Secondo quanto ora dispone il terzo comma dell’art. 208 CCII, il creditore ultratardivo che presenta l’insinuazione al passivo non deve solo provare che il ritardo è dovuto a causa a lui non imputabile, nei termini sopra indicati, ma — prima ancora — deve aver trasmesso la sua domanda al curatore “non oltre sessanta giorni dal momento in cui è cessata la causa che ne ha impedito il deposito tempestivo”. Il legislatore ha così esplicitamente introdotto un termine fisso, decorrente dal venir meno della causa impeditiva non imputabile (e — deve ritenersi — necessariamente scadente dopo i sei mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo)[23], entro il quale il creditore ultratardivo deve attivarsi per far valere la sua pretesa, termine che il previgente art. 101 L. fall. invece non prevedeva, neppure in via implicita.
Tale lacuna normativa aveva finora generato rilevanti incertezze interpretative, in primo luogo per i crediti “originari” (vale a dire, sorti ante procedura), in relazione ai quali ci si chiedeva se, una volta venuto meno l’evento non imputabile, che aveva impedito di presentare la domanda di insinuazione in via tardiva (cioè entro i dodici mesi dall’esecutività del riparto), il creditore fosse o meno soggetto ad un termine per presentare la domanda in via ultratardiva. Ma analogo problema si poneva anche, ed in special modo, in relazione ai crediti “sopravvenuti incolpevoli”, cioè per quelli che, per ragioni non imputabili ai relativi titolari, maturano le condizioni di partecipazione al passivo dopo la sentenza di apertura della procedura[24], essendo controverso se pure tali crediti dovessero rispettare il termine di legge per la presentazione delle domande tardive (12 mesi dal deposito del decreto di esecutività secondo il previgente art. 101 L. fall.), o se per essi valesse un termine diverso.
In alcune occasioni il giudice di legittimità aveva per vero affermato che il credito sopravvenuto, potendo in quanto tale sorgere in qualsiasi momento della procedura, non sarebbe stato soggetto al termine di decadenza previsto dall’art. 101, commi 1 e 2, L. fall., ed avrebbe potuto quindi essere insinuato al passivo tardivamente in ogni tempo, quanto meno fino all’esaurimento di tutte le ripartizioni dell’attivo fallimentare[25]. Tale soluzione, secondo la Corte, traeva fondamento in ragioni di ordine logico-sistematico. Qualora il credito — si era ragionato — sorga dopo la scadenza del termine decadenziale, la domanda di ammissione al passivo sarebbe infatti ammissibile solo se il ritardo è dipeso da causa non imputabile all’istante, e tale non potrebbe di per sé ritenersi la natura “sopravvenuta” del credito; ove il credito nasca invece prima dello spirare del termine in questione, al creditore potrebbe rimanere uno spazio temporale eccessivamente ristretto per insinuarsi, rispetto a quello più ampio di cui beneficiano i creditori concorsuali per crediti sorti ante fallimento, “con conseguenti dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e del diritto di azione in giudizio (art. 24 Cost.)”[26].
Riconoscere al creditore la possibilità di insinuarsi sine die e con il solo sbarramento temporale dell’esaurimento delle operazioni di riparto si poneva peraltro in evidente contrasto con l’esigenza di rapida cristallizzazione della massa passiva salvaguardata dall’art. 101 L. fall., per salvaguardare la quale altri orientamenti avevano invece ritenuto comunque sussistere un termine di decadenza entro il quale il creditore doveva depositare la domanda (ultratardiva) una volta che fosse venuta meno la causa non imputabile: termine che — secondo alcuni — era individuabile in 90 giorni, corrispondente al lasso temporale che la legge considera sufficiente per depositare l’istanza tempestiva di ammissione al passivo[27]; mentre secondo altri doveva identificarsi nel termine di 12 mesi di cui al primo comma dell’art. 101 L. fall., decorrente però dalla data in cui era sorto il diritto alla pretesa creditoria o era venuta meno la causa che impediva la presentazione della domanda[28].
Quelle ora indicate erano però tesi altrettanto — se non più — fragili[29], e non a caso rimaste sostanzialmente isolate, mentre maggiore diffusione aveva invece incontrato, specialmente nella giurisprudenza di legittimità, un diverso indirizzo (cui ha aderito anche il Tribunale di Roma con il decreto in commento), il quale, pur ribadendo che l’insinuazione dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare appare incompatibile con le tempistiche prescritte dall’art. 101 L. fall., riferibili ai soli ordinari crediti concorsuali, aveva affermato che il limite temporale cui tale insinuazione soggiace deve invece individuarsi — in coerenza e armonia con l’intero sistema di insinuazione, e sulla scorta dei principi costituzionali di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e del diritto di azione in giudizio di cui all’art. 24 Cost. — nel termine di un anno, ritenuto “misura temporale espressiva dell’attuale sistema in materia”[30], e decorrente dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare [31] o dalla maturazione del credito[32].
Anche questa ultima lettura non si è tuttavia rivelata immune da censure, risultando priva di sostegno positivo, sia pure secondo un criterio sistematico, ed anche intimamente contraddittoria, laddove escludeva l’applicabilità del termine di decadenza dettato dall’art. 101, per poi adottare lo stesso termine di un anno per determinare il lasso di tempo concesso al creditore supertardivo per depositare la domanda dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare. Di questo tenore sono stati infatti i rilievi critici svolti, nelle sue più recenti decisioni, dalla stessa corte regolatrice[33], la quale ha concluso che, una volta venuta venuto meno la causa impeditiva della insinuazione tempestiva o infrannuale, la richiesta di ammissione al passivo in via ultratardiva non può quindi essere presentata entro il medesimo termine di dodici mesi rimasto inosservato, essendo necessario che il creditore si attivi piuttosto “in un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del procedimento”[34]; ovvero, secondo altra formulazione, “nel tempo ragionevolmente necessario per la proposizione della do- manda, da computare dal momento di insorgenza del credito”[35].
Si tratta di impostazione – richiamata anche dai giudici romani nel provvedimento in rassegna - che assicurava indubbiamente notevole elasticità di giudizio in funzione delle peculiarità della singola fattispecie, ma che — per altro verso — lasciava eccessiva discrezionalità al giudice nel concretizzare la “ragionevolezza” del termine di presentazione della domanda di ammissione, ad evidente scapito delle istanze di certezza del diritto. È probabilmente questa la ragione[36], insieme alla necessità di assicurare l’accelerazione e la speditezza della procedura voluti dalla legge delega, che ha spinto quindi il legislatore del Codice ad intervenire, introducendo — come si è anticipato — un termine fisso di sessanta giorni, decorrente dalla cessazione dell’evento che ha impedito l’insinuazione tempestiva, entro il quale l’interessato deve trasmettere al curatore la domanda ultratardiva[37].
Già in sede di primi commenti gli interpreti hanno espresso opinioni contrastanti sulla bontà di simile opzione legislativa, sostenendo taluni che il bimestre in questione non sarebbe un termine “irragionevolmente” breve[38], mentre altri ne hanno all’opposto lamentato l’eccessiva ristrettezza, tale da innescare un incremento delle declaratorie di inammissibilità della domanda[39]. A nostro avviso si tratta in realtà di un lasso temporale la cui sufficienza non può essere valutata in astratto, essendo evidente che i sessanta giorni assegnati dal legislatore possono rivelarsi in concreto bastevoli per presentare la domanda ove si tratti di posizioni creditorie non particolarmente complesse, mentre potrebbero risultare esigui in presenza di istanze che richiedano una laboriosa istruttoria e/o la soluzione di questioni in diritto controverse. Ciò che è certo è che la previsione di un termine decadenziale preciso faciliterà il compito del giudice[40], anche se il beneficio sarà in verità solo parziale, perdurando comunque — ed anzi proponendosi con maggior frequenza rispetto al passato — la necessità di misurarsi, “a monte”, con la clausola generale della non imputabilità del ritardo[41], che parimenti costituisce condizione di ammissibilità della domanda ultratardiva, e la cui valutazione si rivela non agevole soprattutto per i crediti “sopravvenuti”.
Come si è ricordato, la non imputabilità del ritardo e la sopravvenienza del credito non sono infatti situazioni necessariamente coincidenti, dovendosi escludere che la mancata maturazione del credito entro i sei mesi dal decreto di esecutorietà dello stato passivo possa di per sé essere equiparata ad una causa giustificativa del ritardo, potendosi presentare pretese sorte dopo l’apertura della liquidazione per cause ascrivibili al creditore, e crediti sopravvenuti alla procedura per cause estranee al creditore[42]. Ancor prima, si può fra l’altro prospettare la questione se il credito oggetto di domanda ultratardiva possa effettivamente considerarsi “sopravvenuto” alla liquidazione giudiziale: ad esempio, per il credito derivante da mutuo fondiario assistito da privilegio processuale ai sensi dell’art. 41 t.u.b., si è escluso che la maturazione della pretesa coincida con il momento della vendita del bene ipotecato, dovendo piuttosto affermarsi che tale credito diviene liquido, quanto alla sorte capitale, fin dal verificarsi dell’inadempimento del debitore, sicché esso diviene esigibile già da tale momento, se del caso tramite la domanda di ammissione al passivo del sopravvenuto fallimento del debitore/mutuatario[43].
La disciplina richiamata, con i problemi alla stessa sottesi, si applica anche alle domande di insinuazione di crediti prededucibili contestati, per i quali l’art. 222, comma 1, CCII, replicando la previsione dell’art. 111 bis, comma 1, L. fall., ribadisce che l’accertamento deve essere condotto secondo le modalità della verifica dello stato passivo, a prescindere dal fatto che si tratti di crediti prededucibili sorti prima o dopo l’apertura della procedura[44]. Nel caso di crediti prededucibili sopravvenuti all’apertura della liquidazione giudiziale, oggetto di domanda ultratardiva, si dovrà quindi parimenti scrutinare — ai fini del giudizio di ammissibilità — la non imputabilità della relativa insorgenza, ed il rispetto del termine di sessanta giorni dalla data in cui il credito è maturato.
Diverso regime vale invece per i crediti prededucibili riconosciuti dalla curatela, in relazione ai quali l’art. 222 CCII non esige che l’accertamento sia condotto con le modalità della verifica dinanzi al Giudice Delegato. Qualora dunque la curatela, a fronte delle iniziali richieste del creditore, non opponga una chiara ed esplicita contestazione del credito, inducendolo così a non formulare istanza di ammissione al passivo, ed inviti invece il creditore ad insinuarsi oltre il termine di sei mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, il ritardo nella presentazione della domanda non può considerarsi imputabile al creditore ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 208 CCII[45].