Trib. Milano, 4 settembre 2025 e 23 settembre 2025, Est. Rossetti
DOMANDA DI CONCORDATO PREVENTIVO IN CONTINUITÀ – Inammissibilità – Valore effettivo riservato ai soci.
Postilla a cura di Filippo Salsone , Dottore in giurisprudenza
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POSTILLA
Il tribunale, in sede di ammissione, deve verificare anche il “valore effettivo”?
di Filippo Salsone, Dottore in giurisprudenza
5 Novembre 2025
Note
Solo con il Correttivo-ter è stato aggiunto il riferimento a “ogni altro interessato”, che, secondo S. Ambrosini, Ambito di applicazione, definizioni, principi generali, cit., 76 indica i terzi garanti, i co-obbligati del debitore, le parti correlate, i soci, i soggetti acquirenti di beni messi in vendita dal debitore e le rappresentanze sindacali.
[2] V., ex multis, R. Rordorf, Interferenze tra diritto della crisi e dell’insolvenza e diritto dei contratti, cit., 2022; G. D’Attorre, I principi generali nel diritto della crisi d’impresa, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 1090; e, in particolare, S. Ambrosini, I principi generali nel Codice della crisi d’impresa, in Ilcaso.it, 2021, secondo cui “[i]n ciò si avverte assai distintamente l’eco delle corrispondenti previsioni codicistiche in tema di comportamento delle parti nell’esecuzione del contratto (art. 1375) e nello svolgimento delle trattative e nella formazione dello stesso (art. 1337), sebbene entrambe le previsioni parlino solo di buona fede, essendo il canone della correttezza contenuto notoriamente nelle disposizioni preliminari in tema di obbligazioni in generale (art. 1175); con la precisazione, peraltro, che la norma sull’esecuzione del contratto in buona fede costituisce applicazione in ambito negoziale del più generale principio di correttezza, senza che fra i due concetti sia possibile ravvisare una distinzione precisa”. È dato altrettanto consolidato che i principi di buona fede e correttezza di cui al Codice Civile siano a propria volta una declinazione specifica del principio solidaristico enucleato dall’art. 2 della Costituzione; in giurisprudenza, cfr., ex multis, Cass., Sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726, in OneLegale.
[3] Così S. Ambrosini, loc. cit.
[4] In tal senso, G. Meruzzi, op. cit., 94; tuttavia, per la tesi opposta, v. M. Fabiani, op. cit., nt. 6, il quale sostiene che “se si guarda al passato e si riconosce che le procedure di regolazione della crisi di fonte pattizia si fondavano sulla autonomia negoziale, l’avvicinamento progressivo ma inesorabile del diritto civile consentiva di configurare l’importazione nell’ambiente concorsuale dei principi del diritto privato e dei contratti, tra cui, appunto, buona fede e correttezza”. Nel medesimo senso, ma con diversità di argomentazioni, anche S. Leuzzi, loc. cit.
[5] Diffusamente, L. Panzani, loc. cit.
[6] Ed è proprio questo l’aspetto enfatizzato da R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell'ambito dei principi generali del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, cit., 595. Anzi, l’A. ritiene non vi sia il minimo dubbio che il dovere di correttezza e buona fede vada esteso anche nell’ambito delle diverse procedure di allerta a cui seguiranno, eventualmente, la composizione negoziata della crisi ovvero altre forme di regolazione.
[7] Così R. Brogi, Clausole generali e diritto concorsuale, in Il Fall., 2022, 885. Valorizza il principio di buona fede F. Viola, Soci e amministratori nella gestione della crisi d’impresa. Dalla scelta dello strumento di regolazione della crisi all’omologazione, Torino, 2025, 154 ss. al fine di ricostruire, sia pure con certi distinguo, un dovere in capi agli amministratori di coinvolgere i soci prima dell’assunzione della decisione di fare accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza.
[8] Cfr. R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell'ambito dei principi generali del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, cit., 596, il quale sottolinea a fortiori come sia lo stesso Codice della Crisi a comprovare la propria tesi, laddove introduce sanzioni di carattere processuale a carico sia del debitore sia del creditore relativamente alla causazione e/o all’aggravamento del sovraindebitamento. Ma si consideri, altresì, come la violazione del canone di buona fede sia ostativa all’accesso alla procedura di concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII. In tal senso, da ultimo, Trib. Bologna, 23 settembre 2025, inedito, nonché M. Fabiani, loc. cit.
[9] Cfr. S. Leuzzi, loc. cit.
[10] Il punto è evidenziato da S. Leuzzi, loc. cit., il quale sottolinea altresì come “[l]a leale collaborazione è, del resto, un dovere reciproco, che si proietta sul debitore, i creditori e i terzi interessati”.
[11] Cfr. R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell'ambito dei principi generali del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, cit., 594 e ss.
Ciò, a ben vedere, è in linea con la tesi maggioritaria che ha abbracciato una visione più ampia della buona fede, da cui pacificamente si ritiene derivino obblighi giuridici ulteriori e supplementari rispetto a quelli previsti ora dalla legge ora dall’accordo fra le parti. Sul punto, in luogo di molti, v. F. Galgano, Trattato di diritto civile, Padova, 2015, 647 e ss. e, inter alia, Cass. civ., Sez. II, 16 febbraio 2022, n. 5024, in DeJure.
[12] Spunti, in questo senso, in A. Maffei Alberti, op. cit., 54, laddove l’A. sottolinea come – nel silenzio della legge – sia rimessa all’interprete l’individuazione dello specifico rimedio da adottare. Secondo G. D’Attorre, loc. cit., il ventaglio dei rimedi disponibili sarebbe ridotto alla sola tutela risarcitoria; contra, M. Fabiani, loc. cit., che ipotizza anche una forma di neutralizzazione dei modi di partecipazione al concorso per i creditori in malafede, e, nello stesso senso, anche D. Lenzi, I doveri dei creditori nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Ilcaso.it, 2020. Diversamente, A. Nigro, D. Vattermoli, op. cit., 64 e ss. ritengono che alla violazione delle regole di cui all’art. 4 CCII non sia ricondotta alcuna sanzione, neppure risarcitoria. Tuttavia, se così fosse, ci troveremmo davanti a un’evidente falla normativa che legittimerebbe – in sostanza –il debitore e gli altri soggetti gravati dagli obblighi di buona fede e correttezza a violare impunitamente le prescrizioni di legge. Il che, come ovvio, non è accettabile, specie se si considera, al pari di quanto già accennato e di quanto poi si dirà, le varie “sanzioni” previste dal Codice della Crisi per la violazione di tali doveri, quale, ad esempio, l’inammissibilità della domanda di concordato preventivo ex art. 25 sexies CCII.
[13] Il punto è ripreso anche da S. Leuzzi, loc. cit., il quale aggiunge che “[g]li obblighi di informazione trovano fondamento nella necessità di garantire chiarezza e correttezza nei rapporti contrattuali, e si concretizzano nella comunicazione puntuale e completa di costi, oneri, rischi e criticità, oltre che nella gestione responsabile di eventuali conflitti di interesse”.
[14] Sul punto, cfr. R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell'ambito dei principi generali del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, cit., 596.
[15] Cfr. L. Panzani, op. cit., 655.
[16] Informazione completa che, però, non è illimitata. Il debitore, infatti, non può ritenersi tenuto a una full disclosure di tutti i dati di cui è in possesso attinenti alla propria impresa, bensì delle sole informazioni che sono necessarie ai creditori e agli altri interessati al fine di avere un’adeguata visione delle condizioni in cui versa quest’ultima. Sulla scia di tali considerazioni, L. Panzani, op. cit., 658, osserva correttamente come il debitore non debba, allora, comunicare ai propri interlocutori le informazioni legate al ciclo produttivo, al know how e ai brevetti.
[17] Osserva, infatti, R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell'ambito dei principi generali del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, cit., 597 come pure l’obbligo per il debitore ex art. 87, comma 1, lett. h), CCII implichi una serie di valutazioni, anche giuridiche, le quali non sono nient’affatto scontate. Sul punto, A. Maffei Alberti, loc. cit., afferma che il dovere di trasparenza implica la comunicazione di “fatti e circostanze che possano legittimare la società debitrice all’esercizio di un’azione di responsabilità a carico dei propri organi sociali”. Con riferimento alla L. fall, v. già Ambrosini, Gli atti di frode nel concordato preventivo: un tema sempre attuale (e scivoloso), in Ilcaso.it, 2019. In tema di necessità di valutazioni ipotetiche ai fini dell’ammissione del concordato preventivo, cfr. altresì N. Cadei, Il valore riservato ai soci ex art. 120-quater CCII: brevi riflessioni de iure condito sulla possibile quantificazione, in Ristrutturazione Aziendali, 2024 e Cndcec, Fnc, Principi per la redazione dei piani di risanamento, 2022, 46, secondo cui “[o]gni valutazione prognostica è intrinsecamente connotata da un proprio grado di rischio di avveramento. È opportuno, perciò, che le previsioni ipotetiche siano sottoposte ad analisi di sensitività. Le analisi di sensitività presuppongono l’individuazione e la misurazione dei fattori di rischio ai quali sono soggetti l’impresa e il Piano. Tale individuazione si pone a valle di una argomentata valutazione della situazione aziendale e del contesto in cui opera l’azienda. I rischi inerenti devono essere assunti in termini di rischio residuo dopo le azioni di mitigazione che il Management potrà al bisogno attivare”.
[18] Prima del Correttivo-ter, che ha posto fine alla questione, in dottrina si era aperto un vivo dibattito sui metodi di calcolo di tale valore. Ex multis, v. M. Fabiani, A. Guiotto, Il valore della ristrutturazione destinabile ai soci, in Il Fall., 2024, 605 e ss.; N. Cadei, loc. cit.; B. Inzitari, Le mobili frontiere della responsabilità patrimoniale: distribuzione del valore tra creditori e soci nel concordato in continuità secondo la negozialità concorsuale del codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 2023; M. Campobasso, La posizione dei soci nel concordato preventivo delle società, in Banca, borsa e tit. cred., 2023, 166 e ss. Per una critica al meccanismo dell’art. 120 quater CCII, v. A. Nigro, Qualità della legislazione e Codice della crisi: considerazioni critiche e qualche puntualizzazione in tema di strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società, in Dirittodellacrisi.it, 2024, il quale, addirittura, arriva a ipotizzare profili di incostituzionalità.
Per una ricostruzione completa sul tema della definizione del valore riservato ai soci sia prima che a seguito del Correttivo-ter, si rinvia al recente saggio di S. Dorsi, Omologazione del piano e interesse patrimoniale dei soci nel regime degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, in Dirittodellacrisi.it, 2025. Invece, sulle ragioni dello “scomputo”, ai fini del calcolo del valore riservato ai soci, dei valori da costoro apportati avuto riguardo alle imprese di minori dimensioni e, più in generale, sulle questioni distributive in relazione alla loro posizione v. Viola, loc. cit., 111 ss. e 197 ss.
[19] Diversamente, N. Cadei, loc. cit., sostiene che questo profilo di incertezza, unito a evidenti difficoltà di calcolo, porta a escludere che il pacchetto informativo debba essere arricchito anche di questo dato, con la conseguenza che il vaglio del Tribunale in sede di ammissione non possa estendersi fino a questo controllo.
[20] Su tale aspetto, che non verrà trattato nel presente contributo, si rinvia a S. Ambrosini, Concordato preventivo e controllo giudiziale: spigolature sui concetti di “fattibilità”, “non manifesta inidoneità” e “ragionevoli prospettive” (con una proposta de iure condendo), in Ristrutturazioni Aziendali, 2024; P. F. Censoni, Note minime sul controllo giudiziale nel concordato preventivo, in Ristrutturazioni Aziendali, 2024. In giurisprudenza, cfr., da ultima, Cass. civ. n. 3790/2025 in OneLegale.
[21] Sempre S. Ambrosini, loc. cit. Di diversa opinione, tuttavia, G. Nardecchia, Il valore di liquidazione, in Il Fall., 2024, 1398, secondo il quale deve “ritenersi che l’esame sulla ritualità della proposta di concordato con continuità non sia, di fatto, dissimile da quello sull’ammissibilità della proposta di concordato liquidatorio”. In giurisprudenza, v. Trib. Monza, 17 aprile 2023, in Dirittodellacrisi.it, secondo cui “il vaglio sulla ritualità rappresenti, nell’intenzione del legislatore, un quid minus rispetto a quello sull’ammissibilità”.
[22] Nel senso del testo, la consolidata giurisprudenza romana, tra cui, esemplificativamente, Trib. Roma, 11 aprile 2024, in Il Fall., 2024, 1389 e ss., con nota di G, Nardecchia, che ulteriormente precisa come “[i]l Tribunale dovrà quindi verificare non solo la competenza territoriale, la completezza della documentazione, la regolarità formale e procedimentale, la corretta qualificazione del piano come in continuità o liquidatorio ma, quanto alla proposta, potrà e dovrà controllare in particolare la corretta formazione delle classi; il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione nelle due declinazioni dell’absolute priority rule per il valore di liquidazione e della relative priority rule per l’eccedenza, la regolare introduzione della transazione fiscale se necessaria; quanto al piano, il rispetto dei contenuti descritti dall’art. 87 del CCII; quanto all’attestazione, la sua adeguatezza motivazionale”; nonché Trib. Roma, 22 aprile 2025, in OneLegale e Trib. Roma, 20 febbraio 2023, in Ilfallimentarista.it. In dottrina, cfr. Panzani, L’assetto degli organi, in Cagnasso e Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedura concorsuali, in Milano, 2025, 1385, il quale acutamente osserva come “[a]lla luce degli orientamenti della giurisprudenza deve ritenersi che l’accertamento in sede di ammissione non sia soltanto formale, ma di legalità sostanziale, che avrà ad oggetto non soltanto la legittimazione alla domanda o la regolarità e completezza della documentazione depositata, ma anche la legittimità sostanziale della proposta, così come la valutazione in ordine alla percorribilità della stessa e alla sua coerenza con il fine ultimo del risanamento dell’impresa”.
[23] Cfr., Trib. Bologna, 14 maggio 2024, in Ilcaso.it e Trib. Roma, 11 aprile 2024, loc. cit. In questo controllo, finalizzato a parere di P. F. Censoni, loc. cit., a verificare la ragionevolezza, la correttezza metodologica, la coerenza logica e la chiarezza dei criteri adottati dall’attestatore, anche con riguardo alla completezza argomentativa della relazione, così da assicurare ai creditori, prima della votazione, un’informazione adeguata e un consenso effettivamente informato, il Tribunale potrà avvalersi del parere del commissario giudiziale. Ritiene che il parere del commissario giudiziale svolga la funzione di filtro S. Ambrosini, loc. cit.
[24] Così M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, Piacenza, 2023, 271, nonché S. Leuzzi, Il concordato semplificato nel prisma delle prime applicazioni, in Dirittodellacrisi.it, 2023. La tesi è pacifica anche in giurisprudenza e, infatti, v., inter alia, Trib. Firenze, 31 agosto 2022, in Ilcaso.it, Trib. Parma, 12 luglio 2023, in Dirittodellacrisi.it; Trib. Torino, 4 gennaio 2024, in Dirittodellacrisi.it; App. Milano, 21 marzo 2024, in Dirittodellacrisi.it.
[25] Cfr., Trib. Bologna, 23 settembre 2025, cit, nonché già Trib. Firenze, 31 agosto 2022, cit. V. anche Trib. Milano, 20 dicembre 2023, in Dirittodellacrisi.it, secondo cui “l’apparato informativo offerto dal debitore de[ve] essere completo ed esaustivo, e soprattutto […] i termini della proposta devono essere chiari e privi di qualsiasi elemento di incertezza o di ambiguità, pena l’irritualità della proposta e del piano”.
[26] Tuttavia, si segnala l’illustre tesi di M. Campobasso, op. cit., 173 e ss., il quale esclude vi sia spazio per “sostenere che il rispetto del criterio di priorità fra creditori e soci non sia una condizione di ammissibilità della proposta da valutare d’ufficio e a priori in sede di apertura della procedura concordataria”.
[27] Si aderisce, pertanto, all’illustre tesi di M. Fabiani, A. Guiotto, op. cit., 614 e ss., secondo cui “nella nozione di ritualità vada ricompresa la verifica del set informativo offerto alla valutazione dei creditori perché il debitore deve, sempre, osservare e rispettare i principi fondamentali espressi nell’art. 4, comma 2, lett. a), CCII che evocano, proprio, una condotta trasparente. Se nella proposta e nel piano di concordato non si parla di valore attribuito ai soci epperò al termine del piano si prevede che il capitale sociale - dopo l’esdebitazione - resti posseduto dai soci originari, il tribunale dovrebbe avvalersi dei poteri di cui all’art. 47, comma 4, secondo periodo, CCII e chiedere al debitore integrazioni della proposta. Ed ancora, sebbene la questione del valore divenga rilevante solo in presenza del dissenso di una o più classi, riteniamo che il commissario giudiziale nella relazione debba esporre quanto sarebbe il valore per i soci e ciò perché l’ostensione del valore deve precedere la votazione”; in senso conforme già B. Inzitari, loc. cit., secondo cui piano e proposta dovrebbero almeno includere il procedimento con cui il debitore intende accertare tale valore.
[28] Così come suggerito da B. Inzitari, loc. cit.