La legittimazione attiva a proporre la domanda tardiva o supertardiva spetta a chiunque s’affermi titolare di una pretesa creditoria nei confronti del fallito.
Al pari di quanto succede per le insinuazioni tempestive, l’oggetto del procedimento di verifica attinge tre piani intersecati:
i. l’accertamento dell’esistenza e consistenza di un credito;
ii. la validità del titolo su cui la ragione creditoria si fonda;
iii. l’efficacia e opponibilità di detto titolo.
Il terzo dei piani tracciati attiene all’essenza stessa della concorsualità. Questa implica l’onere di chi presenta una domanda d’accesso al concorso, di dimostrare, oltre all’esistenza di credito e titolo, l’anteriorità della genesi del credito rispetto all’esordio della liquidazione giudiziale e la non revocabilità del titolo ai sensi degli artt. 163 e ss. CCII[51].
Sul piano processuale la tardività è un dato neutro.
È circostanza che non produce conseguenze sulla procedura di verificazione, il che vuol dire due cose: innanzitutto, che le domande intempestive sono trattate al modo delle tempestive; inoltre, che l’ammissione tardiva e quella ordinaria rappresentano due fasi distinte di un identico procedimento e condividono un’efficacia meramente endoncorsuale[52].
Il Codice della crisi rinsalda l’impianto introdotto con la riforma della legge fallimentare del biennio 2006/2007. La liturgia rimane quella dell’udienza collettiva e si opta per la piena uniformazione della disciplina procedimentale della verifica[53].
Le forme dell’esame di tardive e supertardive sono, dunque, le stesse della formazione dello stato passivo delle tempestive, venendo in auge l’importazione ex comma 2, ult. inciso, dell’art. 208 CCII, dell’intero corredo delle disposizioni di cui agli artt. da 201 a 207.
Vi è piena identità di regole, allora, sia a livello di procedimento che di contenuto ed effetti della domanda, sia a livello di struttura ed efficacia della decisione giudiziale che di impugnazioni esperibili.
A mente del comma 1 dell’art. 201, anche domanda tardiva o supertardiva viene proposta con ricorso.
Questo può essere depositato dalla parte personalmente, non essendo indispensabile l'assistenza tecnica di un difensore. Naturalmente, ove il creditore ritenga di farsi assistere da un avvocato, deve annettere al ricorso la procura alle liti.
Il contenuto dell’atto è esibito dal comma 3 dell’art. 201. Tra le indicazioni necessarie figurano la procedura di riferimento, le generalità del creditore, l’indirizzo di posta elettronica certificata per la ricezione delle comunicazioni, il petitum (l’oggetto della domanda), la causa petendi (ossia, la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda e che, in definitiva, la sorreggono).
Il creditore può affiancare alla domanda d’accertamento del credito, la richiesta di riconoscimento della prelazione di cui assuma d’essere titolare (privilegio, pegno, ipoteca). Se la prelazione è speciale, perciò riferita al singolo cespite, diviene necessaria la descrizione del bene. Non è, invece, indispensabile che il creditore specifichi il grado della prelazione, invero derivante dalla legge.
La circostanza che sia esplicitamente prevista, in punto di contenuto “minimo” del ricorso, l’indicazione del titolo di prelazione con la descrizione del bene cui si aggancia (lett. d, comma 3, art. 201), depone per l’inammissibilità della domanda tardiva tesa a vestire di qualità prelatizia un credito tempestivamente richiesto senza attributi[54].
Insieme al ricorso il creditore ha l'onere di allegare i documenti probatori di supporto alla domanda (comma 6, art. 201).
Il meccanismo procedurale rimane quello basato sul deposito, ad opera del curatore, di un progetto di stato passivo almeno 15 giorni prima di un’udienza di discussione destinata ad ospitare il contraddittorio incrociato fra il debitore e tutti i suoi creditori, i quali fino a 5 giorni prima dell’udienza stessa possono presentare osservazioni e documenti (art. 203, comma 2).
Il progetto del curatore è trasmesso mediante pec a tutti i creditori, consentendo in una sede precoce l’emersione delle contestazioni dei controinteressati, che altrimenti finirebbero per erompere a posteriori, nel contesto di un giudizio di impugnazione.
Ai sensi dell’art. 208, comma 2, secondo inciso, le insinuazioni intempestive sono esaminate in udienze ad hoc, fissate dal giudice delegato (se e) “quando vengono presentate domande tardive”, tendenzialmente nei “quattro mesi” successivi alla loro proposizione. Il lasso temporale corrisponde a quello stabilito per la presentazione del progetto quadrimestrale di ripartizione delle somme da parte del curatore ai sensi dell’art. 220, comma 1.
Naturalmente la previsione di udienze apposite non esclude che il giudice delegato esamini le tardive sopraggiunte poco dopo il termine dei trenta giorni (esemplificativamente le tardive del “31° giorno”) nell’udienza di verifica già calendarizzata per le tempestive, venendo in apice sia l’unitarietà dell’accertamento del passivo, sia il potenziale pregiudizio che il creditore tardivo almeno nell’immediato sconterebbe in ipotesi di esecuzione di un riparto ad appannaggio di creditori, magari solo leggermente più solleciti[55].
La domanda tardiva è di fatto rivolta a tutti i creditori, comportando un litisconsorzio passivo unitario fra i medesimi. Essi sono tutti potenzialmente coinvolti, ma divengono parti in concreto qualora intendano assumere una presenza attiva nel procedimento.
Proprio in funzione del contraddittorio trasversale è specificamente previsto che il curatore dia avviso della data dell’udienza a coloro che hanno presentato la domanda e a tutti i creditori già ammessi al passivo (comma 2, secondo inciso, art. 208).
Il curatore – attraverso il progetto di stato passivo trasmesso ai creditori, come s’è veduto, almeno 15 giorni prima dell’udienza in parola – ha già dovuto prendere posizione su ciascuna domanda tardiva, concludendo sulla scorta dei propri riscontri, quindi proponendo l’ammissione della domanda oppure opponendosi ad essa o, infine, rilevandone l’inammissibilità.
L’organo concorsuale può, naturalmente, sollevare eccezioni in senso lato o in senso stretto[56], come pure limitarsi a mere difese, consistenti nella negazione dei fatti costitutivi della ragione di credito.
Creditori e debitore, dal canto loro, possono presentare osservazioni scritte sino a cinque giorni prima dell’udienza, anche in senso adesivo alle posizioni del curatore, depositare documenti integrativi e formulare richieste istruttorie (art. 203, comma 2, ultimo inciso).
Una dottrina autorevole evidenzia che “il progetto di stato passivo s’atteggia a primo atto difensivo del curatore e, per simmetria con la posizione del ricorrente e con le regole dei processi dichiarativi (art. 167, 416, 281-decies c.p.c.), le eccezioni in senso stretto che spettano al curatore vanno dedotte proprio in occasione della redazione del progetto di stato passivo”[57].
In realtà, l’accertamento del passivo delle tardive sembra configurarsi alla stregua di procedimento senza preclusioni anteriori all’udienza[58]. I termini previsti nell’art. 203 – sintomaticamente senza sanzioni processuali – sono finalizzati a precostituire un contraddittorio incrociato fra i creditori, che in tanto assume un senso, in quanto sia anche informato.
L’udienza a tal fine, potendo convogliare le iniziative di molti e le posizioni controinteressate di tutti gli altri, è opportuno veda maturare in anticipo le posizioni. Si tratta, tuttavia, di un’evenienza solo auspicabile.
Non è escluso che il curatore tragga modo e tempo per sollevare un’eccezione in senso stretto proprio nel contesto dell’udienza, nel cui ambito ogni creditore oltre che sollecitare l’ammissione del proprio credito, può contrastare i crediti altrui.
Ciascun creditore, dal canto suo, ha proprio in udienza l’occasione di prendere partito – eventualmente controeccependo – sulle eccezioni avanzate dagli altri creditori[59].
Il creditore tardivo, dal canto suo, sulla scorta di quanto gli altri hanno dedotto, può ben correggere il tiro, finanche modificando la domanda e rimettendosi in tal modo alla decisione finale del giudice[60]. La modifica è possibile nei limiti in cui la situazione dedotta resti in nuce inalterata. La Corte di Cassazione è, d’altronde, negli ultimi anni venuta ad affermare che “la modifica, consentita, della domanda iniziale possa riguardare gli elementi identificativi oggettivi della stessa, a condizione che abbia ad riferimento la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo o comunque sia a questa collegata”[61].
L’udienza non è funzionale, in definitiva, a fotografare un thema decidendum già cristallizzato, altrimenti essa servirebbe a poco.
D’altronde, il comma 3 della norma s’incarica di precisare che in esito all’udienza fissata il giudice decide “nei limiti delle conclusioni formulate e avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d’ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati”, senza contenere una puntualizzazione esplicita sul fatto che le eccezioni in senso stretto debbano essere già state preconfezionate in anticipo rispetto all’udienza[62].
In particolare, nell’udienza – ora espressamente conducibile pure in modalità telematica – compaiono il curatore, i creditori ed eventualmente il debitore. In ogni caso, anche in assenza delle parti, essendosi il contraddittorio dispiegato già con il deposito degli atti di parte precedenti, il giudice delegato provvede a formare lo stato passivo e a renderlo esecutivo con decreto.
In ipotesi di differimento dell'udienza di verifica, l’opinione più plausibile – espressa con riferimento all’art. 101 L. fall., ma di persistente ragionevolezza nel neonato sistema – è quella che differenzia, ai fini della valutazione di tempestività o tardività della domanda, l’ipotesi di apertura reale delle operazioni di verifica dall’eventualità del mero rinvio d’udienza, computando, in questo secondo caso, il termine a ritroso dalla successiva udienza, che costituisce la prima occasione effettiva di disamina delle domande[63].
Il curatore e i creditori possono proporre opposizione, impugnazione o revocazione avverso il decreto che dichiara l’esecutività dello stato passivo. Poiché in particolare i creditori già ammessi sono legittimati, per principio assodato, a impugnare i provvedimenti di accoglimento delle domande tardive[64], a salvaguardia del loro diritto di azione (e di difesa) parrebbe doversi garantisticamente effettuare anche nei loro confronti la comunicazione del decreto di esecutività, che l’art. 205 pur prevede nei confronti dei “ricorrenti”[65].
Il giudice delegato può procedere ad atti di istruzione su richiesta delle parti, compatibilmente con le esigenze di “speditezza del procedimento” (art. 203, comma 3, secondo inciso). Non è quindi praticabile un’attività istruttoria ex officio.
Il Codice tace, diversamente che per le impugnazioni (art. 207, comma 16), in ordine alla sospensione feriale dei termini. Con riguardo all’art. 101 L. fall., la giurisprudenza nomofilattica era nel senso dell’assoggettamento del “termine perentorio per il deposito delle domande tardive … alla sospensione feriale”[66]. La regola è adesso sbaragliata dall’art. 9, comma 1, CCII, che esclude l’applicabilità della sospensione feriale dei termini di cui all’art. 1 L. 7 ottobre 1969, n. 742, ai procedimenti disciplinati dal codice, “salvo che esso non disponga diversamente”, e non è questo il caso[67].