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La gestione dell'impresa nella procedura di composizione negoziata

Sido Bonfatti, Professore di diritto fallimentare nell’Università di Modena e Reggio Emilia, già Ordinario di diritto commerciale nel medesimo ateneo

26 Settembre 2023

L’A. esamina la disciplina della gestione dell’impresa nell’ipotesi di accesso della stessa alla procedura di Composizione Negoziata della Crisi. L’A. sottolinea che nessuna limitazione condiziona la gestione dell’impresa, tanto con riguardo agli atti di straordinaria amministrazione; quanto con riguardo all’adempimento di passività, anche pregresse; quanto, infine, con riguardo all’eventuale compimento di atti qualificabili “preferenziali". L’A. evidenzia che i possibili effetti pregiudizievoli del compimento di atti di tale natura, in mancanza di condivisione dell’Esperto, integrata dalla pubblicizzazione del suo dissenso mediante iscrizione Registro delle Imprese, sono limitati alla esclusione dello “effetto esentativo” dall’azione revocatoria, che tali atti conseguirebbero, se condivisi (ovvero non condivisi, ma in modo non pubblicizzato): laddove la loro legittimità ed opponibilità ai terzi non può essere comunque messa in discussione. L’A. commenta infine i presupposti ed i limiti dell’intervento dell’Esperto nella possibile rinegoziazione dei contratti pendenti, divenuti eccessivamente onerosi per l’imprenditore interessato; e nel giudizio introdotto per il conseguimento della autorizzazione alla cessione dell’azienda con l’esenzione del cessionario da responsabilità per passività pregresse.
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1 . “Trattativa stragiudiziale” e “trattativa agevolata”
[1] La disciplina della gestione dell’impresa nel corso delle trattative condotte nel contesto della “Composizione negoziata per la soluzione delle crisi d’impresa” rappresenta l’indice di maggior rilievo per la comprensione della funzione principale di questa “procedura”.
Essa si presenta, infatti, come l’alternativa alle trattative stragiudiziali che vengono avviate nel momento della emersione di una situazione di difficoltà [2].
Nelle situazioni nelle quali l’imprenditore, avvertite alcune situazioni di difficoltà, ovvero individuati dei fattori che potrebbero compromettere l’attività d’impresa in un prossimo futuro, decidesse di ricorrere a professionisti esperti nella revenzione/superamento/composizione delle situazioni di crisi d’impresa, e con il loro aiuto avviare trattative con i creditori (o, più spesso, con una categoria di creditori, ovvero con taluni di essi), allora l’imprenditore in questione si troverebbe – a seguito dapprima dell’entrata in vigore del D.L. n. 118/2021, e successivamente della sopravvenienza degli articoli 12 ss. CCII – a potere contare su una alternativa, prima non disponibile.
L’alternativa è rappresentata per l’appunto dalla “procedura” di composizione negoziata della crisi d’impresa, che si contrappone alla tradizionale “trattativa stragiudiziale” come una “trattativa agevolata”, alla quale l’imprenditore può ricorrere, in condizioni di:
a) totale assenza di effetti pregiudizievoli;
b) garanzia di – sia pure contenuti – effetti profittevoli;
c) opportunità della conseguibilità – sia pure a determinate condizioni – di “effetti speciali”.
Sotto il primo profilo (“totale assenza di effetti pregiudizievoli”) la “trattativa agevolata” non presenta alcun inconveniente rispetto alla “trattativa stragiudiziale” (tradizionale).
Quest’ultima è rappresentata, classicamente, dall’avvio di colloqui con i maggiori creditori (per lo più le banche ed eventualmente altri intermediari finanziari, come le imprese di leasing), sviluppati dai professionisti che assistono l’imprenditore e condotti tramite l’intervento di un advisor, individuato di comune accordo. La pendenza delle trattative non condiziona in alcun modo la gestione dell’impresa da parte dell’imprenditore interessato, che rimane nella sua totale disponibilità, salvo le eventuali limitazioni che egli intenda accettare allo scopo di favorire lo sviluppo delle trattative (per es. lasciare inalterato il quadro delle garanzie eventualmente concesse – o non concesse – ai creditori partecipanti alle trattative).
Rispetto a tale prospettiva, quella che si apre con l’avvio della procedura di “composizione negoziata” non presenta alcun inconveniente, in quanto:
a) il costo dell’esperto nominato dalla speciale Commissione di cui all’art. 13, comma 6, c.c.i.i. rimane a carico dell’imprenditore, non meno di quanto rimarrebbe a carico dello stesso il costo dell’advisor (anzi, con ogni probabilità il costo è inferiore, alla luce di quanto disposto dall’art. 25 ter CCII)[3];
b) il ruolo dell’imprenditore nella scelta dell’esperto (ruolo non rilevante, essendo l’esperto designato – come detto – da una speciale Commissione) non è tanto più pregiudizievole rispetto al ruolo che all’imprenditore sarebbe riconosciuto nella individuazione dell’advisor, visto che questo deve essere di “gradimento” dei creditori (e tutt’al più all’imprenditore è dato di scegliere, nell’ambito di una rosa di professionisti benevisi ai creditori, quello “meno sgradito”);
c) la riservatezza dell’avvio delle trattative non è meno garantito nella “trattativa agevolata” che nella “trattativa stragiudiziale” tradizionale – tutt’altro, come si dirà –;
d) la gestione dell’impresa rimane integralmente nelle mani dell’imprenditore, che non soffre di limitazione alcuna (che non siano quelle che egli stesso decida di accettare, per favorire uno sviluppo proficuo delle trattative).
Questo ultimo principio va affermato con fermezza e va sottolineato con grande evidenza.
Non soltanto l’art. 21, comma 1, CCII afferma che “nel corso delle trattative l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa”, ma anche l’art. 18, comma 1, afferma che nonostante l’eventuale produzione di “misure protettive”, che impediscono ai creditori di porre in essere atti funzionali ad acquisire titoli di prelazione o pagamenti coattivi, l’imprenditore può: (i) concordare garanzie a suo piacere (essendo inibite soltanto quelle “non concordate”, cioè subite); e (ii) porre in essere i pagamenti che ritiene più opportuno fare (“Non sono inibiti i pagamenti”) [4]-[5].
Sotto il secondo profilo (“garanzia di – sia pure contenuti – effetti profittevoli”), si deve segnalare come la semplice scelta della “trattativa agevolata” rispetto alla “trattativa stragiudiziale” – senza altro impegno, quindi, come detto, “a costo zero” – comporta per l’imprenditore alcuni effetti profittevoli “automatici”, in quanto conseguenti alla semplice apertura della “procedura”.
Vanno citati a tale proposito:
i) il conseguimento di “misure premiali” di carattere fiscale (art. 25 bis CCII), che divengono operative a far seguito dell’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto;
ii) la conseguibilità di “sbocchi speciali” alla trattativa, quali quelli indicati dall’art. 23 CCII, nonché dello “sbocco” rappresentato dal “Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio”. Sono tutte soluzioni, queste, che non potrebbero mai essere perseguite all’esito di una “trattativa stragiudiziale”, perché postulano il preventivo avvio (e conduzione) della “trattativa agevolata” rappresentata dalla “procedura” della Composizione negoziata;
iii) la sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c. (art. 20 CCII). L’effetto si produce a seguito di semplice “dichiarazione” dell’imprenditore di volerne approfittare, e – a sua scelta – o da subito (“con l’istanza di nomina dell’esperto”), ovvero dal successivo momento preferito (“o con dichiarazione successivamente presentata”);
iv) una più accentuata garanzia di “riservatezza”.
Fermo restando che anche la “trattativa stragiudiziale” deve essere caratterizzata dai connotati di riservatezza che inevitabilmente investono le situazioni (di “crisi”, o di “pre-crisi”) che ne costituiscono il presupposto, non deve essere trascurato il ripetuto invito alla riservatezza, rivolto all’esperto (“l’esperto…opera in modo riservato …” – art. 16, comma 2, CCII –); ed a tutte le parti della trattativa (“Tutte le parti coinvolte nella trattativa … rispettano l’obbligo di riservatezza sulla situazione dell’imprenditore, sulle iniziative da questo assunte o programmate e sulle informazioni acquisite nel corso delle trattative” – art. 16, comma 6 –). Oltre a ciò, particolare rilievo deve essere attribuito al principio affermato dall’art. 16, comma 3, CCII secondo il quale “… l’esperto non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nell’esercizio delle sue funzioni, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità” [6].
Sotto il terzo profilo (“opportunità della conseguibilità – sia pure a determinate condizioni – di “effetti speciali”), si deve segnalare come attraverso la conduzione della “trattativa agevolata”, consentita dall’accesso alla “Composizione negoziata” della crisi d’impresa, si possano conseguire – come vedremo – “effetti speciali” – sia pure condizionati a determinati presupposti –, che con l’avvio di una “trattativa stragiudiziale” tradizionale non potrebbero essere conseguiti mai, neppure attraverso la realizzazione degli identici presupposti; ovvero per semplice inammissibilità del tentativo di conseguirli.
2 . L’autonomia dell’imprenditore nella gestione dell’impresa. Autonomia privata illimitata; autonomia privata “controllata”; autonomia privata “integrata”
Come è noto, l’art. 9 del D.L. n. 118/2021 aveva subito delle modificazioni in sede di conversione in legge ad opera della legge 21 ottobre 2021, n. 147.
La prima parte del comma 1 era peraltro rimasta immutata e recitava: “Nel corso delle trattative l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa”: e lo stesso deve dirsi per il sopravvenuto art. 21, comma 1, CCII.
Come vedremo, l’autonomia privata, così confermata in termini illimitati, registra talora dei “controlli” ed è accompagnata talvolta da “integrazioni”: ma in nessun caso con l’effetto di condizionare la validità giuridica ovvero la opponibilità ai terzi dell’atto interessato.
L’atto compiuto dall’imprenditore (abbia esso natura “ordinaria”; natura “straordinaria”; o finanche “preferenziale”[7]) è sempre e comunque valido ed opponibile [8].
Esso non è meno valido ed opponibile di quanto lo sarebbe nel contesto di una “trattativa stragiudiziale” tradizionale, dovendosi continuare a fare applicazione del principio dettato dall’art. 2086 c.c. [9].
E per converso esso non è necessariamente “più” valido di quanto non sarebbe se posto in essere nel contesto di una “trattativa stragiudiziale”, sotto il profilo della applicabilità dell’art. 2486 c.c. [10].
Per tale ragione si può affermare la regola secondo la quale la procedura di Composizione negoziata della crisi d’impresa è improntata al principio della autonomia privata illimitata dell’imprenditore.
Ferma restando la regola sopra affermata, si deve se mai aggiungere che la circostanza rappresentata dalla pendenza di una “trattativa agevolata” introduce alcune possibili varianti – escluse nella ipotesi di perseguimento del superamento della situazione di “crisi” attraverso una “trattativa stragiudiziale” tradizionale –, che incidono anche sull’ampiezza e sulla portata della autonomia privata esercitata dall’imprenditore: tutto ciò – peraltro – sempre nella prospettiva di mantenere i già ricordati vantaggi conseguibili con la “trattativa agevolata” – e non conseguibili, invece, con la “trattativa stragiudiziale” tradizionale –,ovvero – addirittura – di conseguire ulteriori e particolari “effetti speciali”.
Sotto il primo profilo, se l’imprenditore vuole assicurarsi l’ordinata prosecuzione delle trattative ed evitare il pericolo che l’esperto si formi una opinione negativa sul possibile esito delle trattative e suggerisca l’archiviazione della “procedura”, dovrà:
a) in caso di ricorrenza di un attuale “stato di crisi”, improntare la gestione dell’impresa alla salvaguardia della “sostenibilità economico-finanziaria dell’attività” (art. 21, comma 1, prima parte, CCII);
b) nell’ipotesi in cui “nel corso della composizione negoziata risulti che l’imprenditore è insolvente” (ma sussistono concrete prospettive di risanamento), fare in modo che la gestione dell’impresa persegua il prevalente interesse dei creditori (art. 21, comma 1, seconda parte);
c) in caso di compimento di atti di straordinaria amministrazione o di effettuazione di pagamenti, osservare il procedimento delineato dall’art. 21, commi 2-4, CCII, che prevede: una informazione preventiva scritta all’esperto; l’attesa della risposta scritta dello stesso; la immediata comunicazione all’esperto, in caso di manifestazione di dissenso da parte dello stesso, di voler porre ugualmente in essere l’atto di straordinaria amministrazione o il pagamento;
d) allo scopo di conseguire l’effetto della “esimente” penale per i comportamenti costituenti, da un punto di vista oggettivo, fatti rilevanti per la configurazione dei reati di bancarotta semplice e di bancarotta fraudolenta (art. 24, comma 5, CCII), dovrà assicurare la coerenza degli atti posti in essere “con l’andamento delle trattative e della prospettiva di risanamento dell’impresa”: tale “esimente”, nell’ambito della “trattativa stragiudiziale”, non potrebbe mai essere “garantita”, neppure in presenza della rappresentata coerenza;
Ciò – si ripete – ferma restando la validità e la opponibilità dell’atto (quale che ne sia la natura), anche nell’ipotesi di violazione di questa forma di gestione definibile “autonomia privata controllata”, cioè anche in mancanza di ottemperamento alle disposizioni sopra riportate.
Sotto il secondo profilo, allorquando l’imprenditore intenda conseguire dalla trattativa avviata con i creditori “effetti speciali”, che come tali ne agevolino il successo, dovrà conseguire la integrazione della propria autonomia gestionale con fattori supplementari, il cui intervento è giudicato dalla disciplina della “composizione negoziata” come idoneo a giustificare misure agevolative altrimenti inapplicabili.
In questa prospettiva:
a) al fine di produrre gli effetti conseguenti all’applicazione delle “misure protettive” di cui all’art. 18, comma 1, CCII, l’imprenditore dovrà aggiungere alla assunzione dell’iniziativa della richiesta di nomina dell’esperto, anche la pubblicazione nel Registro delle Imprese dello stesso e della conseguente accettazione, così rinunciando alla “riservatezza” delle trattative nei confronti del “pubblico”. In tal modo, l’imprenditore sarà in condizione di ottenere “effetti protettivi” immediati e di portata e “qualità” altrimenti mai conseguibili [11];
b) al fine di mantenere gli effetti conseguenti alla attuazione delle “misure protettive”, l’imprenditore dovrà integrare quanto già posto in essere con il conseguimento dell’autorizzazione del Tribunale (art. 19);
c) al fine di assicurare ai crediti derivanti da finanziamenti ricevuti da terzi, da soci (senza il limite dell’80% imposto per il Concordato preventivo e per gli Accordi di Ristrutturazione dall’art. 102 CCII), da società del “gruppo” (sempre senza alcun limite percentuale), l’effetto della collocabilità in prededuzione, l’imprenditore dovrà integrare la conclusione del contratto di finanziamento (con il consenso dell’esperto, ovvero la mancata pubblicizzazione dell’eventuale dissenso [12], allorché il finanziamento presenti i caratteri dell’atto di straordinaria amministrazione [13], nonché e comunque) con l’autorizzazione del Tribunale (art. 22, comma 1). Anche in questa ipotesi non rileva la circostanza che l’effetto de quo sia condizionato alla preventiva autorizzazione del Tribunale: rileva piuttosto la circostanza che nella “trattativa stragiudiziale” tradizionale tale effetto non potrebbe essere conseguito mai, a nessuna condizione;
d) al fine di assicurare al cessionario dell’azienda, o di uno o più rami di essa, la esenzione da responsabilità per le passività pregresse inerenti all’esercizio dell’impresa risultanti dai libri contabili obbligatori (salvo i debiti di lavoro), l’imprenditore dovrà integrare il contratto di cessione – di per sé comunque liberamente perfezionabile [14] – con la autorizzazione del Tribunale (art. 22, comma 1, lett. d).
Anche tale “incentivo” [15] non potrebbe essere messo a disposizione del potenziale acquirente in alcun modo, se l’operazione fosse posta in essere nel contesto di una “trattativa stragiudiziale” tradizionale;
e) al fine di conseguire la “equa rideterminazione” del contenuto dei contratti pendenti, allorché la prestazione a carico dell’imprenditore sia divenuta “eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2” (art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021) [16], l’imprenditore dovrà conseguire l’autorizzazione del Tribunale (art. 10, comma 2). Non rileva la circostanza che tale risultato sia condizionato ad un provvedimento del Tribunale: rileva piuttosto la circostanza che tale risultato non potrebbe essere conseguito mai nel contesto di una “trattativa stragiudiziale” tradizionale, o comunque – questo è certo – con la stessa efficacia assicurata dalla “trattativa 
agevolata” [17];
f) al fine di potere dar vita ad un Piano Attestato di Ristrutturazione senza dovere depositare la Relazione Attestativa di cui all’art. 166, comma 3, lett. d), CCII, l’imprenditore dovrà conseguire la condivisione dell’esperto (art. 23, comma 1, lett. c);
g) al fine di potere concludere un Accordo di Ristrutturazione “ad efficacia estesa” attraverso il conseguimento di una maggioranza di adesioni “attenuata” (dal 75% al 60%), dovrà ottenere che il raggiungimento dell’Accordo risulti dalla Relazione finale dell’esperto (art. 23, comma 2);
h) al fine di conseguire la “esenzione” degli atti posti in essere nel corso delle trattative dalla assoggettabilità all’azione revocatoria fallimentare disciplinata dall’art. 166, comma 2, CCII, dovrà:
i) quanto agli atti di ordinaria amministrazione, integrare il compimento degli stessi con la prova della loro coerenza con l’andamento delle trattative e le prospettive di risanamento (art.24, comma 2); e
ii) quanto agli atti di straordinaria amministrazione ed i pagamenti, integrare il compimento degli stessi con il consenso dell’esperto, ovvero la dimostrazione della mancata pubblicizzazione dell’eventuale dissenso nel Registro delle Imprese. Anche in questo caso, non rileva che la “esenzione” sia condizionata alla “coerenza” dell’atto con l’andamento delle trattative e le prospettive di risanamento (nonché, per gli atti di straordinaria amministrazione ed i pagamenti, 
al consenso dell’esperto od alla mancata pubblicizzazione dell’eventuale dissenso)[18]: rileva invece la circostanza che tale opportunità non potrebbe essere colta, nel contesto di una “trattativa stragiudiziale” tradizionale, ad alcuna condizione;
i) al fine di potere conseguire l’effetto della esclusione della postergazione per i finanziamenti “infra-gruppo” (art. 25, comma 8), l’imprenditore dovrà osservare il procedimento previsto per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione: laddove, fuori di questa “procedura”, la postergazione non potrebbe mai essere evitata.
3 . Il ruolo dell’esperto nella rinegoziazione dei contratti e nel giudizio i rideterminazione del contenuto del contratto
I. Riprendendo un argomento in parte già trattato, va ricordato che [19] l’art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021 prevedeva che l’esperto, incaricato di agevolare le trattative tra l’imprenditore e i suoi creditori nel contesto della procedura di “Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa”, potesse “invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica, ovvero ad esecuzione differita, se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2”.
“In mancanza di accordo”, aggiunge la norma, “il tribunale, acquisito il parere dell’esperto … può rideterminare equamente le condizioni del contratto… come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale”.
In tale contesto, il ruolo dell’esperto avrebbe potuto assumere almeno due caratterizzazioni.
La prima era rappresentata dalle situazioni nelle quali una rideterminazione delle condizioni dei contratti cc.dd. “di durata” appariva opportuna per il superamento della condizione di difficoltà dell’imprenditore, ma non “indispensabile”.
In tali fattispecie il ricorso all’intervento “coattivo” del Tribunale sarebbe stato precluso, ma rimaneva ugualmente affidato al compito dell’esperto il tentativo di indurre le parti a riequilibrare le condizioni del contratto [20].
Le modalità erano suggerite dal decreto dirigenziale 28 settembre 2021, secondo il quale “l’esperto convoca uno o più incontri nei quali le parti possano sviluppare opzioni diverse e discutere delle possibili ipotesi di soluzione, cercando, per quanto possibile, di evitare il ricorso al tribunale, avendo altresì cura di richiedere alle parti se, nel caso di insuccesso della rinegoziazione, acconsentono a che l’esito delle trattative e le motivazioni del mancato accoglimento delle proposte vengano riferiti al tribunale. È opportuno che tale richiesta venga formulata sin nel primo incontro e che degli incontri venga redatto un sintetico verbale come precisato al punto 8,5”.
Nella fattispecie nella quale l’intervento sui contratti di durata “pendenti” – essendo questi i rapporti interessati dalla norma [21] – si fosse rivelato “indispensabile” – o comunque tale fosse stato giudicato dall’imprenditore –, l’attivazione dell’esperto avrebbe potuto rappresentare un presupposto necessario per il successivo coinvolgimento del Tribunale: nel senso della possibile inammissibilità del ricorso alla autorità giudiziaria, in mancanza della dimostrazione dell’insuccesso del tentativo posto in essere dall’esperto [22].
Una volta che la rideterminazione del contenuto del contratto non avesse potuto essere conseguita attraverso le trattative agevolate dall’esperto e l’imprenditore si fosse rivolto al Tribunale, era disposto che questi ne acquisisse comunque il parere.
Secondo il decreto dirigenziale 28 settembre 2021 il parere dell’esperto doveva contenere, “come elementi minimi”, le seguenti indicazioni:
“– sul fatto che la misura richiesta nel ricorso dell’imprenditore consenta effettivamente di assicurare la continuità aziendale;
– sul tempo minimo necessario perché questo avvenga.

Solo nel caso in cui le parti vi abbiano acconsentito, il parere potrà contenere anche indicazioni circa le ragioni del fallimento delle trattative, se ciò sia utile al fine della valutazione del tribunale sulla richiesta dell’imprenditore. Quando sentito dal tribunale, l’esperto potrà, ove richiesto e nei limiti in cui i principi in punto di riservatezza lo consentano, esprimersi sulle ragioni dei soggetti incisi dal provvedimento”.
Sotto questo profilo occorre tuttavia osservare che l’art. 4, comma 3, D.L. n. 118/2021 prevedeva come unica eccezione all’obbligo di riservatezza dell’esperto l’ipotesi della sua audizione da parte del Tribunale per la decisione sulla conferma o sulla modificazione delle “misure protettive” attivate (e richieste) dall’imprenditore, non già (anche) l’occasione della richiesta della sua Relazione nell’ipotesi di intervento del Tribunale sulla “equa rideterminazione” dei contratti.
Ciò precisato, occorre aggiungere che fermo il “minimo sindacale” prescritto dal decreto dirigenziale 28 settembre 2021, doveva ritenersi opportuno che la Relazione dell’esperto prendesse anche in considerazione i temi rappresentati da:
a) sussistenza dei “presupposti oggettivi” di intervento del Tribunale (l’effettiva corrispondenza dei contratti interessati dalla richiesta di intervento alle figure dei “contratti di durata” precisati nella norma);
b) la riconducibilità della causa della eccessiva onerosità sopravvenuta alla “pandemia da SARS-CoV-2” [23];
c) la ritenuta “indispensabilità” dell’intervento e le ragioni sottese a tale valutazione [24];
d) l’ammissibilità dell’invocato intervento giudiziale, tenuto conto delle inevitabili ricadute sul versante della concorrenza tra imprese [25].
A tale proposito era stata espressa l’opinione [26] secondo la quale “la rideterminazione giudiziale del contenuto dei contratti dovrebbe essere esercitata soltanto verso le controparti: (i) che operino in una situazione di monopolio e (ii) che si avvantaggino ingiustamente della situazione di dipendenza economica del debitore”. Si è osservato, a tale proposito che “la soluzione più efficiente per il sistema, conforme ai principi di equa rideterminazione delle condizioni del contratto e di equilibrio tra le prestazioni di cui all’art. 10, comma 2, è dunque quella di limitare la modifica coattiva dei contratti ai casi eccezionali in cui il funzionamento del libero mercato si inceppa. Ciò può determinarsi per contratti stipulati con fornitori in situazione monopolistica (o quasi-monopolistica), cioè nei casi in cui l’imprenditore in crisi non può sciogliersi dal contratto sbilanciato, non disponendo di fornitori alternativi a cui rivolgersi per l’acquisto di beni e servizi essenziali alla prosecuzione dell’attività. Non basta: la rideterminazione dovrebbe operare unicamente quando il monopolista si stia avvantaggiando ingiustamente della dipendenza economica del debitore per lucrare extra-profitti, poiché essa (la rideterminazione) non può avere il mero fine di trasferire l’eccessiva onerosità determinata dalla pandemia ad un soggetto incolpevole. Esula dalla portata della norma, ad esempio, il monopolista che si limiti a ribaltare sull’imprenditore in crisi l’aumento di prezzo delle materie prime che egli abbia subito, senza applicare alcun mark-up”.
In tale prospettiva i “casi positivi” che avrebbero potuto essere citati come possibile campo di intervento del Tribunale, in funzione della “equa rideterminazione” del contenuto dei contratti “di durata” pendenti – divenuti eccessivamente onerosi per l’imprenditore, impegnato nella procedura di “composizione negoziata”, a causa della crisi pandemica –, avrebbero dovuto essere identificati con i cc.dd. “situational monopolies” [27].

II. La disciplina della possibile “rideterminazione” del contenuto dei contratti “ad esecuzione continuata o periodica ovvero differita” si atteggia però, nella disciplina sopravvenuta a seguito della entrata in vigore dl CCII (art. 17, comma 5), in modo diverso da come era originariamente declinata nel D.L. n. 118/2021, convertito nella legge n. 147/2021 (art. 10, comma 2).
In primo luogo, il CCII prevede soltanto l’iniziativa dell’Esperto, e non prevede - di per sé - il possibile intervento del Tribunale [28].
In secondo luogo, il presupposto del possibile intervento (dell’Esperto) è rappresentato dalla condizione che “la prestazione [sia] divenuta eccessivamente onerosa o che [sia] alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute”, laddove il presupposto dell’applicabilità della corrispondente disciplina del D.L. n. 118/20221 era rappresentato (ed è rappresentato, per quanto si dirà, allorché entri in scena l’intervento del Tribunale) dalla condizione che “la prestazione [fosse] divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2”.
In argomento occorre preliminarmente precisare che le disposizioni sopra richiamate sono tuttora applicabili entrambe: l’art. 17, comma 5, CCII, perché fa parte della disciplina della CNC in vigore dal 15 luglio 2022; e l’art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021, perché mai abrogato [29].
Ciò precisato, occorre anche avvertire che alla previsione del possibile “intervento” dell’Esperto, funzionale ad “invitare” le parti a rideterminare il contenuto dei contratti divenuti eccessivamente onerosi per l’imprenditore ammesso alla CNC, non può essere attribuito un peso specifico particolare. Si tratta, come precisa la norma, di un (semplice) “invito”, e come tale deve essere valutato: una delle tante manifestazioni che può assumere la funzione di “facilitazione” che è attribuita all’Esperto (non così diversa dall’ipotesi della proposta a valutare una proroga della scadenza del credito verso l’imprenditore in crisi; uno stralcio della
pretesa vantata nei suoi confronti; eccetera).
In tale contesto, non molto rileva la circostanza che a mente di quanto previsto dall’art. 10, comma 2, prima parte, D.L. n. 118/2021, lo “invito” in commento fosse (e sia tuttora, per ciò che concerne il possibile ntervento del Tribunale) collegato ad una eccessiva onerosità sopravvenuta “per effetto della pandemia da SARS-CoV-2”[30]: mentre a mente di quanto previsto dall’art. 17, comma 5, seconda parte, CCII, detto “invito” è collegato ad una eccessiva onerosità sopravvenuta (ovvero ad una
alterazione dell’equilibrio del rapporto contrattuale)” in ragione di circostanze sopravvenute” [31].
Se mai, ci si può domandare se abbia (avuto) senso mantenere in vigore una disposizione collegata ad una fattispecie particolare (la pandemia da “SARS-CoV-2”) che sarebbe rientrata (e rientrerebbe) nel genus di carattere generale (la “circostanza sopravvenuta”)[32] già disciplinato nell’identico modo. Tanto più quando si consideri come “quest’ultima locuzione” [quella contenuta nell’art. 17, comma 5, CCII] copra “una più vasta area di ipotesi, comprendente non solo quelle in cui lo squilibrio dipende dall’eccessiva onerosità sopravvenuta di una prestazione, ma, certamente, anche quelle in cui l’alterazione del rapporto discende dallo svilirsi del valore della controprestazione” [33].
Nello stesso modo, valutando il senso e la portata dell’art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021, sino a quando si considera la disciplina del possibile intervento dell’Esperto per “invitare” le parti a valutare l’opportunità di riequilibrare le prestazioni di un contratto ad esecuzione continuata, divenute eccessivamente onerose per l’imprenditore ammesso alla CNC, poco rileva la circostanza che la norma facesse riferimento all’ipotesi nella quale il fenomeno considerato si fosse prodotto “per l’effetto della pandemia da SARS- CoV-2”, piuttosto che per effetto di un altro evento ugualmente drammatico ed imprevisto (un esempio per tutti: il conflitto bellico prodottosi tra Ucraina e Russia): non ci sarebbe stata ragione di escludere, infatti, la possibilità di un intervento dell’Esperto ad invitare le parti a riequilibrare le prestazioni del contratto pendente anche laddove lo squilibrio sopravvenuto fosse stato causato da un evento (diverso dalla crisi pandemica, e tuttavia) egualmente sconvolgente. Anzi si può ritenere che tale tentativo avrebbe dovuto rientrare tra i doveri dell’Esperto, investito della funzione di “facilitare” la creazione delle
condizioni per il risanamento dell’impresa, a prescindere dalla fattispecie particolare (cioè “pandemica”) considerata dalla norma.
In tutt’altri termini la questione si pone invece – ad avviso di chi scrive – allorché si consideri la funzione della legittimazione dell’autorità giudiziaria, su istanza dell’imprenditore ammesso alla CNC[34], a “rideterminare equamente le condizioni del contratto” pendente, divenute eccessivamente onerose: a farlo – intendo dire – “d’autorità”.
In primo luogo è necessario chiarire che tale intervento è ammesso – allo stato degli atti – esclusivamente nell’ipotesi nella quale la alterazione sopravvenuta (in danno dell’imprenditore ammesso alla CNC) dell’originario equilibrio del contratto pendente possa dirsi intervenuta “per effetto della pandemia da SARS-CoV-2”: a tale evento, infatti, l’art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021 ricollega la legittimazione del tribunale a provvedere sulla richiesta di “riequilibrio”, laddove la portata più generale della disposizione contenuta nell’art. 17, comma 5, CCII non ha rilevanza, non prevedendo – e dunque non consentendo – tale norma – la quale, come detto, ha una portata più vasta – l’intervento dell’autorità giudiziaria sul contratto pendente divenuto eccessivamente oneroso [35].
La sopravvivenza della norma alla trasfusione della disciplina della CNC nel codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, nel luglio 2022, può sorprendere [36]: tanto più laddove si consideri che nel momento di confermare la legittimazione della autorità giudiziaria ad intervenire nei contenuti dei singoli negozi giuridici pendenti tra contraenti (uno dei quali ammesso alla CNC), per modificarne il contenuto d’imperio, avrebbe potuto essere opportuno non collegare più (ovvero non collegare soltanto) tale funzione all’ipotesi di una alterazione (ormai) abbastanza improbabile (quella provocata dalla crisi pandemica da SARS-CoV-2) – ovvero, in ogni caso, “in estinzione” -: quanto piuttosto (ovvero anche), se mai, ad ipotesi più attuali e più credibili (prima tra tutte l’effetto del perdurante conflitto bellico che ha investito tutta l’Europa; la conseguente crisi energetica che ha reso insostenibile la regolare esecuzione dei contratti di fornitura di prodotti energetici da parte delle imprese cc.dd. “energivore” – si pensi soltanto alle imprese ceramiche -; e così via)[37].
Ciò precisato, occorre ancora segnalare come nonostante l’espressione adottata (“la prestazione è diventata eccessivamente onerosa”) equivalga a quella utilizzata dall’art. 1467 c.c. per descrivere le ipotesi di risolvibilità del contratto ad esecuzione continuata o periodica a causa della eccessiva onerosità sopravvenuta, il suo perimetro di applicabilità è ritenuto tuttavia più ampio, non essendo contemplata la riserva – contenuta invece nel secondo comma del richiamato art. 1467 c.c. – della ricomprensibilità “nell’alea normale del contratto”[38]. Per converso la norma potrebbe non poter trovare applicazione nei contratti aleatori cc.dd. tipici [39]: il ché ne comporterebbe la inapplicabilità, per esempio, ai contratti assicurativi.
Si deve infine ritenere che l’intervento dell’autorità giudiziaria evocato dall’imprenditore ammesso alla CNC, ai sensi dell’art. 10, comma 2, seconda parte, D.L. n. 118/2021, non potrebbe essere eluso dalla banca attraverso l’inserimento nel contratto di finanziamento di una clausola contrattuale “impeditiva” dell’adozione di tale iniziativa, ritenendosi[40]che la norma in esame (come anche l’art. 17, comma 5, CCII, ma con portata tutt’affatto diversa, non contemplando – come detto – la legittimazione dell’autorità giudiziaria ad intervenire, sia pure a seguito di una istanza - che dovrebbe essere dichiarata semplicemente inammissibile – dell’imprenditore ammesso alla CNC) tuteli un interesse di ordine pubblico economico, come tale non eludibile dalla volontà delle parti private[41].
Per concludere si può allora osservare che sino a quando l’ammissibilità dell’intervento dell’autorità giudiziaria in funzione del “riequilibrio” di un contratto pendente, divenuto eccessivamente oneroso per l’imprenditore ammesso alla CNC, sarà limitato – come oggi è limitato – all’ipotesi che l’eccessiva onerosità sopravvenuta sia stata causata dalla “pandemia da SARS-CoV-2”, l’effetto della disposizione sul successo del tentativo di risanamento intrapreso dall’impresa deve ritenersi assai ridotto (e destinato ad una probabilmente rapida estinzione)[42].
Quanto al presumibile ambito di applicazione della perdurante legittimazione dell’autorità giudiziaria a riequilibrare i contratti divenuti eccessivamente onerosi per l’imprenditore ammesso alla CNC, si deve ritenere che esso riguarda principalmente i contratti di scambio ovvero di fornitura. Per ciò che concerne i contratti di natura finanziaria. la norma potrebbe essere applicata alla esecuzione (differita) dell’obbligo di rimborso di un finanziamento bullet erogato in valuta straniera, allorché fossero cessate le vendite nel relativo Paese; fossero venuti meno gli afflussi della valuta straniera; ed avesse preso corpo un rischio di cambio prima insussistente (perché il rimborso del finanziamento in valuta straniera sarebbe stato effettuato utilizzando l’identica valuta affluita grazie alle esportazioni): rischio annullabile con la modificazione della clausola contrattuale di specificazione della valuta di rimborso del finanziamento (e, probabilmente, del relativo tasso di interesse), sostituendo la valuta straniera con la valuta “nazionale” dell’imprenditore.
Ancora si potrebbero ipotizzare “interventi correttivi” sui profili di carattere economico dei contratti bancari di credito – quali: il tasso di interessi; la “commissione di messa a disposizione fondi” -; ovvero sui profili concernenti l’equilibrio tra rischio e garanzia – quali la introduzione di un obbligo di restrizione della garanzia reale costituita originariamente in favore della banca, in corrispondenza della progressiva diminuzione del debito residuo -.
Non dovrebbero ritenersi ammissibili, invece, per la impossibilità di configurare ipotesi di “obbligo alla concessione di credito”[43], modificazioni contrattuali incidenti sulla variazione (in aumento) dell’affidamento “accordato”, tanto in via diretta - aumento
dell’affidamento in termini assoluti -; quanto in via indiretta – aumento della percentuale contrattualmente determinata della anticipazione ottenibile a seguito della presentazione di portafoglio commerciale “allo sconto”, rispetto al valore nominale dei crediti anticipati -.
La ratio della norma appare quella di ricostruire l’originario equilibrio – o, comunque, l’originario rapporto – tra le prestazioni dedotte nel contratto pendente, nelle ipotesi nelle quali esso sia risultato alterato, in danno dell’imprenditore impegnato in una “Composizione Negoziata”, a causa degli effetti della crisi pandemica. In tale contesto, è difficile individuare quali fattispecie potrebbero giustificare la alterazione delle condizioni contrattuali originali in materia di ammontare (in termini assoluti) del finanziamento concesso; o di rapporto (in termini relativi) tra finanziamento disponibile e valore della relativa garanzia, che si potessero giudicare compromesse in conseguenza della emergenza sanitaria (ove si ritenessero risultanti nell’ambito di applicazione individuato dal non abrogato art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021).
Tutt’altra conclusione dovrebbe formularsi, invece, nell’ipotesi nella quale – semplicemente – i presupposti della legittimità (della invocazione) dell’intervento giudiziale fossero (nuovamente) accomunati ai presupposti del possibile “invito” dell’Esperto a che le parti ridetermino il contenuto dei contratti (ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita), in tutte le ipotesi nelle quali “la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa” ovvero “è alterato equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute”, a prescindere da quali cause tali fenomeni siano stati prodotti. In tale ipotesi, infatti, la legittimazione dell’autorità giudiziaria ad “intervenire” per riequilibrare i contenuti economici dei contratti pendenti avrebbe una ben maggiore rilevanza.
Laddove un prossimo intervento normativo volesse prendere in considerazione questa ipotesi, è auspicabile che colga l’occasione per chiarire (i) a quali contratti la disciplina in esame sarebbe applicabile (anche ai contratti assicurativi?; anche al contratto di società?); e (ii) quali effetti produca la “rinegoziazione” sulle garanzie (ad es. fideiussione) che assistono la prestazione dell’imprenditore ammesso alla CNC, che sarebbe investita dalla rinegoziazione coatta.
4 . Il ruolo dell’esperto nel processo autorizzativo della cessione dell’azienda sgravata dalle passività pregresse
L’art. 10, comma 1, lett. d) del D.L. n. 118/2021 prevedeva che il Tribunale, su richiesta dell’imprenditore che avesse avviato la “Composizione negoziata” della crisi d’impresa, potesse autorizzarlo a trasferire l’azienda, o uno o più dei suoi rami, “senza gli effetti di cui all’articolo 2560, secondo comma, del Codice civile”: cioè senza che si producesse la responsabilità solidale del cessionario per i debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, che risultino dai libri contabili obbligatori. L’autorizzazione poteva essere concessa – precisava la norma – “verificata la funzionalità” della cessione “rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori”.
L’art. 12, comma 1, lett d) CCII riproduce la disposizione testè esaminata, integrandola con la previsione finale secondo la quale “Il tribunale verifica altresì il rispetto del principio di competittività nella selezione dell’acquirente”.[44]
È pacifico che l’autorizzazione de qua sia necessaria nella sola ipotesi nella quale l’imprenditore voglia esonerare il cessionario dalla responsabilità solidale per le passività pregresse (risultanti dai libri contabili obbligatori), che altrimenti discenderebbe dalla necessaria applicazione dell’art. 2560, comma 2, c.c.: giacché, in caso contrario, l’imprenditore sarebbe libero di trasferire l’azienda, ovvero uno o più dei suoi rami, senza necessità di autorizzazione alcuna [45].
È altresì pacifico che, nella maggior parte dei casi (se non sempre), l’operazione de qua assuma il carattere di atto di straordinaria amministrazione, come tale soggetto al procedimento di “condivisione” con l’esperto, di cui all’art. 21, commi 2-4, CCII (preventiva informazione scritta dell’intenzione di porlo in essere; ricezione del parere scritto dell’esperto; necessaria comunicazione scritta della intenzione di volere porre in essere l’atto nonostante la eventuale manifestazione di dissenso): procedimento – peraltro – che, se pure concluso con esito negativo, eventualmente integrato dalla pubblicizzazione del contrasto tra imprenditore ed esperto attraverso la iscrizione del dissenso nel Registro delle Imprese, non determina la invalidità o la inopponibilità della cessione, bensì non ne consente – più semplicemente – la sottrazione all’azione revocatoria fallimentare di cui si verificassero i presupposti nell’eventuale fallimento “consecutivo” [46].
Egualmente condivisibile è l’affermazione secondo la quale la disciplina in commento deve ritenersi applicabile anche alle operazioni produttive di effetti equivalenti (conferimento d’azienda, anche a favore di una newco) [47].
Ciò precisato, il ruolo dell’esperto nella operazione in questione è diverso, secondo che la cessione avvenga – per l’appunto – su iniziativa esclusiva dell’imprenditore, con la inevitabile applicazione al cessionario del principio dettato dall’art. 2560, comma 2, c.c.; oppure se la cessione venga impostata prevedendo la richiesta di autorizzazione al Tribunale a procedere al trasferimento esonerando il cessionario dalla responsabilità prevista da tale norma.
Per la prima ipotesi il decreto dirigenziale del Dipartimento per gli Affari di Giustizia 28 settembre 2021 prevedeva: “quando ritiene che per assicurare la continuità aziendale e il miglior soddisfacimento dei creditori sia prospettabile unicamente la cessione dell’azienda o di rami di essa, l’esperto ricorda alle parti la possibilità di derogare agli effetti dell’articolo 2560, secondo comma, previa autorizzazione del giudice. Si ricorda che, in mancanza di offerte vincolanti ad importo predefinito, è opportuno che l’imprenditore, nel formulare le proposte ai creditori, preveda clausole di salvaguardia (ad esempio, clausole di earn-in, regole di waterfall, clausole infallibilità o pactum de non petendo) per fronteggiare il rischio che i valori effettivamente realizzati siano inferiori a quelli attesi. Per la cessione dell’azienda o di rami di azienda è preferibile dare corso a procedure competitive, anche attraverso il ricorso ad appositi strumenti (ad esempio data room virtuale e raccolta delle offerte su sezione secretata) previsti dalla Piattaforma Telematica”. Oltre a ciò, il decreto dirigenziale prevedeva altresì che “1. Qualora si intenda procedere alla cessione dell’azienda o di suoi rami, l’esperto avrà cura di far presente all’imprenditore l’utilità e l’opportunità del ricorso a procedure competitive per la selezione dell’acquirente (o in ogni caso prima di escludere possibilità diverse), in modo da sgombrare il campo dal timore di scelte in danno ai creditori.
2. All’esperto potrà essere richiesto di:
– individuare il perimetro dell’azienda o di rami di essa ritenuto idoneo per il miglior realizzo;
– fornire indicazioni all’imprenditore per organizzare data room informativa da utilizzare [per] la raccolta delle manifestazioni di interesse (a tal fine potrà essere utilizzata la Piattaforma);
– dare corso, o far dare corso, alla selezione dei soggetti potenzialmente interessati, anche attraverso procedure competitive, raccogliendo le relative manifestazioni di interesse e le eventuali offerte vincolanti (a tal fine potrà essere utilizzata la Piattaforma);
– se richiesto, esprimere il proprio parere sulle manifestazioni di interesse e le offerte ricevute.
L’esperto avrà cura di ricordare all’imprenditore l’opportunità che le offerte siano quanto più possibile a contenuto determinato, vincolanti, sottoscritte ed accompagnate da garanzie
”.
Il decreto dirigenziale dell’analogo Dipartimento emanato in data 21 marzo 2023, Recepimento dell’aggiornamento del documento predisposto nell’ambito del lavoro della Commissione di studio istituita con decreto del 22 aprile 2021, non ha portato innovazioni, salvo omettere la indicazione secondo la quale “per la cessione dell’azienda o di rami d’azienda è preferibile dar corso a procedure competitive, anche attraverso il ricorso ad appositi strumenti (ad esempio, data room virtuale e raccolta delle offerte su sezione secretata) previsti dalla Piattaforma Telematica)”.
Per la ipotesi di ricorso alla autorizzazione speciale del Tribunale la legge non prevede (cui prevedeva) la audizione dell’esperto da parte del Tribunale (né, tanto meno, la predisposizione di una Relazione del primo in favore del secondo): ma in linea di principio si è d’accordo nel ritenere che ciò sia senz’altro possibile – e probabilmente opportuno – [48].
Secondo il ricordato decreto dirigenziale 28 settembre 2021(ripreso in termini pressoché identici dall’aggiornamento del 21 maggio 2023), “l’esperto, se sentito dal tribunale nel procedimento autorizzativo ai fini della deroga dell’articolo 2560, secondo comma, del codice civile, potrà essere chiamato ad esprimersi sulle modalità con cui si è arrivati all’individuazione dell’acquirente, sulla congruità del prezzo e su ogni altro elemento ritenuto utile dal tribunale. Egli è chiamato ad informare il tribunale se l’acquirente dell’azienda o di rami di essa sia una parte correlata dell’imprenditore e a riferire sulle attività di cui al presente paragrafo”.
Oltre a quanto precisato dal decreto dirigenziale, l’esperto potrà (rectius: dovrà) esprimere al Tribunale la propria valutazione su:
a) funzionalità della cessione alla “continuità aziendale”: presumibilmente con riferimento alla continuità c.d. “indiretta”, intendendo che il presupposto della “procedura” della composizione negoziata, rappresentato dal “risanamento dell’impresa” (art. 12, comma 1; art. 21, comma 1), prescinda dal corrispondente risanamento (anche) del soggetto-imprenditore;
b) “migliore soddisfazione dei creditori”, rispetto all’ipotesi di non procedere alla operazione di cessione; ovvero di procedervi, ma senza la liberazione del cessionario dalla responsabilità solidale disposta dall’art. 2560, comma 2, c.c.
Sotto questo profilo si è affermato [49] che “la previsione dell’esenzione dai debiti pregressi altro non è che un incentivo ad ottenere migliori condizioni di vendita, nella consapevolezza che il risultato della vendita non potrà mai penalizzare i creditori per la semplice ragione che l’autorizzazione è retta dal 1° comma dell’art. 10 D.L. n. 118/2021, là dove è stabilito che il giudice deve valutare il miglior interesse dei creditori. In questo caso, la clausola si giustifica perché c’è uno scenario comparativo: non già tra composizione negoziata e liquidazione, ma tra vendita con il peso dei debiti e vendita al netto dei debiti”.
La sopra rappresentata conclusione è certamente condivisibile: non altrettanto evidente è, peraltro, la possibile convenienza di un acquisto “al netto dei debiti” in luogo di un acquisto “con il peso dei debiti” (per quanto ciò possa apparire contraddittorio).
L’acquisto “al netto dei debiti” – espressione con la quale si dovrebbe volere intendere “acquisto senza il peso dei debiti”, in contrapposizione a quello definito “con il peso dei debiti” – significa acquisto delle sole attività. Il vantaggio di una simile operazione potrebbe essere individuato, in prima battuta, nel risparmio del costo della due diligence dell’impresa acquistata, non dovendocisi preoccupare delle sue passività. Tuttavia, a ben vedere, una due diligence dovrebbe comunque essere posta in essere – ed il conseguente costo sopportato – per una valutazione della congruità delle stime concernenti le attività ricevute in cessione (che ben potrebbero essere sopravvalutate nei bilanci dell’impresa oggetto della cessione).
Ciò precisato, l’acquisto delle attività senza l’accollo del “peso dei debiti” comporta la necessità del pagamento “in contanti” – o comunque del pagamento del valore “lordo” – delle attività trasferite: e non è facile individuare la vantaggiosità di tale profilo.
Al contrario, l’acquisto delle attività integrate dal “peso dei debiti” accollati, comporta la necessità del pagamento c.d. “in contanti” del solo valore del netto patrimoniale: inevitabilmente molto inferiore al valore delle attività di per sé considerate (valore c.d. “lordo”), tanto più nell’occasione dell’acquisto di una impresa “in crisi” (più o meno accentuata che la crisi sia).
Il regolamento delle attività acquistate mediante l’accollo delle passività inerenti all’azienda (con il limite di quelle risultanti dai libri contabili obbligatori) rappresenta un vantaggio finanziario formidabile: e non si vede per quale ragione l’aspirante cessionario dovrebbe trovare vantaggioso procedere – invece – all’acquisto delle sole attività (“senza il peso del debito”), pagando “in contanti” – e comunque in termini di valori “di mercato” – l’intero loro valore lordo.
Nella liquidazione giudiziale e nel concordato preventivo il principio della cessione dell’azienda al lordo delle passività inerenti alla stessa, non si spiega – a parere di chi scrive – con la maggiore appetibilità di tale modalità di realizzo (è vero il contrario, come si è sopra dimostrato): bensì con la considerazione che l’acquisto delle attività “con il peso del debito” comporta l’effetto che i creditori accollati trovano soddisfacimento integrale delle loro pretese in quanto (poi) regolate dal cessionario, con preferenza rispetto ai creditori non accollati (perché estranei all’azienda o al ramo d’azienda ceduti), passibili di essere soddisfatti nei limiti del riparto consentito dalla distribuzione degli (eventuali) attivi residui, ovvero – nel caso di cessione dell’intera azienda – nei limiti del riparto del (magro, perché al netto delle passività accollate) prezzo conseguito dall’operazione di cessione.
È per tale ragione che le operazioni di “cessione aggregata”, ovvero di “cessione di attività e passività”, poste in essere, nel passato, nel contesto delle operazioni di liquidazione (coatta amministrativa) delle imprese bancarie – sottratte al principio della assicurazione della par condicio creditorum – hanno avuto un così largo successo, sino a quando suscettibili di essere poste in essere [50].
Lo scenario presentato dalla procedura di liquidazione giudiziale e di concordato preventivo non può essere tenuto presente nella “procedura” di Composizione Negoziata, perché detto scenario non consente il confronto tra cessione dell’impresa con o senza passività ad essa inerenti, ammettendo esclusivamente la cessione delle attività senza l’accollo delle relative passività, al fine di distribuirne il prezzo “lordo”, così conseguito, tra tutti i creditori – inerenti o non inerenti all’azienda ceduta –, in base alla graduazione tra le relative pretese.
Non fosse necessario impedire che si creino i presupposti perché i creditori inerenti all’azienda siano soddisfatti integralmente (ad opera del cessionario-accollante), in mancanza della garanzia di analogo trattamento tra i creditori non inerenti all’azienda (e quindi non accollati), l’operazione di cessione “con il peso del debito” sarebbe sempre più conveniente, per l’acquirente – disponibile pertanto a valutare l’impresa qualcosa di più –, che l’operazione di cessione “al netto dei debiti”.
Come detto, l’art. 22, comma 1, lett d) CCII. si differenzia dalla corrispondente disposizione – art. 10, comma 1, lett d) – del D.L. n. 118/2021 soltanto per la integrazione rappresentata dalla disposizione secondo la quale “Il tribunale verifica altresì il rispetto del principio di competitività nella selezione dell’acquirente”. Si è osservato come ciò non significhi attribuire al Tribunale il potere di dettare specifiche modalità della procedura competitiva[51], anche se è possibile che ciò avvenga in fatto.

Note:

[1] 
Il presente contributo è destinato a confluire, con gli eventuali aggiornamenti ed integrazioni del caso, nella seconda edizione - di prossima pubblicazione per i tipi di Giappichelli Editore - dell'opera collettanea "Il ruolo dell'Esperto nella Composizione Negoziata per la soluzione della Crisi d'Impresa ", curata da R. Guidotti, M. Tarabusi e dall'Autore. I riferimenti contenuti in talune note hanno per l'appunto riguardo all'opera collettanea menzionata.
[2] 
I. Pagni, M. Fabiani, La transizione dal Codice della Crisi alla Composizione negoziata (e viceversa), in Diritto della crisi, 2 novembre 2021, p. 4, parlano di “istituzionalizzazione della fase delle trattative”.
[3] 
In argomento v. Composizione negoziata crisi: quali sono esperti e compensi, in https://www.professionista-digitale.it, Studio 4.0.
[4] 
Come detto – supra, Capitolo I, § 1 –, si tratta di misure protettive “unidirezionali” (parlano di “moratoria unilaterale” I. Pagni, M. Fabiani, La transizione, cit., p. 10).
[5] 
In argomento v. anche infra, § 3.2.
[6] 
Sull’argomento della riservatezza della composizione negoziata v. I. Pagni, M. Fabiani, op. cit., pp. 10 e 30 (con riguardo alla caratteristica della riservatezza nelle misure di allerta v. M. Houben, I doveri di riservatezza nelle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, in Nuove leggi civ., 2020, p. 740).
[7] 
Supra, Capitolo I, § 1.
[8] 
In argomento A. Pezzano, M. Ratti, La conservazione degli effetti in caso di insuccesso della Composizione negoziata, in Diritto della crisi, 16 novembre 2021, p. 9 ss.; L. Panzani, Il D.L. “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del Covid., in Diritto della crisi, 25 agosto 2021, p. 20 ss. Secondo F. Platania, La gestione dell’impresa nella ristrutturazione aziendale, in L. Lambertini e F. Platania, Il diritto commerciale della crisi, Milano, 2023, 219, “l’articolo 21 c.c.i.i. pone, comunque, un sistema di controllo dell’attività dell’impresa che ha fatto ricorso alla composizione negoziata senza, però, prevedere divieti o limitazioni specifici, essendo soltanto imposto un obbligo di preventiva informazione in caso di compimento di atti di straordinaria amministrazione e pagamenti che non risultassero coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento. La disposizione non impone, pertanto un obbligo generalizzato di comunicazione per tutte le operazioni straordinarie ma solo di quelle giudicate non coerenti con la finalità di risanamento. Spetta, infatti, solo all’imprenditore valutare se sussistono le condizioni per fare la segnalazione all’esperto che potrebbe, quindi, non venire neppure a conoscenza di atti che in realtà, contrariamente alla valutazione dell’imprenditore (magari interessato a non esporsi al giudizio negativo dell’esperto), potrebbero risultare non coerenti con le finalità della composizione negoziata”.
[9] 
A Pezzano, M. Ratti, op. cit., p. 10.
[10] 
A. Pezzano, M. Ratti, op. loc. ult. cit.
[11] 
Supra, Capitolo I, § 1.
[12] 
In argomento v. S. Bonfatti, La nuova finanza bancaria, in Diritto della crisi, n. speciale, Le nuove misure di regolazione dell’impresa, novembre 2021, pp. 73 e 76.
[13] 
S. Bonfatti, op. ult. cit., p. 77.
[14] 
Infra, § 7.
[15] 
I. Pagni, M. Fabiani, op. cit., p. 23: “la previsione dell’esenzione dai debiti pregressi altro non è che un incentivo ad ottenere migliori condizioni di vendita …”.

[16] 
Infra, § 5.

[17] 
In argomento v. G. Lener, Appunti sull’autonomia privata e sulla rinegoziazione nel D.L. n. 118/2021, in Diritto della crisi, n. speciale, novembre 2021, cit., p. 173 ss.

[18] 
Supra, Capitolo I, § 1.]
[19] 
Supra, Capitolo II, § 2, al quale si rinvia per ciò che concerne l’argomento “rinegoziazione e principi sui contratti”. In argomento v. S. Mansoldo, Trasferimento d’azienda e rinegoziazione dei contratti, in Le crisi d’impresa e le nuove misure di risanamento, diretto da M. Irrera e S. A. Cerrato, e coordinato a F. Pasquariello, Zanichelli, Bologna, 2022, p. 180 ss.; L. Panzani, Il d.l. “Pagni”, ovvero la lezione (positiva) del covid, cit., p. 32 ss.; A. Guiotto, Il ruolo dell’esperto nelle trattative con i soggetti rilevanti, in Dirittodellacrisi.it, 2 dicembre 2021, p. 11.
[20] 
In questi termini M. Spiotta, (Imprenditori) inadimplenti (ma ancora viable) est adimplendum?, in Diritto della crisi, 12 novembre 2021, p. 7.
[21] 
P.G. Cecchini, I contratti asimmetrici nella composizione negoziata, in Diritto della crisi, 25 novembre 2021, p. 11.
[22] 
M. Spiotta, op. loc. ult. cit., p. 7, afferma che “la rinegoziazione giudiziale forzosa può avvenire solo in caso di esito infausto di quella volontaria tentata nel contesto, più ampio, di una composizione negoziata della crisi (e non a prescindere dall’apertura di questo nuovo percorso introdotto dal d.l. n. 118)”. Nello stesso senso P.G. Cecchini, op. cit., p. 9; nonché – pare di potere affermare – A. Guiotto, Il ruolo dell’esperto nelle trattative con i soggetti rilevanti, in Diritto della crisi, n. Speciale, novembre 2021, cit., p. 55. In argomento v. anche I. Pagni, M. Fabiani, op. cit., p. 26; L. Panzani, op. cit., p. 32. Ma in senso contrario a ritenere il tentativo di negoziazione dell’esperto come “condizione di procedibilità dell’azione” davanti al Tribunale, G. Lener, Appunti, cit., p. 175.
[23] 
In argomento P.G. Cecchini, op. cit., p. 13.
[24] 
In argomento G. Lener, op. ult. cit., p. 176.
[25] 
Oltre che sulle conseguenze nei confronti del contraente in bonis e sui soggetti che intrattengono relazioni con lo stesso.
[26] 
P.G. Cecchini, op. cit., p. 14.
[27] 
Dove vi è un solo fornitore o comunque un fornitore dominante in una determinata area e per un determinato periodo di tempo. Può essere il caso del fornitore di bitume di un’impresa di pavimentazioni stradali: tale materia prima si solidifica in un’ora, e ciò comporta la necessità di approvvigionarsi nelle vicinanze del settore stradale da asfaltare, ad una distanza massima che dipende dalla viabilità circostante e dal grado di coibentazione del mezzo di trasporto. Se nel raggio di 35-50 km vi è un unico fornitore di bitume, egli si troverà in posizione monopolistica. Allo stesso modo subisce il monopolio l’impresa che produca farmaci per una multinazionale quando quest’ultima le imponga di acquistare i principi attivi usati nella produzione presso un predeterminato fornitore certificato ... potrà non piacere, ma i fornitori di gas e corrente elettrica non sono in posizione monopolistica, poiché è sempre possibile sostituirli, essendo l’approvvigionamento e la vendita completamente aperti alla concorrenza. Quindi, quand’anche rientrasse fra gli effetti della pandemia l’aumento del costo dell’energia (e probabilmente così non è), non sarebbe possibile modificare le condizioni contrattuali della sua fornitura. Gli switch al nuovo fornitore sono sempre possibili, anche se richiedono tempi oscillanti tra i venti e i cinquanta giorni a seconda che la richiesta sia stata formulata prima o dopo il decimo giorno del mese. Vero è che i concessionari delle reti che attuano il trasporto e distribuzione del gas naturale operano in regime di monopolio legale nella relativa area di concessione, ma essi sono sottoposti a discipline specifiche da parte dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (Arera) col fine di garantire l’accesso non discriminatorio alle relative infrastrutture; l’utente neppure si accorge dell’esistenza del distributore, in quanto paga al venditore un compenso unico, inclusivo anche di quanto spettante al primo. Inoltre, in caso di debiti anteriori insoluti, il fornitore di energia non può interrompere le forniture all’impresa in crisi in forza dell’art. 6, comma 5, e comunque esiste il c.d. mercato di salvaguardia, che consente la prosecuzione del servizio anche in caso di morosità prolungata, seppure a prezzi più elevati. Infine, se l’energia è legata a dispositivi per la sicurezza e l’incolumità delle persone, le utenze non sono mai disalimentabili; qualora, nonostante il divieto, il fornitore interrompa il servizio, il debitore può chiedere l’immediato intervento del Prefetto per il ripristino d’imperio degli allacciamenti (…). Tanto va precisato per prevenire un uso strumentale della composizione negoziata da parte di imprese ad alto consumo di energia. In conclusione, qualunque sia l’origine del monopolio (produttiva, contrattuale etc.), quando effettivamente il fornitore è uno soltanto o è dominante, l’art. 1467 c.c. non costituisce un rimedio utile a fronteggiare le sopravvenienze da pandemia, né può farsi ricorso alla riconduzione del contratto ad equità prevista dall’art. 1374 c.c., che riguarda soltanto l’integrazione di clausole contrattuali e non anche la loro sostituzione. Al contrario, quando più fornitori operino in un contesto concorrenziale di beni e servizi fungibili, il tribunale non dovrebbe assecondare la richiesta del debitore di modificare per sopravvenienze le condizioni di un contratto già stipulato, poiché questi ha sempre facoltà di chiederne lo scioglimento e rivolgersi altrove, salvo che il fornitore corrente non offra di modificarlo convenientemente. Ciò quand’anche il debitore motivi l’istanza sostenendo di non potersi rivolgere a fornitori alternativi poiché questi praticano condizioni peggiorative rispetto a quelle che il debitore vorrebbe imporre giudizialmente alla controparte corrente. Infatti, questa argomentazione (umanamente comprensibile, perché nessuno è mai soddisfatto di come il reddito è distribuito e ne vorrebbe una fetta maggiore per sé) dimostra al contrario ed in modo lampante che la rinegoziazione forzosa, se attuata, cagionerebbe un danno ingiusto al fornitore corrente, vincolandolo a condizioni non di mercato che nessun altro fornitore praticherebbe”, P.G. Cecchini, op. cit., p. 15 ss.
[28] 
In argomento v. Denozza, Crisi e rinegoziazione dei contratti tra diritto emergenziale e Codice della crisi. Prima riflessione, in Orizzonti del Diritto Commerciale (3), 2022, 889 ss.: nonché infra, nel testo.
[29] 
L’art. 46, comma 1, lett. b), D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, ha abrogato il comma 1 dell’art. 10 D.L. n. 118/20221, ma quanto al comma 2 ha soltanto inserito dopo le parole “L’esperto” le seguenti: “di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14”. Non è pertanto condividibile la affermazione di Trib. Modena, 26 dicembre 2022, inedita (R.G. n. 5853/2022 V.G.) secondo la quale “a ciò si aggiunga che una disposizione di carattere del tutto eccezionale (art. 10, comma 2), che consentiva al Tribunale di esercitare una sorta di potere di perequazione contrattuale, era prevista nell’ambito del D.L. 118/2021 e legata all’emergenza COVID: l’impianto del Codice della crisi non prevede nulla di simile, se non un mero potere di sollecitazione da parte dell’esperto (art. 17, comma 5, CCII), il ché consente di affermare che al di fuori dei casi espressamente previsti, l’autonomia contrattuale delle parti non possa essere conformata ab externo”: non è condividibile nel senso che la (sopravvissuta) disposizione dell’art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021 è per l’appunto uno dei “casi espressamente previsti”. In questi termini v. la Relazione su novità normativa n. 87 del 15 settembre 2022 dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, n. 5, nota 15. Non è condivisibile, pertanto, la conclusione alla quale perviene – pur in termini molto sintetici – A. Cimolai, Le novità sulla composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it, 20 settembre 2022, secondo il quale la rideterminazione secondo buona fede del contenuto dei contratti divenuti eccessivamente onerosi sarebbe ora “affidata alla sola negoziazione delle parti e, dunque, senza più alcuna interposizione dell’autorità giudiziaria”: e ciò “a seguito della soppressione dell’intervento del Tribunale in tale contesto”.
[30] 
In argomento v. Angiolini, Sopravvenienze contrattuali e composizione negoziata: quali rimedi, in Dir. fall., 2022, I, 585; O. Cagnasso, Codice della crisi e diritto dei contratti: qualche spunto, in Corporate Governance, 2022, 263; I. Pagni, Crisi di impresa e crisi del contratto al tempo dell’emergenza sanitaria, tra autonomia negoziale e intervento del giudice, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 349; M. Fabiani, Il valore della solidarietà nell’approccio e nella gestione della crisi di impresa, in Fallimento, 2022, 10.
[31] 
Secondo Denozza, Crisi e rinegoziazione dei contratti, ecc., 895 ss. (testo e nota 18), “La rinegoziazione dei contratti, seppur diversamente disciplinata, fa quindi ormai stabilmente parte del diritto della crisi. Sul “cambio di passo” già segnato dal D.L. n. 118/2021 si veda, per tutti, V. Minervini, La nuova “composizione negoziata” alla luce della Direttiva “Insolvency”. Linee evolutive (extracodistiche) dell’ordinamento italiano, in Dir. fall., 2022, I, 251”. L’A. prosegue osservando che “l’ipotesi più plausibile è che, fino alla cessazione degli effetti di quella pandemia il secondo comma dell’art. 10 del d. l. 24 agosto 2021, n. 118 debba ritenersi sostanzialmente, anche se non formalmente, integrato nell’art. 17 CCII. Sicché, avviata l’ormai unica procedura di composizione prevista dall’art. 12 CCII, il regime della rinegoziazione sarà diverso a seconda che l’eccessiva onerosità dipenda o meno dalla pandemia”.
[32] 
Deve essere considerato pacifico, infatti, che “la norma [di cui all’art. 10, comma 2, CCII] potrà applicarsi ai soli contratti stipulati prima della pandemia…” (Denozza, op. cit., 908). L’A., a tale proposito, osserva anche che “non è chiaro se la sola indicazione dell’Esperto, cui l’art. 10, secondo comma, d. l. n. 118/2021 assegna il compito di individuare i contratti e le prestazioni contrattuali resi eccessivamente onerosi dalla pandemia, basti a giustificare il dovere di rinegoziarli o, come sembra preferibile, permetta ancora al contraente in bonis di allegare e dimostrare che l’eccessiva onerosità, anche ove sussistente, non sarebbe direttamente collegabile alla pandemia”. In argomento peraltro O. Cagnasso, Codice della crisi e diritto dei contratti: qualche spunto, in Corporate Governance, 2022, nt. 44, non esclude, ma ritiene debba valutarsi caso per caso, l’applicabilità del rimedio anche ai contratti conclusi nel corso della pandemia.
[33] 
Denozza, op. cit., 909.
[34] 
Il Tribunale competente, ai sensi dell’art. 46, terzo comma, D.Lgs. n. 83/2022, è quello individuato a norma dell’articolo 27 CCII. In merito alla possibilità che il ricorso venga introdotto malgrado l’inerzia dell’Esperto, Angiolini, op. cit., nt. 16, 600; G. Lener, Appunti sull’autonomia privata e sulla rinegoziazione del d. l. n. 118/2021, in Le nuove misure di regolazione della crisi di impresa. Commento al D.L. n. 118 del 2021 conv. Con L. n. 147 del 2021, a cura di L. De Simone, M. Fabiani, S. Leuzzi, in Diritto della Crisi, num. spec., novembre 2021, 175, reperibile in Diritto della crisi.
Il Tribunale, sentite le parti interessate e assunte le informazioni necessarie, provvede, ove occorra, ai sensi dell'art. 68 c.p.c., decidendo in composizione monocratica. Si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 ss. c.p.c. Il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.
[35] 
In questo senso anche Denozza, op. cit., 909. La conclusione è stata condivisa dal Consiglio di Stato, che nel Parere del 1° aprile 2022 osserva che la norma, collocata nella bozza licenziata dalla “Commissione Pagni” nell’art. 22, escluderebbe, quindi, il ricorso al Tribunale. In questo senso Lamanna, Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano, 2022, nt. 13, 174.
[36] 
Denozza, op. cit., 896, osserva che “dato che la disciplina attiene ai contratti di durata, è plausibile che la cautela sia stata dettata dall’eventualità che alcuni contratti stipulati prima dell’esplosione della pandemia nel marzo del 2020 possano ancora (eccezionalmente) necessitare di un’equa manutenzione giudiziale”. In altre parole: l’Esperto avrebbe potuto (meglio: avrebbe dovuto) invitare le parti a modificare il contratto divenuto eccessivamente oneroso per l’imprenditore in difficoltà a causa di eventi straordinari ed imprevedibili, anche laddove non fossero stati collegati alla crisi pandemica!
[37] 
Denozza, op. cit., 897 (nt. 20), si interroga sulla tenuta costituzionale dell’assetto venutosi a creare, che, consentendo il ricorso al Tribunale solo “se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia sa SARS-CoV-2”, potrebbe segnare una differenza troppo marcata per gli imprenditori che si trovino a fronteggiare una eccessiva onerosità dovuta ad altri eventi altrettanto drammatici, quali quelli indicati nel testo. All’opposto, altrettanti dubbi potrebbero derivare dal fatto che i terzi contraenti con l’imprenditore, anche se operanti nelle medesime condizioni – si pensi a due fornitori della medesima prestazione – si troveranno soggetti ai due diversi regimi di rinegoziazione solo in dipendenza del fatto che l’accresciuta onerosità della prestazione dipenda o meno dalla pandemia”.
[38] 
In questo senso Denozza, op. cit. 903 ss.
[39] 
In argomento Belli, L’alea e il contratto aleatorio: dalla nozione di rischio alla costruzione della categoria, in Studium iuris, 2013, 771; Di Giandomenico, Riccio, I contratti speciali. I contratti aleatori, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, XIV, Torino, 2005, 59.
[40] 
Denozza, op. cit., 907; in argomento v. anche Verzoni, Gli effetti, sui contratti in corso, dell’emergenza sanitaria legata al CoVid 19, in Giustiziavcivile.com, 2020, 213.
[41] 
In argomento anche Denozza, op. loc. ultt. citt. 
[42] 
In questi termini – prospettando un esito che giudica “auspicabile” – la Relazione su novità normativa n. 87 del 15 settembre 2022 dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, secondo il quale “resta quindi, sia pure come misura auspicabile destinata ad esaurirsi, un potere giudiziale di rideterminazione del contenuto contrattuale volto a riequilibrare il sinallagma “sconvolto” dalle sopravvenienze legate alla diffusione pandemica del Covid – 19”.
[43] 
Principio ribadito dalla conferma del divieto di ricomprendere la “concessione di credito” nei possibili "effetti estensivi" dello “Accordo di Ristrutturazione ad efficacia estesa”, e della (nuova) “Convenzione di Moratoria", disposto dai novellati artt. 182 secties e 182 octies L. fall. e ripetuto negli articoli 61, comma 4, e 62, comma 3 CCII: supra, n. 6.
[44] 
In argomento v. A. Cimolai, La novità sulla composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it, 20 settembre 2022.
[45] 
In questi termini I. Pagni, M. Fabiani, op. cit., p. 22; L. Panzani, op. cit., p. 31; L. De Simone, Le autorizzazioni giudiziali, in Diritto della crisi, 9 dicembre 2021, p. 8. Secondo G. Brancadoro e F. Marelli, L’autorizzazione a trasferire l’azienda e a contrarre nuovi finanziamenti prededucibili, in La composizione negoziata quale soluzione alla crisi d’impresa, a cura di G. Rocca (Quaderni della scuola di Alta Formazione Luigi Martino, n. 90), l’autorizzazione non è richiesta per consentire all’imprenditore di compiere i relativi atti, ma solo perché possano prodursi gli effetti protettivi per le controparti dei relativi negozi (oltre che per l’imprenditore che avrà comunque superato il vaglio del Tribunale e potrà quindi confidare di non incorrere in responsabilità in caso di successivo accesso a una procedura concorsuale). In argomento v. anche S. Mansoldo, op. cit., p. 188 ss.; R. D’Alonzo, I compiti dell’esperto nella Composizione negoziata, tra adempimenti e scadenze, in Dirittodellacrisi.it, 11 gennaio 2022, p. 18 ss.; G. D’Attorre, Il trasferimento dell’azienda nella Composizione negoziata, in Dirittodellacrisi.it, 5 novembre 2021. In argomento si richiama l’attenzione sulla rilevante decisione di Cass., 15 dicembre 2021, n. 40149, che ha affermato il principio secondo il quale il cessionario d’azienda risponde di tutte le imposte e le sanzioni del cedente.
[46] 
Supra, § 3.
[47] 
L. De Simone, op. cit., p. 9.
[48] 
L. Panzani, op. cit., p. 31: “Anche se l’art. 10 del D.L. non lo dice espressamente, pare evidente che il tribunale sentirà l’esperto negoziatore, il quale comunque dovrà essere informato preventivamente dall’imprenditore trattandosi sia nel caso di cessione d’azienda che di finanziamenti (per questi nella maggior parte dei casi) di atti di straordinaria amministrazione”; L. De Simone, op. cit., p. 12: “Nel procedimento avanti al tribunale l’esperto non assume la veste di ausiliario del giudice, ma in quanto professionista indipendente, a conoscenza dell’esatta situazione dell’imprenditore, egli garantirà al magistrato, che potrà acquisire per suo tramite qualsiasi informativa ritenuta utile, anche in ragione degli obblighi cui è vincolato ex art. 4 D. L. n. 118 del 2021, un metro oggettivo sulle vicende ristrutturatorie in corso. Verrà assicurato, pertanto, all’autorità giudiziaria coinvolta nel percorso un punto di vista neutrale idoneo a far luce sull’effettiva funzionalità dell’autorizzazione richiesta. La circostanza stessa che il tribunale possa assumere informazioni dà supporto alla possibilità di una interlocuzione ad ampio spettro con l’esperto, al fine di ricavarne tutte le informazioni utili sull’ipotesi traslativa, sull’attualità del mercato, sulla natura e finalità del finanziamento richiesto e quant’altro possa interferire con le valutazioni da assumere”.
[49] 
I. Pagni, M. Fabiani, op. cit., p. 23.
[50] 
In argomento S. Bonfatti, La liquidazione coatta amministrativa della banca, in F. Vassalli, F.P. Luiso, E. Gabrielli (a cura di), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, vol. V, Giappichelli, Torino, 2014, p. 910 ss. In tale occasione si è sottolineato: “Il problema di maggior rilievo proposto dalla precisazione, da parte dell’art. 90, comma 2, t.u.b., dell’adozione di modalità di liquidazione dell’attivo costituite dal compimento di operazioni di ‘cessione aggregata’, è certamente rappresentato dalla compatibilità dei loro effetti con il rispetto del principio generale della par condicio creditorum. A taluni Autori va riconosciuto il merito di ammettere schiettamente – salvo esprimere una valutazione critica – che la previsione dell’art. 90, comma 2, t.u.b., comporta l’ammissibilità di ipotesi di violazione del principio di trattamento paritario di tutti i creditori: mentre altri assumono posizioni sfumate, generiche, contraddittorie. Ora bisogna riconoscere che la legge consente positivamente l’adozione di modalità di liquidazione dell’attivo bancario dalle quali possano scaturire operazioni di “cessione aggregata” parziali, compiute con un unico cessionario o con più cessionari. Anche tra categorie di creditori titolari di pretese ugualmente ‘inerenti’, una diversità di trattamento potrà derivare dalla differente composizione degli ‘aggregati’ oggetto delle operazioni di cessione parziale: giacché vi saranno – ad esempio – ‘rami’ d’azienda, presentanti un attivo pari o superiore al passivo, di tal ché l’accollo delle passività al cessionario potrà avvenire in misura integrale per tutte le passività (‘inerenti’) traferite; mentre vi potranno essere altri ‘rami’, per i quali il passivo sopravanza largamente l’attivo, onde il cessionario non potrà accollarsi integralmente le passività ‘inerenti’, ed una percentuale dei crediti relativi dovrà vedere affidato il suo soddisfacimento all’eventualità di ripartizioni disposte dalla procedura di liquidazione coatta amministrativa. Secondo la giurisprudenza, ‘la regola della par condicio creditorum (sicuramente applicabile, in linea di principio, anche ai dissesti bancari e creditizi) non ha carattere assoluto e non può pertanto ergersi sempre e comunque a criterio interpretativo dirimente … quand’anche si volesse nella specie (della clausola limitativa della responsabilità del cessionario) ravvisare una menomazione della par condicio (che costituisce principio di natura meramente codicistica), si tratterebbe pur sempre di una menomazione tollerata dal legislatore in nome dei più rilevanti obiettivi (di emergenza fondamentale: cfr. l’art. 47 Cost.) insiti nella conservazione e nella funzionalità del sistema creditizio, nonché nella continuità dei servizi bancari resi alla collettività. Il ché dà ragione del necessario coinvolgimento autorizzativo e di vigilanza demandato … alla Banca d’Italia’. La conclusione della sentenza in discussione va certamente valutata con prudenza: ma sembra confermare l’idea che la constatazione di un trattamento disuguale dei creditori della banca in l.c.a. non sia sufficiente a fare ritenere inammissibili delle operazioni di ‘cessione aggregata’, per come previste dall’art. 90, comma 2, t.u.b.”.
[51] 
S. Brancadoro e F. Marelli, op. cit., 38.

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