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Saggio

Le domande tardive e c.d. “ultratardive” nella liquidazione giudiziale*

Alessandro Motto, Ordinario di diritto processuale civile nell’Università degli Studi dell’Insubria

27 Maggio 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il lavoro esamina la disciplina delle domande tardive e c.d. “ultratardive” (o supertardive) di cui all’art. 208 del Codice, analizzando i relativi presupposti, il procedimento e gli effetti del provvedimento di ammissione in via tardiva. Una trattazione specifica è dedicata all’ammissione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura di liquidazione giudiziale, in ordine a cui il Codice non detta regole espresse e si riscontrano orientamenti divergenti nella giurisprudenza di legittimità.
Riproduzione riservata
1 . Le domande tardive
La disciplina delle domande tardive di cui all’art. 208 riprende, con alcune modificazioni, quanto previsto dall’art. 101 L. fall. nel testo risultante dalla riforma della legge fallimentare del 2006 (D.Lgs. n. 5/2006) e del decreto correttivo del 2007 (D.Lgs. n. 169/2007)[1]. 
La legge qualifica come “tardive” le domande di ammissione al passivo di un credito e di restituzione o rivendicazione di un bene mobile o immobile – indicazione che va integrata con il riferimento alla domanda del creditore del terzo con ipoteca su un bene del debitore sottoposto a liquidazione giudiziale –  trasmesse al curatore decorso il termine perentorio (art. 49, comma 3, lett. d)) di trenta giorni prima dell’udienza fissata per la verifica del passivo con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale ed entro sei mesi dal decreto di esecutività dello stato passivo; quest’ultimo termine, di sei mesi, è prorogabile dal tribunale con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale fino a dodici mesi, in caso di particolare complessità della procedura[2]. 
Decorso il termine finale di sei (o dodici) mesi, anch’esso di natura perentoria, la proposizione di domande tardive non è più ammessa, salvo che l’istante provi che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile; sono le domande c.d. supertardive, la cui disciplina è contenuta al comma 3 (v. infra il § 3). 
La delimitazione temporale per la proposizione delle domande in via tardiva era stata introdotta nella legge fallimentare dal D.Lgs. n. 5/2006, per ovviare all’inconveniente che si verificava nel sistema anteriore, quando le domande, ai sensi dell’art. 101 L. fall., potevano essere proposte per tutta la durata della procedura, sino all’esaurimento delle operazioni di riparto, determinando l’esigenza di continui aggiornamenti dello stato passivo. 
Il Codice, nel confermare (opportunamente) questa scelta, riduce il termine finale rispetto all’art. 101 L. fall. riformato (che lo indicava in dodici mesi, prorogabili a diciotto), quale misura volta ad attuare il principio di delega, che indicava di “restringere” la ammissibilità delle domande tardive, in funzione della “rapidità, snellezza e concentrazione” del procedimento di accertamento dello stato passivo (art. 7, comma 8, lett. a), L. 155/2017). 
La domanda tardiva deve riguardare un diritto diverso da quello già fatto valere con la domanda proposta in via tempestiva a norma dell’art. 201[3]. 
Se il giudizio avente ad oggetto quest’ultimo è ancora in corso, opera in senso ostativo la litispendenza, ex art. 39, comma 1, c.p.c. (ricordiamo che, ai sensi dell’art. 202, la domanda di cui all’art. art. 201 produce gli effetti della domanda giudiziale, tra cui, quindi, anche l’effetto processuale della litispendenza); l’effetto impediente permane sino a che il decreto non sia divenuto definitivo, per decorso del termine previsto per l’esercizio delle impugnazioni ordinarie (opposizione e impugnazione ex art. 206, comma 1, 2 e 3, del decreto del giudice delegato e ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale ex art. 207, comma 14) o a seguito dell’esaurimento delle stesse. 
Se sia già stato pronunciato un decreto di merito divenuto definitivo, poiché quest’ultimo rende incontestabile ai fini della procedura l’accertamento circa l’(in)esistenza, l’ammontare e il rango del diritto, l’effetto di ne bis in idem impedisce una nuova pronuncia sul diritto già deciso (credito pecuniario o diritto reale o personale su un bene). Conseguentemente, è impedito al ricorrente sia (se soccombente) di far valere una seconda volta il diritto già ritenuto inesistente (o non opponibile alla procedura), sia – sempre in applicazione delle regole generali, per cui l’efficacia vincolante della decisione opera anche contro il vincitore del processo[4]– di chiedere un provvedimento più favorevole relativo al credito pecuniario riconosciuto esistente. 
La domanda tardiva per il diritto già fatto valere in via tempestiva è ammessa, soltanto se la prima domanda sia stata rigettata in rito: la legge lo prevede espressamente (art. 204, comma 1, seconda frase) in relazione al rigetto per inammissibilità pronunciato a causa della carenza dei requisiti di forma–contenuto della domanda, con un precetto espressione di una regola generale, che vale per ogni decisione di absolutio ab instantia, per carenza di un presupposto processuale generale insanabile o in concreto insanato[5]. 
In applicazione di queste regole, la giurisprudenza ha affermato, in via esemplificativa, che: a) insinuato in via tempestiva il credito al pagamento di prestazioni periodiche, è ammessa la domanda per ratei dell’obbligazione relativi a diversi periodi temporali[6]; b) insinuato un credito relativamente a determinate causali, è ammessa l’insinuazione in via tardiva delle pretese obbligatorie aventi titolo nel medesimo rapporto complesso, ma relative a diverse causali[7]; c) l’ammissione del credito a titolo di capitale non impedisce l’insinuazione in via tardiva della pretesa accessoria relativa agli interessi moratori, trattandosi di diritti differenti, salvo che gli interessi costituiscano una mera componente della pretesa già azionata, come nel caso del credito risarcitorio da illecito aquiliano[8]. 
Per contro, ottenuta l’ammissione per un determinato credito, non è consentito: a) chiedere l’insinuazione al passivo per un importo maggiore[9]; b) domandare l’ammissione con prelazione del credito già insinuato in via chirografaria, se la causa di prelazione non era stata dedotta con la domanda tempestiva o è stata negata dalla prima decisione[10]; c) chiedere l’insinuazione in prededuzione del diritto, la cui natura prededuttiva non era stata dedotta o era stata negata dalla prima statuizione[11]. 
Infine, sottolineiamo che non deve proporre la domanda di insinuazione in via tardiva ai fini della partecipazione al concorso al cessionario del credito già ammesso al passivo: l’art. 230, comma 2 (che corrisponde all’art. 115, comma 2, L. fall., come modificato dal D.Lgs. n. 5/2006 e dal D.Lgs. n. 169/2007) stabilisce le modalità di partecipazione al concorso dell’avente causa, escludendo che il mutamento soggettivo della titolarità del credito, per effetto di acquisto a titolo derivativo del diritto, implichi l’onere del cessionario di richiedere l’insinuazione in via tardiva.
2 . Il procedimento
L’ammissione tardiva e l’ammissione ordinaria costituiscono due fasi distinte di uno stesso procedimento; esse si innestano nella procedura di accertamento del passivo e dei diritti su beni, distinguendosi sotto il profilo temporale, ma non sotto quello funzionale e contenutistico. 
Questi tratti di identità si riflettono sulla disciplina processuale; confermando la scelta operata dalla riforma della Legge fall. del 2006, il Codice prevede (all’art. 208, comma 2) che il procedimento di accertamento delle domande tardive si svolge nelle stesse forme previste per le domande tempestive dall’art. 203 (disciplinante il progetto di stato passivo e l’udienza di discussione) e che si applichino le disposizioni dagli articoli da 201 a 207 (a cui occorre quindi fare riferimento per quanto concerne la forma, il contenuto e gli effetti della domanda, lo svolgimento del procedimento, la forma e l’efficacia della decisione del giudice delegato, nonché i mezzi di impugnazione esperibili e il relativo procedimento). 
In modo specifico per le domande tardive, il comma 2 dell’art. 208 prevede che esse siano esaminate in apposite udienze, le quali sono fissate dal giudice delegato “quando vengono presentate domande tardive”  – dunque, solo se siano effettivamente proposte – nei quattro mesi successivi alla loro proposizione, salvo che sussistano ragioni di urgenza. Il termine di quattro mesi corrisponde a quello stabilito per la presentazione del progetto di ripartizione delle somme da parte del curatore ai sensi dell’art. 220, comma 1, ed è da porre in relazione con gli effetti della ammissione in via tardiva di cui all’art. 225 (v. il § 4). Prevedere per la verifica delle tardive apposite udienze non significa negare che il giudice delegato possa disporne l’esame all’udienza di verifica fissata per le tempestive, considerato che il procedimento di verifica è unitario e che il creditore tardivo può subire dal riparto a favore dei soli tempestivi conseguenze negative, come il terzo pretendente può subirle dalla liquidazione del bene[12]. 
Con opportuna innovazione, si stabilisce che il curatore dia avviso della data di udienza fissata per l’esame delle domande tardive, oltre che ai ricorrenti (come già previsto dalla legge fallimentare), anche ai creditori già ammessi al passivo[13]; in questo modo, è possibile realizzare, già nel procedimento di verifica delle domande tardive dinanzi al giudice delegato, il contraddittorio incrociato con i controinteressati, anticipando in quella sede le contestazioni che altrimenti potrebbero essere sollevate solo promuovendo il giudizio di impugnazione​. 
In ordine a quest’ultimo profilo, ricordiamo che, per orientamento risalente e consolidato, della cui validità non è lecito dubitare, i creditori ammessi al passivo sono legittimati all’impugnazione dei provvedimenti di accoglimento delle domande tardive[14]; a tale fine, l’effettività della garanzia del diritto di azione e di difesa impone che sia effettuata anche a loro la comunicazione oggi prevista dall’art. 205 del decreto di esecutività dello stato passivo delle tardive[15].
3 . Le domande c.d. supertardive (o ultratardive)
Ai sensi dell’art. 208, comma 3, decorso il termine finale di sei (o dodici) mesi dal decreto di esecutività previsto dal comma 1 della disposizione, la proposizione di domande tardive non è più ammessa, salvo che l’istante provi che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile (domande c.d. supertardive o ultratardive). È pacifico che la disposizione, utilizzando la formulazione generica di “domande tardive”, si riferisca a tutte le domande di cui all’art. 201: di insinuazione al passivo di crediti pecuniari, di rivendica o restituzione di beni mobili e immobili e di partecipazione alla distribuzione del ricavato dalla liquidazione del bene ipotecato a garanzia di un debito altrui[16].   
L’art. 208, comma 3, costituisce applicazione specifica della regola generale della rimessione in termini della parte incorsa in decadenza per causa a sé non imputabile (art. 153, comma 2, c.p.c.). 
L’effetto della rimessione in termini è la riattribuzione alla parte del potere estintosi per decadenza, a causa del suo mancato esercizio nel termine perentorio previsto dalla legge (nel caso di specie, il potere di proporre la domanda di tutela dei diritti di cui all’art. 201, da esercitare nel termine perentorio previsto dal comma 1 dell’art. 208). Tale effetto dipende dalla integrazione di una fattispecie, di cui la causa non imputabile costituisce fatto costitutivo; è pertanto onere del ricorrente allegare e dare prova della circostanza che integra la causa non imputabile[17]. La Corte di cassazione afferma che il giudizio del tribunale circa la causa non imputabile implica un accertamento di fatto rimesso alla valutazione del giudice di merito, che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità[18]. Tuttavia, nelle applicazioni pratiche, la Corte mostra di svolgere un sindacato pieno e diretto sulla soluzione della questione da parte del tribunale, come è corretto che sia, venendo in rilievo non una questione di merito, rilevante per l’esistenza del diritto sostanziale fatto valere in giudizio con la domanda, bensì una questione di rito, rilevante ai fini della valida proposizione della stessa:  come si esprime l’art. 208, comma 3, la sussistenza della causa non imputabile rileva ai fini della ammissibilità della domanda e non della sua fondatezza[19]. 
Costituiscono causa non imputabile il fatto del terzo, il caso fortuito e la forza maggiore, nonché il fatto riferibile all’interessato, che non fosse evitabile usando la normale diligenza. In tutti i casi, il fatto deve essere stato causale rispetto alla mancata proposizione tempestiva della domanda, e ciò avviene se, in dipendenza di esso, l’interessato o non è venuto a conoscenza della procedura o, pur essendone a conoscenza, non ha potuto tempestivamente trasmettere la domanda a causa dell’impedimento; il fatto deve inoltre essere tale da determinare un’impossibilità assoluta, e non già un'impossibilità relativa (e tantomeno  una mera difficoltà), di presentare la domanda nel rispetto del termine finale[20]. 
Con riferimento all’insinuazione al passivo di crediti da parte dell’agente della riscossione, la giurisprudenza afferma che l’ente impositore o l’esattore debbono presentare l’istanza nel termine (previsto dal previgente art. 101 L. fall.) di un anno dal decreto di esecutività dello stato passivo, senza che i più lunghi termini previsti dalla legge per le procedure di accertamento e l’emissione dei ruoli e delle cartelle possano costituire una esimente di carattere generale del rispetto di tale termine, dovendo l’ente impositore, una volta ricevuta notizia dell’apertura della procedura,  immediatamente attivarsi per  predisporre i titoli per l’insinuazione al passivo dei crediti[21]. 
La mancanza o l’irritualità dell’avviso al creditore da parte del curatore (art. 200) sono ritenute dalla giurisprudenza consolidata, a ragione, causa non imputabile del ritardo per la presentazione della domanda di insinuazione al passivo (come delle domande di rivendica o restituzione di beni)[22], salva la facoltà del curatore di dimostrare che, nonostante ciò, il creditore aveva comunque avuto conoscenza della procedura e avrebbe quindi potuto proporre la domanda tempestivamente o tardivamente[23]. A questo proposito, la Corte di cassazione ha chiarito che il curatore deve fornire prova che il creditore ha avuto conoscenza effettiva dell'emissione della sentenza dichiarativa dell’insolvenza del debitore, oppure che egli ha avuto una conoscenza assimilabile a quella, legale, che sarebbe stata garantita dall’invio dell’avviso come prescritto dalla legge: non sono pertanto sufficienti l'astratta conoscibilità o una conoscenza di mero fatto[24]. Si sono escluse, ad esempio, la rilevanza della iscrizione nel Registro delle Imprese della sentenza di fallimento[25] e quella della proposizione dell’istanza di restituzione in via breve dei beni mobili di cui all’art. 87 bis L. fall. (oggi, art. 196), a cui abbia fatto seguito la loro inventariazione da parte del curatore, in quanto solo l’espresso rigetto da parte del giudice delegato dell’istanza rende edotta la parte istante della necessità di proporre la domanda di rivendica o di restituzione del bene[26]. Invece, e sempre in via esemplificativa, si sono affermate la rilevanza della rituale dichiarazione in un giudizio pendente della apertura della liquidazione giudiziale e dell’intervento (in senso lato) del curatore (oggi, ai sensi dell’art. 216, comma 10) in una procedura esecutiva pendente contro il debitore, di cui è parte anche il creditore[27]; della comunicazione a mezzo fax della sentenza di fallimento al creditore[28]; della corrispondenza tra il creditore e la curatela da cui si evince la conoscenza della procedura da parte del primo[29]; della presentazione da parte del creditore di una domanda tempestiva di insinuazione al passivo della medesima procedura, ancorché per crediti diversi aventi titolo in differenti rapporti contrattuali[30]; della partecipazione del creditore alla procedura di concordato preventivo del debitore, ancorché non direttamente, ma mediante un proprio mandatario[31]. 
Il Codice introduce un termine perentorio per la proposizione della domanda c.d. supertardiva, a pena di inammissibilità della stessa. Il termine è di 60 giorni e decorre dal venire meno della causa che ha impedito il deposito (rectius, trasmissione) della domanda; è onere del ricorrente allegare e provare il momento in cui l’impedimento è cessato, al fine di dare dimostrazione del rispetto del termine. L’innovazione è sicuramente opportuna, in quanto (come rileva anche la Relazione al Codice) consente di realizzare insopprimibili esigenze di certezza giuridica: in difetto di un’analoga previsione di legge all’art. 101 L. fall., la giurisprudenza aveva infatti integrato in via pretoria la disposizione, richiedendo che l’istante proponesse la domanda in un “termine ragionevole”, la cui congruità era rimessa a una valutazione discrezionale effettuata caso per caso dal giudice[32]. 
Termine finale di presentazione della domanda c.d. supertardiva è l’esaurimento di tutte le operazioni di ripartizione dell’attivo: conclusa la distribuzione del ricavato dalla liquidazione, in ogni caso la domanda non può più essere formulata, indipendentemente dal venire meno dell’impedimento, non essendovi più attivo da destinare al soddisfacimento del creditore. 
Come suggerito da parte della giurisprudenza teorica e pratica, il Codice introduce al comma 3 dell’art. 208 una modalità semplificata di definizione delle domande supertardive manifestamente inammissibili, per mancata allegazione delle circostanze da cui è dipeso il ritardo, per mancata indicazione dei documenti volti a fornirne prova, oppure per mancata indicazione dei mezzi di prova di cui l’istante intende valersi per dimostrarne la non imputabilità; in breve, se nella domanda manca l’allegazione delle circostanze che integrano la causa non imputabile del ritardo o l’indicazione delle prove (documenti e mezzi istruttori) volti a dare dimostrazione di tali circostanze.  In tali ipotesi, il giudice delegato, senza dare corso all’udienza di verifica e senza essere tenuto a sentire il ricorrente (il che non significa che non possa sentirlo), dichiara l’inammissibilità della domanda con decreto[33]. 
Il decreto del giudice delegato è impugnabile con il reclamo dell’art. 124 (dunque, non con l’opposizione ex art. 206) da proporsi al tribunale. A nostro avviso, il decreto con cui il tribunale rigetta il reclamo, confermando l’inammissibilità della domanda, ha carattere decisorio e definitivo, e pertanto è impugnabile con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. È invece dubbio se, in caso di accoglimento del reclamo, il tribunale debba trattare e decidere la domanda c.d. supertardiva, oppure se debba limitarsi ad annullare il decreto, lasciando al giudice delegato la trattazione e la decisione della domanda, secondo le regole ordinarie del procedimento di verifica del passivo. Quest’ultima soluzione appare preferibile, in quanto il reclamo riguarda la validità del decreto del giudice delegato, che istituzionalmente ha ad oggetto (come ancora prima il procedimento semplificato all’esito del quale è emesso) esclusivamente la decisione della questione di rito inerente alla “manifesta inammissibilità” della domanda. 
Resta infine da precisare che la legge predispone la speciale modalità decisoria semplificata per casi che potremmo definire di non concludenza della domanda rispetto al requisito della causa non imputabile, per assoluta carenza della allegazione dei fatti che la integrano o delle prove necessarie per darne dimostrazione. Pertanto, in base alla lettera della legge, in ogni altro caso, la domanda deve essere trattata e decisa secondo le regole ordinarie di cui all’art. 208, comma 2, e, quindi, nell’udienza di verifica delle domande tardive; la questione pregiudiziale inerente all’ammissibilità della domanda sarà esaminata (unitamente alle altre questioni rilevanti) in quella sede e decisa con il decreto di cui all’art. 201, comma 1, con cui il giudice delegato accoglie o respinge (in merito o in rito) la domanda[34]. Le modalità ordinarie dovranno essere seguite, quindi, anche nelle seguenti ipotesi: a) se il ricorrente abbia allegato le circostanze e offerto di darne prova, quantunque le prime appaiano non verosimili e le seconde inidonee a dimostrare la non imputabilità del ritardo; b) in caso di mancata indicazione e prova del momento in cui è cessato l’impedimento, che costituisce il dies a quo del termine perentorio di sessanta giorni per la proposizione della domanda; c) la domanda sia stata proposta dopo l’esaurimento tutte le ripartizioni dell’attivo.
4 . Gli effetti della ammissione in via tardiva dei crediti pecuniari e dell’accoglimento delle domande tardive di rivendica o restituzione di beni
Gli effetti della ammissione tardiva sono disciplinati all’art. 225 (corrispondente all’art. 112 L. fall.) e, con una disposizione sostanzialmente ripetitiva della prima, all’art. 226 (ove si rinviene la previsione già contenuta al comma 3 dell’art. 101 L. fall., espunta dall’attuale art. 208). 
Il creditore pecuniario tardivamente ammesso al passivo partecipa al concorso, ma sconta le conseguenze del ritardo, in quanto concorre soltanto alle ripartizioni successive all’ammissione in proporzione al suo credito. Egli ha diritto di prelevare le quote che gli sarebbero spettate nelle precedenti ripartizioni solo se munito di diritto di prelazione o se il ritardo nella presentazione della domanda è dipeso da causa a lui non imputabile (art. 225). Ai sensi dell’art. 226, il creditore pecuniario tardivo ha diritto di partecipare al concorso con riferimento alle somme già distribuite nei limiti di quanto stabilito dall’art. 225 (quindi, solo se assistito da cause di prelazione o se il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile). 
Il creditore ha l’onere di allegare e dimostrare nel procedimento di verifica le circostanze inerenti alla non imputabilità del ritardo. Pertanto, l’accertamento della non imputabilità del ritardo deve essere contenuto nel decreto (del giudice delegato o del tribunale) di accoglimento della domanda di insinuazione al passivo in via tardiva; esso non può costituire oggetto di un separato giudizio, né essere richiesto dal creditore per la prima volta in sede di reclamo avverso il progetto di ripartizione ai sensi dell’art. 220, comma 3[35].  
Sulla nozione di causa non imputabile del ritardo e sulle circostanze che possono integrarla si rinvia a quanto osservato al precedente paragrafo. 
Secondo la giurisprudenza consolidata, la proposizione della domanda di insinuazione tardiva non impedisce la chiusura della procedura per l’integrale soddisfacimento dei creditori ammessi o per l’esaurimento dell’attivo, né obbliga il curatore ad accantonare una parte dell’attivo a garanzia del creditore tardivamente insinuatosi, in quanto tale ipotesi non è contemplata dalla disposizione – ritenuta tassativa e insuscettibile di applicazione analogica – sugli accantonamenti nelle ripartizioni parziali (art. 113 L. fall. a cui è omologo l’art. 227 del Codice)[36]. 
Anche nel sistema del Codice, è confermato (art. 233, comma 1, lett. a), corrispondente all’art. 118, comma 1, n. 1), L. fall.) che la procedura si chiude se non siano presentate domande di ammissione al passivo nel termine perentorio stabilito nella sentenza di apertura (art. 49, comma 3, lett. e)), cioè se non siano state proposte domande tempestive[37]; la disposizione è interpretata in modo letterale, ossia nel senso che la chiusura non è impedita dalla proposizione di domande tardive, quando siano mancate le domande tempestive[38]. Sembra tuttavia corretto ritenere, secondo un principio generale del processo, oggi espressamente previsto dall’art. 153, comma 2, c.p.c., che questa rigorosa conseguenza possa essere evitata, se l’insinuante formuli istanza di rimessione in termini e dimostri che il ritardo nella proposizione della domanda è dipeso da causa a sé non imputabile[39]. 
Infine, venendo alle domande tardive di restituzione o rivendica di beni, anche in relazione ad esse il terzo pretendente sconta un effetto negativo a causa del ritardo: può ottenere dal giudice delegato la sospensione della liquidazione sino all’accertamento del suo diritto (prevista in generale dall’art. 201, comma 7) [40], solo se dimostra che il ritardo nella presentazione della domanda è dipeso da causa a lui non imputabile (art. 226, secondo periodo).
5 . L’insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura di liquidazione giudiziale
Il Codice ha mancato di chiarire alcuni profili della disciplina applicabile all’insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura di liquidazione giudiziale in conseguenza e in funzione di essa, per i quali debba rispondere l’attivo; si tratta di un insieme eterogeneo di pretese, che, ai fini ora di interesse, sono accomunate, indipendentemente dal loro titolo, dall’essere posteriori alla sentenza di apertura, e per le quali è previsto l’accertamento nel procedimento di verifica ai fini del loro soddisfacimento con il ricavato dalla liquidazione, al pari dei crediti concorsuali: può trattarsi di crediti chirografari oppure assistiti da cause di prelazione, nonché di pretese di carattere prededuttivo (ex art. 6, comma 1, lett. d) o per espressa previsione di legge) che devono  essere accertate nel procedimento di verifica, ai sensi dell’art. 222, comma 1. 
La questione che esaminiamo, rispetto a cui si riscontrano orientamenti divergenti nella giurisprudenza di legittimità, attiene al profilo, di carattere procedimentale, inerente al termine entro il quale deve essere proposta la domanda di insinuazione al passivo per il credito sopravvenuto[41]. 
Secondo l’interpretazione probabilmente prevalente, il termine perentorio previsto dall’art. 101, comma 1 e 4, L. fall. e, oggi, dall’art. 208, comma 1 e 3, si applica ai soli crediti concorsuali, ossia ai crediti venuti ad esistenza prima dell’apertura della liquidazione giudiziale, mentre non si applica all’insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura, rispetto ai quali, a differenza dei primi, non si riscontra alcun profilo di tardività, essendo venuti ad esistenza dopo la sentenza di apertura. Nondimeno, si ritiene che la domanda di ammissione per i crediti sopravvenuti sia comunque soggetta a un limite temporale, in difetto del quale essa potrebbe proporsi sino all’esaurimento delle operazioni di riparto, con grave nocumento per la funzionalità della procedura. Il termine viene individuato in 12 mesi, a decorrere dal momento in cui si verificano le condizioni per la partecipazione al passivo (ossia, l’insorgenza del credito), sulla base del rilievo che al creditore sopravvenuto deve essere riconosciuto lo stesso termine accordato ai creditori preesistenti per la presentazione della domanda in via tardiva, che l’art. 101 indicava, appunto, in 12 mesi dal decreto di esecutività, e che l’art. 208, comma 1, oggi stabilisce in 6 mesi[42]. 
Secondo un diverso orientamento, probabilmente minoritario ma nondimeno consistente, l’insinuazione dei crediti sopravvenuti è soggetta integralmente alla disciplina ordinaria della insinuazione (tardiva e c.d. supertardiva) al passivo di cui all’art. 101 L. fall. (e, oggi, all’art. 208)[43]. In modo analogo a quanto sostenuto in relazione alle domande supertardive nel vigore dell’art. 101 L. fall., che, come abbiamo ricordato, non  indicava il termine perentorio entro cui presentare la domanda una volta cessato l’impedimento, si afferma che il creditore, il cui diritto sia sorto dopo la dichiarazione di esecutività dello stato passivo, deve presentare la domanda di ammissione al passivo – a pena di inammissibilità – nel termine ragionevolmente necessario, in base alle peculiarità del caso concreto, per la proposizione della domanda a decorrere dal momento in cui essa può essere presentata (ossia, dall’insorgenza del credito). 
Poiché l’art. 208, comma 3, colmando la lacuna presente nel previgente art. 101 L. fall., stabilisce il termine di 60 giorni dalla cessazione dell’impedimento per la proposizione della domanda c.d. supertardiva, è ragionevole pronosticare che l’orientamento in esame riterrà applicabile detto termine, stabilendone la decorrenza dal momento dell’insorgenza del credito sopravvenuto. 
Con questo correttivo, verrebbe meno il più grave inconveniente di questa ricostruzione, costituito dall’incertezza insita nel dovere stabilire, caso per caso, quale sia il “termine ragionevole” per la presentazione della domanda a pena dell’inammissibilità della stessa. 
Restano invece le perplessità derivanti dall’accomunare la sopravvenienza del credito alla non imputabilità del ritardo. Si afferma che il carattere sopravvenuto del credito costituisce – si starebbe per aggiungere, per definizione – “causa non imputabile del ritardo” nella proposizione della domanda. In realtà, a nostro avviso, le due fattispecie non sono sovrapponibili: un conto è un credito preesistente al tempo dell’apertura della procedura, come tale oggettivamente insinuabile al passivo, e per il quale è ammessa la domanda tardiva se il ritardo nell’esercizio è dipeso da una causa non imputabile al creditore, e un altro conto è un credito che a tale data non era ancora sorto, in quanto non era ancora integrata la relativa fattispecie costitutiva, per il quale la domanda oggettivamente non poteva essere proposta anteriormente[44]; sicché, appare alquanto discutibile estendere la disciplina dettata per la prima fattispecie alla seconda, non potendosi neppure porre un problema di imputabilità del ritardo nell’esercizio di un diritto, che non è ancora venuto ad esistenza[45]. 
Tuttavia, poiché il Codice ha mancato l’occasione di chiarire la disciplina applicabile ai crediti sopravvenuti, è prevedibile che il contrasto interpretativo sia destinato a permanere, sino a un auspicabile intervento del legislatore o delle Sezioni Unite della Corte di cassazione. 
Quanto sin qui detto attiene al profilo procedimentale inerente alla proposizione della domanda di insinuazione. 
In ordine al regime giuridico applicabile al soddisfacimento di tali crediti in sede di ripartizione dell’attivo ci limitiamo ad osservare che, poiché la domanda di insinuazione per tali crediti non evidenzia alcun profilo di tardività (o, se non si condividano i rilievi svolti, di tardività imputabile), il creditore non può scontare alcuna sanzione stabilita per il ritardo (v. sopra il § 4); il che, ovviamente, assume rilevanza per i crediti di natura chirografaria e non per i crediti muniti di prelazione o di carattere prededuttivo, che debbono essere soddisfatti secondo il regime loro proprio[46].

Note:

[1] 
Sulla disciplina anteriore, oltre agli Autori che saranno citati nel prosieguo, sia consentito rinviare, anche per i relativi riferimenti, a S. Menchini–A. Motto, L’accertamento del passivo e dei diritti reali e personali dei terzi sui beni, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli, F. P. Luiso, E. Gabrielli, II, Il processo di fallimento, Torino, 2014, p. 375 ss., specie p. 628 ss.; sulla nuova disposizione, si vedano:  A. Villa, La nuova liquidazione giudiziale: effetti per i creditori e accertamento del passivo, in Il diritto degli affari, 2019, p. 192 ss., specie p. 212 ss.; F. Dimundo, Verifica dei crediti e dei diritti sui beni nella liquidazione giudiziale, Milano, 2023, p. 363 ss.; G. Bozza, L’accertamento del passivo nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Il Fall., 2019, p. 1203 ss., specie p.1212 ss.; F. Lamanna, Il Codice della crisi e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano, 2022, p. 641–642; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, 2° ed., 2022, p. 288–289; A. Jorio, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2023, p. 280–281; A. Nigro–D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, 6° ed., Bologna, 2023, p. 271–272; M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, Milano 2023, p. 435 ss.; G. Impagnatiello, L’accertamento del passivo nella liquidazione giudiziale, in Diritto della crisi d’impresa, a cura di G. Trisorio Liuzzi, Bari, 2023, p. 485 ss., specie p. 517 ss.; L. D’Alonzo, La liquidazione giudiziale vista dal curatore, in Dir. fall., 2023, I, p. 1095 ss., specie pp.1130 ss. 
[2] 
Ricordiamo che, per principio pacifico, “in tema di dichiarazioni tardive di credito, la proroga fino a diciotto mesi dal decreto di esecutività dello stato passivo del termine oltre il quale sono dichiarate ammissibili solo quelle il cui ritardo sia dipeso da causa non imputabile al creditore deve risultare espressamente dalla sentenza che dichiara il fallimento, e non può considerarsi implicito nella fissazione di un'adunanza per l'esame dello stato passivo tempestivo oltre i centoventi giorni previsti dall'art. 16, comma 1, n. 4, L. fall.“ (Cass., Sez. 6, 14 ottobre 2021, n. 28161). Cfr., tra molte, Cass., Sez. 6, 29 settembre 2021, n. 26501; Cass., Sez. 6, 23 settembre 2021, n. 25911, in Il Fall., 2022, p. 400 ss., con nota di F. Canazza, Lo scrutinio della “particolare complessità della procedura” ai sensi dell’art. 101 l.fall., a cui si rinvia per ulteriori riferimenti. 
[3] 
Principio pacifico; in dottrina, già G. Ragusa Maggiore, Passivo (accertamento del), in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, pp. 181 ss., specie p. 222; S. Bonfatti, L’accertamento del passivo e dei diritti mobiliari, in Il Fall., Trattato diretto da G. Ragusa Maggiore e C. Costa, III, Torino, 1997, p. 1 ss., specie p. 357–358; S. Satta, Diritto fallimentare, 3° ed., Padova, 1996, p. 348–349: in giurisprudenza, oltre alle pronunce che saranno ricordate nel prosieguo, v. sin d’ora: Cass., Sez. 6, 2 febbraio 2020, n. 4506; Cass., Sez. 1, 5 maggio 2021, n. 11779.
[4] 
G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, I, rist. 2° ed., Napoli, 1940, p. 351; nella dottrina più recente, per tutti: S. Menchini, Diritto processuale civile, I, Parte generale, Torino, 2023, p. 420; E. Merlin, Elementi di diritto processuale civile, I, Parte generale, Torino, 2022, p. 93.
[5] 
Per l’applicazione di questo principio generale alla fattispecie in esame, v. S. Satta, op. cit., p. 348–349.
[6] 
Cass., Sez. 1, 19 marzo 2012, n. 4282; Cass., Sez. 1, 12 dicembre 2011, n. 26539; Cass., Sez. 1, 7 dicembre 2011, n. 26377; Cass., Sez. 1, 15 dicembre 2011, n. 27092; Cass., Sez. 1, 13 dicembre 2011, n. 26761.
[7] 
Con riferimento ai crediti aventi titolo nel rapporto di lavoro, costituiscono diritti distinti quelli relativi al pagamento delle somme dovute a titolo di differenze retributive, ferie non godute, t.f.r. e mensilità aggiuntive: Cass., Sez. 1, 20 febbraio 2020, n. 4506; Cass., Sez. 1, 6 ottobre 2011, n. 20534; Cass., Sez. lav., 2 marzo 2007, n. 4950.
[8] 
Cass., Sez. un., 26 marzo 2015, n. 6060; Cass., Sez. 6, 17 dicembre 2021, n. 40554. Ricordiamo che se con la domanda tempestiva è stata richiesta l’insinuazione anche per interessi e rivalutazione, ma il giudice delegato si è pronunciato solo sulle somme domandante a titolo di capitale (ammettendole), senza nulla dire circa gli interessi e la rivalutazione, secondo la Cassazione non si verifica (come noi riteniamo) un’omessa pronuncia su alcuni dei diritti fatti valere con il ricorso, in quanto “il silenzio” del giudice e il mancato inserimento delle somme nello stato passivo “assume valore implicito di rigetto”, avverso il quale il creditore ha l’onere di proporre l’opposizione; in difetto, si stabilizza la “decisione” di rigetto, con conseguente preclusione rispetto alla richiesta di ammissione in via tardiva dei crediti per interessi e rivalutazione (così,  Cass., Sez. 1, 15 marzo 2019, n. 7500).
[9] 
Cfr., G. Fauceglia, L’accertamento del passivo, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, II, diretto da O. Cagnasso e L. Panzani, II, Milano, 2016, p.1593 ss., specie p. 1683. 
[10] 
V., rispettivamente, Cass., Sez. 1, 20 luglio 2016, n. 14936 e Cass., Sez. 1, 15 luglio 2011, n. 15702.
[11] 
Cass., Sez. 1, 17 aprile 2013, n. 9318.
[12] 
Cass., Sez. 1, 26 marzo 2012, n. 4792; G. Bozza, Le domande tardive, in A. Jorio–B.N. Sassani, Trattato delle procedure concorsuali, II, Il fallimento, Milano, 2014, p. 915 ss., specie p. 931–932.
[13] 
Come si era indicato in S. Menchini–A. Motto, op. cit., p. 633–634.
[14] 
E non se ne era infatti dubitato, a seguito della riforma dell’art. 101 L. fall. da parte del D.Lgs. n. 5/2006 (L. Cavalaglio, Le dichiarazioni tardive dei crediti, in Dir. fall., 2009, I, p. 303 ss., specie p. 313; G. Bozza, op. ult. cit., p. 936–937; in giurisprudenza, Cass. civ., 17 dicembre 2010, n. 25548).
[15] 
Corte cost., 14 dicembre 1990, n. 538, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 100, comma 1, L. fall., che, anteriormente alla riforma, disciplinava l’impugnazione dei crediti ammessi, “nella parte in cui non prevede che i creditori già ammessi possano proporre opposizione avverso i decreti di ammissione tardiva al passivo emanati ex art. 101, comma 3, del r.d. n. 267 del 1942 con ricorso al giudice delegato, entro quindici giorni dalla data di ricezione della raccomandata con avviso di ricevimento, con la quale il curatore deve dare a ciascuno di essi notizia dell’avvenuto deposito del decreto di variazione dello stato passivo”.
[16] 
In termini, con riferimento all’art. 101 L. fall., Cass., Sez. 1, 6 novembre 2023, n. 30846.
[17] 
Principio pacifico; per molte: Cass., Sez. 1, 5 settembre 2018, n. 21661.
[18] 
Per molte, Cass., Sez. 6, 10 maggio 2021, n. 12336; Cass., Sez. 1, 12 marzo 2020, n. 7109; Cass., Sez. 1, 19 giugno 2018, n. 16103; Cass., Sez. 1, 8 marzo 2018, n. 5560.
[19] 
Infatti, se accoglie il motivo di ricorso con cui il decreto del tribunale è impugnato per avere erroneamente ritenuto sussistente la causa non imputabile, la Corte cassa senza rinvio il decreto ai sensi dell’art. 382, comma 3, ultimo periodo, c.p.c., perché la causa non poteva essere proposta (Cass., Sez. 1, 6 novembre 2023, n. 30846).
[20] 
Giurisprudenza consolidata; per molte, da ultimo, Cass., Sez. 1, 6 novembre 2023, n. 30846; Cass., Sez. 1, 9 marzo 2023, n. 7064. Nella dottrina più recente, si vedano, per tutti, G. P. Macagno, Termine per le domande “ultratardive”: valutazione secondo ragionevolezza e onere della prova in capo al creditore, in Il Fall., 2022, pp.1422 ss.; S. Leuzzi, Le ammissioni “ultratardive” tra overruling ed errore scusabile, in Il Fall., 2022, pp. 556 ss.; F. Mancuso, Le domande supertardive. Ritardo incolpevole e termine per il deposito dell’insinuazione, in Il Fall., 2021, p. 368 ss.
[21] 
Così, da ultimo, Cass., Sez. 1, 26 settembre 2018, n. 23159, in un caso in cui l’agente della riscossione aveva proposto la domanda di insinuazione al passivo per un credito relativo a una sanzione amministrativa comminata dalla Consob. Occorre peraltro ricordare, con riferimento ai crediti tributari, che Cass., Sez. un., 15/03/2012, n. 4126 ha precisato che la domanda non deve essere necessariamente proposta dal concessionario, a seguito dell’iscrizione a ruolo della somma e della notifica della cartella di pagamento al curatore, in quanto essa può essere formulata direttamente anche dall’amministrazione finanziaria; inoltre, Cass., Sez. un., 11 novembre 2021, n. 33408 ha stabilito che, ai fini della insinuazione al passivo del credito tributario o del credito previdenziale azionato dall’agente della riscossione, non occorre che l’avviso di accertamento o quello di addebito contemplati agli artt. 29 e 30 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (conv. con l. 30 luglio 2010, n. 122) siano notificati, essendo sufficiente la produzione dell’estratto di ruolo.
[22] 
Cass., Sez. 1, 6 novembre 2023, n. 30846; cfr. anche Cass., Sez. 1, 15 novembre 2023, n. 31756.
[23] 
Orientamento consolidato; per molte, Cass., Sez. 6, 10 maggio 2021, n. 12336; Cass., Sez. 6, 20 novembre 2019, n. 30133.
[24] 
Così, quasi testualmente, Cass., Sez. 1, 8 luglio 2022, n. 21760, in relazione alla domanda di insinuazione al passivo di una procedura di amministrazione straordinaria, ma con principi validi anche per il fallimento e, oggi, la liquidazione giudiziale (nel caso di specie, la Corte ha escluso la rilevanza della “notorietà”, nell’ambito territoriale di riferimento, della sottoposizione ad amministrazione straordinaria della società debitrice); nello stesso modo, in relazione a una domanda di rivendica di un bene immobile, Cass., Sez. 1, 6 novembre 2023, n. 30846 (nel caso di specie, la Corte ha ritenuto imputabile il ritardo nella proposizione della domanda, in quanto la curatela aveva notificato al ricorrente un precetto di pagamento, nel quale si faceva espresso riferimento all’intervenuto fallimento).
[25] 
Cass., Sez. 1, 8 luglio 2022, n. 21760.
[26] 
Cass., Sez. 1, 15 novembre 2023, n. 31756.
[27] 
In relazione alla seconda ipotesi, Cass., 19 novembre 2018, n. 16103; Cass., 26 novembre 2019, n. 30760.
[28] 
Cass., 13 novembre 2015, n. 23302.
[29] 
Cass., 26 novembre 2019, n. 30760.
[30] 
Cass., Sez. 6, 10 maggio 2021, n. 12336, in relazione alla ammissione al passivo di un credito di una compagnia assicuratrice; è di un qualche interesse sottolineare che, secondo la Corte, sono in linea di principio irrilevanti l’elevato numero di clienti e di rapporti gestiti anche mediante differenti uffici e le connesse difficoltà inerenti alla verifica interna della sussistenza di altri crediti nei confronti della debitrice.
[31] 
Cass., Sez. 1, 12 marzo 2020, n. 7109, in relazione all’ammissione al passivo di un credito di un istituto bancario, con la precisazione (omologa a quella segnalata alla nota precedente) che sono in linea di principio irrilevanti sia l’elevato numero dei rapporti “a sofferenza” gestiti, che renderebbe “difficoltoso, se non impossibile lo svolgimento di effettive attività di controllo sull'evoluzione delle singole situazioni debitorie”, sia la circostanza che la “posizione” fosse stata gestita nella procedura concordataria da altra società appartenente al medesimo gruppo bancario.
[32] 
Cass., Sez. 1, 24 novembre 2015, n. 23975; Cass., Sez. 6, 2 dicembre 2020, n. 27590; in modo analogo, altri precedenti oneravano l’istante della prova, oltre che della causa non imputabile che gli aveva impedito di proporre la domanda in via tempestiva o tardiva, anche “della causa esterna, uguale o diversa dalla prima, che ne abbia cagionato l'inerzia tra il momento della cessazione del fattore impediente e il compimento dell'atto, dovendo il soggetto interessato attivarsi in un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del procedimento, oltre che delle specifiche esigenze di concentrazione e celerità dell'accertamento del passivo fallimentare” (Cass., Sez. 1, 9 marzo 2023, n. 7064).
[33] 
Nella Relazione al Codice si legge che “Il comma 3 della disposizione illustrata reca la disciplina delle c.d. domande supertardive e in particolare l’ipotesi in cui la domanda risulti manifestamente inammissibile, così dirimendo una serie di dubbi interpretativi, inerenti i limiti di tempo entro i quali è possibile la proposizione di domande tardive e la possibilità di dichiarare l’inammissibilità manifesta della domanda senza previa instaurazione del contraddittorio, che hanno originato contrasti giurisprudenziali”.
[34] 
Cfr., G. Bozza, L’accertamento, op. cit., p. 1214.
[35] 
L’art. 112 l. fall., nel testo originario, in un inciso indicava che la causa non imputabile del ritardo doveva risultare “dalla sentenza pronunciata a norma dell’art. 101”; con la riforma del 2006 della legge fallimentare, l’inciso è venuto meno e  tale elisione  è stata interpretata nel senso delle ricezione dell’orientamento che riteneva equipollente alla sentenza il decreto pronunciato in caso di assenza di contestazioni dal giudice delegato (art. 101, comma 3, l. fall.), ferma restando l’esigenza che la non imputabilità del ritardo doveva risultare dal provvedimento di ammissione, avente a seguito della riforma sempre la forma del decreto (si vedano, anche per gli opportuni riferimenti, A. Trinchi, Art. 112, in Commentario alla legge fallimentare diretto da D. Cavallini, II, Milano, 2010, p. 1263 ss., specie p. 1269; C. L. Perago, I pagamenti nel fallimento, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli, F. P. Luiso, E. Gabrielli, II, Il processo di fallimento, Torino, 2014, p. 745 ss., specie p. 787–788; G. Bozza, Le domande tardive, op. cit., p. 945; G. Minutoli, La distribuzione dell’attivo e il rendiconto, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, Milano, 2016, II, p. 2350 ss., specie p. 2376–2377). Questa opinione è confermata dalla dottrina in relazione all’art. 225 del Codice, identico all’art. 112 L. fall. riformato: D. Manente, Art. 208, in A. Maffei Alberti, Commentario breve alle leggi su Crisi d’impresa e insolvenza, 7° ed., Milano, 2023, p. 1600 ss., specie p. 1609–1610; G. Guerrini, Art. 225, ivi, p. 1776 ss., specie p. 1778.
[36] 
Cass., Sez. 1, 5 marzo 2009, n. 5304; Cass., Sez. 6, 2 settembre 2014, n. 18550; rientra nella discrezionalità (senza costituire un obbligo) del giudice delegato disporre accantonamenti superiori al minimo di legge in considerazione della pendenza di domande di insinuazione tardive.
[37] 
Per tutti, A. Cavalaglio, Le dichiarazioni tardive dei crediti, op. cit., p. 306. 
[38] 
Cass., Sez. 1, 16 maggio 2019, n. 13270, anche per una motivata critica ad alcune contrastanti affermazioni compiute da Cass., Sez. 1, 15 febbraio 2017, n. 4021; sempre Cass. n. 13270/2019 cit. ha inoltre statuito, sempre sulla base di un’interpretazione letterale dell’art. 118, comma 1, n. 1), L. fall., che la disposizione non opera, se siano state proposte domande tempestive poi rinunciate, in quanto essa si applica nel solo caso in cui non siano state affatto presentate domande tempestive. In dottrina, per tutti, M. Fabiani, La chiusura del fallimento e la riapertura Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli, F. P. Luiso, E. Gabrielli, II, Il processo di fallimento, Torino, 2014, p. 809 ss., specie p. 813–814; G. Carmellino, Spunti in tema di domande di insinuazione tardiva e di casi di chiusura della liquidazione fallimentare, in Il Fall., 2019, p. 1487 ss., a cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti.
[39] 
Come si è proposto in S. Menchini–A. Motto, L’accertamento, in Trattato, op. cit., p. 629.
[40] 
Sulla quale si rinvia a S. Menchini–A. Motto, L’accertamento, in Trattato, op. cit., p. 486 ss.
[41] 
Sulla questione, anche per ulteriori riferimenti, si vedano, da ultimo: F. Dimundo, Crediti sopravvenuti, ritardo non imputabile e termine di presentazione della domanda ultratardiva fra legge fallimentare e Codice della crisi, in ildirittodellacrisi.it; V. D. Cataldo, Il termine per la ammissione al passivo dei crediti sopravvenuti, in Il Fall., 2020, p. 29 ss. Per la giurisprudenza, v. di seguito nel testo e le note corrispondenti.
[42] 
Per molte, Cass., Sez. 1, 16 novembre 2021, n. 34730; Cass., Sez. 6, 13 maggio 2021, n. 12735; Cass., Sez. 6, 2 febbraio 2021, n. 2307; Cass., Sez. 6, 2 febbraio 2021, n. 2308; Cass., Sez. 1, 17 febbraio 2020, n. 3872; Cass., Sez. 6, 7 novembre 2019, n. 28799; Cass., Sez. 1, 10 luglio 2019, n. 18544.
[43] 
Cass., Sez. 1, 16 febbraio 2023, n. 4940; Cass., Sez. 6, 6 luglio 2022, n. 21331; Cass., Sez. 1, 5 aprile 2022, n. 11000; Cass., Sez. 1, 28 giugno 2019, n. 17594.
[44] 
In questo senso, in dottrina, per tutti, A. Cavalaglio, op. cit., p. 326 ss.; in giurisprudenza, Cass., Sez. 1, 17 febbraio 2020, n. 3872; Cass., Sez. 1, 10 luglio 2019, n. 18544; Cass., Sez. 1, 31 luglio 2015, n. 16218.
[45] 
A conferma della eterogeneità tra i due elementi, in alcune ipotesi la sopravvenienza del credito potrebbe non essere con sicurezza “non imputabile” al creditore, in quanto dipendente da una condotta a lui riferibile.
[46] 
A. Cavalaglio, op. cit., p. 318 ss., specie p. 324 ss.

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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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