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Saggio

Le domande tardive e supertardive nel CCII*

Salvo Leuzzi, Consigliere della Suprema Corte di Cassazione

20 Giugno 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L'A. tratta in chiave sistematica il tema ampio e sfaccettato delle domande tardive e ultratardive di ammissione al passivo della liquidazione giudiziale, indagando le novità introdotte dal CCII e sciogliendo i tradizionali nodi critici.  
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1 . Inquadramento generale: ambito e nomenclatura
Nella sentenza che apre la liquidazione giudiziale, il tribunale fissa ad una data che non oltrepassa i centoventi giorni l’udienza per la discussione dello stato passivo[1], assegnando ai creditori un termine perentorio di trenta giorni prima dell'udienza stessa per la presentazione delle domande di ammissione allo stato passivo (art. 49, comma 3, lett. d e lett. e). 
Questo termine marca il discrimen fra creditori tempestivi e tardivi. Sono tardive, infatti, le domande che – scavalcandolo – sono volte a conseguire un provvedimento giurisdizionale accertativo del diritto del creditore poco solerte ad unirsi comunque agli altri ai fini del concorso. Esse producono, “per tutto il corso della liquidazione giudiziale”, i medesimi effetti delle domande d’ammissione presentate tempestivamente, pur con i salienti distinguo di cui si dirà (v. infra § 3.)[2]. 
A livello ontologico, il tratto che qualifica una domanda tardiva rispetto a una tempestiva è unicamente il dato temporale[3]. Non vengono in rilievo diversità funzionali o contenutistiche[4]. 
Nell’architettura primigenia della legge fallimentare, le insinuazioni erano veicolabili sine die. Il confine estremo coincideva col riparto dell’attivo (rectius, con la scadenza del termine d'impugnazione del relativo decreto di esecutività). Ciò implicava un’attività di incessante aggiornamento dello stato passivo[5]. 
Le prime paratie temporali sono un innesto della riforma del biennio 2006-2007[6]. I novellati artt. 16, comma 1, e 101, comma 1, L. fall., circoscrissero l’ammissibilità delle domande di accesso al concorso dei creditori entro il segmento ricompreso fra un termine iniziale spintosi “oltre trenta giorni prima dell’udienza” di verifica delle tempestive (art. 93, comma 1, L. fall.) e un termine finale racchiuso nei “dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo”[7]. Spirato l’anno – allargabile a diciotto mesi in ipotesi di “particolare complessità” della procedura – l’insinuazione del creditore diventava inammissibile, salvo il creditore non fosse stato in grado di dimostrare la causa non imputabile del proprio ritardo[8]. 
Allo scopo immanente alla liquidazione concorsuale, del soddisfacimento dei creditori, si è appaiata l’esigenza di definire la procedura in tempi rapidi. Il bilanciamento di queste esigenze torna anche nella disciplina ora in vigore, ricompresa nell’art. 208 CCII[9]. 
La norma riedita le regole tratteggiate dall’art. 101 L. fall. versione post 2006[10]. Spicca qualche aggiustamento, risoltosi nella modifica al ribasso del termine ultimo per la proposizione delle insinuazioni tardive: non più dodici, ma sei mesi dal decreto di esecutività dello stato passivo[11]; viene, poi, fatta salva la prorogabilità del termine semestrale, ma fino a dodici mesi (in luogo dei vecchi diciotto), nelle procedure contrassegnate more solito da particolare complessità[12]. 
Anche il nuovo ordinamento concorsuale distingue tra tardive in senso stretto, ammissibili tout court, in quanto collocate dentro il “tempo supplementare” del semestre successivo all’esecutività dello stato passivo, e domande cd. “supertardive”, avanzate oltre quel recinto temporale, ammissibili subordinatamente alla prova della non ascrivibilità al creditore del ritardo. 
Le supertardive sorpassano lo steccato semestrale e rispetto ad esse la non imputabilità del ritardo continua ad ergersi a condizione di ammissibilità. Solo ai ritardatari incolpevoli è consentito di varcare la porta del concorso, per partecipare finanche alle ripartizioni anteriori all’ammissione attraverso il prelievo delle quote “che sarebbero loro spettate”; rimane impregiudicata in ogni caso – quali che siano le giustificazioni rese o le contingenze subite – la consueta “Linea Maginot” della chiusura del riparto finale[13]. 
È un dato fisiologico: l’ammissione al passivo è funzionale a prender parte alla distribuzione dell’attivo, sicché la definizione di tutti i riparti fa venir meno la configurabilità stessa di un interesse processuale concreto e attuale a presentare la domanda[14]. 
È chiaro quindi l’elemento che differenzia, in aggiunta al momento di presentazione, le tardive “semplici” dalle “ultratardive”: “mentre per le prime la prova della non imputabilità del ritardo ha effetti solo sul piano del trattamento in sede di riparto” (nella misura in cui consente al creditore tardivo non colpevole e non privilegiato di prelevare, nei limiti del residuo disponibile, le quote che sarebbero a costui spettate nelle precedenti ripartizioni), “per le seconde tale dimostrazione costituisce anche, e prima ancora, una delle condizioni di ammissibilità della domanda” (v. infra § 3.)[15]. 
Le barriere cronologiche sono il frutto persistente d’una esigenza di “rapidità, snellezza e concentrazione” della fase di accertamento dei crediti, riaffacciatasi anche nella Legge delega al fondo dell’odierno Codice[16]. Vengono scongiurati i prolungamenti tattici del processo sulla spinta del singolo creditore[17]. La verifica del passivo cessa d’atteggiarsi ad ambiente processuale disgregato, connotandosi, per converso, come fase tendenzialmente unitaria, declinata sul “modello decisorio dell'udienza collettiva”[18]. Quest’ultima pur nella cameralità che permea il rito, assicura contraddittorio pieno e incrociato tra tutti i soggetti interessati al concorso (e al riparto)[19]. 
Sia le tardive, sia le supertardive sono, ad ogni buon conto, ammissibili alla sola condizione dell’intervenuta presentazione, da parte di uno qualsiasi dei creditori, di almeno una domanda tempestiva. In caso contrario l’art. 233, comma 1, lett. a, CCII, impone la chiusura della procedura, senza che rilevi la trasmissione medio tempore di insinuazioni intempestive[20].
1.1 . La proroga per “particolare complessità” procedimentale del termine per le domande tardive
Il termine semestrale può essere allungato a dodici mesi, nella sentenza d’apertura della liquidazione, in ipotesi di “particolare complessità della procedura” (v. supra § 3.). 
La proroga va stabilita espressamente e non è desumibile ab implicito[21]. 
La scelta legislativa di non consentire differimenti del termine con provvedimento successivo rispetto a quello che inaugura il concorso appare piuttosto severa, se si considera che nel frangente dell’accertamento dell’insolvenza il tribunale difficilmente dispone di un paniere di dati utile a permettergli di apprezzare la laboriosità o meno della verifica dei crediti. 
La formula “particolare complessità” è, ad ogni buon conto, dilatata, il che la rende idonea ad abbracciare una casistica poliedrica, che va dalla cifra elevata di creditori, alla loro disagevole reperibilità o accentuata eterogeneità, dalla frammentarietà e incompletezza della documentazione valutabile, alla difficoltà prognostica delle questioni fattuali o giuridiche suscettibili d’essere investite di lì a poco dalle operazioni di verifica.
1.2 . Il ridisegnato spazio delle “supertardive”: la causa non imputabile
Lo spartiacque semestrale per la trasmissione delle tardive è fissato a pena di decadenza. 
Dal decorso dei sei mesi gemma una presunzione di inammissibilità della domanda che il creditore può superare se dimostra che il ritardo è in concreto dipeso da una causa a lui “non imputabile”[22]. 
La non imputabilità dell’impedimento subito è, dunque, il fatto costitutivo[23] di quella che è una forma di rimessione in termini. Sul crinale dell’art. 153 c.p.c.[24], l’effetto della non addebitabilità del ritardo è la riattribuzione alla parte di un potere estintosi per decadenza, a cagione del suo mancato esercizio in un termine perentorio imposto dalla legge. 
La formula impiegata dal comma 3 dell’art. 208, riproduce quella dell’art. 101, comma 4, L. fall., ed è significativamente la stessa che si rintraccia nell’art. 1218 c.c.; viene mutuata la collaudata nozione di “causa non imputabile” contemplata dalla norma paradigmatica sull’adempimento delle obbligazioni[25]. 
La “discolpa” postula che si dia contezza di circostanze utili ad escludere l’ascrivibilità al creditore dell’intralcio che ha inibito la presentazione tempestiva della domanda. 
Il sintagma “causa non imputabile” rimanda al sostrato della forza maggiore, del caso fortuito e dell’errore incolpevole di fatto[26], che è l’errore riferibile all’interessato, non evitabile usando la normale diligenza[27].  
L’orbita scriminante attrae tutte le situazioni che trascendono ogni controllo da parte del creditore: costui anziché provocarla, l’inosservanza del termine finisce suo malgrado per subirla[28]. 
L'inosservanza dei sei mesi non può contaminarsi di profili di incuria, trascuratezza o malafede del creditore. Deve collegarsi ad elementi decettivi e ingovernabili, di fatto o di contesto, tali da rendere il titolare della pretesa ignaro o impotente, per essersi tradotti, non in una mera difficoltà, ma in una situazione di impossibilità assoluta, e non relativa, di trasmettere la domanda nel rispetto del termine finale[29]. 
Il campionario delle non imputabilità censito in giurisprudenza è piuttosto ristretto[30]. L’esimente più diffusa coincide con la fattispecie della mancata o irrituale trasmissione dell'avviso ex art. 200 CCII (già art. 92 L. fall.) ai creditori ad opera del curatore, sempreché costui non abbia provato aliunde la conoscenza dell’accertata insolvenza da parte dell’ultratardivo[31]. 
Il curatore è tenuto a dimostrare la conoscenza effettiva, da parte del creditore, della declaratoria di insolvenza, oppure una cognizione di essa assimilabile a quella legale, che sarebbe stata garantita dall’invio dell’avviso prescritto dalla legge[32], non rilevando, perciò, né l'astratta conoscibilità, né la conoscenza di mero fatto, né la notorietà del fatto stesso[33]. 
Si è, in particolare, escluso il valore, a fini della prova della conoscenza, dell’iscrizione nel Registro delle Imprese della sentenza di fallimento[34]. 
Si è, viceversa, affermata la portata suppletiva, vuoi della rituale dichiarazione dell’avvenuta apertura del fallimento in un giudizio pendente in cui sia parte il creditore, vuoi dell’intervento lato sensu del curatore nella procedura esecutiva pendente nei confronti del debitore nella quale, parimenti, il creditore risulti essere parte[35]. 
Di rilievo in funzione della prova della conoscenza è stata reputata anche la comunicazione al creditore, a mezzo fax, della sentenza di fallimento[36]. 
La conoscenza è stata ritenuta evincibile anche dalla corrispondenza tra il creditore e la curatela, ove se ne ricavi la consapevolezza dell’esistenza della procedura da parte del primo[37]. 
È stato reputato non all'oscuro della procedura d’insolvenza in corso il creditore che abbia già depositato una domanda tempestiva di insinuazione al passivo, benché per crediti basati su un diverso titolo contrattuale[38]. 
È stato ritenuto giustamente edotto il creditore che abbia preso parte, ancorché per il tramite di un proprio mandatario, alla procedura di concordato preventivo del debitore[39]. 
Si è poi chiarito che non costituisce “causa non imputabile” del ritardo la circostanza per cui, pendendo la controversia nei confronti del fallimento in sede di appello per il riconoscimento di un credito, la corte non abbia ritenuto di interrompere il giudizio a seguito dell'intervenuto fallimento, in quanto il creditore è comunque ex lege gravato dall’onere di proporre domanda di ammissione al passivo con riserva[40]. 
Ancora si è ritenuto privo di pregio, ai fini della non imputabilità, il mutamento giurisprudenziale in ordine ad un determinato principio[41] o il c.d. overruling[42]. 
In materia di crediti di lavoro si è considerata la non imputabilità del ritardo in caso di rapporto cessato successivamente alla dichiarazione di fallimento, ove si abbia necessità di ottenere conteggi dipendenti dall'attività burocratica dell'Inps[43]. 
In ambito di crediti tributari si è ritenuto che il comportamento dell'Amministrazione finanziaria che nell'emissione del ruolo si attenga ai termini stabiliti dall’art. 25 D.P.R. n. 602/1973 non costituisca causa non imputabile del ritardo. È stata riconosciuta infatti all'ente impositore una legittimazione concorrente con quella spettante al concessionario, di natura squisitamente processuale[44]. In buona sostanza, i termini previsti dalla legge per le procedure di accertamento e l’emissione dei ruoli e delle cartelle non costituiscono una esimente di carattere generale dal rispetto del termine, dovendo l’ente impositore, una volta ricevuta notizia dell’apertura della procedura, immediatamente attivarsi per predisporre i titoli per l’insinuazione al passivo dei crediti[45]. 
In ogni caso, si è infine sancito che la valutazione di non imputabilità della causa implica un accertamento di fatto rimesso alla valutazione del giudice di merito, che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità[46].
1.3 . Segue: il termine di “reazione” e la declaratoria d’inammissibilità agevolata
Il D.Lgs. n. 14/2019 introduce due novità salienti nel regime delle supertardive.
La prima si scorge nel precetto che pone ora a carico del creditore l’onere di trasmettere la domanda al curatore non oltre “sessanta giorni” dal momento in cui è cessata la causa che ha impedito la presentazione tempestiva dell’istanza (art. 208, comma 3, primo inciso). È il ricorrente a dover allegare e provare il momento in cui l’impedimento è cessato, al fine di dare dimostrazione del rispetto del termine perentorio. 
L’innovazione è senz’altro opportuna, in quanto permette di assecondare insopprimibili istanze di certezza giuridica. In difetto di qualsiasi previsione nell’art. 101 L. fall., la giurisprudenza aveva infatti puntellato in via ermeneutica quest’ultima norma, esigendo che l’istante proponesse la domanda tardiva in un “termine ragionevole”, la cui congruità era rimessa ad una stima discrezionale (e mutevole), effettuata caso per caso dal giudice[47]. 
Ora che il termine è irregimentato, le fondamenta della supertardiva ammissibile appaiono finalmente solide: sono oramai la non imputabilità del ritardo e la “tempestività della reazione una volta cessata la causa esterna che lo ha determinato” [48] a rendere scusabile il ritardo stesso. 
La seconda novità di conio recente si riscontra nella previsione di una modalità semplificata di definizione della domanda ultratardiva manifestamente inammissibile. 
Sotto il vigore della Legge fallimentare era pacificamente ritenuta impronunciabile la reiezione de plano dell’istanza intempestiva[49], stimandosi l’udienza alla stregua di passo obbligato[50].   
Adesso viene introdotta nel diritto positivo una fattispecie di inammissibilità “agevolata” ricorrente ogni qualvolta l’istante non indichi in ricorso le circostanze da cui è dipeso il ritardo o non ne offra prova documentale o segnali i mezzi di prova di cui intende valersi per dimostrare la non imputabilità. In questo triplice novero di casi, il giudice delegato può dichiarare l’inammissibilità della domanda senza instaurare il contraddittorio. 
La mancata indicazione di circostanze, documenti e prove, parrebbe dover essere radicale e assorbente. Il deficit su cui sembra proiettarsi la norma non è ravvisabile nell’ipotesi in cui il ricorrente abbia comunque proceduto ad allegazioni e deduzioni probatorie, che il giudice reputi “a prima lettura” – rapsodicamente – poco conferenti o tutto sommato inattendibili. 
La norma respinge il ricorrente sull’uscio del processo, il che sul piano sistematico e costituzionale può giustificarsi solo in quanto valga a stigmatizzare la carenza totale di fatti e prove, non anche in quanto serva ad affidare al giudice, in un contesto riservato e officioso, la valutazione della verosimiglianza dei fatti rappresentati dall’istante o della rilevanza o attitudine dimostrativa dei documenti che sono stati depositati o delle prove che sono state richieste.  
In questo quadro, considerata la lettera della legge, che non evoca il profilo della cessazione dell’impedimento, il filtro contenuto dalla norma non può valere a bloccare con la declaratoria di inammissibilità – elidendo l’udienza di verifica – la domanda supertardiva nell’ipotesi in cui il creditore non abbia indicato le circostanze che assegnano una “marca temporale” alla cessazione dell’evento impeditivo, momento al quale si allaccia il dies a quo del termine perentorio di sessanta giorni per l’insinuazione supertardiva. 
In ultima analisi, solo quando la domanda è vistosamente deficitaria sul piano dei fatti e delle prove, il giudice può astenersi dal fissare l’udienza di verifica e dal sentire il ricorrente (art. 208, comma 3, ult. inciso). È la domanda ultratardiva peregrina a consentire, infatti, un abbassamento costituzionalmente accettabile della soglia di garanzia del diritto di difesa, a tutto vantaggio della celerità del processo e della deflazione del contenzioso. 
Esclusivamente la vaghezza della causa non imputabile giustifica l’accantonamento unilaterale su determinazione del giudice del procedimento di accertamento del passivo, che anche per le ultratardive sarebbe destinato a svolgersi secondo le forme degli artt. 201 e ss. e a concludersi con un decreto impugnabile secondo le previsioni degli artt. 206 e 207. Quel procedimento è soppiantato da uno scrutinio solipsistico, il cui epilogo è un provvedimento tranchant, reclamabile dinanzi al tribunale ai sensi dell’art. 124 CCII. 
Il reclamo che sortisca un rigetto, così confermando l’inammissibilità della domanda, rivela natura decisoria, il che depone per la sua impugnabilità con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. 
Il provvedimento di accoglimento si risolve, invece, nell’annullamento del decreto, sulla base della valutata insussistenza di una “manifesta inammissibilità” della domanda, il che impone di rimbalzo al giudice delegato di procedere ad un esame della domanda nelle consuete forme del procedimento di verifica del passivo, cui sarà tenuto a dar corso con la fissazione della relativa udienza.
2 . Aspetti procedimentali
La legittimazione attiva a proporre la domanda tardiva o supertardiva spetta a chiunque s’affermi titolare di una pretesa creditoria nei confronti del fallito. 
Al pari di quanto succede per le insinuazioni tempestive, l’oggetto del procedimento di verifica attinge tre piani intersecati: 
i. l’accertamento dell’esistenza e consistenza di un credito; 
ii. la validità del titolo su cui la ragione creditoria si fonda; 
iii. l’efficacia e opponibilità di detto titolo. 
Il terzo dei piani tracciati attiene all’essenza stessa della concorsualità. Questa implica l’onere di chi presenta una domanda d’accesso al concorso, di dimostrare, oltre all’esistenza di credito e titolo, l’anteriorità della genesi del credito rispetto all’esordio della liquidazione giudiziale e la non revocabilità del titolo ai sensi degli artt. 163 e ss. CCII[51]. 
Sul piano processuale la tardività è un dato neutro. 
È circostanza che non produce conseguenze sulla procedura di verificazione, il che vuol dire due cose: innanzitutto, che le domande intempestive sono trattate al modo delle tempestive; inoltre, che l’ammissione tardiva e quella ordinaria rappresentano due fasi distinte di un identico procedimento e condividono un’efficacia meramente endoncorsuale[52]. 
Il Codice della crisi rinsalda l’impianto introdotto con la riforma della legge fallimentare del biennio 2006/2007. La liturgia rimane quella dell’udienza collettiva e si opta per la piena uniformazione della disciplina procedimentale della verifica[53]. 
Le forme dell’esame di tardive e supertardive sono, dunque, le stesse della formazione dello stato passivo delle tempestive, venendo in auge l’importazione ex comma 2, ult. inciso, dell’art. 208 CCII, dell’intero corredo delle disposizioni di cui agli artt. da 201 a 207. 
Vi è piena identità di regole, allora, sia a livello di procedimento che di contenuto ed effetti della domanda, sia a livello di struttura ed efficacia della decisione giudiziale che di impugnazioni esperibili. 
A mente del comma 1 dell’art. 201, anche domanda tardiva o supertardiva viene proposta con ricorso. 
Questo può essere depositato dalla parte personalmente, non essendo indispensabile l'assistenza tecnica di un difensore. Naturalmente, ove il creditore ritenga di farsi assistere da un avvocato, deve annettere al ricorso la procura alle liti. 
Il contenuto dell’atto è esibito dal comma 3 dell’art. 201. Tra le indicazioni necessarie figurano la procedura di riferimento, le generalità del creditore, l’indirizzo di posta elettronica certificata per la ricezione delle comunicazioni, il petitum (l’oggetto della domanda), la causa petendi (ossia, la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda e che, in definitiva, la sorreggono). 
Il creditore può affiancare alla domanda d’accertamento del credito, la richiesta di riconoscimento della prelazione di cui assuma d’essere titolare (privilegio, pegno, ipoteca). Se la prelazione è speciale, perciò riferita al singolo cespite, diviene necessaria la descrizione del bene. Non è, invece, indispensabile che il creditore specifichi il grado della prelazione, invero derivante dalla legge. 
La circostanza che sia esplicitamente prevista, in punto di contenuto “minimo” del ricorso, l’indicazione del titolo di prelazione con la descrizione del bene cui si aggancia (lett. d, comma 3, art. 201), depone per l’inammissibilità della domanda tardiva tesa a vestire di qualità prelatizia un credito tempestivamente richiesto senza attributi[54]. 
Insieme al ricorso il creditore ha l'onere di allegare i documenti probatori di supporto alla domanda (comma 6, art. 201). 
Il meccanismo procedurale rimane quello basato sul deposito, ad opera del curatore, di un progetto di stato passivo almeno 15 giorni prima di un’udienza di discussione destinata ad ospitare il contraddittorio incrociato fra il debitore e tutti i suoi creditori, i quali fino a 5 giorni prima dell’udienza stessa possono presentare osservazioni e documenti (art. 203, comma 2). 
Il progetto del curatore è trasmesso mediante pec a tutti i creditori, consentendo in una sede precoce l’emersione delle contestazioni dei controinteressati, che altrimenti finirebbero per erompere a posteriori, nel contesto di un giudizio di impugnazione​. 
Ai sensi dell’art. 208, comma 2, secondo inciso, le insinuazioni intempestive sono esaminate in udienze ad hoc, fissate dal giudice delegato (se e) “quando vengono presentate domande tardive”, tendenzialmente nei “quattro mesi” successivi alla loro proposizione. Il lasso temporale corrisponde a quello stabilito per la presentazione del progetto quadrimestrale di ripartizione delle somme da parte del curatore ai sensi dell’art. 220, comma 1. 
Naturalmente la previsione di udienze apposite non esclude che il giudice delegato esamini le tardive sopraggiunte poco dopo il termine dei trenta giorni (esemplificativamente le tardive del “31° giorno”) nell’udienza di verifica già calendarizzata per le tempestive, venendo in apice sia l’unitarietà dell’accertamento del passivo, sia il potenziale pregiudizio che il creditore tardivo almeno nell’immediato sconterebbe in ipotesi di esecuzione di un riparto ad appannaggio di creditori, magari solo leggermente più solleciti[55]. 
La domanda tardiva è di fatto rivolta a tutti i creditori, comportando un litisconsorzio passivo unitario fra i medesimi. Essi sono tutti potenzialmente coinvolti, ma divengono parti in concreto qualora intendano assumere una presenza attiva nel procedimento. 
Proprio in funzione del contraddittorio trasversale è specificamente previsto che il curatore dia avviso della data dell’udienza a coloro che hanno presentato la domanda e a tutti i creditori già ammessi al passivo (comma 2, secondo inciso, art. 208). 
Il curatore – attraverso il progetto di stato passivo trasmesso ai creditori, come s’è veduto, almeno 15 giorni prima dell’udienza in parola – ha già dovuto prendere posizione su ciascuna domanda tardiva, concludendo sulla scorta dei propri riscontri, quindi proponendo l’ammissione della domanda oppure opponendosi ad essa o, infine, rilevandone l’inammissibilità. 
L’organo concorsuale può, naturalmente, sollevare eccezioni in senso lato o in senso stretto[56], come pure limitarsi a mere difese, consistenti nella negazione dei fatti costitutivi della ragione di credito. 
Creditori e debitore, dal canto loro, possono presentare osservazioni scritte sino a cinque giorni prima dell’udienza, anche in senso adesivo alle posizioni del curatore, depositare documenti integrativi e formulare richieste istruttorie (art. 203, comma 2, ultimo inciso). 
Una dottrina autorevole evidenzia che “il progetto di stato passivo s’atteggia a primo atto difensivo del curatore e, per simmetria con la posizione del ricorrente e con le regole dei processi dichiarativi (art. 167, 416, 281-decies c.p.c.), le eccezioni in senso stretto che spettano al curatore vanno dedotte proprio in occasione della redazione del progetto di stato passivo”[57]. 
In realtà, l’accertamento del passivo delle tardive sembra configurarsi alla stregua di procedimento senza preclusioni anteriori all’udienza[58]. I termini previsti nell’art. 203 – sintomaticamente senza sanzioni processuali – sono finalizzati a precostituire un contraddittorio incrociato fra i creditori, che in tanto assume un senso, in quanto sia anche informato. 
L’udienza a tal fine, potendo convogliare le iniziative di molti e le posizioni controinteressate di tutti gli altri, è opportuno veda maturare in anticipo le posizioni. Si tratta, tuttavia, di un’evenienza solo auspicabile.  
Non è escluso che il curatore tragga modo e tempo per sollevare un’eccezione in senso stretto proprio nel contesto dell’udienza, nel cui ambito ogni creditore oltre che sollecitare l’ammissione del proprio credito, può contrastare i crediti altrui. 
Ciascun creditore, dal canto suo, ha proprio in udienza l’occasione di prendere partito – eventualmente controeccependo – sulle eccezioni avanzate dagli altri creditori[59]. 
Il creditore tardivo, dal canto suo, sulla scorta di quanto gli altri hanno dedotto, può ben correggere il tiro, finanche modificando la domanda e rimettendosi in tal modo alla decisione finale del giudice[60]. La modifica è possibile nei limiti in cui la situazione dedotta resti in nuce inalterata. La Corte di Cassazione è, d’altronde, negli ultimi anni venuta ad affermare che “la modifica, consentita, della domanda iniziale possa riguardare gli elementi identificativi oggettivi della stessa, a condizione che abbia ad riferimento la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo o comunque sia a questa collegata”[61]. 
L’udienza non è funzionale, in definitiva, a fotografare un thema decidendum già cristallizzato, altrimenti essa servirebbe a poco. 
D’altronde, il comma 3 della norma s’incarica di precisare che in esito all’udienza fissata il giudice decide “nei limiti delle conclusioni formulate e avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d’ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati”, senza contenere una puntualizzazione esplicita sul fatto che le eccezioni in senso stretto debbano essere già state preconfezionate in anticipo rispetto all’udienza[62]. 
In particolare, nell’udienza – ora espressamente conducibile pure in modalità telematica – compaiono il curatore, i creditori ed eventualmente il debitore. In ogni caso, anche in assenza delle parti, essendosi il contraddittorio dispiegato già con il deposito degli atti di parte precedenti, il giudice delegato provvede a formare lo stato passivo e a renderlo esecutivo con decreto. 
In ipotesi di differimento dell'udienza di verifica, l’opinione più plausibile – espressa con riferimento all’art. 101 L. fall., ma di persistente ragionevolezza nel neonato sistema – è quella che differenzia, ai fini della valutazione di tempestività o tardività della domanda, l’ipotesi di apertura reale delle operazioni di verifica dall’eventualità del mero rinvio d’udienza, computando, in questo secondo caso, il termine a ritroso dalla successiva udienza, che costituisce la prima occasione effettiva di disamina delle domande[63]. 
Il curatore e i creditori possono proporre opposizione, impugnazione o revocazione avverso il decreto che dichiara l’esecutività dello stato passivo. Poiché in particolare i creditori già ammessi sono legittimati, per principio assodato, a impugnare i provvedimenti di accoglimento delle domande tardive[64], a salvaguardia del loro diritto di azione (e di difesa) parrebbe doversi garantisticamente effettuare anche nei loro confronti la comunicazione del decreto di esecutività, che l’art. 205 pur prevede nei confronti dei “ricorrenti”[65]. 
Il giudice delegato può procedere ad atti di istruzione su richiesta delle parti, compatibilmente con le esigenze di “speditezza del procedimento” (art. 203, comma 3, secondo inciso). Non è quindi praticabile un’attività istruttoria ex officio
Il Codice tace, diversamente che per le impugnazioni (art. 207, comma 16), in ordine alla sospensione feriale dei termini. Con riguardo all’art. 101 L. fall., la giurisprudenza nomofilattica era nel senso dell’assoggettamento del “termine perentorio per il deposito delle domande tardive alla sospensione feriale”[66]. La regola è adesso sbaragliata dall’art. 9, comma 1, CCII, che esclude l’applicabilità della sospensione feriale dei termini di cui all’art. 1 L. 7 ottobre 1969, n. 742, ai procedimenti disciplinati dal codice, “salvo che esso non disponga diversamente”, e non è questo il caso[67].
2.1 . Le patologie del ricorso
Qualora il contenuto basilare del ricorso, descritto dall’art. 201 (§. 2.), dunque parti, petitum o causa petendi, sia difettoso, perché assolutamente carente o incerto, la sanzione prevista è l’inammissibilità della domanda. Si adopera una categoria che, diversamente dalla nullità, non sembra prestarsi a sanatorie. 
La dichiarazione d’inammissibilità si risolve, peraltro, in una pronuncia in rito, in quanto tale non ostativa alla riproponibilità della domanda.
Resta naturalmente impregiudicata la legittimazione del creditore ad optare per l’impugnazione della declaratoria in parola, così da affacciarsi al concorso con lo status di creditore tempestivo. 
Emendabile sembra, invece, il vizio riguardante la procura al difensore, che può essere corretto con effetti ex tunc su sollecitazione del giudice come in un ordinario processo di cognizione.
2.2 . Gli effetti del ricorso
A mente dell’art. 202 il ricorso produce gli effetti di una normale domanda giudiziale “per tutto il corso della liquidazione” e addirittura anche oltre qualora la procedura sia chiusa in costanza di processi pendenti. 
Gli effetti sostanziali della domanda d’insinuazione attengono innanzitutto alla prescrizione, che viene interrotta e inizia nuovamente a decorrere, restando sospesa fino al termine del procedimento concorsuale; essi riguardano, inoltre, le decadenze, che entrano in stallo e non sono suscettibili di maturare. 
Gli effetti processuali si compendiano nella litispendenza, che implica l’essenzialità della rinuncia, qualora il creditore voglia abdicare al proposito di far valere giudizialmente il credito. 
La domanda di ammissione al passivo produce, poi, effetti sui coobbligati e sui garanti alla stregua degli artt. 1957 e 1310 c.c. 
È da segnalare che sono legittimati, in virtù del ricorso, all'impugnazione dei crediti ammessi tutti i creditori, tempestivi o tardivi che siano, la cui domanda sia stata definitivamente accolta o sia ancora controversa per la pendenza del procedimento di opposizione avverso il decreto di rigetto[68].
2.3 . L’esito del procedimento
L'esito del giudizio di verifica può sostanziarsi in un provvedimento di accoglimento, di rigetto integrale o parziale (sia relativamente alla misura del credito, sia alla sussistenza della causa di prelazione), di ammissione con riserva nei casi contemplati dall'art. 204, infine di inammissibilità[69]. 
Il decreto che dichiara l'esecutività dello stato passivo è adottato in udienza avuto riguardo – contestualmente – a tutte le domande tardive. È immediatamente efficace e nella parte in cui non è gravato da impugnazioni o opposizioni, assume una stabilità equipollente a quella del giudicato di una sentenza. In particolare, preclude l’esame, nell’alveo concorsuale, d’ogni questione relativa all'esistenza, all'entità, al grado del credito, all'efficacia del titolo che lo sostiene (non più assoggettabile a revocatoria). 
In sede di riparto ex art. 220 CCII si discuterà soltanto della graduazione dei vari crediti, senza tornare sui profili di sussistenza, qualità e quantità del credito. 
Il provvedimento di accoglimento della domanda è un titolo esecutivo peculiare, che legittima il creditore ad agevolarsi degli esiti della liquidazione, riconoscendogli un diritto di credito corroborato dal requisito della concorsualità. L’art. 204, comma 5, CCII, prevede che gli effetti della decisione giudiziale non si riverberano oltre il concorso, il che vuol dire che fuori dalla liquidazione giudiziale quella decisione non fa stato fra le parti. 
L'efficacia endoconcorsuale è propria sia del provvedimento del giudice delegato, sia del decreto del tribunale in esito al procedimento di opposizione o impugnazione. La maggiore qualità della cognizione propria dei giudizi impugnatori non ridonda, infatti, sull’efficacia della decisione. 
Il termine per l’impugnazione del decreto di esecutività dello stato passivo delle domande tardive decorre dalla sua comunicazione “mentre è inammissibile un’impugnazione del provvedimento di ammissione di singoli crediti perché in contrasto con l’esigenza di definizione unitaria di tutte le questioni concernenti lo stato passivo”[70].
2.4 . Dieci corollari dogmatici
L’analisi fin qui condotta dovrebbe permettere di stabilire alcuni punti fermi. 
Primo punto. Nella domanda tardiva il petitum è l’importo a credito che si intende insinuare, mentre la causa petendi è il titolo in forza del quale quella somma è pretesa. Si tratta di “due angolazioni del diritto sostanziale affermato”[71]; essi costituiscono altrettanti criteri di valutazione dell’ammissibilità della domanda. Quest’ultima può concernere in via esclusiva un diritto sostanziale differente rispetto a quello affermato con la domanda promossa tempestivamente in forza dell’art. 201 CCII[72]. La situazione dedotta dev’essere diversa da quella già azionata, non potendo riallacciarsi ad un rapporto unitario e compatto e ad un interesse univoco[73]. La situazione rimane di certo la stessa ove il creditore si limiti a insistere tardivamente per una porzione ulteriore di un ammontare complessivo già in parte richiesto sulla base di uno specifico titolo; non è, del resto, consentito chiedere l’adempimento frazionato del credito[74]. 
Secondo punto. L’unica via percorribile dal creditore nel caso in cui il giudice non ne abbia ammesso il credito è quella dell’opposizione allo stato passivo. Rimane salva un’eventualità: quella in cui la decisione non sia entrata nel merito della domanda, arrestandosi ad una mera pronuncia di inammissibilità. In tal caso, infatti, l’art. 204, comma 1, secondo inciso, CCII precisa espressamente che la declaratoria adottata in rito non è d’ostacolo alla “successiva riproposizione”. Ed allora, l’aspirante creditore è posto di fronte ad un bivio: impugnare lo stato passivo, insistendo per l’ammissibilità e la fondatezza della propria pretesa, in guisa da presentarsi al concorso come tempestivo; tralasciare i rimedi impugnatori e riproporre la propria domanda come tardiva. 
Terzo punto. L’ammissione tardiva e quella ordinaria sono altrettante fasi di uno stesso procedimento decisorio e giurisdizionale. Ciò comporta che rispetto alla decisione concernente un’insinuazione tardiva, le pregresse decisioni riguardanti l’insinuazione ordinaria posseggano valenza di giudicato interno. Pertanto, un credito per poter accedere al concorso mediante la corsia ritardata deve mostrarsi divaricato, in base ai criteri del petitum e della causa petendi, da quello veicolato con l’insinuazione ordinaria. Il credito è nuovo se il creditore non ha formulato alcuna domanda tempestiva oppure l’ha formulata in relazione ad un credito, successivamente avanzandola per un altro credito[75]. 
Quarto punto. La diversità e novità del credito devono essere radicali. La domanda tardiva non può atteggiarsi a rimedio surrettizio di un'opposizione non promossa in termini. Ad integrare l’originalità della domanda d’ammissione non sono naturalmente sufficienti né il mero dato quantitativo della ragione di credito, né una sua differente coloritura o connotazione[76]. Quello che avremmo chiamato, fino a due anni e mezzo fa, “giudicato endofallimentare” sulla domanda tempestiva copre il dedotto e il deducibile, dal che discende che la tardiva deve necessariamente avere ad oggetto un credito del tutto disuguale da quello già ammesso, sia per petitum, sia per causa petendi. L'accertamento del passivo si sviluppa attraverso una sequenza di fasi, dunque di subprocedimenti interni ad un unico accertamento giurisdizionale. Le decisioni che via via definiscono le fasi vanno considerate definitive, sicché rappresenta domanda nuova solo quella che ruota su presupposti di fatto e situazioni giuridiche prima non prospettate, implicando un mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e comportando l’esigenza di una nuova parentesi cognitiva, destinata a soffermarsi su un diverso tema di indagine e di decisione. 
Quinto punto. È inammissibile la presentazione di una nuova domanda dopo la rinuncia alla domanda di ammissione tempestiva con la conseguente formazione del “giudicato endofallimentare”, se del caso in esito all’omessa impugnazione del decreto di rigetto dell’opposizione alla dichiarazione di esecutività dello stato passivo; il giudicato in parola, infatti, in quanto volto ad eliminare l’incertezza delle situazioni giuridiche mediante la stabilità della decisione, è intangibile e non può essere disconosciuto da una parte processuale al fine di ottenere nuovamente e dallo stesso giudice una seconda decisione attraverso una nuova domanda (anche tardiva) di insinuazione[77]. 
Sesto punto. Ove sia stato pronunciato un decreto che, accertando nel merito l’esistenza, l’entità e il grado del credito o escludendone la sussistenza, sia diventato definitivo, il principio del ne bis in idem esclude che con la domanda tardiva possa invocarsi una nuova pronuncia sul diritto di credito già scrutinato nel merito. L’esistenza, l’importo e il rango di tale diritto – ma specularmente, anche la sua appurata inesistenza – si profilano refrattari alle nuove deduzioni di colui che si assuma titolare del credito. Costui non può veicolare una seconda volta nel concorso formale il diritto giudizialmente ritenuto inesistente o inopponibile alla procedura; egli non può riaffermarlo nemmeno ove, essendo risultato “vittorioso” in sede di verifica del passivo, miri ad ottenere un provvedimento più favorevole sul credito pecuniario già riconosciuto esistente. L’istanza non può reclamare importi maggiori che si assumono discendenti dallo stesso titolo fatto valere in via tempestiva, essendo principio generale quello per cui l’efficacia vincolante della decisione ridonda anche contro il vincitore del processo[78]. 
Settimo punto. Quella tardiva appare come una via di buon senso, per la quale si può aprire il transito ogni qualvolta vi sia stata un’omissione di pronuncia. Solo parzialmente difforme è il problema attinente ai casi di mancata statuizione del giudice delegato su una parte della domanda, esemplificativamente quella relativa agli interessi. Ad un primo orientamento che ritiene proponibile il rimedio dell’opposizione allo stato passivo[79], se ne contrappone altro, più apprezzabile per duttilità, che reputa spendibile la domanda tardiva[80]. 
Ottavo punto. Dal momento che l’articolazione ulteriore della fase di accertamento del passivo investe indefettibilmente ragioni creditorie inedite, che non sono state, cioè, oggetto di domanda nella fase anteriore, lo snodo processuale aggiuntivo riguardante le tardive è insensibile alle contestazioni attinenti allo stato passivo delle tempestive, già dichiarato esecutivo e a quel punto intangibile in parte qua[81]. 
Nono punto. La domanda tempestiva, a mente dell’art. 202, spiega gli effetti della domanda giudiziale, tra i quali figura quello della litispendenza. Ne deriva che, qualora il giudizio vertente sul diritto tempestivamente fatto valere sia ancora in itinere, la litispendenza sia ostativa, ex art. 39, comma 1, c.p.c., alla riproposizione tardiva nel medesimo processo di una pretesa che lambisca o inerisca quello stesso diritto[82]. 
Decimo punto. Il creditore che ha chiesto con la domanda tempestiva l’ammissione del credito in chirografo e che, una volta emesso il decreto di esecutività dello stato passivo, propone una domanda tardiva per il riconoscimento del rango prelatizio o prededuttivo, suscita un dilemma che il Codice non ha sopito. Secondo l’orientamento maggioritario verrebbe in auge una preclusione legata alla stretta connessione dell’accertamento della qualità del credito al profilo – inscindibile – attinente alla sua esistenza[83] e non essendo ipotizzabile una controversia sull’esistenza della causa di prelazione a prescindere dalla sussistenza del credito[84]. È forse dirimente, in realtà, che l’art. 201 CCII preveda alla lett. d) – come sopra evidenziato (v. supra § 2.) – che già il ricorso debba contenere “l’eventuale indicazione di un titolo di prelazione”, quasi ad escludere addizioni successive.
2.5 . Gli approdi giurisprudenziali
La trama dei principi esposti si ritrova nel tessuto giurisprudenziale, ove affiorano, su singole questioni, alcuni indirizzi consolidati. 
Un primo orientamento sedimentato attiene all’affermata impossibilità di chiedere l’insinuazione al passivo in via tardiva per un importo maggiore[85]. 
Un secondo avviso emerso è quello che esclude la possibilità di domandare l’ammissione con prelazione del credito già insinuato in via chirografaria, qualora la causa di prelazione non sia stata dedotta con la domanda tempestiva o sia stata negata dalla prima decisione[86]. 
È poi opinione contigua e robusta quella che ritiene l’impraticabilità di un’insinuazione in prededuzione del diritto, qualora la natura prededuttiva non sia stata dedotta nella domanda tempestiva o sia stata negata dalla prima statuizione[87]. 
In ambito di rapporti di lavoro, il parametro seguito è nel senso di ritenere la pretesa retributiva inerente un segmento temporale del rapporto differente per petitum e causa petendi dalla pretesa inerente altro segmento del medesimo rapporto[88]. Si evidenzia, del resto, che se la domanda di accertamento di un credito poggia su determinate causali resta ammissibile la domanda tardiva riguardante pretese obbligatorie aventi titolo nel medesimo rapporto complesso, ma concernenti diverse causali[89]. 
Un principio rettilineo nella giurisprudenza nomofilattica è quello per cui la domanda tempestiva volta a conseguire il riconoscimento di un credito al pagamento di prestazioni periodiche non condiziona l’ammissibilità della domanda per ratei dell’obbligazione riguardanti diversi periodi temporali[90]. 
Posizione cristallizzata è quella secondo cui l’ammissione del credito a titolo di capitale non impedisce l’insinuazione in via tardiva della pretesa accessoria inerente gli interessi. Quello da interessi, benché credito geneticamente accessorio, rimane strutturalmente autonomo, quindi azionabile separatamente[91]. 
In precedenza, tuttavia, con riferimento a un rapporto di mutuo, la Corte aveva escluso l’ammissibilità della tardiva relativa agli interessi sul capitale richiesto in sede tempestiva[92]. 
La richiesta a posteriori degli interessi è stata, inoltre, reputata inammissibile nel caso in cui gli stessi costituiscano una mera componente della pretesa già azionata, il che accade con riferimento al credito risarcitorio da illecito aquiliano[93]. 
La nomofilachia si è, poi, espressa nel senso dell’ammissibilità della richiesta tardiva di interessi in tema di tasse comunali, insistendo sull’autonomia di detto credito.[94]. 
La frazionabilità del credito è stata riconosciuta anche in ambito di contratto d’appalto pubblico rescisso unilateralmente ai sensi dell’art. 340 L. n. 2248/1865, All. F.[95]. 
In ambito fiscale si è ritenuta ammissibile la domanda tardiva proposta per la sanzione pecuniaria, a fronte dell’ammissione al passivo tempestiva dell’imposta evasa[96]. 
È oramai pacifico che le cessioni di credito comportino l’attribuzione da parte del curatore delle quote di riparto ai cessionari, con rettifica formale dello stato passivo, sempreché la cessione sia stata tempestivamente comunicata, unitamente alla documentazione che attesti, con atto recante le sottoscrizioni autenticate di cedente e cessionario, l’intervenuta cessione. L’art. 230, comma 2, che mutua il contenuto dell’art. 115, comma 2, L. fall. (secondo la modifica apportatavi dal D.Lgs. n. 5/2006 e dal D.Lgs. n. 169/2007) esclude che il mutamento soggettivo della titolarità del credito, per effetto di acquisto a titolo derivativo del diritto, faccia gemmare l’onere del cessionario di richiedere l’insinuazione in via tardiva[97]. L'ipotesi che ricorre maggiormente è quella della surrogazione legale dell'Inps conseguente all'anticipazione del TFR da parte del fondo di garanzia ex lege 29 maggio 1982 numero 297.
3 . Gli effetti della ammissione in via tardiva dei crediti pecuniari
Come nell’esecuzione individuale, anche nella liquidazione giudiziale il legislatore ha stabilito un trattamento svantaggioso per i creditori tardivi[98]. 
Per gli intempestivi le prime due criticità sono di ordine sistematico. 
Intanto, perché nel nuovo ordito normativo si dà continuità alla previsione in forza della quale la liquidazione si chiude se non sono presentate domande di ammissione al passivo tempestive nel termine perentorio stabilito a mente dell’art. 49, comma 3, lett. e, nella sentenza di apertura (art. 233, comma 1, lett. a, corrispondente all’art. 118, comma 1, n. 1), L. fall.)[99]. 
Inoltre, perché la proposizione della tardiva non ostacola la chiusura della liquidazione giudiziale per integrale soddisfacimento dei creditori già ammessi o per esaurimento dell’attivo, né impone al curatore di accantonare una porzione dell’attivo stesso a salvaguardia delle aspettative del creditore che abbia indugiato a palesarsi; tale ipotesi non è annoverata dalla disposizione tassativa, quindi insuscettibile di applicazione analogica, in tema di accantonamenti nelle ripartizioni parziali (art. 227 CCII pedissequo all’art. 113 L. fall.)[100]. 
Per il resto, gli effetti della ammissione tardiva sono disciplinati dall’art. 225[101] e, con una insolita disposizione gemellare, dal successivo art. 226[102]. 
Il creditore pecuniario intempestivo partecipa al concorso, non senza uno scotto collegato al ritardo. Non recupera, infatti, in linea di massima la partecipazione alle ripartizioni dell’attivo nel frattempo avvenute, concorrendo solo sulle distribuzioni successive alla propria ammissione. Gli è consentito, tuttavia, di prelevare le somme che gli sarebbero spettate nei riparti precedenti se il suo è un credito forte, perché assistito da prelazione, oppure se dimostra che il ritardo nell’insinuazione non è a lui imputabile. 
Nel primo caso è la classe d’appartenenza a blindare il creditore, nel secondo caso a premiarlo è la capacità di assolvere all’onere di allegare e dimostrare, nel procedimento di verifica, le circostanze inerenti alla non ascrivibilità a sé dell’impedimento, secondo l’archetipo abituale della “causa non imputabile” (v. sul contenuto della prova § 1.2.). 
L’accertamento della non addebitabilità del ritardo dev’essere necessariamente contenuto nel decreto del giudice delegato (o del tribunale) di accoglimento della domanda di insinuazione tardiva al passivo, non potendo divenire oggetto di un distinto giudizio, né essere invocato dal creditore per la prima volta in sede di reclamo avverso il progetto di riparto delle somme ai sensi dell’art. 220, comma 3[103]. 
4 . L’insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura di liquidazione giudiziale
Vi è un coacervo di pretese accomunate dall’essere sorte in conseguenza o in funzione della procedura concorsuale, ma sempre successivamente alla sua apertura. 
Il principio di esclusività dell’accertamento del passivo comporta che l’accertamento di tali crediti, sopravvenuti all’inaugurazione del concorso, si compia nella sede elettiva e ineludibile del procedimento di verifica, alla stregua di quanto accade per i crediti propriamente concorsuali, in quanto nati in anticipo rispetto alla declaratoria di insolvenza. In effetti, una volta intervenuta la declaratoria d’apertura, l’art. 151 CCII (già art. 52 L. fall.), prevede che ogni credito, anche se munito di prelazione o targato dalla prededuzione, debba essere accertato secondo le specifiche norme sulla formazione dello stato passivo, nel contraddittorio simultaneo fra chi vanta il diritto e gli altri creditori insinuati. 
Il problema, con riferimento ai crediti sopravvenuti, di matrice eterogenea, e il cui comune denominatore è la posteriorità all’accertamento dell’insolvenza, concerne il termine entro il quale la domanda di insinuazione può reputarsi proponibile[104]. 
Il legislatore del Codice non si è peritato di positivizzare soluzioni. 
Eppure, i termini perentori previsti dall’art. 208, comma 1 e 3 (già art. 101, comma 1 e 4, L. fall.) appaiono riferibili alle ragioni di credito sorte prima dichiarazione d’apertura della liquidazione giudiziale. Guardati in filigrana i crediti venuti ad esistenza nel corso della procedura non recano l’impronta della dilazione e proprio in quanto postumi rispetto alla pronuncia della sentenza di liquidazione, si iscrivono su un piano differente dalla mera tardività. 
Ciononostante, la domanda di ammissione dei crediti sopravvenuti è stata assoggettata dalla giurisprudenza prevalente ad un limite temporale preso in prestito dalla disciplina delle domande tardive. Nell’ottica pragmatica di sterilizzare il pregiudizio di funzionalità del sistema che deriverebbe dalla prerogativa del creditore di far valere ad libitum le proprie ragioni, fino alla conclusione delle operazioni di riparto, il termine utile per insinuare il credito post concorsuale è stato identificato in 12 mesi, a decorrere dal momento in cui, in virtù della sua venuta ad esistenza del credito, si manifestano le condizioni per la partecipazione al passivo del suo titolare. 
Il termine del creditore sopravvenuto è, dunque, intonato allo spartito temporale concesso ai creditori preesistenti per la presentazione delle domande tardive[105] e il titolare della pretesa germogliata dopo l’apertura della liquidazione deve addentrarsi ritualmente al concorso, formalizzando la domanda d’ammissione, entro un anno (ora sei mesi) dal momento in cui “si verificano le condizioni per partecipare al concorso fallimentare, non potendo riconoscersi al creditore sopravvenuto un termine più breve di quello a disposizione dei creditori preesistenti, alla luce del principio di eguaglianza e del diritto di agire in giudizio, di cui agli artt. 3 e 24 Cost.”[106]. 
La posizione riassunta appare sdrucciolevole su un piano concettuale, in parte adombrato. 
Nella natura sopravvenuta di un credito si scorge un tratto caratteristico: non è configurabile un’intempestività. È allora eccentrico sottoporre chi conquista una ragione di credito a concorso dischiuso a una disciplina dettata per regolare i ritardi, anziché per governare le sopravvenienze. 
Ancor più singolare parrebbe attendere sistematicamente per un anno, ora un semestre, le determinazioni di un creditore magari ben consapevole di esserlo nel frangente stesso in cui tale è divenuto. 
Si è affacciato perciò nel dibattito un diverso, consistente orientamento, a tenore del quale, analogamente a quanto sostenuto in relazione alle domande supertardive nel vigore dell’art. 101 L. fall. (v. § 1.2.), si ritiene che il creditore, il cui diritto sia sorto dopo la dichiarazione di esecutività dello stato passivo, debba presentare la domanda di ammissione al passivo – a pena di inammissibilità – entro un “termine ragionevole” o “ragionevolmente necessario”, in base alle peculiarità del caso concreto, per la proposizione della domanda, a decorrere dal momento in cui essa può essere presentata, ossia dalla nascita del credito[107]. 
Il Codice della crisi fa mutare lo scenario complessivo di riferimento[108]. Sebbene il legislatore non abbia indicato un tempo di reazione per il creditore sopravvenuto che aspiri a insinuarsi al concorso, è anche vero che ha stabilito l’ancoraggio ex art. 208, comma 3, delle domande supertardive ad un termine di ammissibilità di 60 giorni (v. § 1.3.). 
In sostanza, il nuovo sistema fa ostensione di un parametro numerico, a ben vedere utilizzabile se si considera che in ambedue le situazioni – quella del supertardivo e quella del sopravvenuto – vi è un’incertezza da correggere, quindi specularmente una procedura da stabilizzare[109]. 
Ad ogni buon conto i crediti sopravvenuti proprio in quanto non tardivi non sembrerebbero dover esporre il loro titolare ad alcun pregiudizio sul piano della misura di soddisfazione, avuto riguardo alla posteriorità rispetto agli altri dell’ingresso nel concorso.

Note:

[1] 
I giorni potranno essere al massimo 150 qualora la procedura sia particolarmente complessa.
[2] 
L’art. 202 CCII, a tenore del quale la domanda di cui all’art. 201 CCII (domanda di ammissione al passivo tempestiva) produce “gli effetti della domanda giudiziale per tutto il corso della liquidazione giudiziale e fino all’esaurimento dei giudizi e delle operazioni che proseguono dopo il decreto di chiusura a norma dell’art. 235” è, infatti, richiamato dall’art. 208 CCII, dedicato alla disciplina specifica delle domande tardive. 
[3] 
In tema di recente su questa Rivista v. Le domande tardive e c.d. “ultratardive” nella liquidazione giudiziale, in Dirittodellacrisi.it, 27 maggio 2024. 
[4] 
In tema v. G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, 2° ed., 2022, p. 288–289.
[5] 
Per una recente, efficace ricognizione della disciplina dell’accertamento del passivo v. A. Nastri, L’accertamento del passivo nella liquidazione giudiziale, in Giustiziainsieme.it.
[6] 
La riforma fu attuata essenzialmente dal D.Lgs. n. 5/2006 e dal susseguente D.Lgs. (correttivo) n. 169/2007. In tema v. in luogo di molti S. Menchini–A. Motto, L’accertamento del passivo e dei diritti reali e personali dei terzi sui beni, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli, F. P. Luiso, E. Gabrielli, II, Il processo di fallimento, Torino, 2014, p. 375 ss.; F. Miccio, Le dichiarazioni tardive dei crediti, in Trattato delle proc. concorsuali, dir. da L. Ghia, C. Piccinini, F. Severini, III, Torino, 2010, 663.
[7] 
L’art. 1, comma 6, lett. a), n. 9, L. delega 14 maggio 2005, n. 80 per la riforma del procedimento di verifica fallimentare dei crediti aveva prescritto di “modificare la disciplina dell'accertamento del passivo, abbreviando i termini della procedura, semplificando le modalità di presentazione delle relative domande di ammissione”.
[8] 
In tema di recente v. G. Impagnatiello, L’accertamento del passivo nella liquidazione giudiziale, in Diritto della crisi d’impresa, a cura di G. Trisorio Liuzzi, 2023, p. 517.
[9] 
F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, 2023, p. 714.
[10] 
Sulla nuova disciplina v. ; A. Jorio, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2023, p. 280–281; A. Villa, La nuova liquidazione giudiziale: effetti per i creditori e accertamento del passivo, in Il diritto degli affari, 2019, p. 192 ss., specie p. 212 ss.; F. Dimundo, Verifica dei crediti e dei diritti sui beni nella liquidazione giudiziale, Milano, 2023, p. 363 ss.; G. Bozza, L’accertamento del passivo nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fall., 2019, p. 1203 ss., specie p.1212 ss.; F. Lamanna, Il Codice della crisi e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano, 2022, p. 641–642; A. Nigro–D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, 6° ed., Bologna, 2023, p. 271–272.
[11] 
La natura del termine riscadenzato è perentoria; ad avvalorarlo è l'art. 49, comma 3, lett. e), sul contenuto della sentenza di apertura della liquidazione, che tiene luogo del vecchio articolo 16 L. fall., che disciplinava il contenuto della sentenza di fallimento.
[12] 
I dubbi di costituzionalità sull’art. 101 L. fall., norma riproposta dall’art. 208 CCII, sono stati disattesi dalla giurisprudenza di legittimità, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma per violazione dell'art. 47 Cost., ritenendo che la rimessione in termini del creditore debba essere bilanciata con le esigenze di celerità del processo: v. Cass. 13 novembre 2015, n. 23302, in Italgiure.
[13] 
In tema, P. Rampini e T.M. Francioso, Domande tardive. Insufficienza di attivo. Domande di rivendica e restituzione, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, 2016, p. 2098 ss. Sul tema delle domande supertardive v. anche M. Montanari, in Il nuovo diritto fallimentare, in Commentario diretto da A. Jorio e M. Fabiani, Bologna, 2006, 1548.
[14] 
F. Di Marzio, Op. cit., p. 715.
[15] 
Così incisivamente F. Dimundo, Crediti sopravvenuti, ritardo non imputabile e termine di presentazione della domanda ultratardiva fra legge fallimentare e Codice della crisi, in Dirittodellacrisi.it, 26 giugno 2023.
[16] 
Il principio si ritrova nell’art. 7, comma 8, lett. a, della L. n. 155/2017.
[17] 
Il creditore è solitamente portato ad attendere il momento più favorevole per proporre a suo grado la domanda.
[18] 
Così, sotto il vigore dell’art. 101 L. fall., M. Fabiani, Art. 101, in G. Lo Cascio (a cura di), Codice commentato del fallimento, Milano, 2010, 2243.
[19] 
In costanza di Legge fallimentare il contraddittorio pieno e incrociato postulava, ad avviso del giudice nomofilattico, che la delibazione sull'ammissibilità della tardiva e dell'ultratardiva dovesse essere indefettibilmente adottata a seguito della sua instaurazione, palesandosi, perciò, impugnabile il provvedimento che bypassando la fissazione di un’udienza direttamente avesse sancito l'inammissibilità dell'insinuazione tardiva o supertardiva: v. Cass. 3 dicembre 2012, n. 21596, in Italgiure.
[20] 
Ai sensi dell’art. 233, comma 1, lett. a, CCII “Salvo quanto disposto per il caso di concordato, la procedura di liquidazione giudiziale si chiude: a) se nel termine stabilito nella sentenza con cui è stata dichiarata aperta la procedura non sono state proposte domande di ammissione al passivo”. Già l’art. 118, comma 1, L. fall. prevedeva che “la procedura di fallimento si chiude: 1) se nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa di fallimento non sono state proposte domande di ammissione al passivo”.
[21] 
Cass. 15 giugno 2021, n. 16944, in Dirittodellacrisi.it: “In tema di ammissione allo stato passivo del fallimento, nella fissazione dell'adunanza dei creditori oltre il termine perentorio di centoventi giorni indicato dall'art. 16, co. 1, n. 4, L. fall. non può intendersi implicita l’estensione a diciotto mesi del termine per le insinuazioni tardive, ai sensi dell'art. 101, co. 1, L. fall., evocando le due norme altrettante distinte attività e postulando la seconda di esse la necessità di una proroga esplicita contenuta nella sentenza di fallimento e specificamente quantificata, senza alcun automatismo correlato con il rispetto del termine imposto dalla prima. (Nella specie, la S.C. ha condiviso la valutazione, compiuta dal Giudice di una opposizione allo stato passivo, di tardività della domanda di insinuazione in mancanza all’interno della sentenza di fallimento di alcuna espressa proroga del termine annuale per l’accertamento del passivo, non potendosi arguire una simile disposizione dalla mera fissazione dell’adunanza dei creditori per l’esame dello stato passivo ad una data posteriore alla scadenza del termine ordinario di centoventi giorni dal deposito della sentenza di fallimento)”. Analoga posizione si ritrova in Cass. 14 ottobre 2021, n. 28161 e Cass., Sez. 6, 29 settembre 2021, n. 26501, in Italgiure; v. anche Cass., Sez. 6, 23 settembre 2021, n. 25911, in Il Fall., 2022, p. 400 ss., con nota di F. Canazza, Lo scrutinio della “particolare complessità della procedura” ai sensi dell’art. 101 l.fall. 
[22] 
In tal senso, con riferimento al termine “omologo” dell’art. 101 L. fall. v. Cass. 5 settembre 2018, n. 21661, in Italgiure.
[23] 
V. ex multis Cass. 5 settembre 2018, n. 21661, in Italgiure.
[24] 
M. Montanari, Sub art. 101 l.f., Il nuovo diritto fallimentare, diretto da A. Jorio, Bologna, 2006, p. 1550.
[25] 
Sotto l’egida dell’art. 101, comma 4, L. fall., la contiguità concettuale è stata ben sottolineata da App. Torino, 11 giugno 1985, in Il Fall., 1986, p. 306. V. anche Trib. Macerata, 11 novembre 2008, in Il Fall., 2009, p. 453.
[26] 
Cass. 23 aprile 2004, n. 7729, in Italgiure afferma che, in tema di inadempimento di una obbligazione contrattuale, la causa non imputabile che esclude la responsabilità del debitore, si ha quando l'inadempimento è determinato da un impedimento oggettivo e non dall'erronea convinzione del debitore di non dovere adempiere, non essendo sufficiente la buona fede circa la propria condotta, se questa non coincida con l'esaurimento di tutte le possibilità di adempiere secondo la normale diligenza; Cass. 20 ottobre 1986, n. 6404, in Italgiure osserva che la prova liberatoria non si sostanzia esclusivamente in quella positiva del caso fortuito o della forza maggiore, ma può considerarsi raggiunta ogni qual volta si dimostri che l'esatto adempimento è mancato nonostante siano state seguite le regole dell'ordinaria diligenza.
[27] 
Con riferimento all’art. 1218 c.c. osservava a suo tempo C.M. Bianca, Diritto civile, 5, La responsabilità, Milano, 1994, 17: "il debitore è responsabile fino al limite della impossibilità sopravvenuta: ma l'impossibilità sopravvenuta è l'impedimento non prevedibile né superabile con la dovuta diligenza”.
[28] 
Ha affermato di recente Trib. Roma, 11 maggio 2023, in Dirittodellacrisi.it, che “Il requisito della “causa non imputabile” è integrato da un fattore estraneo alla volontà della parte, insuperabile con una mera condotta diligente, riconducibile di regola al caso fortuito e alla forza maggiore, ed è comunque riferito ad un evento che presenti il carattere dell'assolutezza, e non già dell’impossibilità relativa o ancor più di una mera difficoltà, e tale non può ritenersi l’affidamento, riposto dal titolare di credito sopravvenuto alla dichiarazione di fallimento, sulla regolarità del relativo pagamento in costanza della procedura concorsuale”. 
[29] 
In questo solco si colloca Cass. 6 novembre 2023, n. 30846, in Dirittodellacrisi.it. In dottrina v. G. Macagno, Termine per le domande “ultratardive”: valutazione secondo ragionevolezza e onere della prova in capo al creditore, in Il Fall., 2022, p. 1422 ss.; F. Mancuso, Le domande supertardive. Ritardo incolpevole e termine per il deposito dell’insinuazione, in Il Fall., 2021, p. 368 ss. 
[30] 
Cass. 10 settembre 2013, n. 20686, in Italgiure, n. 628026, ha ritenuto la grave malattia della figlia del creditore, il concomitante sfratto per morosità sofferto e l'esiguo tempo a sua disposizione, quali fattori impeditivi della tempestiva presentazione della domanda. 
[31] 
Cass. 6 novembre 2023, n. 30846 cit.; Cass. 15 novembre 2023, n. 31756 in Dirittodellacrisi.it; Cass. 20 novembre 2019, n. 30133; Cass. 19 marzo 2012, n. 4310; Cass. 20 ottobre 2015, n. 21316, tutte in Italgiure.; contra Trib. Torino 29 ottobre 2013, in Il Fall., 7, 2014, 815, per il quale è onere del creditore consultare periodicamente il registro delle imprese, nonché acquisire informazioni sulle condizioni economiche del debitore. 
[32] 
Cass. 6 novembre 2023, n. 30846, in Dirittodellacrisi.it.
[33] 
Cass. 8 luglio 2022, n. 21760, in Dirittodellacrisi.it. In dottrina v. F. Grieco, L’irrilevanza del fatto notorio nell’omessa comunicazione della domanda di ammissione al passivo, in Giur. it., 2023, 619.  
[34] 
Cass., Sez. 1, 8 luglio 2022, n. 21760 cit.
[35] 
Cass., 19 novembre 2018, n. 16103; Cass., 26 novembre 2019, n. 30760, entrambe in Italgiure.
[36] 
Cass., 13 novembre 2015, n. 23302, in Italgiure.
[37] 
Cass., 26 novembre 2019, n. 30760, in Italgiure.
[38] 
Secondo Trib. Trani, 22 dicembre 2020, in Dirittodellacrisi.it:il mancato avviso ex art. 92 L. fall. al creditore, integra una causa non imputabile del suo ritardo, restando, tuttavia, consentito al curatore di provare, ai fini dell’inammissibilità della domanda, che il creditore medesimo abbia avuto notizia del fallimento indipendentemente dalla ricezione dell’avviso, come qualora egli abbia presentato nei termini altra domanda di ammissione al passivo fallimentare”. 
[39] 
Cass. 12 marzo 2020, n. 7109, in Italgiure.
[40] 
Cass. 13 aprile 2015, n. 7426, in Italgiure.
[41] 
Cass. 15 giugno 2006, n. 13830, in Italgiure.
[42] 
In tema sia consentito rimandare all’opinione espressa da S. Leuzzi, Le ammissioni “ultratardive” tra overruling ed errore scusabile, in Il Fall., 2022, 556 (nota critica a Trib. Prato, 13 dicembre 2021).
[43] 
Trib. Vicenza, 24 settembre 2012, in Ilcaso.it.
[44] 
L’Amministrazione conserva la titolarità del credito azionato e la possibilità di farlo valere direttamente in sede di ammissione al passivo: v. Cass., Sez. 1, 15 marzo 2012, n. 4126, in Italgiure.
[45] 
Cass. 26 settembre 2018, n. 23159; Cass., Sez. un., 15 marzo 2012, n. 4126; Cass., Sez. Un., 10 novembre 2021, n. 33408, in Dirittodellacrisi.it
[46] 
Cass. 10 maggio 2021, n. 12336, in Dirittodellacrisi.it. Cfr. anche Cass. 19 giugno 2018, n. 16103; Cass. 8 marzo 2018, n. 5560, entrambe in Italgiure
[47] 
V. in particolare Cass. 5 aprile 2022, n. 11000, in Dirittodellacrisi.it: “In tema di ammissione dei crediti al passivo fallimentare, il disposto dell'ultimo co. dell'art. 101 l. fall., relativo alle domande c.d. "ultratardive", va interpretato nel senso che il creditore è chiamato non solo a dimostrare la causa esterna impeditiva della tempestiva o infrannuale sua attivazione, ma anche la causa esterna, uguale o diversa dalla prima, che abbia cagionato l'inerzia tra il momento della cessazione del fattore impediente e il compimento dell'atto, dovendo escludersi che, venuto meno l'impedimento, la richiesta di ammissione al passivo possa comunque essere presentata entro lo stesso termine (dodici mesi) del quale sia stata allegata l'impossibilità di osservanza, essendo necessaria l'attivazione del creditore in un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del procedimento”. Cass. 24 novembre 2015, n. 23975 e Cass. 2 dicembre 2020, n. 27590, entrambe in Italgiure
[48] 
Così F. Di Marzio, Op. cit., p. 715. 
[49] 
Correttamente Trib. Bergamo, 26 aprile 2023, in Dirittodellacrisi.it, ha ritenuto che “Il provvedimento del giudice delegato con il quale, de plano e senza fissazione di udienza, rigetta la domanda di ammissione al passivo, deve essere impugnato mediante opposizione allo stato passivo ai sensi dell’art. 99 L. fall. e non già tramite reclamo ex art. 26 L. fall. È ammissibile, in presenza di tutti i relativi presupposti, la c.d. conversione dell'atto d'impugnazione erroneo nell'atto d'impugnazione corretto, ogni qual volta l'atto effettivamente posto in essere contenga tutti i requisiti dell'atto nel quale dovrebbe convertirsi, salvo che dall'esame del contenuto del mezzo utilizzato, risulti inequivocabilmente la volontà della parte di utilizzare soltanto un mezzo diverso, ancorché inammissibile”. 
[50] 
Trib. Bergamo, 9 ottobre 2021, in Dirittodellacrisi.it: “Con riferimento alle domande di insinuazione c.d. ultratardive di cui all’art. 101, co. 4 L. fall., la valutazione della ammissibilità della domanda (che si sostanzia nella non imputabilità del ritardo all’insinuante) va compiuta direttamente all’udienza di verifica quale questione preliminare e non può essere valutata antecedentemente nel momento in cui il giudice delegato è chiamato a decidere se fissare l’udienza stessa o meno”.
[51] 
Gli artt. 163 ss. CCII, nel regolare gli effetti della liquidazione giudiziale sugli atti pregiudizievoli ai creditori, assolvono nel riscritto ordinamento concorsuale alla funzione già propria degli artt. 64 ss. L. fall.
[52] 
G. Nardecchia, Sub art. 101, in La legge fallimentare, a cura di M. Ferro, 2014.
[53] 
Ciò avviene, secondo la Relazione illustrativa al CCII, “assimilando il procedimento a quello di accertamento del passivo”.
[54] 
Tale regola naturalmente subisce un’eccezione nell’ipotesi in cui l’attribuzione della natura privilegiata del credito sia conseguente a modificazioni normative sopravvenute: v. Cass. 11 gennaio 1980, n. 235, in Giust. Civ., 1980, I, p. 1351.
[55] 
In altri termini, è in linea con il sollecito espletamento della verifica che il giudice disponga l’esame delle domande presentate fra il trentesimo giorno prima dell’esame e l’udienza di verifica delle tempestive, l’esame anche di tali domande: in giurisprudenza v. Cass., Sez. 1, 26 marzo 2012, n. 4792, in Italgiure; in dottrina v. G. Bozza, Le domande tardive, in A. Jorio–B.N. Sassani, Trattato delle procedure concorsuali, II, Il fallimento, Milano, 2014, p. 915 ss., specie p. 931–932.
[56] 
Fra le eccezioni in senso stretto rilevanti in sede concorsuale spiccano le eccezioni fondate sull’inefficacia di un titolo o di una prelazione. È invece eccezione in senso lato quella relativa all’inopponibilità del credito perché provato da una scrittura privata priva di data certa, posto che l’anteriorità del credito va considerato un fatto costitutivo del diritto al concorso: così M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, 2023, p. 430.
[57] 
M. Fabiani, Sistema Op. cit., p. 430.
[58] 
In passato Cass. 15 luglio 2011, n. 15702, in Foro.it, 2011, I, 3000, con nota di M. Fabiani, ha affermato, viceversa, che una volta proposta la domanda di insinuazione nessuna mutatio libelli sarebbe consentita anche all'interno della singola fase di accertamento dello stato passivo, avvistando un divieto sia nella perentorietà del termine fissato dalla legge per la proposizione della domanda, sia nella prescrizione di un'esposizione specifica delle ragioni di fatto e di diritto che rappresentano la ragione della domanda con l'eventuale indicazione di un titolo di prelazione, sia infine nella considerazione per cui, dopo il deposito del progetto di stato passivo, è prevista dalla legge solo la facoltà di presentare osservazioni e documenti integrativi.
[59] 
Altrettanto, può fare il curatore con riferimento alle eccezioni formulate dai titolari delle pretese almeno cinque giorni prima dell’udienza stessa.
[60] 
Sembra percorribile, pertanto, la c.d. emendatio libelli, che ricorre quando si incida sulla "causa petendi", in modo che risulti modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul "petitum", nel senso di limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere. Non sembra, invece, ipotizzabile in questo frangente processuale la c.d. mutatio libelli, che si ravvisa ogni qualvolta si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un "petitum" diverso e più ampio oppure una "causa petendi" fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d'indagine e si spostino i termini della controversia, con l'effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo. Sulla distinzione fra mutatio ed emendatio v. ex multis Cass. 20 luglio 2021, n. 12621, in Italgiure e Cass. 28 gennaio 2015, n. 1585, in Italgiure: “Si ha "mutatio libelli" quando la parte immuti l'oggetto della pretesa ovvero quando introduca nel processo, attraverso la modificazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell'azione, un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell'atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio”.
[61] 
Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310, in Corr. Giur. 2015, p. 961 e ss., con nota di C. Consolo, cui si deve l’espressione “domande complanari” che si ritrova impiegata anche nella successiva giurisprudenza. Aderisce all’impostazione fatta propria da Cass. SS. Un. 12319/2015, cit. anche Cass., Sez. Un., 24 settembre 2018, n. 22404, in Corr. Giur., 2019, p. 263 e ss., con nota di C. Consolo e F. Godio, che ha permesso non solo la sostituzione della domanda originaria con una domanda divergente quanto a petitum e causa petendi ma basata sul medesimo episodio socio-economico della domanda ab origine proposta) ma anche la proposizione in via di cumulo alternativo o subordinato della seconda, nel rispetto delle preclusioni imposte dal rito. Su questi temi v. diffusamente anche I. Pagni, Il contratto nel processo, 2022, p. 8 ss., la quale tra l’altro evidenzia che: “La Cassazione ha ritenuto, con riferimento all’esercizio dello ius variandi … di dover superare il precedente criterio della differenziazione di petitum e causa petendi” adottando “una prospettiva di ampio più ampio respiro”, nel cui quadro “la vera differenza tra le domande ‘nuove’ implicitamente vietate e le domande ‘modificate’ espressamente ammesse, non sta nel fatto che in queste ultime le ‘modifiche’ non possono incidere sugli elementi identificativi, bensì nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate ‘nuove’ nel senso di ‘ulteriori’ o ‘aggiuntive’ ma sono sostitutive della pretesa originaria” e pertanto la modifica “può riguardare anche entrambi gli elementi identificativi oggettivi della stessa, ma non diventa domanda nuova, come tale inammissibile, a condizione che si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo o sia comunque a questa collegata da un rapporto di connessione per ‘alternatività’ o ‘per incompatibilità’”.
[62] 
Il comma 1 dell’art. 203 si limita, infatti, a prevedere che il curatore “può” – non deve – sollevare eccezioni attraverso il progetto; il comma 2 prevede che i creditori “possono” – non devono – depositare osservazioni scritte.
[63] 
G. Nardecchia, Sub art. 101 L.fall., in La legge fallimentare Op cit. V. anche M. Fabiani, Sub art 101 L. fall., in Commentario Lo Cascio, Milano, 2013, p. 124.
[64] 
L. Cavalaglio, Le dichiarazioni tardive dei crediti, in Dir. fall., 2009, I, p. 303 ss.; in giurisprudenza, Cass. civ., 17 dicembre 2010, n. 25548, in Italgiure.
[65] 
Corte cost., 14 dicembre 1990, n. 538, in cortecostituzionale.it, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 100, comma 1, L. fall., che, anteriormente alla riforma, disciplinava l’impugnazione dei crediti ammessi, “nella parte in cui non prevede che i creditori già ammessi possano proporre opposizione avverso i decreti di ammissione tardiva al passivo emanati ex art. 101, terzo co., del r.d. n. 267 del 1942 con ricorso al giudice delegato, entro quindici giorni dalla data di ricezione della raccomandata con avviso di ricevimento, con la quale il curatore deve dare a ciascuno di essi notizia dell’avvenuto deposito del decreto di variazione dello stato passivo”.
[66] 
Cass., Sez. 1, 7 marzo 2016, n. 4408, in Italgiure.
[67] 
La sospensione feriale non opera naturalmente per le domande relative a crediti di lavoro.
[68] 
Cass. 27 dicembre 2021, n. 41511, in Dirittodellacrisi.it, che evidenzia come l’interesse all’impugnazione sorga in capo al tardivo sin dal momento della domanda. 
[69] 
Ha precisato la giurisprudenza di legittimità che il termine per contrastare il decreto reiettivo adottato in udienza non è suscettibile di decorrere dalla data di quest’ultima, bensì dalla successiva comunicazione del provvedimento medesimo: v. Cass. 6 novembre 2023, n. 30718, in Dirittodellacrisi.it. La Corte di legittimità ha di recente anche puntualizzato che:
 “In tema di opposizione allo stato passivo, proposta dal creditore che sia stato ammesso al concorso solo parzialmente, è inammissibile l'impugnazione incidentale tardiva del curatore, poiché avverso il decreto di esecutività dello stato passivo sono esperibili solo i mezzi di impugnazione specificamente individuati dal legislatore, da proporsi entro il termine perentorio di cui all'art. 99 l.fall.; tali previsioni costituiscono una disciplina autosufficiente, incompatibile con la possibilità di applicare l'art. 334 c.p.c., tenuto conto che soltanto con l'art. 206, comma 4, del nuovo codice della crisi, il legislatore, con norma innovativa, ha espressamente ammesso la proponibilità dell'impugnazione incidentale anche se per essa è decorso il termine di decadenza per la sua proposizione in via principale”: Cass. 2 febbraio 2023, n. 3147, in Dirittodellacrisi.it., che si limita a riprendere alla lettera le argomentazioni già espressa da. Cass. 11 maggio 2016, n. 9617, con nota critica di L. Baccaglini.
[70] 
Cass.1° giugno 2017, n. 13886, in Italgiure. 
[71] 
C. Mandrioli, Diritto processuale civile, I, Torino, 2009, p- 170.
[72] 
Per questo principio sedimentato v., sotto la vigenza della Legge fallimentare, G. Ragusa Maggiore, Passivo (accertamento del), in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, pp. 181 ss., specie p. 222; S. Bonfatti, L’accertamento del passivo e dei diritti mobiliari, in Il Fall., Trattato diretto da G. Ragusa Maggiore e C. Costa, III, Torino, 1997, p. 1 ss., specie p. 357–358; S. Satta, Diritto fallimentare, 3° ed., Padova, 1996, p. 348–349. In giurisprudenza, v. Cass., Sez. 6, 2 febbraio 2020, n. 4506; Cass., Sez. 1, 5 maggio 2021, n. 11779.
[73] 
L. De Simone, L’insinuazione tardiva di crediti di lavoro – Il requisito di novità della domanda tardiva, in Fallimento, 2012, 3, p. 309 – cui si rimanda anche per gli riferimenti bibliografici alla dottrina processualcivilistica – osserva condivisibilmente che “la questione è la medesima che si pone la dottrina processualcivilistica nell'affrontare la tematica dei limiti oggettivi del giudicato in relazione alla ‘minima unità strutturale azionabile’, poiché occorre indagare se la proposizione di nuovi elementi fattuali consenta di considerare differente la situazione sostanziale dedotta e quindi ritenerla azionabile separatamente o se i nuovi elementi prospettati siano comunque riconducibili ad un rapporto da valutarsi come unitario e corrispondente ad un interesse omogeneo ed inscindibile del creditore”.
[74] 
Ad escludere in generale questa possibilità è Cass., Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726, in Foro.it, 2008, I, 1514, con note di A. Palmieri e R. Pardolesi, Frazionamento del credito e buona fede inflessibile, e di R. Caponi, Divieto di frazionamento giudiziale del credito: applicazione del principio di proporzionalità nella giustizia civile?.
[75] 
È il caso della banca che invochi prima il pagamento dell’esposizione di conto corrente e in un secondo momento il credito che le derivi per lo sconto di effetti cambiari.
[76] 
Cass. 24 gennaio 1997, n. 751, in Italgiure.
[77] 
Cass. 14 febbraio 2023, n. 4632, in Dirittodellacrisi.it.
[78] 
In questo senso già G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, I, rist. 2° ed., Napoli, 1940, p. 351. V. anche S. Menchini, Diritto processuale civile, I, Parte generale, Torino, 2023, p. 420.
[79] 
G. Bozza e G. Schiavon, L’accertamento dei crediti nel fallimento e le cause di prelazione, Milano, 1992, p. 111.
[80] 
M. Montanari, Dell’accertamento del passivo e dei crediti reali immobiliari dei terzi, in Commentario Tedeschi, Torino, 1996, p. 805.
[81] 
G. Trisorio Liuzzi, Sub art. 208, in Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, a cura di F. Santangeli, 2023, p. 1109.
[82] 
L’effetto impediente si protrae finché il decreto che ingloba lo stato passivo non diviene definitivo, vuoi in virtù del decorso del termine concesso per l’opposizione e l’impugnazione ex art. 206, commi 1, 2 e 3, e per il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 207, comma 14, vuoi in ragione della chiusura dei giudizi relativi a dette impugnazioni ordinarie.
[83] 
G. Trisorio Liuzzi, Istanza di riconoscimento di privilegio presentata dopo il deposito del progetto di stato passivo, in Il Fall., 2012, p. 434; Cass. 9 aprile 1993, n. 4312, in Italgiure.
[84] 
Diversamente parrebbe doversi ragionare con riferimento alle prelazioni introdotte da legge successiva all’ammissione in chirografo.
[85] 
G. Fauceglia, L’accertamento del passivo, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, II, diretto da O. Cagnasso e L. Panzani, II, Milano, 2016, p.1593 ss.
[86] 
Cass. 20 luglio 2016, n. 14936 e Cass., Sez. 1, 15 luglio 2011, n. 15702, entrambe in Italgiure.
[87] 
Cass. 17 aprile 2013, n. 9318, in Italgiure.
[88] 
Cass. 7 dicembre 2011, n. 26377, in Italgiure ha consentito che il lavoratore insinuatosi tempestivamente per alcune mensilità, possa insinuarsi tardivamente per le ultime tre.
[89] 
Con riguardo ai crediti aventi titolo nel rapporto di lavoro, costituiscono diritti distinti quelli relativi al pagamento delle somme dovute a titolo di differenze retributive, ferie non godute, t.f.r. e mensilità aggiuntive: Cass. 20 febbraio 2020, n. 4506; Cass. 6 ottobre 2011, n. 20534; Cass. 2 marzo 2007, n. 4950, tutte in Italgiure.
[90] 
Cass. 19 marzo 2012, n. 4282; Cass. 12 dicembre 2011, n. 26539; Cass. 7 dicembre 2011, n. 26377; Cass. 15 dicembre 2011, n. 27092; Cass. 13 dicembre 2011, n. 26761, tutte in Italgiure.
[91] 
Cass., Sez. Un., 26 marzo 2015, n. 6060, in Italgiure, ha puntualizzato che la separata proponibilità presuppone una diversità di causa petendi, che rileva ogni qualvolta  la determinazione del credito per sorte capitale (nella specie, si trattava di un compenso professionale) e interessi debba avvenire alla stregua di criteri distinti, esemplificativamente in misura fissa per il primo e in misura progressiva per il secondo (come nel caso in cui il credito per sorte capitale sia determinato dal contratto d’opera, mentre quella accessoria sia ancorata agli interessi moratori e, avendo natura risarcitoria, sia fondata sul ritardo nell’adempimento).
[92] 
Cass. 19 febbraio 2003, n. 2476, in Italgiure.
[93] 
Cass. 17 dicembre 2021, n. 40554, in Italgiure. Si consideri, peraltro, che se con la domanda tempestiva è stata richiesta l’insinuazione anche per interessi e rivalutazione, ma il giudice delegato si è pronunciato solo sulle somme domandante a titolo di capitale (ammettendole), senza nulla dire circa gli interessi e la rivalutazione, secondo la Cassazione non si verifica (come noi riteniamo) un’omessa pronuncia su alcuni dei diritti fatti valere con il ricorso, in quanto il silenzio del tribunale e il mancato inserimento delle somme nello stato passivo “assume valore implicito di rigetto”, avverso il quale il creditore ha l’onere di proporre l’opposizione; in difetto, si stabilizza la “decisione” di rigetto, con conseguente preclusione rispetto alla richiesta di ammissione in via tardiva dei crediti per interessi e rivalutazione: v.  Cass. 1, 15 marzo 2019, n. 7500.
[94] 
Cass. 22 marzo 2012, n. 4554, in Italgiure.
[95] 
Cass. 22 marzo 2012, n. 4554, cit.
[96] 
Cass. 31 marzo 2006, n. 7671, in Italgiure. Si è affermato nell’occasione che il fatto generatore è diverso, combaciando nel primo caso con l’esercizio della potestà statale di incidere su operazioni espressive di produzione o passaggio di ricchezza e, dunque, sulla capacità contributiva, nel secondo caso con irregolarità e violazioni o omissioni stigmatizzabili.
[97] 
Nel vigore della precedente disciplina la giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto che un soggetto che per qualsiasi titolo intendesse surrogarsi nella posizione di un creditore già ammesso al passivo non potesse proporre la relativa istanza in sede di ripartizione dell'attivo, ma dovesse farlo secondo le regole procedimentali stabilite dalla legge fallimentare e dunque tramite l'opposizione allo stato passivo l'insinuazione tardiva virgola in quanto la surroga postulava una valutazione del credito non già nella sua oggettività ma con riferimento ad un soggetto determinato, la cui concreta individuazione non era irrilevante per il debitore: così Cass. 13 gennaio 2010, n. 393, in Italgiure.
[98] 
In ambito di espropriazione forzata individuale, l’art. 528 c.p.c. prevede che i creditori chirografari che intervengono oltre la prima udienza fissata per l'autorizzazione della vendita, ma prima del provvedimento di distribuzione, concorrono alla distribuzione della parte della somma ricavata che sopravanza dopo soddisfatti i diritti del creditore pignorante, dei creditori privilegiati e di quelli intervenuti in precedenza. I creditori prelatizi, viceversa, concorrono anche in questo caso in ragione dei loro diritti di prelazione.
[99] 
Cass. 16 maggio 2019, n. 13270, in Italgiure. In dottrina, v. M. Fabiani, La chiusura del fallimento e la riapertura Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli, F. P. Luiso, E. Gabrielli, II, Il processo di fallimento, Torino, 2014, p. 809 ss.; G. Carmellino, Spunti in tema di domande di insinuazione tardiva e di casi di chiusura della liquidazione fallimentare, in Fallimento, 2019, p. 1487 ss.
[100] 
Cass. 5 marzo 2009, n. 5304 e Cass., Sez. 6, 2 settembre 2014, n. 18550, entrambe in Italgiure.
[101] 
L’art. 225 è l’equivalente nell’art. 112 L. fall.
[102] 
Nell’art. 226 si rinviene la previsione già contenuta al comma 3 dell’art. 101 L. fall., espunta dall’attuale art. 208.
[103] 
L’art. 112 L. fall., nel testo d’origine prevedeva che la causa non imputabile del ritardo dovesse risultare “dalla sentenza pronunciata a norma dell’art. 101”; con la riforma del 2006 l’inciso è stato espunto il che è stato interpretato come avallo dell’avviso che reputava equivalente alla sentenza il decreto pronunciato in caso di assenza di contestazioni dal giudice delegato (art. 101, comma 3, L. fall.), ferma restando l’esigenza che la non imputabilità del ritardo dovesse risultare dal provvedimento di ammissione, avente in esito alla riforma sempre la forma del decreto: v. A. Trinchi, Art. 112, in Commentario alla legge fallimentare diretto da D. Cavallini, II, Milano, 2010, p. 1263 ss.; C. L. Perago, I pagamenti nel fallimento, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli, F. P. Luiso, E. Gabrielli, II, Il processo di fallimento, Torino, 2014, p. 745 ss., specie p. 787–788; G. Minutoli, La distribuzione dell’attivo e il rendiconto, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, Milano, 2016, II, p. 2350 ss. L’indirizzo esposto è sostenuto dalla dottrina anche in relazione all’art. 225 CCII, identico all’art. 112 L. fall. riformato: v. D. Manente, Art. 208, in A. Maffei Alberti, Commentario breve alle leggi su Crisi d’impresa e insolvenza, 7° ed., Milano, 2023, p. 1600 ss.
[104] 
F. Dimundo, Crediti sopravvenuti Op. cit; V.D. Cataldo, Il termine per la ammissione al passivo dei crediti sopravvenuti, in Il Fall., 2020, p. 29 ss.
[105] 
Cass., Sez. 6, 13 maggio 2021, n. 12735, in Dirittodellacrisi.it: “L'insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare non è soggetta al termine di decadenza previsto dall'art. 101, commi 1 e 4, L. fall.; tale insinuazione, tuttavia, incontra un limite temporale da individuarsi — in coerenza e armonia con l'intero sistema di insinuazione che è attualmente in essere e sulla scorta dei principi costituzionali di parità di trattamento di cui all'art. 3 Cost. e del diritto di azione in giudizio di cui all'art. 24 Cost. — nel termine di un anno, espressivo dell'attuale sistema in materia, decorrente dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare (fattispecie in tema di TFR del lavoratore)”. Cfr. anche Cass. 10 luglio 2019, n. 18544, in Dirittodellacrisi.it.
[106] 
Cass. 10 luglio 2019, n. 18544, in Italgiure.
[107] 
Il termine decadenziale sembra la traduzione normativa dell’invalso nella giurisprudenza di legittimità in riferimento all’analoga previsione contenuta nella legge fallimentare, secondo cui il creditore che avesse ricevuto l’avviso di cui all’art. 92 L. fall. oltre il termine annuale previsto dall’art. 101, comma 1, era facoltizzato a chiedere di insinuarsi al passivo, non già nel termine di un anno dall’avviso, ma nel tempo strettamente necessario a assumere contezza del fallimento ed ad elaborare la propria istanza, termine in allora rimesso alla valutazione del giudice di merito, sulla base di un criterio di ragionevolezza, in rapporto alla peculiarità del caso concreto: v. Cass. 2 dicembre 2020, n. 27490 e Cass. 5 settembre 2018, n. 21661, entrambe in Italgiure.
[108] 
Per una ricostruzione del nuovo assetto v. per tutti Così F. Dimundo, Crediti sopravvenuti Op. cit.
[109] 
Poiché, in altri termini, è stata colmata in ambito codicistico una lacuna presente nel previgente art. 101 L. fall., indicando un termine di 60 giorni dalla cessazione dell’impedimento per la proposizione della domanda c.d. ultratardiva, è ragionevole pronosticare l’emersione di un indirizzo giurisprudenziale teso ad estendere l’applicabilità di detto termine ai creditori sopravvenuti, collegandone la decorrenza al momento d’origine della ragione creditoria. Questo aggiustamento ermeneutico, perlomeno, neutralizzerebbe l’inconveniente insito nella ricostruzione interpretativa del “termine ragionevole”, che è una grandezza eterea, quindi incontrollabile.

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