Ponendosi dal punto di vista del diritto nazionale si può dire che l’art. 1 della l. delega 19 ottobre 2017, n. 155, dava mandato al legislatore di tener conto della normativa dell’Unione Europea ed in particolare della raccomandazione n. 2014/135/UE, del regolamento Ue 2015/848, nonché dei principi della model law elaborati in materia di insolvenza dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (Uncitral).
Già il Considerando n. 1) della raccomandazione sopra citata indicava tra le finalità quella della ristrutturazione preventiva delle imprese sane per consentire loro di rimanere in attività e tutelare i posti di lavoro, consentendo al contempo ai creditori di recuperare il più possibile dal loro investimento; testualmente, si diceva, che obiettivo della raccomandazione «è garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria, ovunque siano stabilite nell’Unione, l’accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l’economia in generale» [1].
La direttiva vuole a sua volta - Considerando n. 1) - garantire alle imprese ed agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziaria la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare ad operare. La direttiva è altrettanto esplicita dove afferma, nel Considerando n. 22), che «[q]uanto prima un debitore è in grado di individuare le proprie difficoltà finanziarie e prendere le misure opportune, tanto maggiore è la probabilità che eviti un'insolvenza imminente o, nel caso di un'impresa la cui sostenibilità economica è definitivamente compromessa, tanto più ordinato ed efficace sarà il processo di liquidazione». Non sembrano però rilevare solo le difficoltà finanziarie perché successivamente, nel Considerando n. 28), apre anche a difficoltà dell’impresa di tipo diverso (industriale e patrimoniale, ad esempio) «purché tali difficoltà comportino una reale grave minaccia per la capacità effettiva o futura del debitore di pagare i debiti in scadenza».
È già stato osservato correttamente che gli obiettivi della raccomandazione erano, nella sostanza, quelli che poi saranno anche della direttiva (UE) 2019/1023, del 20 giugno 2019 (Insolvency), con la quale in questa sede è messa in relazione la disciplina della composizione negoziata della crisi d’impresa introdotta nel nostro ordinamento dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118 [2].
La direttiva sui quadri di ristrutturazione preventiva vuole rafforzare la prevenzione del recupero dell’impresa in crisi [3], non è dubbio quindi che il d.l. 118/2021, e poi la legge di conversione, siano concettualmente in perfetta armonia con gli scopi della della direttiva stessa.
Non pare però corretto impostare il ragionamento del confronto tra la direttiva e la disciplina della composizione negoziata in termini di eventuali contrasti tra la normativa nazionale e quella dell’unione, e tanto quantomeno per due ragioni.
La prima, e più banale, è che per il nostro Paese le disposizioni della direttiva Insolvency devono essere recepite entro il termine del 17 luglio 2022, prorogato su richiesta inoltrata alla Commissione europea ai sensi dell’art. 34, § 2, della medesima direttiva, come previsto dalla l. 22 aprile 2021, n. 53 (legge di delegazione europea 2019/202).
La seconda è che è da condividere l’opinione secondo la quale la direttiva non impone che tutti gli istituti con i quali i diritti nazionali vogliono risolvere la crisi siano conformi la suo contenuto, ma solo che alcuni degli strumenti nazionali, a valle, lo siano; è, in altre parole, sufficiente che si possa identificare un itinerario che permetta all’imprenditore di beneficiare del contenuto della direttiva [4].
Ammesso, e non concesso, che ci siano dei punti di contrasto, il 17 luglio 2022, questo non esporrebbe necessariamente il nostro Paese ad una procedura di infrazione ai sensi dell’art. 258 del Trattato dell’Unione Europea.
Per capire realmente se la nostra disciplina nazionale è allineata con quella dell’Unione bisogna quindi immaginare una sorta di partita a scacchi tra le due discipline e vedere se, a fronte di una “mossa” della direttiva, il diritto nazionale sia in grado, o meno, di prevedere una “contromossa”, oppure entri in una situazione di stallo (che non permetta una “via di fuga” che rispetti di principi della direttiva); solo in quest’ultimo caso si verificherà una situazione di infrazione.
Il tutto con riferimento, tra l’altro, al concetto di ristrutturazione così come definito dalla direttiva stessa: «la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore, quali la vendita di attività o parti dell'impresa, e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale, come pure eventuali cambiamenti operativi necessari, o una combinazione di questi elementi»: art. 2, lett. a).
Non si affronterà in questa sede il tema relativo al fatto se la composizione negoziata abbia caratteristiche che permettano, per qualche aspetto (si pensi all’obbligo del collegio sindacale di cui all’art. 15, ma anche alle disposizioni di cui all’art. 30 sexies, d.l. 6 novembre 2021, 152, così come convertito dalla l. 29 dicembre 2021, n. 233), di sussumerla tecnicamente tra gli early warning tools [5], come pare si possa ipotizzare per alcuni aspetti.
Altro tema è se la stessa possa essere ascritta tecnicamente tra preventive restructuring frameworks [6]; ai sensi dell’art. 4 della direttiva per tali intendendosi quei “quadri” ai quali il debitore ha accesso e che gli devono consentire la ristrutturazione, al fine di impedire l’insolvenza, così da poter tutelare i posti di lavoro e preservare l’attività imprenditoriale.
Nei prossimi mesi dovrà essere modificato il Codice della Crisi per adeguarlo alla contingenza pandemica e alla direttiva stessa, per quanto si dirà nel seguito tale operazione di per sé non pare necessaria con riferimento alla composizione negoziata per contrasti / incompatibilità con la direttiva [7].