Come risulta evidente dalla ricostruzione appena esposta, la composizione negoziata ridisegna considerevolmente l’ambito delle responsabilità gestorie degli organi di amministrazione, mantenendo ad indirizzo esclusivo dell’imprenditore il governo del patrimonio e dell’impresa (l’esperto, come è noto, è normativamente definito terzo rispetto a tutte le parti) ma introducendo una serie di prescrizioni selettive ad intensità crescente modulate sulla gravità della crisi e volte a limitarne la potenziale dannosità.
In realtà, a ben vedere, non siamo in presenza di precetti particolarmente restrittivi rispetto alle ordinarie regole societarie; evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’impresa come gestire l’impresa nel prevalente interesse dei creditori (le due previsioni dell’art. 9), sembrano infatti condotte immanenti al dovere di agire con diligenza di cui all’art. 2392 cod. civ., al dovere di conservazione dell’integrità del capitale sociale preveduto dall’art. 2394 cod. civ. e al rispetto del principio di corretta amministrazione regolato dal successivo art. 2403 [4].
Un po’ meno chiara appare tuttavia la motivazione che ha indotto il Senato all’approvazione dell’emendamento che, riformulando il primo comma dell’art. 9, ha previsto, in caso di insolvenza, l’obbligo di gestione dell’impresa conformato al prevalente interesse dei creditori nell’ipotesi in cui esistano concrete prospettive di risanamento; come se, nel caso queste ultime non esistessero, la condotta gestoria potesse viceversa deviare da quell’obbligo di tutela.
È infatti del tutto evidente che, nel caso di mancanza di prospettive di recupero dell’equilibrio economico finanziario, in crisi o insolvente che fosse l’imprenditore, si genererebbe l’obbligo in capo all’esperto (ex art. 5 co. 5) di avviare il procedimento di archiviazione della composizione; e, atteso il decorso fino a questo evento della sospensione della causa di scioglimento della società (ex art. 8 co. 1), contestualmente rivivrebbero gli obblighi di gestione conservativa dell’impresa imposti dall’art. 2486 cod. civ. che rappresentano, appunto, il principale presidio posto a tutela dei creditori.
Considerato il testo originale del decreto, che prevedeva obblighi gestori solo in caso di probabilità di insolvenza, limitandoli al non pregiudizio della sostenibilità economico-finanziaria dell’attività, si può pensare che, di fronte ad un’indicazione gestoria esclusivamente business oriented che lasciasse il presidio ai creditori devoluto alla sola doppia interlocuzione imprenditore-esperto prevista dai successivi commi 2, 3 e 4, dunque di natura sostanzialmente informativa, si sia voluto introdurre un chiaro richiamo valoriale inserendo la precisazione che, in caso di insolvenza, l’interesse prevalente virasse dalla sostenibilità dell’impresa alla protezione dei creditori [5].
Precetti, tuttavia, per nulla agevoli da applicare in concreto di fronte alla complessità e, soprattutto, alla stretta interdipendenza dei processi aziendali; operando in un sistema dinamico e interconnesso potrebbe anche accadere che, nell’agire unidirezionale a presidio di uno specifico interesse si possa finire per arrecare al soggetto tutelato, seppur indirettamente, un danno.
In un simile, incerto, contesto interviene molto opportunamente il decreto dirigenziale che, proprio al fine di indirizzare l’impresa nei diversi contesti in cui si assumono le scelte gestorie, individua gli obiettivi economici a cui l’imprenditore dovrà tendere, o le condotte a cui dovrà attenersi, declinandole in riferimento alle diverse condizioni di solvibilità in cui l’impresa potrebbe dibattersi (in crisi o insolvente).
In particolare, per quanto attiene agli obiettivi economici da assicurare in caso di (sola) crisi ed al fine di non cagionare pregiudizio alla sostenibilità economico finanziaria dell’impresa, il decreto precisa che non vi sarà di regola danno quando ci si attende un margine operativo lordo (MOL) positivo [6] o quando, in presenza di margine operativo lordo negativo, esso sia compensato dai vantaggi per i creditori derivanti, secondo una ragionevole previsione, dalla continuità aziendale (che possono, esemplificativamente, prodursi con una più proficua gestione del magazzino o con un più efficiente incasso dei crediti, oppure permettendo il completamento dei lavori in corso, ovvero, e soprattutto, consentendo la cessione del compendio aziendale in funzionamento rispetto alla liquidazione atomistica dei beni che lo compongono) (sez. II° par. 7.5 decr. dirig.).
Più sfumata, viceversa, l’indicazione relativa alle condotte che non risultano generative di pregiudizio agli interessi dei creditori, da osservare in caso di insolvenza. In questo caso viene solo citata l’assenza di pregiudizio nell’ambito dei finanziamenti quando essi siano necessari ad assicurare la continuità aziendale e l’impresa sia in grado di rimborsarli attraverso i soli flussi derivanti dalla continuità stessa, mentre il pregiudizio è viceversa accertato quando le utilità per i creditori vengano compromesse, anche solo parzialmente, dalla maggiore esposizione debitoria derivante dal finanziamento (sez. II° par. 7.8 decr. dirig.).
La motivazione di questa meno articolata esemplificazione risiede, verosimilmente, nel disallineamento temporale fra la pubblicazione del decreto dirigenziale, intervenuta in data 28.9.2021, e la (successiva) approvazione da parte del Senato dell’emendamento al decreto legge che dissocia le prescrizioni gestorie nei diversi casi di crisi e di insolvenza, intervenuta in data 13.10.2021, dissociazione che risultava assente nella prima versione della norma e che dunque il decreto dirigenziale non poteva né conoscere né, appunto, articolare.
Ma non vi è alcun dubbio che la questione più delicata sulla quale riflettere è rappresentata dagli effetti derivanti dalla sospensione degli obblighi sull’integrità del capitale.
La norma, in particolare, sterilizza gli effetti:
- degli articoli 2446, secondo e terzo comma, e 2447 (rispettivamente per la perdita di oltre un terzo del capitale, senza e con la riduzione al di sotto del minimo legale, per le società per azioni) e di quelli regolati dagli articoli 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma e 2482-ter del codice civile (rispettivamente per la perdita di oltre un terzo del capitale, senza e con la riduzione al di sotto del minimo legale, per le società a responsabilità limitata);
- della causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, n. 4) (per tutte le società di capitali) e 2545-duodecies del codice civile (per le società cooperative).
La sospensione, nelle sue diverse articolazioni, è volta a garantire che nel corso delle negoziazioni l’imprenditore non venga assoggettato agli obblighi di ricapitalizzazione o di scioglimento a fonte di perdite superiori al terzo del capitale sociale; è infatti verosimile che le condizioni patrimoniali di chi si approssima al percorso compositivo, e forse in una rilevante quantità dei casi, risultino marcatamente compromesse e che dunque si stia per generare, se non si è già generata, la causa di scioglimento con i connessi obblighi ricostitutivi.
La norma consente in questo modo di poter integrare i provvedimenti sul capitale nell’ambito dei piani di risanamento, cosi da poterli attuare nella loro fase esecutiva; con l’ulteriore effetto che le risorse per la ricostituzione potrebbero anche autogenerarsi sottoforma, ad esempio, di conversione di debiti in capitale oppure mediante rilascio di specifici appropriati strumenti finanziari partecipativi ovvero mediante la generazione di utili, da imputarsi a capitale, rivenienti da sopravvenienze attive originate dalla riduzione concordata di debiti. Una mutazione della regola del “ricapitalizza o liquida” che, in questo modo, evolverebbe in “ricapitalizza, liquida o rinegozia” [7].
Ricapitalizzazione che, peraltro, si risolverebbe in una sanatoria di tutte le eventuali responsabilità per danni cagionati ai creditori da perdite incrementali maturate anche prima della richiesta di sospensione; ciò in quanto lo scioglimento della società si produce automaticamente ed immediatamente salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale e quindi, con il verificarsi dell'anzidetta condizione, lo scioglimento verrebbe meno con effetto ex tunc [8].
La perdita del capitale riverbera però i suoi effetti anche nel perimetro di operatività dell’art. 2484, primo comma, n. 4) (per tutte le società di capitali) e 2545-duodecies del codice civile (per le società cooperative) configurando, come è noto, una causa di scioglimento della società, con il conseguente obbligo in capo agli amministratori, in forza del disposto di cui all’art. 2486 cod. civ., di gestire la società al solo fine di conservare l’integrità e il valore del patrimonio, pena la responsabilità risarcitoria - personale e solidale - per i danni arrecati a società, soci e creditori per l’inosservanza di tale norma; precetto all’evidenza incompatibile con il percorso negoziale e il processo di risanamento che, seppur orientati al riequilibrio della situazione economico-finanziaria, presuppongono la prosecuzione dell’attività, con la conseguente accettazione di nuovo rischio d’impresa che, all’evidenza, non preclude il conseguimento di nuove perdite di gestione.
Ad evitare questo ulteriore impedimento, il decreto interviene con la seconda parte dell’art. 8, inertizzando l’effetto solutorio del contratto sociale e legittimando la prosecuzione della gestione imprenditoriale senza obbligo di mantenimento della garanzia patrimoniale né aggravi di responsabilità per danni incrementali.
Andranno però attentamente esaminati sia i limiti temporali che quelli “spaziali” di questa disposizione, in quanto la sua portata non risulta del tutto illimitata e il suo utilizzo genera conseguenze che andranno altrettanto bene valutate.
Va preliminarmente osservato come l’ottenimento della sospensione non sia soggetto ad alcuna autorizzazione o conferma, né amministrativa né giudiziale; si tratta, dunque, di una vera e propria autodisattivazione degli obblighi di integrità del capitale e dell’automatico scioglimento dell’ente sociale conseguiti mediante una semplice espressione di volontà, che si manifesterà formulando una dichiarazione che potrà essere resa sia con l’istanza di nomina dell’esperto sia in un qualsiasi momento successivo, e la condizione permarrà inalterata fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione
La dichiarazione andrà però pubblicata presso il registro delle imprese, solo da quel momento decorreranno infatti i suoi effetti, e questo, va detto, genererà un non marginale contraccolpo relazionale in quanto la riservatezza del procedimento verrà inevitabilmente compromessa; d’altra parte, è altrettanto inevitabile che di tale perdita di garanzia vengano resi edotti coloro che accordano credito sul presupposto della sua legale esistenza e persistenza.
Per quanto viceversa attiene alle dimensioni “spaziali” della sospensione, gli unici presidi posti a fronte di un’illimitata espansione delle perdite (incrementali) di patrimonio risiedono nelle precise condizionalità gestorie prevedute dal primo comma dell’art. 9, segnatamente nella preclusione al pregiudizio della sostenibilità economico-finanziaria dell’impresa o, in caso di insolvenza, all’interesse dei creditori.
Entro questi limiti, e dunque entro i confini della sostenibilità economico-finanziaria dell’impresa in crisi, saranno sopportate perdite incrementali se ed in quanto coerenti, e dunque finalizzate, all’esecuzione del piano di risanamento.
Solo in caso di insolvenza le perdite incrementali dovranno orientarsi verso l’interesse dei creditori, e dunque saranno introitabili solo se il risultato che si prefigurano è rappresentato non tanto, o non solo, dal risanamento dell’impresa ma (verosimilmente) da un maggior realizzo in sede di liquidazione.
Sarà dunque un preciso compito dell’esperto, preliminarmente edotto della volontà di compimento di un atto incoerente o dannoso e, dopo l’espressione di un eventuale dissenso, successivamente informato della sua esecuzione, non intervenire ovvero iscrivere il dissenso presso il registro delle imprese ovvero ancora, nel caso più estremo, ossia quando l’atto dovesse compromettere le prospettive di risanamento, darne notizia all’imprenditore e alla struttura camerale per far disporre l’archiviazione della composizione.
E di tali atti e condotte gli amministratori ne risponderanno specificatamente a creditori, soci o terzi in forza del disposto di cui agli articoli 2392 e seguenti cod. civ., posto che, come ricorda anche l’ultima parte del 1° comma dell’art. 9 (e con l’ulteriore richiamo, posto all’art. 12 in tema revocatorio, in ordine agli atti, i pagamenti e le garanzie, dannosi o incoerenti, compiuti nel corso del procedimento compositivo), restano del tutto ferme le responsabilità dell’imprenditore.
Ma mentre danni specifici, rivenienti da atti lesivi o incoerenti, potranno essere sempre arrecati e quindi divenire risarcibili - inespresso, espresso o pubblicato il dissenso dell’esperto che sia - non potrà viceversa ritenersi mai inoperante la sospensione della responsabilità per perdite d’impresa incrementali, posto che il suo limite temporale si estende, incondizionato, fino alla conclusione delle trattative o, se antecedente, all’archiviazione della negoziazione.
Ma a questi fini andranno meglio approfonditi gli effetti connessi agli obblighi di natura informativa.
Ricordiamo che il quadro informativo che l’imprenditore è tenuto a condividere con l’esperto risulta estremamente ampio e particolareggiato; esso dovrà infatti fornire a quest’ultimo, se richieste, tutte le informazioni utili o necessarie (art. 4 co. 2), rappresentare la propria situazione in modo completo e trasparente (art. 4 co. 5), informarlo preventivamente della sua intenzione di compiere atti di straordinaria amministrazione (art. 9 co. 2) ovvero di eseguire pagamenti incoerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento (art. 9 co. 2) e, infine, condividere immediatamente l’intervenuto successivo compimento di atti straordinari nonché di pagamenti incoerenti in ordine ai quali l’esperto abbia espresso il dissenso (art. 4 co. 4).
Risulta del tutto evidente la finalità di questa condivisione: l’esperto è tenuto ad operare una valutazione costante e concomitante sull’andamento della gestione in quanto, se e quando dovesse rilevare la compromissione delle prospettive di risanamento, le trattative e la composizione dovranno essere immediatamente interrotte. Appare dunque assolutamente centrale che l’informativa finanziaria gli pervenga in modo integro, completo e trasparente, e non risultino in alcun modo omesse notizie rilevanti.
Ma, per la delicatezza e l’importanza risolutiva di queste informazioni, è proprio in quest’ambito che potrebbero generarsi resistenze, opacità o vere e proprie dissimulazioni.
Ci si riferisce a tutte quelle passività certe o ancora potenziali, note all’imprenditore, che potrebbero essere celate o sottostimate per evitare che possano squilibrare o compromettere il risanamento e, con esso, il (già di per sé delicato e incerto) percorso negoziale.
Si citano, solo esemplificativamente, possibili garanzie rilasciate a clienti o a terzi che l’imprenditore cela in quanto, diversamente, si renderebbero necessari appropriati accantonamenti; giacenze di magazzino dichiarate utilizzabili in realtà legate a prodotti o processi in dismissione; crediti dichiarati esigibili ma, in realtà, connessi a forniture in contestazione; richieste di risarcimento non rese manifeste, controversie con il personale non ancora approdate in giudizio, irregolarità tributarie o previdenziali non ancora formalmente accertate, danni ambientali commessi ma non ancora rilevati dalle autorità di controllo, e cosi via.
Appare evidente che, se l’omissione di una o più di queste informazioni risultasse determinante nel fuorviare il giudizio dell’esperto sulla perseguibilità del risanamento, ci troveremmo di fronte ad un avvio, o ad una prosecuzione, del percorso compositivo carente di una imprescindibile condizione giuridico-economica e dunque del tutto illegittimo; e se si rilevasse che la conoscenza degli elementi dissimulati si era rivelata determinante nel provocare l’archiviazione del procedimento, mentre lo stesso è stato comunque avviato o proseguito, potrà legittimamente sostenersi che la sospensione degli obblighi sull’integrità del capitale, se dichiarata, era illegittima e dunque inefficace fin da allora proprio per l’avveramento di una delle due condizioni terminali.
E, per l’effetto, fin da quel momento si dovranno considerare riespansi gli obblighi di ricostituzione del capitale e riattivata la clausola di scioglimento della società, con la conseguente reviviscenza delle prescrizioni in ordine alla gestione conservativa e alla responsabilità per danni da aggravamento.