La prioritaria rilevanza della continuità negli strumenti del Codice della crisi
Maria Edvige Chiari, Dottore Commercialista in Bologna
4 Aprile 2023
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Sommario:
a. facilitare con ogni strumento la ristrutturazione preventiva e la conservazione della continuità aziendale, quale bene protetto dall’ordinamento, scongiurando l’insolvenza, in assenza di pregiudizio dei creditori;
La numerosità delle misure, accordi, strumenti che oggi si offrono al debitore per il superamento della crisi di impresa e dell’insolvenza si inseriscono nel quadro generale degli obbiettivi previsti dalla Direttiva “Insolvency”.
- l’art. 2086 c.c., titolato “Gestione dell’impresa” e l’art. 3 CCII, titolato “Adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi di impresa”. Le due norme citate segnano una rivoluzione culturale nell’esercizio dell’attività imprenditoriale individuale e collettiva; dall’entrata in vigore del Codice della Crisi l’imprenditore, sia individuale che collettivo, sia commerciale che agricolo, non potrà più limitarsi a consuntivare l’andamento aziendale tramite la tenuta della contabilità ordinaria, ma sarà tenuto a dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati a prevedere gli andamenti aziendali, economici, patrimoniali e finanziari, con particolare riferimento al budget di tesoreria, che misura l’adeguatezza dei flussi di cassa a far fronte alle obbligazioni programmate. La visione prognostica degli andamenti dei cicli aziendali è indispensabile al fine della valutazione della continuità aziendale. In caso di incertezze sul mantenimento della continuità aziendale, è obbligo degli amministratori attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il recupero della continuità aziendale. Si tratta di un impianto normativo che, seppure sprovvisto di un correlato impianto sanzionatorio, nel caso in cui la violazione dei doveri pregiudichi i diritti di terzi, apre gli orizzonti delle responsabilità degli organi gestori e delle conseguenze risarcitorie;
- il Titolo II del CCII, dedicato al procedimento della Composizione negoziata della crisi, che consente all'imprenditore commerciale e agricolo di richiedere la nomina di un esperto al segretario generale della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell'impresa, al fine di agevolare le trattative con i creditori e gli altri soggetti interessati per superare le condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa;
- art. 25 novies CCII, titolato “Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati”, norma che regolamenta i meccanismi di allerta esterna, tramite i quali soggetti qualificati quali INPS, INAIL, Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate Riscossione, segnalano il superamento di esposizioni significative, quale potenziale segnale di crisi, all’imprenditore e all’organo di controllo, ove esistente, allo scopo di attenzionare la situazione dell’impresa e la sostenibilità dei debiti;
- art. 25 decies CCCI, titolato “Obblighi di comunicazione per banche e intermediari finanziari”, norma che prevede l’obbligo di comunicazione delle variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti da parte delle banche all’organo di controllo, se esistente, quale informativa rilevante per la valutazione degli equilibri patrimoniali e finanziari.
Il Codice della crisi alloca al titolo IV la disciplina degli Strumenti di regolazione della crisi agli articoli dal 56 al 120; si tratta di una serie definita di strumenti che hanno come scopo prioritario la salvaguardia della continuità aziendale ad esito del superamento della crisi d’impresa o dell’insolvenza “reversibile”.
Più specificamente si intende fare riferimento ad una pluralità di istituti, identificabili nei seguenti:
a. Piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII;
Fra i documenti di derivazione professionale, il principio di revisione ISA570 Continuità aziendale consente di ottenere una definizione a contrario del concetto di “continuità aziendale”; il documento infatti esemplifica una serie di accadimenti al verificarsi dei quali è necessario che gli amministratori si interroghino sulla permanenza della continuità aziendale e sulle conseguenti scelte valutative in sede di redazione del bilancio. Tali eventi sono stati raggruppati nelle tre categorie degli Indicatori Finanziari, Indicatori Gestionali e Altri indicatori. Non deve stupire il fatto che numerosi indicatori non sono quantificabili monetariamente e non trovano evidenza nel bilancio, ma sono espressione di beni immateriali insiti nell’organizzazione aziendale determinanti al fine della sopravvivenza su mercato.
L’accertamento della continuità aziendale poggia le sue fondamenta su una valutazione prospettiva della capacità che l’impresa avrà di produrre flussi finanziari adeguati a far fronte alle obbligazioni assunte: l’attitudine ad onorare gli impegni finanziari assunti non è annullata dalla condizione giuridica del patrimonio netto negativo, ma si nutre della fiducia che gli stakeholders (siano essi soci, clienti, banche o creditori) ripongono nel progetto imprenditoriale e nella sua attrattività sul mercato. Ciò detto, la continuità aziendale può essere definita come la condizione sistemica su cui incidono innumerevoli fattori (di mercato, di ambiente, gestionali, organizzativi) con tendenze mai perfettamente prevedibili, comportando riadeguamenti degli assetti aziendali. È chiaro come la verifica ex ante della continuità aziendale richieda l’effettuazione di una valutazione prognostica da parte degli amministratori che non può limitarsi alla stesura del bilancio di esercizio ma debba essere svolta in via continuativa anche durante l’esercizio. Una valutazione dovrà essere compiuta più specificamente ogni volta che emergano eventi o circostanze tali da porre dei dubbi significativi sulla capacità dell’impresa di realizzare le proprie attività e di far fronte alle proprie passività in un arco temporale di almeno dodici mesi.
Ora, l’attivazione degli strumenti previsti dalla norma si inserisce in un contesto aziendale che è deviato rispetto ad una prospettiva di “normale funzionamento” con particolare riferimento alla dinamica finanziaria. Parliamo più propriamente di una condizione in cui sussiste una relazione patologica fra chi ha disponibilità di un patrimonio e non fa fronte alle obbligazioni contratte e le aspettative di coloro che hanno erogato il credito nella prospettiva di potersi soddisfare su quel patrimonio.
La crisi o l’insolvenza sono conseguenti ad una manifestazione uno squilibrio fra disponibilità del debitore ed esigenze del creditore. Si parla allora più propriamente di crisi, cioè di quella condizione dell’impresa in cui è probabile che si verifichi l’insolvenza e che si manifesta con l'inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi[1]: più in dettaglio, quando si parla di imprese in crisi, si intende fare riferimento a condizioni in cui l’impresa presenta una dinamica dei flussi di cassa in entrata per entità e per tempi di manifestazione inadeguata a fare fronte ai flussi in uscita, determinati dagli impegni assunti verso i terzi.
Il concetto di insolvenza è mutuato dall’art. 5 della Legge Fallimentare, laddove per insolvenza si intende l’incapacità attuale (più o meno reversibile) di fare fronte alle obbligazioni assunte, che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni[2].
Al manifestarsi dei segnali di crisi, una delle prime reazioni dell’impresa è identificabile nel ricorso alla dilazione dei pagamenti ai terzi, che può trovare accoglimento o meno di controparte, salvo sfociare in una condizione patologica in cui il creditore, non disposto ad accettare i tempi di pagamento proposti, procede alla tutela delle proprie ragioni in sede giudiziale, con ricorso alle iniziative esecutive. Prima ancora che l’aggressione dei beni da parte dei creditori insoddisfatti paralizzi la prosecuzione dell’attività aziendale, l’imprenditore che intenda salvaguardare il patrimonio per preservare la continuità aziendale e ripristinare l’equilibrio economico, patrimoniale e finanziario, deve accedere ad uno degli strumenti previsti dalla legge nelle modalità che saranno descritte negli interventi successivi, che potranno prevedere o meno il coinvolgimento dell’organo giudiziale.
In una accezione “ a schema libero” di ristrutturazione, gli strumenti indicati potranno dunque essere attivati allo scopo del risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato e della struttura delle attività e passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale, inclusa la vendita di attività o parti dell’impresa o la vendita dell’impresa in regime di continuità aziendale o una combinazione di questi.
La conservazione della continuità aziendale, come già detto in premessa, rappresenta uno dei paradigmi su cui è fondato il diritto della crisi. La parola continuità ricorre nel CCII in larga parte nella disciplina del Concordato preventivo in continuità, modificato in forma incisiva a seguito del recepimento dei principi di matrice europea; in realtà si fa riferimento ad un concetto che anima gli istituti della regolazione della crisi, includendovi la composizione negoziata.
Come noto, nella disciplina del concordato in continuità nel vigore della Legge Fallimentare la prospettiva della continuità aziendale era condizionata alla circostanza che fosse assicurata la migliore soddisfazione dei creditori, rappresentante il valore fine del concordato. In sostanza, il rischio corso dai creditori per la prosecuzione dell’attività aziendale era giustificabile solo se il piano avesse consentito il raggiungimento di risultati migliori rispetto alla prospettiva liquidatoria.
Nel CCII vigente i principi sono profondamente mutati laddove la conservazione dell’azienda viene posta sullo stesso piano della soddisfazione dei creditori: ai sensi dell’art. 47 CCII, il Tribunale in sede di apertura della procedura di concordato in continuità aziendale, verifica “ la ritualità della proposta. La domanda di accesso al concordato in continuità aziendale è comunque inammissibile se il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, come proposta dal debitore, e alla conservazione dei valori aziendali”. Entrambi i valori della soddisfazione dei creditori e della conservazione dei valori aziendali hanno dunque pari dignità, nel rispetto del parametro minimo della soddisfazione dei creditori “in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale”. Quindi, la sostenibilità dell’impresa è da perseguire non ad ogni costo ma attribuendo a ciascun creditore un trattamento non deteriore a quello previsto dalla liquidazione giudiziale.
Sotto il profilo definitorio, l’art. 84, comma 2, CCII declina la continuità aziendale in forma diretta o indiretta. La continuità aziendale può infatti essere diretta, con prosecuzione dell'attività d'impresa da parte dell'imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta, se è prevista dal piano la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell'azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo.
Nell’accezione di concordato in continuità, viene abbandonato il criterio della prevalenza delle risorse utilizzate per il soddisfacimento dei creditori derivanti dalla prosecuzione dell’attività aziendale; la prevalenza non è più una condizione di ammissibilità per il concordato in continuità e non è più lo spartiacque con il concordato liquidatorio. Per configurare un concordato in continuità basterà che una minima parte dell’attivo concordatario sia ritraibile dai flussi della continuità rispetto alla maggior parte ricavabile dalla liquidazione dei beni sociali non essenziali (cfr. art. 84, comma 3, CCII: Nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta. La proposta di concordato prevede per ciascun creditore un'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa, da cui la legittimazione di ipotesi concordatarie fondate su operazioni straordinarie, anche comportanti l’ingresso nel capitale di nuovi soggetti, oppure le ristrutturazioni imperniate sull’attribuzione ai creditori di Strumenti Finanziari Partecipativi, con livello di soddisfazione minimo non garantito. In caso di continuità indiretta, rispetto alle previsioni della Legge fallimentare non è più necessario assicurare per almeno un anno dall’omologazione il mantenimento della metà dei lavoratori, essendo sufficiente preservare nella misura possibile la forza lavoro.
In tale contesto, la liquidazione giudiziale identifica una procedura volta a soddisfare l’interesse dei creditori allorquando gli altri strumenti di composizione della crisi non abbiano sortito gli effetti sperati. Tuttavia, dalla lettura del CCII, all’art. 7, parrebbe riscontrarsi la prevalenza della salvaguardia della continuità rispetto alla soddisfazione dei creditori, se è vero che nel caso di proposizione di più domande di accesso agli strumenti di regolazione della crisi, il tribunale esamina in via prioritaria quella diretta a regolare la crisi o l'insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale o dalla liquidazione controllata, a condizione che:
a) la domanda medesima non sia manifestamente inammissibile;
b) il piano non sia manifestamente inadeguato a raggiungere gli obiettivi prefissati;
c) nella proposta siano espressamente indicate la convenienza per i creditori o, in caso di concordato in continuità aziendale, le ragioni della assenza di pregiudizio per i creditori.
Quindi, a parità di trattamento tra soluzione conservativa e liquidatoria, la norma impone di preferire la continuità, perché è soltanto un pregiudizio concreto per i creditori che può giustificarne l’abbandono.
Permane il favor per la continuità all’art. 53, comma 5 bis, CCII, laddove in caso di accoglimento del reclamo proposto contro la sentenza di omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale, la corte d'appello, su richiesta delle parti, può confermare la sentenza di omologazione se l'interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, riconoscendo a quest'ultimo il risarcimento del danno.
Gli strumenti di regolazione della crisi sono utilizzabili dall’imprenditore a valle o meno di un tentativo di composizione negoziata della crisi; il ricorso prioritario alla composizione negoziata dipenderà dalla capacità dell’imprenditore di contrattare autonomamente con i creditori la ristrutturazione del debito senza l’ausilio dell’esperto, con il supporto o meno delle misure protettive.
- lo stato di difficoltà aziendale non irreversibile del debitore rappresenta presupposto oggettivo per il ricorso a tutti gli accordi, misure, strumenti su citati; la risanabilità dell’impresa è praticabile perseguendo la continuità aziendale sia in forma diretta che indiretta[3]. Lo stato di insolvenza non è preclusivo all’accesso agli strumenti che si propongono il risanamento, a patto che non si tratti di insolvenza irreversibile tale da minare il mantenimento della continuità aziendale anche in forma indiretta. In altre parole, la condizione dell’impresa deve essere tale da consentire il riequilibrio della situazione finanziaria e la sua rimessione sul mercato[4];
- il raggiungimento di un accordo fra debitore e creditore sull’attuazione della responsabilità patrimoniale, che può manifestarsi o in sede negoziale (es. accordo di ristrutturazione del debito ex art. 57 CCII) o tramite manifestazione del voto (es. concordato preventivo in continuità ex art. 84 e ss. CCII);
- ulteriore tratto che accomuna tutti gli strumenti di risanamento è la progettualità del percorso di ristrutturazione declinata nel piano industriale e nel piano economico finanziario, in grado di tracciare il percorso che l’impresa intende perseguire e le criticità da superare, tenuto conto dell’ambiente di riferimento. La redazione del piano rappresenta un momento nodale per tutti gli strumenti citati: il piano rappresenta ciò che l’imprenditore vuol fare dell’impresa e a quali sacrifici sono chiamati i creditori al fine del risanamento dell’impresa.
A tal scopo il piano, percorrendo il seguente iter logico: a. analisi della situazione di partenza; b. individuazione delle cause della crisi; c. individuazione delle misure atte a rimuovere le cause della crisi; d. redazione del piano economico, finanziario e patrimoniale; e. definizione della manovra finanziaria, dovrà rappresentare:
i. le performance aziendali attuali e prospettiche e il modello di business adottato dall’impresa in forma minimale e ordinata;
È evidente che il buon esito delle trattative con i creditori nasce dalla capacità dell’imprenditore di creare consenso e attrattività rispetto al progetto imprenditoriale proposto. Il rapporto con i creditori e con i soggetti terzi coinvolti nel progetto di risanamento deve essere supportato da una informativa, costituita tipicamente dal piano, basata su canoni di trasparenza e di affidabilità dei dati trasmessi.
Maggiore sarà la capacità dell’impresa in termini progettuali di individuare prontamente la via di uscita dalla crisi per il ripristino dell’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale, più efficacemente si potrà ricorrere ad uno degli strumenti previsti dalla norma salvaguardando la continuità aziendale e scongiurando il ricorso alla liquidazione giudiziale.
Già in sede di istituzione della composizione negoziata, il legislatore aveva dato un importante risalto al piano di risanamento quale strumento principale di dialogo fra il debitore e gli stakeholders, da porre a base delle trattative con i creditori e dell’attività dell’esperto. Ne è prova la pubblicazione del decreto Ministeriale 28.09.2021 avente ad oggetto la Lista di controllo (Check list o Lista di controllo particolareggiata)[5] per la redazione del piano di risanamento e per l’analisi della sua coerenza, a corredo delle norme previste per l’accesso alla composizione negoziata. La check list rappresenta una sorta di guida per il debitore e l’esperto affinché il piano rispetti standard qualitativi adeguati alle esigenze dei destinatari. Il Codice vigente prevede che un assetto organizzativo sia adeguato a prevenire i segnali di crisi se in grado di mettere a disposizione dell’imprenditore le informazioni necessarie alla compilazione della Lista di Controllo particolareggiata (CCII, art.3, comma 3, lett. c).
Per quanto concerne gli strumenti di regolazione della crisi, il legislatore è intervenuto a circostanziare in maniera definita i contenuti del Piano, come risulta dall’art. 56 CCII, comma 2, in materia di Accordi in esecuzione di Piani attestati di risanamento, richiamato dall’art. 57 (ADR), prevedendo che il documento debba indicare:
a) la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa;
b) le principali cause della crisi;
c) le strategie d’intervento e i tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria;
d) i creditori e l’ammontare dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione e lo stato delle eventuali trattative, nonché l’elenco dei creditori estranei, con l’indicazione delle risorse destinate all’integrale soddisfacimento dei loro crediti alla data di scadenza;
e) gli apporti di finanza nuova;
f) i tempi delle azioni da compiersi, che consentono di verificarne la realizzazione, nonché gli strumenti da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi e la situazione in atto.
g) il piano industriale e l’evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario.
I contenuti del piano ripercorrono in sostanza l’iter logico posto a fondamento della Lista particolareggiata.
Per quanto concerne il Concordato preventivo, il legislatore dedica l’art. 87 CCII al contenuto del piano, in cui, oltre all’informativa in tema di composizione dell’attivo e del passivo e della pianificazione finanziaria a cui è affidata la soddisfazione dei creditori, è richiesta l’informativa, indispensabile ai fini dell’accesso alla procedura, relativa al valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale, oltre alle azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili nonché le azioni eventualmente proponibili solo nel caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale e le prospettive di realizzo.
Le risultanze del Piano sono attestate in termini di veridicità dei dati di partenza e fattibilità del piano da un professionista (l’attestatore) dotato di requisiti di indipendenza previsti dell’ordinamento.
- la gestione dell’impresa rimane nell’autonomia del debitore; con l’acutizzazione dello stato di crisi verso stadi che richiedono interventi progressivamente più incisivi sull’assetto dell’azienda e della governance, è previsto un graduale accompagnamento dell’organo gestorio da figure, istituite a garanzia dei creditori, di nomina giudiziale (e.g. il Commissario giudiziale);
- il contemperamento dell’interesse alla continuità aziendale con l’assenza di pregiudizio dei creditori. La continuità non può essere perseguita ad ogni costo: il creditore è tutelato nel senso che la proposta del debitore è perseguibile in assenza di pregiudizio del creditore. La soglia di accettabilità della proposta del debitore è da individuarsi in termini di grado di soddisfacimento realizzabile in caso di liquidazione giudiziale;
- la stabilità degli atti: gli atti e i pagamenti compiuti e le garanzie rilasciate in esecuzione dei piani di risanamento in caso di degenerazione della situazione aziendale in un contesto di liquidazione giudiziale sono esenti da revocatoria, anche ordinaria (i.e. efficacia esentiva da revocatoria, ex art. 166 CCII, e dai reati di bancarotta, ex art. 324 CCII.
a. la necessità o meno di ricorrere a misure protettive: l’ombrello protettivo dall’aggressione delle iniziative dei creditori è adottabile su iniziativa del debitore ex art. 54 CCII limitatamente agli strumenti previsti al comma 1, rimanendo espressamente esclusi gli accordi in esecuzione dei piani attestati di risanamento ex art. 56 CCII e la convenzione di moratoria ex art. 62 CCII;
b. la numerosità dei creditori con cui pattuire una “tregua” indispensabile a consentire la salvaguardia della continuità e contestualmente una soddisfazione “concordata” dei creditori; maggiore è la numerosità dei creditori con cui trattare, più è facile che il raggiungimento del consenso sull’attuazione della responsabilità patrimoniale sia raggiunto tramite manifestazione della volontà dei creditori espressa in sede di voto (e.g. concordato preventivo);
c. il livello di soddisfazione dei creditori tramite la liquidazione giudiziale quale parametro di “assenza di pregiudizio dei creditori”: fatta eccezione per il Piano attestato di risanamento, che non prevede l’individuazione di creditori non aderenti, la proposta del debitore dovrà assicurare ai creditori non aderenti un grado di soddisfazione non inferiore a quello della liquidazione giudiziale[6]. La soddisfazione tramite liquidazione giudiziale assume la condizione di floor al di sopra del quale il debitore può declinare e articolare la proposta di ristrutturazione, secondo un disegno a schema libero, già commentato;
d. la necessità o meno di ricorrere alla finanza d’urgenza: qualora il piano di risanamento necessiti del ricorso alla finanza di urgenza per ripristinare l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale dell’impresa, da richiedere in caso di continuazione dell’attività e se funzionale alla migliore soddisfazione dei creditori, si rammenta che nel caso di Piano ex art. 56 CCIII e di Convenzione di moratoria ex art. 62 CCIII non è previsto il riconoscimento della prededuzione al creditore qualora la condizione di crisi degeneri in condizione di insolvenza irreversibile con avvio della procedura concorsuale della liquidazione giudiziale; si tratta di un fattore discriminante in sede di scelta dello strumento da adottare, considerato che è difficilmente ipotizzabile individuare sul mercato degli intermediari un soggetto che sia disposto a finanziare l’impresa in crisi rinunciando alla prededuzione del credito;
e. la necessità o meno di ricorrere alla rinegoziazione del debito verso l’erario e gli istituti previdenziali tramite transazione fiscale, strumento ancora oggi adottabile limitatamente agli Accordi di ristrutturazione del debito (art. 63 CCII) e in sede di concordato preventivo (art. 88 CCII).
Note: