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Saggio

I crediti tributari nel concordato preventivo: divieto di trattamento deteriore, rapporto con la RPR e classamento*

Giulio Andreani, Dottore commercialista e consulente fiscale in Milano

22 Settembre 2025

*Saggio sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
I crediti assistiti da privilegio generale, ancorché degradati al chirografo per incapienza dell’attivo di liquidazione, non sono equiparabili, nel concordato preventivo in continuità aziendale, ai crediti chirografari ab origine, come ha recentemente affermato la Corte di Appello di Milano. Essi, infatti, sebbene degradati, godono di una sorta di una “ultrattività moderata” (ovvero di un “privilegio attenuato”), che li differenzia sia dai crediti privilegiati non degradati sia dai crediti originariamente chirografari. Conseguentemente, per rispettare il disposto del comma 6 dell’art. 84 e il comma 2, lett. b), dell’art. 112 del Codice della crisi, deve essere destinato ai crediti assistiti da privilegio generale degradati al chirografo un soddisfacimento che, da un lato, rispetti la regola della priorità relativa e non preveda quindi un trattamento uniforme di tali crediti e, dall’altro, sia maggiore di quello offerto per i crediti chirografari ab origine. Queste regole confliggono con il divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi previsto dal comma 1 dell’art. 88 del Codice della crisi, sul quale tuttavia prevalgono, in virtù delle modifiche apportate a quest’ultima norma dal D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136, la cui formulazione richiede però uno sforzo interpretativo. La disciplina che se ne ricava influenza inevitabilmente la formazione delle classi, comportando la necessità di dedicare ai suddetti crediti più classi. Nel concordato preventivo liquidatorio, invece, il divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi esplica pienamente i suoi effetti, rendendo la disciplina meno articolata.
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1 . Premessa
Il comma 1 (secondo e terzo periodo) dell’art. 88 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (di seguito: “CCII”) prevede sin dalla sua introduzione - come ancor prima lo prevedeva l’omologo comma 1 dell’art. 182 ter della Legge fallimentare - l’applicazione, nell’ambito del concordato preventivo, del cosiddetto “divieto di trattamento deteriore” dei crediti tributari e contributivi, stabilendo una duplice regola, in base alla quale:
1) se i crediti tributari e contributivi sono privilegiati, il loro trattamento non può prevedere percentuale, tempi di pagamento ed eventuali garanzie inferiori rispetto a quelli riservati ai crediti privilegiati cha hanno un grado inferiore o a quelli caratterizzati da una posizione giuridica e da interessi economici omogenei (da individuarsi sulla base degli stessi criteri di formazione delle classi prescritti dall’art. 85 del CCII)[1] rispetto a quelli di cui sono titolari le agenzie fiscali e gli enti previdenziali e assicurativi[2]. Ne discende che, qualora non si rinvengano crediti “omogenei”, il trattamento di riferimento resta unicamente quello riservato agli altri crediti di grado inferiore[3] (secondo periodo del comma 1);
2) ai crediti tributari e contributivi chirografari, anche per degrado, deve essere riservato un trattamento non differenziato da quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisioni in classi, da quello dei crediti per cui è previsto il trattamento più favorevole (terzo periodo del comma 1).
Queste disposizioni hanno originato interpretazioni contrastanti, in particolare per quanto attiene alla loro conciliabilità con la regola della priorità relativa (di seguito anche: “RPR”) stabilita, con riguardo al concordato in continuità aziendale, dal comma 6 dell’art. 84 CCII. Tant’è che, per superare le incertezze interpretative sorte, con il D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136, (di seguito anche: “decreto correttivo”), ha ritenuto di dover modificare - vedremo in che modo - il comma 1 del citato art. 88.
2 . Il divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi anteriormente al D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136
Più precisamente, anteriormente alle modifiche apportate con il citato D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136, sia in dottrina sia in giurisprudenza era stato rilevato - con riferimento al concordato preventivo in continuità aziendale - un contrasto fra il secondo e il terzo periodo del comma 1 dell’art. 88 testé menzionati, da un lato, e il comma 6 dell’art. 84 e il comma 2, lett. b), dell’art. 112 CCII, dall’altro lato. Ciò poiché le prime di tali norme, disponendo, come si è appena precisato, che i crediti tributari e contributivi non possono ricevere un trattamento “peggiore” di quello riservato a crediti omogenei o di grado inferiore, avrebbero previsto un principio con conciliabile con la regola della priorità relativa di cui al comma 6 dell’art. 84[4] e con il disposto dell’art. 112, comma 2 lett. b), ai sensi del quale, ai fini della omologazione del concordato, era (ed è) necessario che i creditori inclusi nelle classi eventualmente dissenzienti ricevessero (e ricevano) un trattamento conforme a detta regola e quindi che alla classe di creditori privilegiati di grado poziore, ancorché degradati per incapienza dell’attivo, venisse (e venga) attribuito un soddisfacimento migliore di quello destinato ai crediti di grado inferiore.
Alla luce delle norme vigenti anteriormente alle suddette modifiche, ne conseguiva che, nel caso in cui crediti privilegiati aventi un grado superiore a quelli tributari e contributivi avessero dovuto essere in tutto o in parte degradati al chirografo per incapienza dell’attivo in caso di liquidazione giudiziale, il trattamento della quota (divenuta) chirografaria del creditore insoddisfatto a cui veniva offerto il soddisfacimento più elevato avrebbe inevitabilmente condizionato il trattamento di tutti gli altri crediti di rango inferiore (necessariamente degradati); ciò a differenza delle (e in contrasto con le) disposizioni degli artt. 84, comma 6, e 112, comma 2, lett. b), che invece imponevano (e impongono) di attribuire ai crediti (anche fiscali e contributivi) degradati al chirografo un trattamento peggiore di quello riservato ai crediti privilegiati degradati di rango superiore. 
Si consideri esemplificativamente il caso di crediti privilegiati di cui fossero titolari Sace, INPS, l’Agenzia delle Entrate (per ritenute e IVA) e l’Agenzia delle Dogane per dazi (ex art. 2783 ter cod. civ.), tutti degradati al chirografo per incapienza: (i) in base agli artt. 84 e 112 il loro trattamento avrebbe dovuto essere gradato per la quota chirografaria (ad esempio: 16% per Sace, 14% per INPS, 12% per l’Agenzia delle Entrate in relazione alle ritenute e, infine, 10% per l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Dogane, rispettivamente per IVA e dazi); (ii) al contrario, in base all’art. 88, comma 1, terzo periodo, il credito delle agenzie fiscali non avrebbe potuto ricevere un trattamento differenziato rispetto a quello attribuito a tutti gli altri crediti chirografari (ancorché per degrado), con la conseguenza che Sace, INPS e Fisco avrebbero dovuto essere trattati nella medesima misura (ad esempio con un pagamento di tali crediti nella misura del 14%, del 13% o del 12%, ma comunque unitaria), per evitare che INPS e Fisco ricevessero un trattamento deteriore rispetto a quello di Sace).
Già prima del D.Lgs. n. 136 il conflitto fra le suddette norme si sarebbe potuto superare attribuendo alle disposizioni dell’art. 88 efficacia derogatoria di quelle previste dall’art. 84 e dell’art. 112 con riferimento al solo concordato in continuità aziendale. Tuttavia, l’incipit del comma 1 dell’art. 88 CCII vigente prima dell’entrata in vigore del decreto correttivo (“Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’articolo 112, comma 2”) poteva essere inteso anche come un rinvio alle norme sostanziali del concordato in continuità aziendale, consentendo di ritenere che il conflitto tra le suddette disposizioni dovesse essere risolto rendendo prevalenti quelle in contrasto con l’art. 88; ritenendo quindi prevalente il comma 6 dell’art. 84, che prevede l’applicazione della RPR, rispetto al comma 1 dell’art. 88.
Tuttavia, parte della giurisprudenza era pervenuta a diverse conclusioni, affermando che “i crediti erariali chirografari non possono mai avere un trattamento deteriore rispetto a nessun’altra classe di creditori chirografari: e dunque, devono ricevere un trattamento almeno pari alla classe chirografaria (anche se a seguito di degradazione) destinataria della percentuale più favorevole. Non è previsto in particolare che essi possano avere un trattamento deteriore rispetto ai creditori degradati che ab origine godevano di un privilegio di grado superiore: il legislatore ha infatti riservato una disciplina “rinforzata” ai crediti tributari o contributivi di natura chirografaria (tali divenuti «anche a seguito di degradazione per incapienza»)”. Ciò perché “si tratta di una regola distributiva speciale rispetto alla c.d. relative priority rule di cui all’art. 84, comma 6, CCII, dettata nell’ottica di favorire i crediti erariali, dunque destinata ad applicarsi anche all’attivo derivante dal c.d. surplus da continuità aziendale. Pertanto, sebbene il trattamento differenziato tra classi diverse sia consentito (come si ricava dal dettato dell’art. 85, comma 1, CCII), riguardo ai crediti erariali degradati a chirografo o chirografari ab origine deve, comunque, essere rispettata la previsione di cui all'art. 88, comma 1, terzo periodo, CCII poiché i corrispondenti crediti devono essere trattati meglio di tutte le altre classi di crediti chirografari”[5]
Sotto diverso profilo era stata affermata l’illegittimità di una proposta di concordato preventivo in continuità aziendale che prevedeva il pagamento dei crediti tributari privilegiati degradati al chirografo in misura superiore a quella destinata ai crediti finanziari chirografari ab origine dissenzienti, sul presupposto che tale proposta violasse il disposto dell’art. 112, comma 2, lett. b), ai sensi della quale il valore eccedente quello di liquidazione dovesse essere distribuito “in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello della classi di grado inferiore”[6]
In base ai principi statuiti con queste pronunce, quindi, a differenza di quanto sopra precedentemente affermato, nel concordato preventivo in continuità aziendale i crediti tributari e contributivi assistiti da una causa di prelazione degradati al chirografo non sarebbero stati soggetti alla RPR e avrebbero dovuto essere del tutto equiparati ai crediti chirografari ab origine, con la conseguenza che: i) avrebbero potuto, anzi dovuto, essere soddisfatti nella medesima misura di quelli privilegiati di rango poziore (ad esempio quelli di cui fosse stata titolare la Sace) anch’essi degradati; ii) non avrebbero potuto in ogni caso ricevere un soddisfacimento inferiore a quello di qualsiasi altro credito chirografario, indipendentemente dal fatto che fosse tale per degrado o ab origine
È quindi evidente il conflitto che, anteriormente alle modifiche introdotte con il decreto correttivo, sussisteva, circa il trattamento dei crediti tributari e contributivi, fra questo indirizzo e quello che riteneva il disposto del comma 6 dell’art. 84 prevalente rispetto al disposto del comma 1 dell’art. 88 (secondo e terzo periodo). Così com’è evidente che una più compiuta e chiara elaborazione di questa norma fosse conseguentemente necessaria.
3 . Il divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi dopo le modifiche introdotte nell’art. 88 CCII con il D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 e le interrelazioni con l’art. 84, comma 6, CCII
Con il decreto correttivo è stato eliminato dal primo periodo del comma 1 dell’art. 88 CCII il riferimento iniziale all’art. 112, comma 2, CCII, che, con infelice formulazione, faceva salva l’applicazione di tale norma in caso di concordato in continuità aziendale e, contestualmente, è stato inserito all’inizio del secondo periodo del medesimo comma 1 dell’art. 88 (concernente il trattamento dei crediti tributari e contributivi privilegiati) l’incipit Fermo restando per il concordato in continuità aziendale il rispetto dell’articolo 84, commi 6 e 7”. Nella relazione illustrativa a tale decreto si afferma che attraverso tale locuzione si è inteso inserire “il riferimento alle regole di redazione del piano dettate dai commi 6 e 7 dell’articolo 84 per il concordato in continuità aziendale”. Nonostante la laconicità di tale motivazione, lo scopo dell’inserimento di detta previsione è evidentemente quello di risolvere il descritto conflitto fra l’art. 88, comma 1, da un lato, e gli artt. 84, comma 6, e 112, comma 2, lett. b), dall’altro lato, affermando la prevalenza della regola della priorità relativa (di cui al citato art. 84, comma 6) su quella che vieta il trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi di cui si è riferito (secondo periodo del comma 1 dell’art. 88); regola che (come con tale decreto correttivo è stato precisato integrando il secondo periodo del comma 6 dell’art. 84) rileva sì “ai fini del giudizio di omologazione” e segnatamente ai fini del cross class cram down disciplinato dall’art. 112, comma 2[7], ma di fatto rientra tra le regole a cui il debitore può attenersi (ed è opportuno che si attenga) nella redazione del piano, nell’eventualità di dover ricorrere - in assenza dell’approvazione della proposta di concordato da parte di tutte le classi di creditori - a tale forma di omologazione e quindi di dover rispettare il disposto della lett. b) di quest’ultima norma. La modifica legislativa confermerebbe quindi che nel concordato in continuità aziendale il trattamento dei crediti tributari e contributivi privilegiati, ancorché deroghi alle specifiche regole previste dal comma 1, secondo periodo, dell’art. 88 (per essere conforme alla RPR sancita dal comma 6 dell’art. 84), deve considerarsi comunque legittimo perché queste ultime norme prevalgono su quelle recate dal comma 1 dell’art. 88; anzi, al contrario, il trattamento dei suddetti crediti sarebbe illegittimo qualora, per rispettare il disposto del secondo periodo del comma 1, non fosse conforme alla RPR. 
Tuttavia, la deroga prevista dal suddetto incipit (che dispone la prevalenza della RPR) è stata introdotta dal decreto correttivo solo con riguardo al divieto di trattamento deteriore stabilito nel secondo periodo del comma 1 dell’art. 88, avente letteralmente a oggetto i crediti tributari e contributivi assistiti da privilegio, mentre un’analoga disposizione non è stata prevista con riguardo al divieto concernente i crediti chirografari (per degrado e ab origine, come precisa la norma) disposto dal terzo periodo del medesimo comma. Poiché quest’ultima disposizione ha espressamente a oggetto anche i crediti privilegiati degradati al chirografo, stabilendo che il loro trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari, occorre chiedersi se in essi (cioè chirografari “anche se a seguito di degradazione per incapienza”) possono essere compresi anche quelli assistiti da privilegio generale degradati al chirografo per incapienza del valore di liquidazione: in caso di risposta affermativa a questa domanda si potrebbe, infatti, trarre la conclusione che la prevalenza della RPR, sebbene prevista nel secondo periodo, non opererebbe per detti crediti (cioè per quelli assistiti da privilegio generale degradati al chirografo), in quanto contenuti in altra disposizione (in questa ipotesi nel terzo periodo e non nel secondo), ai quali la RPR tuttavia dovrebbe comunque applicarsi in forza del disposto del comma 6 dell’art. 84. Si ripresenterebbe così il conflitto tra la regola della priorità relativa e il divieto di trattamento deteriore, non essendo previsto nel terzo periodo del comma 1 l’incipit introdotto nel secondo dal decreto correttivo. 
Poiché il citato terzo periodo equipara i crediti tributari privilegiati degradati a quelli chirografari ab origine, per comprendere se tra i primi rientrano anche quelli assistiti da privilegio generale degradati al chirografo occorre chiedersi se tale equiparazione sia legittima, con la conseguenza che, ove essa risulti illegittima, si dovrebbe escludere che i crediti privilegiati degradati richiamati nel predetto terzo periodo siano (anche) quelli assistiti da privilegio generale. 
A questo interrogativo ha risposto con chiarezza la Corte di Appello di Milano, la quale, con la sentenza del 24 marzo 2025 pronunciata nella causa n. 3572/2024, ha condivisibilmente stabilito che nel concordato preventivo in continuità aziendale le classi costituite dai crediti assisiti da privilegio generale mobiliare degradati al chirografo, a causa dell’incapienza dell’attivo su cui possono essere soddisfatte, non sono equiparabili alle classi costituite dai crediti chirografari ab origine e, conseguentemente, ai fini della omologazione del concordato questi ultimi non devono (e non possono) ricevere il medesimo trattamento previsto per i suddetti crediti privilegiati degradati. 
Con tale pronuncia, la citata Corte d’Appello ha riformato il provvedimento con cui il Tribunale di Busto Arsizio aveva precedentemente rigettato la domanda di omologazione di un concordato preventivo, che prevedeva un trattamento dei crediti (tributari) privilegiati degradati maggiore di quello attributo ai chirografari ab origine, ritenendo (erroneamente) che per questo motivo la proposta di concordato avesse violato il disposto dell’art. 112, comma 2, lett. b), CCII, ai sensi del quale, come si è già ricordato, il valore eccedente quello di liquidazione deve essere distribuito fra i creditori “in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”. 
Ciò perché i crediti assisiti da privilegio generale degradati al chirografo non acquisiscono, per effetto del degrado dovuto all’incapienza dell’attivo su cui il loro privilegio può essere esercitato, il medesimo rango dei crediti chirografari ab origine, e a questi non sono dunque equiparabili, poiché godono di una sorta di “ultrattività moderata” (ovvero di un “privilegio attenuato”). Infatti, l’incapienza è un fenomeno meramente fattuale, che non è idoneo a far perdere al credito la sua natura privilegiata e la sua causa, e il credito privilegiato è tale perché così è qualificato da una norma (si veda al riguardo anche quanto esposto nel paragrafo 5) e tale rimane nonostante le vicende fattuali che lo interessano (come l’incapienza). La regola distributiva del valore eccedente quello di liquidazione[8] (cioè la RPR) che si applica a questi crediti si colloca pertanto a metà strada fra la norma che prevede una distribuzione indifferenziata dell’attivo tra i creditori e quella che impone in ogni caso il soddisfacimento integrale dei crediti di lavoro subordinato (art. 87, comma 7). Per effetto di tale regola i crediti privilegiati degradati possono, sì, essere soddisfatti non integralmente, ma a condizione che il loro soddisfacimento sia almeno pari a quello delle classi dello stesso grado sia “più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”. Di tale trattamento beneficiano solo i crediti assistiti da privilegio generale mobiliare (degradati) ed è solo a essi che si applica la RPR, mentre non vi è dubbio – come ha osservato la Corte di Appello di Milano – che la quota dei crediti assistiti da privilegio speciale è invece trattata come credito chirografario (nel prosieguo, per semplicità, con l’espressione “crediti assistiti da privilegio generale” si farà riferimento quindi ai crediti assistiti da privilegio generale mobiliare). 
Ne discende che, in presenza, ad esempio, di crediti tributari erariali e tributari locali, entrambi privilegiati degradati al chirografo, e di crediti bancari chirografari ab origine: i) queste tre categorie di crediti non devono e non possono essere trattate allo stesso modo, perché nonostante la degradazione delle prime due non sono da considerare del medesimo grado; ii) è conforme alle disposizioni recate dall’art. 84, comma 6, e dall’art. 112, comma 2, lett. b), del Codice della crisi la proposta di concordato che preveda un soddisfacimento dei crediti erariali percentualmente più elevato di quello destinato ai crediti tributari locali, essendo questi di grado inferiore rispetto a quelli erariali, e un trattamento ancora minore dei crediti finanziari, essendo questi ultimi chirografari ab origine e non chirografari solo per degrado. 
Considerato che il terzo periodo del comma 1 dell’art. 88 prevede l’equiparazione fra i crediti tributari privilegiati e quelli chirografari ab origine e che a questi ultimi, come ha affermato la Corte di Appello di Milano, non possono essere equiparati i crediti assistiti da privilegio generale ancorché degradati al chirografo, ne discende che i crediti tributari e contributivi privilegiati degradati menzionati nel citato terzo periodo non sono quelli (degradati) assistiti da privilegio generale e possono essere solo quelli assistiti da privilegio speciale “incapiente”, nei confronti dei quali la regola della priorità relativa prevista dal comma 6 dell’art. 84 non è peraltro applicabile. 
Così ricostruita la disciplina concernente il divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi, non emerge alcun conflitto né fra il menzionato terzo periodo del comma 1, che dispone il divieto di trattamento indifferenziato dei crediti privilegiati degradati, e quella della RPR recata dal citato 6 dell’art. 84, poiché questa regola non si applica ai crediti tributari assistiti da privilegio speciale degradati, ai quali soltanto – come rilevato – si riferisce il suddetto periodo. Non sussiste, inoltre, alcun conflitto tra la RPR e il secondo periodo del comma 1 dell’art. 88, perché, pur riferendosi quest’ultimo ai crediti tributari assistiti da privilegio generale degradati al chirografo a cui la RPR si applica, l’incipit del medesimo risolve il conflitto che dispone la prevalenza di questa regola rispetto al divieto di trattamento deteriore. 
Alla luce di questi principi, nel concordato preventivo in continuità aziendale devono essere individuate le seguenti tipologie di crediti tributari e contributivi: 
a) crediti assistiti da privilegio generale capiente (in merito ai quali dispone il secondo periodo del comma 1 dell’art. 88); 
b) crediti assistiti da privilegio speciale capiente (in merito ai quali dispone il medesimo secondo periodo); 
 c) crediti assistiti da privilegio speciale incapiente e quindi degradati al chirografo (in merito ai quali dispone il terzo periodo); 
4) chirografari ab origine (in merito ai quali dispone il medesimo terzo periodo); 
5) crediti assistiti da privilegio generale incapiente, disciplinati dal secondo periodo del comma 1 dell’art. 88, tenuto conto della deroga prevista dall’incipit di tale periodo, per effetto del quale resta fermo il rispetto dell’art. 84, comma 6 (oltre che del comma 7) e dunque la prevalenza della RPR sul divieto di trattamento deteriore. 
Non v’è chi non veda come alle conclusioni sopra esposte si pervenga sul presupposto che i crediti assistiti da privilegio generale degradati al chirografo debbano ricevere un soddisfacimento migliore di quello offerto ai creditori chirografari ab origine e gradatamente differenziato al loro interno, ma ciò non è il frutto di un’assunzione, costituendo invece un dato, in quanto espressamente richiesto ai fini della omologazione del concordato. In ogni caso, anche qualora, diversamente opinando, si dovesse ritenere che il terzo periodo del comma 1 dell’art. 88 abbia a oggetto anche i crediti assistiti da privilegio generale degradati al chirografo, non avrebbe alcun senso escludere relativamente a essi l’applicazione del suddetto incipit del secondo periodo, poiché lo scopo dell’inserimento di questa disposizione nel comma 1 dell’art. 88 non può che essere quello di stabilire che i crediti, inclusi quelli tributari e contributivi, assistiti da privilegio generale che non trovano capienza nell’attivo di liquidazione (cioè quelli degradati) devono essere soddisfatti rispettando la RPR, anche se per far ciò è necessario derogare alla disposizione dell’art. 88 che vieta il trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi, in quanto contrastante con detta regola. Non avrebbe, infatti, alcuna utilità il riferimento alla prevalenza dell’art. 84, comma 6, contenuto nel secondo periodo del comma 1 dell’art. 88, se non con riguardo ai crediti aventi privilegio generale che vengono degradati a causa dell’incapienza del valore di liquidazione, atteso che, relativamente a quelli che non subiscono tale degrado essendo il valore di liquidazione capiente, così come a quelli che godono di un privilegio speciale, la RPR non trova applicazione. In altri termini, il secondo e il terzo periodo del comma 1 dell’art. 88 non sono separati da un muro invalicabile e quindi, anche ove si ritenesse che i crediti tributari e contributivi assistiti da privilegio generale che non trovano capienza nell’attivo di liquidazione siano da ricomprendere nel terzo periodo, l’incipit del secondo dovrebbe rilevare anche relativamente a tali crediti: sia perché il terzo periodo altro comunque non è che il completamento del secondo, sia per i motivi logici e sistematici poc’anzi indicati. 
Nel concordato liquidatorio, invece, la RPR non trova applicazione e pertanto il divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi previsto dal comma 1 dell’art. 88 esplica pienamente i suoi effetti, non creando alcun conflitto con la disposizione recata dal comma 6 dell’art. 84.
4 . I criteri di comparazione fra il soddisfacimento previsto per i crediti tributari e contributivi e quello offerto per gli altri crediti, ai fini della verifica del rispetto della RPR e del divieto di trattamento deteriore di cui al comma 1 dell’art. 88 CCII
Il secondo periodo del comma 1 dell’art. 88 stabilisce, relativamente ai crediti tributari e contributivi, che “la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore”, con una formulazione che tuttora ricalca quella vigente prima dell’entrata in vigore del Codice della Crisi. Scopo di questa disposizione è quello di fornire i criteri che devono essere utilizzati per eseguire, ogniqualvolta sia necessaria ai fini della verifica sia del rispetto della RPR sia del divieto di trattamento deteriore, la comparazione tra il trattamento dei crediti tributari e contributivi, da un lato, e quello offerto relativamente ai crediti di altra natura, dall’altro, stabilendo che essa deve essere effettuata considerando congiuntamente la percentuale, i tempi di pagamento e la prestazione di eventuali garanzie. Se in merito a tali fattori il piano concordatario prevede, relativamente a diverse classi di creditori, trattamenti differenziati e articolati (cioè non di immediata evidenza), la valutazione del soddisfacimento di un credito – necessaria ai fini di cui sopra - dovrebbe quindi dipendere dalla valutazione complessiva, sintetica e unitaria di tutti questi parametri[9]. In particolare, la comparazione deve essere eseguita considerando, anziché il valore nominale dei pagamenti previsti, il loro valore attuale, che dipende anche dalla dilazione di pagamento prevista: infatti proporre per i crediti erariali privilegiati una percentuale, ad esempio, del 40% con pagamento in cinque anni non necessariamente rappresenta un trattamento più favorevole di quello riservato ad un creditore privilegiato di grado inferiore, a cui si offra(in quanto degradato) una percentuale del 35% da pagare in sei mesi. Così come, per quanto attiene alle garanzie, nel caso in cui il pagamento di alcuni crediti sia garantito da adeguate fidejussioni di terzi, ipoteche o pegni, bisogna tener conto dell’apprezzamento che un credito assume in funzione della maggior certezza del suo pagamento rispetto a un credito privo di garanzia, ancorché ne sia offerto un soddisfacimento percentualmente minore. 
Occorre inoltre considerare, ai fini della suddetta comparazione, anche le modalità di soddisfacimento dei crediti erariali, rispetto alle quali l’art. 88 non pone vincoli e limitazioni, sicché deve ritenersi, anche alla luce dell’art. 84, comma 1, che esso possa essere eseguito anche mediante assegnazione di beni in natura[10] (inclusi strumenti finanziari partecipativi e crediti)[11]. Ciononostante, la modalità di soddisfacimento concorre a formare la valutazione complessiva della proposta formulata dall’impresa debitrice, atteso che per qualsiasi creditore, e in particolare per le agenzie fiscali e gli enti previdenziali, non è indifferente ricevere un pagamento in denaro ovvero mediante beni in natura, considerato che: i) il valore di realizzo di questi ultimi non è certo (tranne che in alcuni casi come quello rappresentato dall’assegnazione di beni quotati in borse regolamentate, e comunque anche in queste ipotesi con la possibilità di oscillazioni dei valori dei beni attribuiti), e ii) l’assegnazione di beni in natura comporta la necessità di una loro gestione (si pensi, ad esempio, al caso degli strumenti finanziari partecipativi), che non è certamente agevole per i creditori pubblici. Può quindi accadere che il soddisfacimento di un credito tributario o contributivo al 100% dopo alcuni anni e senza garanzie oppure mediante strumenti finanziari partecipativi, pur non essendo sottoposto ad alcun degrado, risulti peggiore di quello offerto a un credito di rango inferiore a cui venga offerto un pagamento in denaro nella misura percentuale del 90% in tempi più rapidi o con adeguate garanzie. 
Per questi motivi il riferimento alla percentuale di soddisfacimento ha un senso, quale fattore da considerare congiuntamente ad altri ai fini di cui sopra, anche quando i crediti tributari e contributivi vengono soddisfatti integralmente, impedendo che tali crediti, in presenza di un valore di liquidazione capiente, ricevano un soddisfacimento deteriore rispetto a quello destinato a crediti di grado inferiore, considerando congiuntamente percentuale di pagamento, tempi pagamento, modalità di soddisfacimento e garanzie; lo ha, a maggior ragione, quando il valore di liquidazione è incapiente e i crediti privilegiati sono quindi degradati al chirografo, costituendo in questo caso la percentuale di pagamento un rilevante e autonomo fattore di differenziazione dei trattamenti proposti. 
La norma di cui trattasi assolve, peraltro, una ulteriore e distinta funzione quando nel concordato (di qualunque tipo) è previsto l’apporto di risorse esterne (le quali, giusta l’ultimo periodo del comma 6 dell’art. 84, possono essere attribuite ai creditori in deroga all’ordine delle cause di prelazione), impedendo in questo caso che, ciononostante, i crediti assistiti da un grado di privilegio inferiore a quelli che assistono i crediti contributivi e fiscali possano ricevere, grazie a tale apporto, un trattamento migliore di quello riservato a questi ultimi, nonostante il disposto dell’ultimo periodo del citato comma 6 (per evitare, ad esempio, che, mentre un credito tributario di 100, che in caso di liquidazione giudiziale verrebbe in ipotesi pagato integralmente solo per 40, venendo soddisfatta l’eccedenza di 60 nella misura del 15% (60x15%=9) riceva un pagamento complessivo del 49% [=(40+9)/100], un altro credito di grado inferiore, che in caso di liquidazione giudiziale non verrebbe soddisfatto in alcuna misura, venga invece soddisfatto nella misura del 70% mediante impiego di risorse esterne). 
Il riferimento alla percentuale di soddisfacimento contenuto nel secondo periodo del comma 1 dell’art. 88 non interferisce, quindi, con le disposizioni recate dall’incipit del medesimo periodo e con gli effetti che ne derivano, assolvendo, per un verso, una funzione strumentale rispetto all’applicazione di tali norme e, per altro verso, una funzione autonoma e distinta, volta a fornire una particolare tutela ai crediti tributari e contributivi.
5 . Il divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi nei casi in cui questi sono assistiti da cause di prelazione di diverso grado e la formazione delle relative classi
Allo scopo di verificare il rispetto sia della RPR sia del divieto di trattamento deteriore, come si è rilevato, il soddisfacimento del credito tributario o contributivo privilegiato proposto ai creditori pubblici deve essere confrontato con quello offerto ai crediti di diversa natura assistiti da un grado di privilegio che li colloca in una posizione paritetica o inferiore secondo l’ordine delle cause si prelazione dettato dagli artt. 2777 e 2778 c.c. Considerato che i crediti tributari e contributivi beneficiano, a seconda del tipo di credito, di cause di prelazione di differente grado, l’ulteriore questione che ai fini di tale comparazione si pone è se il confronto debba essere operato avendo riguardo alla soddisfazione proposta a ciascun creditore pubblico con riferimento all’intero ammontare dei crediti tributari o contributivi, oppure distinguendo tali crediti in base ai rispettivi gradi di prelazione (ed eventualmente, ove vene siano, considerando la natura di quelli chirografi ab origine).
Invero il privilegio costituisce una qualità del credito (e non del creditore)[12], in quanto ai sensi dell’art. 2745 c.c. “è accordato dalla legge in considerazione della causa del credito[13]. Come ribadito dalla Corte costituzionale nell’ambito della sentenza 21 aprile 2022, n. 101, le “cause legittime di prelazione costituiscono eccezioni alla regola generale, enunciata dall’art. 2741 cod. civ., per la quale i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, accordando preferenza a quei crediti che, in ragione della causa o delle qualità del titolare, esigano una tutela particolare. L’efficienza di un sistema siffatto è garantita dall’equilibrio tra la regola della parità dei creditori e l’eccezione del regime preferenziale, giacché l’indiscriminata proliferazione dei privilegi potrebbe vanificare la stessa funzionalità del trattamento privilegiato. A presidio di tale meccanismo, è posto il principio di legalità, in forza del quale solo la legge può incidere, in base ad una nuova valutazione assiologica, sull’ordine di valori espresso dalla regola della par condicio creditorum, selezionando le cause del credito che, ai sensi dell’art. 2745 cod. civ., rappresentino la ragione giustificatrice della creazione di nuovi privilegi”. Il legislatore ha dunque ritenuto taluni crediti meritevoli di una tutela particolare attribuendo loro una causa di prelazione e disponendo quindi che in sede esecutiva, in deroga alla par condicio creditorum[14], essi siano preferiti ai crediti che ne sono privi[15]. La particolare natura del singolo credito munito di prelazione è assunta dal legislatore anche a base della risoluzione del conflitto tra una pluralità di crediti privilegiati, poiché è ad essa che guardano i criteri dettati dagli artt. 2777 e ss. del Codice civile nello stabilire l’ordine dei privilegi, restando irrilevante in proposito il momento in cui sono sorti[16]
Ne discende che, in presenza di crediti tributari o contributivi privilegiati di diverso grado ovvero privilegiati e chirografari, la verifica del rispetto sia della RPR sia del divieto di trattamento deteriore deve essere effettuata - nel concordato preventivo - credito per credito in base alla rispettiva gradazione, vale a dire raffrontando il trattamento offerto, per esempio, ai crediti tributari privilegiati collocati al grado settimo (relativo alle imposte indirette) con quello riservato ai crediti di altra natura di grado ottavo e, via via, con quelli successivi. In questo senso, peraltro, si è espressa la giurisprudenza che si è occupata del rispetto del suddetto divieto in relazione alla proposta di transazione fiscale presentata nel concordato preventivo[17], nonché l’Agenzia delle Entrate nel par. 5.2 della circolare n. 16/E/2018 (secondo cui il rispetto del divieto di trattamento deteriore del credito tributario comporta il confronto con quello offerto agli altri creditori “in funzione della qualità del credito”).
Si consideri, ad esempio, la situazione di un’impresa che ha debiti tributari assistiti da differenti cause di prelazione così costituiti: a) 100 per imposta di registro, oltre a sanzioni per 30 e a interessi per 10, collocati nel grado settimo dall’art. 2778 c.c., rispetto ai quali il valore di liquidazione giudiziale sia integralmente capiente; b) 200 per ritenute Irpef, oltre a sanzioni per 60 e a interessi per 20, collocato nel grado diciottesimo dall’art. 2778 c.c., rispetto ai quali il valore di liquidazione giudiziale sia capiente solo per 100 incapiente per il residuo ammontare di 100; e c) 100 per Iva, oltre a sanzioni per 30 e a interessi per 10, collocato nel diciannovesimo grado dal medesimo art. 2778 c.c., rispetto ai quali il valore di liquidazione giudiziale sia integralmente incapiente. 
Nel concordato preventivo, se a causa dell’incapienza dell’attivo una classe dei crediti tributari (pari, come nell’esempio, per quelli relativi alle ritenute Irpef, a 280) non può essere pagata per intero (ma, come nell’esempio, solo per 140), non si crea (al contrario di quanto accade nell’accordo di ristrutturazione dei debiti) una sola classe che viene soddisfatta nella misura del 50 per cento (=140/280), ma una classe che viene soddisfatta integralmente fino a capienza dell’attivo (per 140 nell’esempio), a cui si applica il secondo periodo del comma 1 dell’art. 88 (con esclusione dell’incipit) e una classe degradata al chirografo (pari nell’esempio al residuo importo di 140), da soddisfare in percentuale nel rispetto (i) del limite della falcidia posto dal primo periodo del comma 1 dell’art. 88 e (ii) del disposto del comma 6 dell’art.84 in virtù del più volte menzionato incipit del secondo periodo di detto comma 1 (se il credito beneficia di un privilegio generale). Pertanto, con riferimento all’esempio che precede: i) la classe relativa all’imposta di registro e ai suoi accessori (7° grado) verrebbe integralmente soddisfatta per 140; ii) la classe relativa alle ritenute Irpef e ai suoi accessori (18° grado) verrebbe soddisfatta integralmente solo in parte, cioè per 140, e rimarrebbe insoddisfatta per il residuo ammontare di 140, venendo quindi degradata al chirografo per tale residuo ammontare; iii) la classe relativa all’Iva e ai suoi accessori (19° grado) rimarrebbe integralmente insoddisfatta per l’ammontare di 140 e verrebbe quindi integralmente degradata al chirografo. Entrambe le classi degradate dovrebbero comunque essere soddisfatte in qualche misura, e la prima con un trattamento migliore di quello attribuito alla seconda; per il che si assuma che quella privilegiata del diciottesimo grado degradata relativa alle ritenute Irpef venga soddisfatta nella misura del 20%, cioè per l’importo di 28, e quella privilegiata del diciannovesimo grado degradata relativa all’Iva venga soddisfatta nella misura del 10%, cioè per l’importo di 14. 
Rispetto all’intero credito tributario di 560 verrebbe quindi così previsto complessivamente un soddisfacimento di 322, corrispondente al 57,5% dell’importo di tale credito. 
Ciò posto. la questione che si pone è se, ai fini della verifica del rispetto della RPR, rilevi (i) la percentuale di soddisfazione complessivamente offerta (nell’esempio 57,5%), considerando unitariamente l’intero credito tributario oppure (ii) la specifica percentuale proposta in relazione a ciascuna classe di credito.
Se fosse corretta l’ipotesi sub (i), il divieto di trattamento deteriore risulterebbe rispettato qualora la proposta concordataria prevedesse, per i crediti privilegiati aventi un grado inferiore ovvero per i crediti chirografari, una percentuale di soddisfazione non superiore al 57,5%; se invece fosse considerata corretta l’ipotesi sub (ii), i crediti privilegiati collocati fra il settimo e il diciottesimo grado dovrebbero essere soddisfatti integralmente, venendo soddisfatti integralmente quelli di cui al grado diciottesimo, quelli del diciannovesimo dovrebbero essere soddisfatti in misura inferiore a quelli del diciottesimo grado degradati (pari ipoteticamente, come nell’esempio, al 10%) e ai crediti assistiti da una causa di prelazione inferiore al diciannovesimo grado (ad esempio quelli relativi ai tributi locali, che sono collocati nel grado ventesimo) dovrebbe essere offerta una percentuale di soddisfazione necessariamente inferiore al 10% (pari ad esempio al 9%) e ai creditori chirografari ab origine un soddisfacimento ancora inferiore (pari ad esempio all’8%). La differenza è dunque significativa.
Il criterio corretto è quello indicato sub (ii), considerato che: a) a norma del comma 2 dell’art. 85 la suddivisione dei creditori in classi è obbligatoria per i titolari di crediti tributari o contributivi dei quali non sia previsto l’integrale pagamento in qualsiasi tipo di concordato preventivo e non solo nel concordato in continuità aziendale ai sensi del successivo comma 3); b) a norma del comma 3 del medesimo art. 85 la suddivisione dei creditori in classi è in ogni caso obbligatoria nel concordato in continuità aziendale; c) a norma del comma 4 del medesimo art. 85, il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle legittime cause di prelazione; d) in base al disposto del comma 6 dell’art. 84, il valore eccedente quello di liquidazione deve essere attribuito ai creditori in modo da far sì che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi inferiori, discendendone la necessità di classificare i crediti in base al loro grado. Infatti, solo applicando il criterio sopra indicato sub (ii) queste regole possono essere rispettate, mentre quello indicato sub (i) ne comporterebbe la violazione, in particolare di quella che vieta l’alterazione dell’ordine delle cause di prelazione e di quella che concernente la RPR. 
Né pare che a diversa conclusione possa pervenirsi per effetto del disposto dell’art. 2782 c.c., secondo cui “I crediti egualmente privilegiati concorrono tra loro in proporzione del rispettivo importo”, la quale suona invece da conferma a quanto testé affermato, disponendo in merito ai crediti assistiti da una causa di prelazione del medesimo grado. Poiché i crediti relativi alle imposte dirette possono riguardare una pluralità di tributi di pari grado (come si è visto, quelli relativi all’Ires, all’Irpef, inclusi quindi quelli inerenti alle ritenute Irpef, e all’Irap sono assistiti da una causa di prelazione del diciottesimo grado), questa norma trova dunque applicazione con riguardo a tali tributi, ma non anche a quelli di grado poziore, quali sono quelli inerenti all’imposta di registro, o di grado inferiore come l’Iva. 
Per quanto attiene ai criteri di formazione delle classi relative ai crediti tributari e contributivi, rilevano quelli stabiliti generalmente dall’art. 2, comma 1, lett. r), CCII, ai sensi del quale le classi devono essere costituite in base a “posizione giuridica” e a “interessi economici” omogenei. Secondo i principi affermati al riguardo dalla Corte di cassazione già sotto la vigenza della legge fallimentare, l’omogeneità delle posizioni giuridiche riguarda la natura oggettiva del credito e concerne le qualità intrinseche dello stesso, in ragione dei suoi tratti giuridici caratterizzanti dalla natura privilegiata o chirografaria, dell’eventuale esistenza di contestazioni sulla qualità del credito, della presenza di eventuali garanzie che assistono il credito e di eventuali titoli esecutivi. L’omogeneità degli interessi economici, trattandosi di un criterio volto a garantire sul piano sostanziale la par condicio, ha riguardo alla fonte e alla tipologia socio-economica del credito (banche, fornitori, lavoratori pubblici, Erario, ecc.) e il particolare tornaconto del suo titolare, al fine di garantire secondo canoni di ragionevolezza una maggiore adeguatezza distributiva in presenza di omogeneità di posizione[18]
Sulla scorta di questi principi i crediti tributari e contributivi di cui è titolare un’agenzia fiscale, indipendentemente dal fatto che facciano capo al medesimo soggetto, devono essere collocati in classi differenti a seconda del grado delle cause di prelazione dalle quali essi sono assistiti (come nell’esempio che precede). Ne discende, in considerazione della necessità di inserire i crediti integralmente soddisfatti in classi distinte da quelle relative a crediti soddisfatti solo parzialmente, nonché di quella di distinguere ulteriormente fra queste ultime a seconda del grado della causa di prelazione dei crediti, la formazione nella generalità dei casi anche di tre o quattro classi per i crediti tributari e altrettante per quelli contributivi; con la conseguenza che, ai fini del computo del raggiungimento del voto favorevole nella maggioranza delle classi, eventualmente anche mediante cram down, il voto delle agenzie fiscali e degli Enti previdenziali assume un peso rilevante. Non pare tuttavia che contrasti con i suddetti principi la collocazione in un’unica classe dei crediti assistiti dalla medesima causa di prelazione, anche degradati al chirografo per incapienza dell’attivo, di cui siano titolari due distinte agenzie fiscali, cioè l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ai quali sia offerto il medesimo soddisfacimento, attesa - a prescindere dalla comune identità del creditore, che è nella sostanza l’Erario - l’omogeneità della posizione giuridica e dell’interesse economico dei creditori (rectius: del creditore). 
Deve invece essere esclusa la possibilità di costituire un’unica classe in cui vengano collocati sia crediti tributari sia crediti contributivi, anche ove siano degradati al chirografo. Sia perché manca l’omogeneità richiesta dal citato art. 2 CCII, sia perché, in applicazione del principio discendente dal comma 2 dell’art. 85, è necessario evitare rischi di annacquamento dei crediti che fanno capo a uno dei due creditori (quello titolare del credito di minor importo), riservando sia alle agenzie fiscali sia agli enti previdenziali la tutela dovuta loro in considerazione della natura sub-procedimentale delle proposte di transazione con cui il trattamento di tali debiti deve essere proposto a detti creditori pubblici. Questa conclusione è stata espressamente condivisa dal Tribunale di Napoli (decr. 9 aprile 2021) e dal Tribunale di Bologna (decr. 25 gennaio 2022), secondo i quali l’obbligo di costituire due classi distinte, una per i crediti tributari degradati a chirografo e l’altra per i crediti contributivi anch’essi degradati, risponde all’esigenza di consentire ai creditori pubblici di valutare in maniera autonoma la convenienza della proposta, rilevando in maniera altrettanto autonoma le rispettive espressioni di voto dissenzienti o assenti[19].

Note:

[1] 
Già in sede di prima applicazione della disciplina di cui trattasi, la giurisprudenza (si vedano ad esempio le pronunce del Tribunale di Pavia, 8 ottobre 2008, e del Tribunale di Mantova, 30 ottobre 2008), ha avuto modo di affermare che il diverso ordine di soddisfazione di determinati crediti, enunciato dagli artt. 2777 ss. del Codice civile, determina una diversa collocazione preferenziale dei crediti con riferimento alla realizzazione coattiva, derivandone quantomeno una posizione giuridica non omogenea, sicché l’art. 182 ter poteva dirsi rispettato quando si prevedeva un pagamento differenziato dei crediti privilegiati in funzione dell’ordine di soddisfazione stabilito dal Codice civile. Cfr. D. Restuccia, “Grado dei privilegi e transazione fiscale”, in Il Diritto Fallimentare, n. 1/2009, pagg. 66 ss. In ordine alla posizione assunta dalla Corte di cassazione sui criteri di formazione delle classi, in termini più generali, si veda la successiva nota n. 16.
[2] 
Come rilevato da L. Jeantet e P. Vallino, “Piano attestato di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti”, in La Riforma della Legge Fallimentare - Italia Oggi, n. 2/2019, pagg. 171 e 172, “la posizione giuridica può riguardare l’elemento soggettivo del creditore in relazione alla natura del rapporto derivante dal titolo sottostante, mentre l’interesse economico discende invece dalle conseguenze lato creditore del comportamento del debitore (quali, a titolo esemplificativo, l’interesse alla continuazione dell’attività aziendale o alla liquidazione)”. Invero neanche con l’entrata in vigore del CCII è stata chiarita in via normativa quale potrebbe essere la situazione economico-giuridica da considerare omogenea a quella dei creditori pubblici. Per la dottrina secondo cui sarebbe da escludere che il criterio della posizione giuridica omogenea possa coincidere con la summa divisio tra creditori privilegiati e creditori chirografari (in quanto già di per sé prevista, come in altra occasione rilevato dal Tribunale di Milano, 18 dicembre 2007), esso dovrebbe attenere alla natura oggettiva del credito o del creditore, potendosi così distinguere tra crediti contestati e non, tra crediti muniti di titolo esecutivo e non, tra crediti di fonte contrattuale ed extracontrattuale, tra persone fisiche e persone giuridiche, tra residenti in Italia e non residenti. Cfr. F. Rolfi, “Sui criteri di formazione delle classi nel concordato preventivo”, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 12/2018, pagg. 1422 e 1423; A. M. Perrino, “Sub art. 160”, in AA.VV., Codice commentato del fallimento (diretto da G. Lo Cascio), 2017, pag. 2026; M. Arato, “Il piano di concordato”, in AA.VV., Crisi d’impresa e procedure concorsuali (diretto da O. Cagnasso - L. Panzani), III, 2016, pag. 3498; S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato di diritto commerciale (diretto da G. Cottino), XI, 2008, pag. 44. Quanto al criterio degli interessi economici omogenei, la distinzione delle diverse posizioni creditorie va effettuata in base alla categoria di appartenenza dei creditori (istituti di credito, enti previdenziali, fornitori, ecc.) o alla loro riconducibilità ad un particolare ramo d’azienda. Cfr. A. M. Perrino, cit., pag. 2026; C. Mandrioli, “Il piano di ristrutturazione nel concordato preventivo (la ricostruzione giuridico-aziendalistica)”, in AA.VV., La legge fallimentare. D.lgs. 12.9.2017, n. 169. Disposizioni integrative e correttive. Commentario teorico-pratico (a cura di M. Ferro), 2008, pag. 16; M. R. Grossi, La riforma della legge fallimentare, 2005, 142. Per questo secondo tipo di confronto rileverebbe perciò il trattamento offerto agli enti locali, agli enti pubblici non territoriali e agli altri istituti che rendono prestazioni di natura previdenziale o assistenziale, in caso di suddivisione dei creditori in classi. Cfr. M. Spadaro, cit., pag. 13; M. Allena, La transazione fiscale nell’ordinamento tributario, 2017, pag. 159; M. Ferro - R. Roveroni, “Sub art. 182 ter”, in AA.VV., La legge fallimentare. Commentario teorico pratico (a cura di M. Ferro), 2011, pag. 2163; G. Lo Cascio, “Concordati, classi di creditori e incertezze interpretative”, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2009, pag. 1135; G. Gaffuri, “La transazione fiscale conquista spazi”, in Il Sole - 24 Ore del 20 febbraio 2006, pag. 31. Infine, secondo V. Zanichelli, I concordati giudiziali, 2010, pag. 268, l’ulteriore confronto richiesto nel secondo periodo del comma 1 dell’art. 182 ter potrebbe trovare unica spiegazione nel garantire al credito tributario o previdenziale il miglior trattamento eventualmente proposto ai creditori che presentino una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie, senza che assuma rilievo l’ordine dei privilegi.
[3] 
Cfr. G. Lo Cascio, “Concordati, classi di creditori e incertezze interpretative”, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 19/2009, pag. 1135.
[4] 
Com’è noto, la regola di distribuzione contenuta nell’art. 84, comma 6, CCII detta due principi distinti da osservare nella ripartizione dell’attivo concordatario, dipendenti dalla natura delle risorse distribuite, in forza dei quali il valore di liquidazione dell’impresa deve essere distribuito nel pieno rispetto delle cause legittime di prelazione, ovverosia secondo la regola della priorità assoluta (che impedisce la soddisfazione del creditore di rango inferiore se non vi è stata la piena soddisfazione del credito di grado superiore); viceversa il valore ricavato dalla prosecuzione dell’impresa (ovverosia il “plusvalore da continuità”) può essere distribuito osservando il criterio della priorità relativa, secondo il quale è sufficiente che i crediti di una classe siano pagati in ugual misura rispetto alle classi di pari grado e in misura maggiore rispetto alla classe di rango inferiore, ancorché non siano soddisfatti integralmente.
[5] 
Così Tribunale di Massa, decreto proc. 24-2-2024, e Tribunale di Bari, Sez. IV, decreto 9 gennaio 2024.
[6] 
Così Tribunale di Busto Arsizio, sentenza 4 dicembre 2024. 
[7] 
Si tratta della cosiddetta “ristrutturazione trasversale dei debiti” a cui il debitore può ricorrere per chiedere l’omologazione del concordato in continuità aziendale non approvato da tutte le classi, se ricorrono congiuntamente i quattro requisiti previsti da detta norma, tra cui quello previsto alla lett. b) del comma 2 dell’art. 112 relativo al rispetto delle cause legittime di prelazione nella distribuzione del valore di liquidazione.
[8] 
Sul valore di liquidazione si veda A. Turchi, Il valore di liquidazione nel Codice della crisi e dell’insolvenza dal testo originario al D.Lgs. n. 136/2024, in Dirittodellacrisi.it
[9] 
In senso opposto si veda però Trib. Marsala, 5 febbraio 2014, per il quale invece, per verificare il rispetto del divieto di trattamento deteriore, occorrerebbe tenere conto esclusivamente delle percentuali di soddisfazione.
[10] 
Come rilevato da E. Stasi, “Sub art. 182 ter”, in AA.VV., Codice commentato del fallimento (diretto da G. Lo Cascio), 2017, pag. 2459, i crediti erariali potrebbero essere soddisfatti in teoria anche mediante la cessione di opere d’arte secondo la procedura prevista dall’art. 28 bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, i cui tempi di attuazione - va detto - sono però tutt’altro che brevi. In senso favorevole a questa possibilità sembra esprimersi anche M. Zappalà, “Transazione su crediti tributari e contributivi: una terra di confine”, in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 2/2024, pagg. 163-165, secondo cui, in assenza di una norma espressa in senso contrario (e una volta appurata la compatibilità di tale soluzione con il principio di indisponibilità del credito tributario), rileva l’art. 109, comma 5, CCII, “che prevede, tra le fattispecie in grado di attivare il diritto di voto in favore dei creditori muniti di prelazione, l’ipotesi che quest’ultimi non vengano ‘soddisfatti in denaro’, così confermando, seppur indirettamente, la prevalenza del principio (generale) di libertà nella declinazione del soddisfo contenuta all’art. 87, comma 1, lett. d), CCII (norma espressamente dedicata al contenuto del piano di concordato) anche per i creditori prelatizi”. Sulla possibilità di soddisfare un credito munito di titolo di prelazione con strumenti finanziari partecipativi si veda M. Arato, “Il confine dell’utilità economicamente rilevante: l’attribuzione di azioni e strumenti finanziari partecipativi”, in Dirittodellacrisi.it, pagg. 7-8; P. Rinaldi, “Strumenti finanziari partecipativi come modalità satisfattiva principale nel concordato preventivo in continuità”, in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 1/2021, pag. 95; e G. D’Attorre, “Gli strumenti finanziari partecipativi nella crisi d’impresa”, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 2017, pag. 333).
[11] 
Cfr. Trib. Bologna, 5 dicembre 2023, che relativamente ad una proposta concordataria nella quale veniva prevista una datio in solutum anche in favore di creditori pubblici, ha ritenuto legittima tale possibilità almeno con riguardo alle valutazioni proprie della fase di ammissione alla procedura concordataria, rilevando quanto segue: “L’assegnazione satisfattiva di partecipazioni di una società di capitali al fine del pagamento dei crediti, espressamente prevista nel Codice della Crisi (art. 87, I comma, lett. d), non pare soffrire alcuna deroga nell’ipotesi in cui i destinatari della datio in solutum siano enti pubblici titolari di crediti di natura tributaria o previdenziale. Al riguardo va osservato che i limiti previsti dal d.lgs. n. 175/2016 (cd. TUSPP) con riferimento alla possibilità per gli enti pubblici di costituire, acquistare o gestire partecipazioni in società sembrano riferirsi - anche in considerazione alla specifica disciplina ivi contenuta riguardo al procedimento di acquisizione - all’ipotesi di volontaria costituzione di società e/o di acquisizione di partecipazioni societarie e non al caso in cui la stessa sia vincolata, come nell’ipotesi in cui derivi da previsioni contenute nel Codice della Crisi di Impresa. Peraltro, qualora la titolarità delle partecipazioni da parte di soggetti pubblici non possa essere dalla stessa mantenuta (poiché in violazione delle prescrizioni d.lgs. n. 175/2016 e, in particolare, dell’art. 4) vi sarà la possibilità di procedere alla loro dismissione o alienazione (cfr. art. 20 D.Lgs. n. 175/2016)”.
[12] 
Il creditore, infatti, è il soggetto attivo del privilegio, quale titolare del credito munito di detta causa di prelazione. Cfr. ex multis G. Bozza - G. Schiavon, L’accertamento dei crediti nel fallimento e le cause di prelazione, 1992, pagg. 719, 720 e 727.
[13] 
In dottrina è stato rimarcato come il legislatore, anziché definire il privilegio, abbia preferito determinarne il fondamento. Cfr. G. Tucci, I privilegi, in Trattato di diritto privato (diretto da P. Rescigno), 19, 1997, pagg. 615 ss.
[14] 
Cfr. Cass. 30 maggio 1960, n. 1398; 27 febbraio 1990, n. 1510; 14 aprile 1992, n. 4549. 
[15] 
Cfr. F. Parente, Il sistema dei privilegi, 2001, pag. 33.
[16] 
Cfr. S. Merz - G. Zanconati, I privilegi e le prelazioni, 1990, pag. 19.
[17] 
Si vedano Trib. Piacenza, 1° luglio 2008; Trib. Pavia, 8 ottobre 2008; Trib. Mantova, 30 ottobre 2008; Trib. Arezzo, 17 maggio 2009. In dottrina si veda D. Restuccia, cit., pag. 66.
[18] 
Corte di cassazione, sentenza 16 aprile 2018, n. 9378, che così si è espressa: “L’omogeneità delle posizioni giuridiche, quale criterio volto a garantire sul piano formale le posizioni più o meno avanzate delle aspettative di soddisfo, riguarda la natura oggettiva del credito e concerne le qualità intrinseche delle pretese creditorie, tenendo conto dei loro tratti giuridici caratterizzanti, del carattere chirografario o privilegiato, della eventuale esistenza di contestazioni nella misura o nella qualità del credito, della presenza di un eventuale titolo esecutivo provvisorio. L’omogeneità degli interessi economici, essendo un criterio volto a garantire sul piano sostanziale la par condicio, ha riguardo alla fonte e alla tipologia socio-economica del credito (banche, fornitori, lavoratori dipendenti, ecc.) e al peculiare tornaconto vantato dal suo titolare (in ragione ad esempio dell’entità del credito rispetto all’indebitamento complessivo, della presenza di coobbligati o dell’eventuale interesse a proseguire il rapporto con l’imprenditore in crisi), al fine di garantire secondo canoni di ragionevolezza una maggiore adeguatezza distributiva in presenza di condizioni di omogeneità di posizione. Ne sovviene che i criteri in parola, distinti e concorrenti, debbono essere congiuntamente esaminati per verificare l’omogeneità dei crediti raggruppati, ove l’imprenditore intenda prevedere una suddivisione in classi; tale omogeneità non può però essere predicata in termini di assoluta identità o coincidenza (dato che, ove così fosse, sarebbe possibile formare classi soltanto in presenza di crediti con caratteristiche del tutto uguali), ma consiste invece nella concorrenza di tratti principali comuni di importanza preponderante che rendano di secondario rilievo gli elementi differenzianti e giustifichino secondo criteri di ragionevolezza (o meritevolezza, ex art. 1322 c.c.) una comune sorte satisfattiva delle posizioni riunite all’interno della medesima classe”. È stato al riguardo evidenziato che per l’individuazione degli interessi economici omogenei in genere possono rilevare più fattori, quali la dimensione del credito e del soggetto creditore, la natura del creditore (finanziatore, fornitore, prestatore di lavoro, ecc.), il rapporto consolidato o saltuario con l’impresa debitrice, l’esistenza di garanzie, ecc., per cui, “all’interno dei creditori chirografari è possibile frastagliare i creditori tra più classi, relegando magari in un’unica classe, con pagamento di percentuale molto bassa, i crediti vantati dai soci per il finanziamento della compagine sociale oppure i creditori di piccoli importi, in modo tale che il loro dissenso non pregiudichi l’approvazione del concordato, conseguita con il consenso di tutte le altre classi o della maggioranza delle stesse” (così L. D’Orazio, “L’interesse economico omogeneo nella formazione delle classi fra autonomia negoziale e controllo di merito”, in Giurisprudenza di merito, fasc. 4/2009, pag. 982).
[19] 
Sull’argomento si vedano anche M. Fabiani - G. Carmellino, “Il concordato preventivo”, in AA.VV., Le riforme delle procedure concorsuali (a cura di A. Didone), II, 2016, pag. 1697.

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