“Vengo anch’io! No, tu no! Ma perché ? Perché no.”: nella canzone di Enzo Jannacci al povero escluso non era fornita alcuna giustificazione: è così, punto e basta.
È un po’ quello che capita all’ex piccolo imprenditore cancellato: una volta qualificato come non consumatore, non riesco personalmente a trovare un valido motivo per lasciarlo da solo, unico sovraindebitato a non poter richiedere altro che la liquidazione controllata.
Ad altri soggetti che, esattamente come lui, sono “consumatori nel presente”, ma con debiti passati non consumeristici la strada del concordato minore liquidatorio non è sbarrata dall’art. 33, comma 4: l’ex libero professionista (che, in quanto tale, non è mai stato iscritto al registro delle imprese), il socio fideiussore per debiti sociali di una società di persone cancellata e non più soggetta a liquidazione giudiziale (pure mai iscritto, ma con debiti non consumeristici), l’ex imprenditore individuale irregolare (che non si era mai iscritto nel registro anche se era tenuto a farlo): questi soggetti possono andare “tutti assieme” (non allo “zoo comunale”, come nella canzone di Jannacci, ma) al concordato minore liquidatorio; invece lui, il povero ircocervo, no. Perché?
In alcune pronunzie di merito si è invero ritenuto che l’art. 33, comma 4, CCII non si applichi all’imprenditore individuale cancellato [7]. Si tratta di una interpretazione che mira a evitare le incongruenze applicative appena esposte, ma che, obiettivamente, mi pare incontri l’ostacolo insormontabile del chiaro ed univoco tenore testuale della disposizione, che non può essere superato da una interpretatio abrogans[8]; gli imprenditori individuali, sia pure non piccoli, sopra soglia, sono del resto espressamente richiamati dal precedente e collegato comma 3. L’ostacolo non può essere superato in via ermeneutica, occorre una resipiscenza normativa o un intervento del giudice delle leggi, che muovano dall’ingiustificato trattamento deteriore dell’ex imprenditore individuale cancellato rispetto ad atri debitori con situazione sovrapponibile.
I primi tre commi dell’art. 33 CCII nascono come “figli” dell’art. 10 della legge fallimentare e sono destinati a disciplinare i tempi massimi per la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, in modo sostanzialmente corrispondente al loro “padre”; in merito all’originario comma 4 nella relazione illustrativa si legge : “per risolvere una questione che si era posta nel regime attuale, si specifica, poi, che l’imprenditore cancellato dal registro delle imprese non può fare ricorso né al concordato preventivo, né all’accordo di ristrutturazione, con conseguente inammissibilità della domanda presentata”.
Nel testo originario del CCII l’esclusione del comma 4 per l’imprenditore cancellato: 1) era relativa solo alle sole procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, alternative rispetto alla liquidazione giudiziale, non toccava le procedure di composizione del sovraindebitamento; 2) era funzionale a risolvere una questione interpretativa che già si era posta e che riguardava i tempi per la dichiarazione di fallimento. La “questione” evocata e non descritta nella relazione illustrativa aveva ad oggetto, nella sostanza, le domande di concordato proposte a scopo dilatorio, per cercare di far trascorrere il termine annuale dalla cancellazione dal registro delle imprese ed evitare il fallimento; la Cassazione a fronte di tali iniziative aveva chiarito che “il combinato disposto degli artt. 2495, c.c., e 10, L. fall.” impediva “al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cui, entro l'anno dalla cancellazione, sia domandato il fallimento di richiedere il concordato preventivo”[9].
La disposizione del comma 4 in tale contesto (termini per dichiarazione della liquidazione giudiziale – preclusione per l’imprenditore cancellato soggetto a liquidazione giudiziale a domande dilatorie di strumenti alternativi di regolazione della crisi e dell’insolvenza) aveva ed ha una sua giustificazione e ragionevolezza, recepisce la soluzione giurisprudenziale già elaborata nella precedente legge fallimentare.
Del tutto priva di giustificazione e ragionevolezza è invece l’estensione della preclusione anche al concordato minore, che è stata inserita solo successivamente dall’art. 6 D.Lgs. 26 ottobre 2020 n. 147. La relazione illustrativa di tale decreto legislativo non chiarisce in alcun modo il motivo di tale aggiunta[10], che genera le aporie e contraddizioni già evidenziate e risulta completamente fuori contesto, posto che il concordato minore può essere proposto esclusivamente da debitori che non sono soggetti alla liquidazione giudiziale (e per i quali quindi non si applicano i tre precedenti commi dello stesso art. 33, al quale il 4 si ricollega); per il piccolo imprenditore la liquidazione controllata può essere richiesta, a differenza della liquidazione giudiziale, in qualsiasi momento, anche oltre l’anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, senza alcuna preclusione.
Forse il legislatore è stato mosso da una presunta incompatibilità tra la scelta di cessare l’attività imprenditoriale e la domanda di concordato minore, dimenticandosi però che oltre al concordato minore in continuità esiste anche quello liquidatorio ex art. 74, comma 2, CCII, che con tale scelta è pienamente compatibile e coerente.
L’inammissibilità del concordato minore, almeno nella forma liquidatoria, per l’imprenditore individuale cancellato appare in definitiva priva di giustificazione razionale e, se si ritiene precluso l’alternativo piano di ristrutturazione del consumatore, questo debitore sarebbe l’unico ed il solo privato della facoltà di chiedere “l'accesso a una procedura di cui al capo II del titolo IV”, anche a fronte della domanda di liquidazione controllata del creditore, come invece previsto in generale dall’art. 271 CCII [11] .
Occorre quindi eliminare questa improvvida e non comprensibile aggiunta, per ripristinare la coerenza interna e sistematica dell’art. 33 e non discriminare l’ircocervo: nelle canzoni si può escludere qualcuno senza ragione, per il diritto occorre una valida motivazione.
La Corte di Appello di Firenze aveva cercato ex 363 bis c.p.c. di ottenere dalla Cassazione lumi anche su questo problematico assetto normativo (nella fattispecie il debitore aveva infatti proposto in via principale domanda di ristrutturazione ex art. 67 CCII e, in via subordinata-alternativa, di concordato minore liquidatorio ex art. 74 comma 2, CCII, domande entrambe dichiarate inammissibili con il provvedimento del Tribunale reclamato), ma anche tale questione, pur originandosi da un peculiare intervento normativo del 2020 estraneo alla precedente legge fallimentare, è stata ritenuta priva del requisito della novità nel decreto della Prima Presidente.