessata attività imprenditoriale, ha anche contratto nuovi debiti, questi esclusivamente consumeristici. 
Se questa massa di debiti “promiscui” determina uno stato di crisi od insolvenza cosa può fare? 
In generale in caso di sovraindebitamento, per evitare la liquidazione controllata, le strade sono due, rigidamente alternative a seconda della qualifica soggettiva: il consumatore può proporre il piano di ristrutturazione ex art. 67 CCII; tutti gli altri debitori non soggetti a liquidazione giudiziale possono invece proporre il concordato minore ex art. 74 CCII. 
Quale dei due sentieri può tentare di percorrere l’ircocervo?
2 . È un consumatore? Forse no, il passato conta
Una prima soluzione potrebbe essere quella di prendere atto che quel soggetto non è più, obbiettivamente, un imprenditore; almeno nel presente è una “persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale”; si potrebbe quindi sostenere che nel momento in cui deposita la proposta di ristrutturazione dei propri debiti, anche se promiscui, “agisce” in quel contesto ed in quel procedimento quale consumatore. 
La possibilità che l’ircocervo possa percorrere questo sentiero è oggetto di pronunzie di merito contrastanti. [1]. 
In effetti la definizione dell’art. 2, comma 1, lett. e) CCII in precedenza trascritta ha due caratteristiche: 1) è formulata in chiave soggettiva; 2) è declinata al presente. Non appare quindi del tutto implausibile una interpretazione per la quale la nozione di consumatore, come le altre qualifiche soggettive di debitore definite nella medesima disposizione (“professionista”, “impresa minore”, “imprenditore agricolo”, impresa soggetta a liquidazione giudiziale, etc), assuma rilievo con riferimento al momento in cui è proposta la relativa domanda di accesso alla procedura disciplinata dallo stesso CCII. 
La precedente definizione dell’art. 6 della legge 3/2012, nel testo risultante a seguito del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, era invece impostata, anche dal punto di vista testuale, in modo oggettivo ed al passato, essendo imperniata sulle “obbligazioni assunte”, con l’utilizzo pure dell’avverbio “esclusivamente” [2]. Peraltro, nel sistema della legge n. 3/2012 al soggetto con debiti promiscui, pur essendo precluso il piano del consumatore, era tuttavia consentito di percorrere, senza ostacoli, la via dell’accordo di ristrutturazione dei debiti 
Certamente una interpretazione quale quella in precedenza delineata, che, nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento, conducesse a qualificare attuale consumatore un soggetto che ha cessato l’attività imprenditoriale ma ha debiti ricollegabili a tale pregressa attività determinerebbe una cesura e frattura con le nozioni di consumatore (testualmente corrispondente: art. 3 D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206) e professionista ai fini del codice del consumo e dell’applicazione della relativa disciplina, pacificamente improntate sul momento dell’assunzione della singola obbligazione. Tuttavia, come è stato osservato, una stessa definizione ben può assumere una valenza ed un significato parzialmente diverso a seconda del contesto sistematico di riferimento e della specifica finalità applicativa[3].  Ai fini del codice del consumo un soggetto può essere, al contempo, di volta in volta, “consumatore” in un giudizio e “professionista” in un altro, a seconda dell’oggetto di tali giudizi; viceversa ai diversi fini della crisi da sovraindebitamento si rende opportuno se non necessario individuare un unico procedimento relativo all’intera situazione debitoria di quel soggetto, anche se promiscua, come del resto indicato anche dal legislatore unionale [4], quindi è più difficile ed opinabile “incasellare” un “ex professionista attuale consumatore”. 
La Corte di Appello di Firenze aveva utilizzato il nuovo strumento processuale dell’art. 363 bis c.p.c. per tentare di investire tempestivamente la Corte di Cassazione di questo problema interpretativo nuovo, relativamente complesso e risolto in modo difforme dai giudici di merito, ma la questione è stata dichiarata inammissibile con decreto della Prima Presidente[5]. 
Il valore nomofilattico dei decreti monocratici presidenziali ex 363 bis c.p.c. è quanto meno dubbio[6]; in ogni caso l’inammissibilità è stata motivata ritenendo la questione priva del requisito della novità: anche nel CCII, nonostante la modifica testuale della definizione normativa ed il diverso contesto sistematico (con mutati criteri di accesso alle procedure), dovrebbe ritenersi tuttora valido il principio di diritto già enunziato con riferimento al previgente art. 6 L. n. 3/2012 da Cass. Sez 1, 1 febbraio 2016, n. 1869, che, si ricorda nel decreto, “aveva dato delle indicazioni chiare sul fatto che chi inizia una procedura concorsuale ha qualifica di consumatore o di professionista in base alla natura delle obbligazioni che intende ristrutturare e che (evidentemente) sono state assunte in un passato più o meno recente, occorrendo perciò verificare all'indietro se - nel momento in cui sono state assunte - egli avesse agito come consumatore o professionista”.
3 . Ma allora può accedere al concordato minore liquidatorio?
Se l’ircocervo, a causa del suo “passato”, dovendosi “verificare all’indietro”, non può percorrere il sentiero del piano di ristrutturazione del consumatore, allora, verrebbe logicamente da concludere, gli deve essere consentito di imboccare l’altro percorso del concordato minore, aperto in via residuale ed alternativa a tutti gli altri debitori non soggetti a liquidazione giudiziale ex art. 74 CCII (“i debitori di cui all’art. 2, comma 1, lettera c) in stato di sovraindebitamento, escluso il consumatore” ). Ovviamente non si tratterebbe di un concordato minore in continuità, ma potrebbe comunque chiedere di “liquidare” in questo modo il fardello dei debiti anche imprenditoriali, sia pure pagando il “prezzo” di un “apprezzabile apporto di risorse esterne”. 
In realtà sul sentiero alternativo del concordato minore liquidatorio l’ircocervo troverà la strada sbarrata da un Cerbero che farà passare tutti i non consumatori sovraindebitati tranne lui: l’art. 33, comma 4 CCII, che nel testo vigente dispone: “la domanda di accesso alla procedura di concordato minore, di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti presentata dall'imprenditore cancellato dal registro delle imprese è inammissibile”. 
4 . “No, tu no! Ma perché?”. L’immotivata aggiunta del concordato minore nel comma 4 dell’art. 33 CCII
Vengo anch’io! No, tu no! Ma perché ? Perché no.”: nella canzone di Enzo Jannacci al povero escluso non era fornita alcuna giustificazione: è così, punto e basta. 
È un po’ quello che capita all’ex piccolo imprenditore cancellato: una volta qualificato come non consumatore, non riesco personalmente a trovare un valido motivo per lasciarlo da solo, unico sovraindebitato a non poter richiedere altro che la liquidazione controllata. 
Ad altri soggetti che, esattamente come lui,  sono “consumatori nel presente”, ma con debiti passati non consumeristici la strada del concordato minore liquidatorio non è sbarrata dall’art. 33, comma 4: l’ex libero professionista (che, in quanto tale, non è mai stato iscritto al registro delle imprese), il socio fideiussore per debiti sociali di una società di persone cancellata e non più soggetta a liquidazione giudiziale (pure mai iscritto, ma con debiti non consumeristici), l’ex imprenditore individuale irregolare (che non si era mai iscritto nel registro anche se era tenuto a farlo): questi soggetti  possono andare “tutti assieme” (non allo “zoo comunale”, come nella canzone di Jannacci, ma) al concordato minore liquidatorio; invece lui, il povero ircocervo, no. Perché? 
In alcune pronunzie di merito si è invero ritenuto che l’art. 33, comma 4, CCII non si applichi all’imprenditore individuale cancellato [7]. Si tratta di una interpretazione che mira a evitare le incongruenze applicative appena esposte, ma che, obiettivamente, mi pare incontri l’ostacolo insormontabile del chiaro ed univoco tenore testuale della disposizione, che non può essere superato da una interpretatio abrogans[8]; gli imprenditori individuali, sia pure non piccoli, sopra soglia, sono del resto espressamente richiamati dal precedente e collegato comma 3. L’ostacolo non può essere superato in via ermeneutica, occorre una resipiscenza normativa o un intervento del giudice delle leggi, che muovano dall’ingiustificato trattamento deteriore dell’ex imprenditore individuale cancellato rispetto ad atri debitori con situazione sovrapponibile. 
I primi tre commi dell’art. 33 CCII nascono come “figli” dell’art. 10 della legge fallimentare e sono destinati a disciplinare i tempi massimi per la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, in modo sostanzialmente corrispondente al loro “padre”; in merito all’originario comma 4 nella relazione illustrativa si legge : “per risolvere una questione che si era posta nel regime attuale, si specifica, poi, che l’imprenditore cancellato dal registro delle imprese non può fare ricorso né al concordato preventivo, né all’accordo di ristrutturazione, con conseguente inammissibilità della domanda presentata”. 
Nel testo originario del CCII l’esclusione del comma 4 per l’imprenditore cancellato: 1) era relativa solo alle sole procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, alternative rispetto alla liquidazione giudiziale, non toccava le procedure di composizione del sovraindebitamento; 2) era funzionale a risolvere una questione interpretativa che già si era posta e che riguardava i tempi per la dichiarazione di fallimento. La “questione” evocata e non descritta nella relazione illustrativa aveva ad oggetto, nella sostanza, le domande di concordato proposte a scopo dilatorio, per cercare di far trascorrere il termine annuale dalla cancellazione dal registro delle imprese ed evitare il fallimento; la Cassazione a fronte di tali iniziative aveva chiarito che “il combinato disposto degli artt. 2495, c.c., e 10, L. fall.” impediva “al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cui, entro l'anno dalla cancellazione, sia domandato il fallimento di richiedere il concordato preventivo”[9]. 
La disposizione del comma 4 in tale contesto (termini per dichiarazione della liquidazione giudiziale – preclusione per l’imprenditore cancellato soggetto a liquidazione giudiziale a domande dilatorie di strumenti alternativi di regolazione della crisi e dell’insolvenza) aveva ed ha una sua giustificazione e ragionevolezza, recepisce la soluzione giurisprudenziale già elaborata nella precedente legge fallimentare. 
Del tutto priva di giustificazione e ragionevolezza è invece l’estensione della preclusione anche al concordato minore, che è stata inserita solo successivamente dall’art. 6 D.Lgs. 26 ottobre 2020 n. 147. La relazione illustrativa di tale decreto legislativo non chiarisce in alcun modo il motivo di tale aggiunta[10], che genera le aporie e contraddizioni già evidenziate e risulta completamente fuori contesto, posto che il concordato minore può essere proposto esclusivamente da debitori che non sono soggetti alla liquidazione giudiziale (e per i quali quindi non si applicano i tre precedenti commi dello stesso art. 33, al quale il 4 si ricollega); per il piccolo imprenditore la liquidazione controllata può essere richiesta, a differenza della liquidazione giudiziale, in qualsiasi momento, anche oltre l’anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, senza alcuna preclusione. 
Forse il legislatore è stato mosso da una presunta incompatibilità tra la scelta di cessare l’attività imprenditoriale e la domanda di concordato minore, dimenticandosi però che oltre al concordato minore in continuità esiste anche quello liquidatorio ex art. 74, comma 2, CCII, che con tale scelta è pienamente compatibile e coerente. 
L’inammissibilità del concordato minore, almeno nella forma liquidatoria, per l’imprenditore individuale cancellato appare in definitiva priva di giustificazione razionale e, se si ritiene precluso l’alternativo piano di ristrutturazione del consumatore, questo debitore sarebbe l’unico ed il solo privato della facoltà di chiedere “l'accesso a una procedura di cui al capo II del titolo IV”, anche a fronte della domanda di liquidazione controllata del creditore, come invece previsto in generale dall’art. 271 CCII  [11] . 
Occorre quindi eliminare questa improvvida e non comprensibile aggiunta, per ripristinare la coerenza interna e sistematica dell’art. 33 e non discriminare l’ircocervo: nelle canzoni si può escludere qualcuno senza ragione, per il diritto occorre una valida motivazione. 
La Corte di Appello di Firenze aveva cercato ex 363 bis c.p.c.  di ottenere dalla Cassazione lumi anche su questo problematico assetto normativo  (nella fattispecie il debitore aveva infatti proposto in via principale domanda di ristrutturazione ex art. 67 CCII e, in via subordinata-alternativa, di concordato minore liquidatorio ex art. 74 comma 2, CCII, domande entrambe dichiarate inammissibili con il provvedimento del Tribunale reclamato), ma anche tale questione, pur originandosi da un peculiare intervento normativo del 2020 estraneo alla precedente legge fallimentare, è stata ritenuta priva del requisito della novità nel decreto della Prima Presidente. 
5 . Conclusioni aperte
L’ex piccolo imprenditore individuale cancellato con debiti promiscui non è una creatura di fantasia come l’ircocervo e quindi deve trovare una corretta ed univoca collocazione nell’ambito della regolazione del sovraindebitamento, con un trattamento non irragionevolmente differenziato rispetto ad altri debitori che si trovano in condizioni assimilabili. 
Le alternative non possono che essere due: o lo si qualifica come attuale consumatore e si considera legittimato alla proposizione del piano di ristrutturazione o lo si qualifica come debitore non consumatore non soggetto a liquidazione giudiziale ed allora l’esclusione dal concordato minore liquidatorio prevista dall’art. 33, comma 4, CCII come modificato dal D.Lgs. n. 147/2020 pone seri dubbi di ragionevolezza. 

Note:

[1] 
In senso favorevole vedi Trib. Spoleto, 23 dicembre 2022; Trib. Reggio Emilia, 13 Febbraio 2023; Trib. Caltanisetta, 1 giugno 2022; tutte reperibili su Ilcaso.it. Per una soluzione articolata, che comunque contempla l’ipotesi di un piano di ristrutturazione del debitore anche per debiti derivanti da pregressa attività imprenditoriale vedi Trib. Napoli Nord, 12 novembre 2022 in Dirittodellacrisi.it con osservazioni di M. Peta, Ristrutturazione dei debiti del consumatore ammissibilità dei debiti dell’imprenditore cessato: relazione di “esclusività”. In senso contrario vedi Trib. Bologna 30 dicembre 2022, Il Fall, 2023, 985 con nota di G. Rana, Ristrutturazione dei debiti del consumatore e debiti promiscui nel codice della crisi; App. Bologna, 16 giugno 2023 in Ilcaso.it , che ha riformato la citata Trib. Reggio Emilia, 13 febbraio 2023, osservando tra l’altro : “l’art. 2, primo comma, lettera e) deve essere interpretato nel senso che, ove il passivo da ristrutturare sia promiscuo, i creditori vanno necessariamente tutelati attribuendo loro un diritto di voto, ponendoli, pertanto, nella condizione di rifiutare la proposta del debitore mediante un loro atto di volontà, anche se espresso a maggioranza: rifiuto che impedisce l’omologazione ed è invece assente, come sopra detto, nel piano del consumatore”. Sempre in senso contrario vedi tra le ultime Trib. Milano, 20 ottobre 2023 in Ilcaso.it con nota di A. Mancini, Consumatore e debitoria c.d. promiscua: una decisione del Tribunale di Milano si allinea a Cass. 2023/22699. Considerazioni critiche ed in Eclegal.it con nota di V. Baroncini, Il trattamento del debito c.d. promiscuo nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento
[2] 
persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”. G. Rana, op. cit., comparando tale definizione con quella del CCII osserva: “la nuova definizione di consumatore sostituisce ‘ha assunto obbligazioni esclusivamente’ con ‘agisce’. Nel contempo, si è perso l'avverbio ‘esclusivamente". 
[3] 
Vedi sul punto, in senso problematico, ancora G. Rana,  op. cit.: “non è infrequente il fatto che una stessa espressione testuale possa assumere significati diversi a seconda della normativa di riferimento: ciò dipende dai possibili diversi effetti collegati ad ogni norma che pur esprima identico enunciato ed in definitiva dai possibili diversi statuti normativi che ne derivano. Nel caso specifico, pur in contesti così diversi, è difficile individuare così diversi statuti normativi, tali da far variare in modo così radicale il significato dell'identica espressione, considerando anche l'intenzione del legislatore era certamente nel senso di uniformare la qualità soggettiva di consumatore, sottraendola all'abito che il debitore scelga di indossare a seconda della sua convenienza”. 
[4] 
Vedi il considerando n. 21 della Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva: “il sovraindebitamento del consumatore è un problema di grande rilevanza economica e sociale ed è strettamente correlato alla riduzione dell'eccesso di debito. Inoltre, spesso non è possibile distinguere chiaramente tra debiti maturati in capo all'imprenditore nell'esercizio della sua attività o quelli maturati al di fuori di tali attività. Gli imprenditori non godrebbero efficacemente di una seconda opportunità per liberarsi dai debiti legati all'impresa e da altri debiti maturati al di fuori dell'impresa, se dovessero sottoporsi a procedure distinte con condizioni di accesso e termini. Pertanto, sebbene la presente direttiva non contenga norme vincolanti in materia di sovraindebitamento del consumatore, sarebbe opportuno che gli Stati membri applicassero al più presto le disposizioni della presente direttiva sull'esdebitazione anche al consumatore”; vedi l’art. 24 della stessa direttiva, relativo alla “riunione delle procedure relative ai debiti professionali e personali”. 
[5] 
Vedi ordinanza App. Firenze, 20 giugno 2023 e decreto Prima Presidente 26 luglio 2023 n. 22699. Le ordinanze ed i decreti ex 363 bis c.p.c. sono pubblicati sul sito della Cassazione,  Cortedicassazione.it . 
[6] 
È opportuno ricordare che il provvedimento è reso all’esito di un procedimento interno disciplinato con decreto del Primo Presidente 8 febbraio 2023 n. 16 (pure reperibile sul sito Cortedicassazione.it), con il quale è stato istituito un apposito Ufficio Questioni Pregiudiziali (“UPQ”), composto dal Direttore del Massimario, dal Coordinatore delle Sezioni Civili e dal Direttore del CED: l’UPQ per ogni questione sollevata svolge una istruttoria preliminare, predispone una “breve relazione”, che è trasmessa al Primo Presidente assieme al “parere” del Presidente titolare della Sezione competente per materia. 
[7] 
Vedi Trib. Ancona 11 gennaio 2023 con nota di A. Mancini, Concordato minore e cancellazione dal registro imprese dell'impresa individuale; Trib. Treviso 7 febbraio 2023; Trib. Rimini 15 febbraio 2023, tutte in Ilcaso.it; Trib. La Spezia 30 agosto 2023 Il Fall. 2024, 146 con osservazioni di M. Spadaro, Ristrutturazione dei debiti derivanti da attività imprenditoriale cessata e cancellazione dal registro imprese dell'impresa individuale. 
[8] 
Vedi A. Monteverde, Codice della crisi: tra novità e dubbi (ir)risolti (II parte) - ineluttabilità del piccolo fallimento per l'imprenditore cancellato?, Giur. it., 2023, 1722, che condivisibilmente osserva:  “la lettera dell'art. 33 CCII induce ad una risposta radicale: la norma si riferisce a chi sia stato dapprima iscritto nel - e poi cancellato dal - registro delle imprese, senza eccezioni”. 
[9] 
Vedi tra le altre Cass. Sez 6, 20 ottobre 2015, n. 21286; Cass. Sez 1, 20 febbraio 2020, n.4329, Il Fall., 2020, 951 con nota di G. Bettazzi, Inammissibilità dell'accesso al concordato preventivo da parte dell'impresa cessata
[10] 
La relazione si limita a riportare il contenuto della disposizione: “viene precisato che la cancellazione dal registro delle imprese rende inammissibile anche la domanda di apertura di una procedura di concordato minore”. 
[11] 
Vedi A. Monteverde, op. cit. : “la conclusione che traspare, la quale induce ad affermare l'ineluttabilità della liquidazione controllata per l'imprenditore cancellato indebitato, risulta tuttavia insoddisfacente, iniqua e contraddittoria [..] paradossalmente, riserva un trattamento deteriore all'imprenditore iscritto nel registro delle imprese rispetto a quello irregolare, che non potrà logicamente mai essere cancellato d'ufficio. È contraddittoria perché, mentre tutta la normativa va nella direzione di un chiaro disfavore per le procedure liquidatorie, colui il quale sia gravato da debiti di un'impresa ormai esaurita non può avvalersi di alcuno strumento a carattere concordatario in senso lato che ne eviti la disgregazione del patrimonio, neppure quando l'intento perseguito sia quello di avvantaggiare nel complesso gli stessi creditori (come avverrebbe ad es. nei casi di apporto di finanza esterna)”. 

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