La gestione dell'impresa nella procedura di composizione negoziata
Sido Bonfatti, Professore di diritto fallimentare nell’Università di Modena e Reggio Emilia, già Ordinario di diritto commerciale nel medesimo ateneo
26 Settembre 2023
Cambia dimensione testo
Essa si presenta, infatti, come l’alternativa alle trattative stragiudiziali che vengono avviate nel momento della emersione di una situazione di difficoltà [2].
Nelle situazioni nelle quali l’imprenditore, avvertite alcune situazioni di difficoltà, ovvero individuati dei fattori che potrebbero compromettere l’attività d’impresa in un prossimo futuro, decidesse di ricorrere a professionisti esperti nella revenzione/superamento/composizione delle situazioni di crisi d’impresa, e con il loro aiuto avviare trattative con i creditori (o, più spesso, con una categoria di creditori, ovvero con taluni di essi), allora l’imprenditore in questione si troverebbe – a seguito dapprima dell’entrata in vigore del D.L. n. 118/2021, e successivamente della sopravvenienza degli articoli 12 ss. CCII – a potere contare su una alternativa, prima non disponibile.
L’alternativa è rappresentata per l’appunto dalla “procedura” di composizione negoziata della crisi d’impresa, che si contrappone alla tradizionale “trattativa stragiudiziale” come una “trattativa agevolata”, alla quale l’imprenditore può ricorrere, in condizioni di:
a) totale assenza di effetti pregiudizievoli;
b) garanzia di – sia pure contenuti – effetti profittevoli;
c) opportunità della conseguibilità – sia pure a determinate condizioni – di “effetti speciali”.
Sotto il primo profilo (“totale assenza di effetti pregiudizievoli”) la “trattativa agevolata” non presenta alcun inconveniente rispetto alla “trattativa stragiudiziale” (tradizionale).
Quest’ultima è rappresentata, classicamente, dall’avvio di colloqui con i maggiori creditori (per lo più le banche ed eventualmente altri intermediari finanziari, come le imprese di leasing), sviluppati dai professionisti che assistono l’imprenditore e condotti tramite l’intervento di un advisor, individuato di comune accordo. La pendenza delle trattative non condiziona in alcun modo la gestione dell’impresa da parte dell’imprenditore interessato, che rimane nella sua totale disponibilità, salvo le eventuali limitazioni che egli intenda accettare allo scopo di favorire lo sviluppo delle trattative (per es. lasciare inalterato il quadro delle garanzie eventualmente concesse – o non concesse – ai creditori partecipanti alle trattative).
Rispetto a tale prospettiva, quella che si apre con l’avvio della procedura di “composizione negoziata” non presenta alcun inconveniente, in quanto:
a) il costo dell’esperto nominato dalla speciale Commissione di cui all’art. 13, comma 6, c.c.i.i. rimane a carico dell’imprenditore, non meno di quanto rimarrebbe a carico dello stesso il costo dell’advisor (anzi, con ogni probabilità il costo è inferiore, alla luce di quanto disposto dall’art. 25 ter CCII)[3];
b) il ruolo dell’imprenditore nella scelta dell’esperto (ruolo non rilevante, essendo l’esperto designato – come detto – da una speciale Commissione) non è tanto più pregiudizievole rispetto al ruolo che all’imprenditore sarebbe riconosciuto nella individuazione dell’advisor, visto che questo deve essere di “gradimento” dei creditori (e tutt’al più all’imprenditore è dato di scegliere, nell’ambito di una rosa di professionisti benevisi ai creditori, quello “meno sgradito”);
c) la riservatezza dell’avvio delle trattative non è meno garantito nella “trattativa agevolata” che nella “trattativa stragiudiziale” tradizionale – tutt’altro, come si dirà –;
d) la gestione dell’impresa rimane integralmente nelle mani dell’imprenditore, che non soffre di limitazione alcuna (che non siano quelle che egli stesso decida di accettare, per favorire uno sviluppo proficuo delle trattative).
Questo ultimo principio va affermato con fermezza e va sottolineato con grande evidenza.
Non soltanto l’art. 21, comma 1, CCII afferma che “nel corso delle trattative l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa”, ma anche l’art. 18, comma 1, afferma che nonostante l’eventuale produzione di “misure protettive”, che impediscono ai creditori di porre in essere atti funzionali ad acquisire titoli di prelazione o pagamenti coattivi, l’imprenditore può: (i) concordare garanzie a suo piacere (essendo inibite soltanto quelle “non concordate”, cioè subite); e (ii) porre in essere i pagamenti che ritiene più opportuno fare (“Non sono inibiti i pagamenti”) [4]-[5].
Sotto il secondo profilo (“garanzia di – sia pure contenuti – effetti profittevoli”), si deve segnalare come la semplice scelta della “trattativa agevolata” rispetto alla “trattativa stragiudiziale” – senza altro impegno, quindi, come detto, “a costo zero” – comporta per l’imprenditore alcuni effetti profittevoli “automatici”, in quanto conseguenti alla semplice apertura della “procedura”.
Vanno citati a tale proposito:
i) il conseguimento di “misure premiali” di carattere fiscale (art. 25 bis CCII), che divengono operative a far seguito dell’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto;
ii) la conseguibilità di “sbocchi speciali” alla trattativa, quali quelli indicati dall’art. 23 CCII, nonché dello “sbocco” rappresentato dal “Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio”. Sono tutte soluzioni, queste, che non potrebbero mai essere perseguite all’esito di una “trattativa stragiudiziale”, perché postulano il preventivo avvio (e conduzione) della “trattativa agevolata” rappresentata dalla “procedura” della Composizione negoziata;
iii) la sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione di cui agli artt. 2446 e 2447 c.c. (art. 20 CCII). L’effetto si produce a seguito di semplice “dichiarazione” dell’imprenditore di volerne approfittare, e – a sua scelta – o da subito (“con l’istanza di nomina dell’esperto”), ovvero dal successivo momento preferito (“o con dichiarazione successivamente presentata”);
iv) una più accentuata garanzia di “riservatezza”.
Fermo restando che anche la “trattativa stragiudiziale” deve essere caratterizzata dai connotati di riservatezza che inevitabilmente investono le situazioni (di “crisi”, o di “pre-crisi”) che ne costituiscono il presupposto, non deve essere trascurato il ripetuto invito alla riservatezza, rivolto all’esperto (“l’esperto…opera in modo riservato …” – art. 16, comma 2, CCII –); ed a tutte le parti della trattativa (“Tutte le parti coinvolte nella trattativa … rispettano l’obbligo di riservatezza sulla situazione dell’imprenditore, sulle iniziative da questo assunte o programmate e sulle informazioni acquisite nel corso delle trattative” – art. 16, comma 6 –). Oltre a ciò, particolare rilievo deve essere attribuito al principio affermato dall’art. 16, comma 3, CCII secondo il quale “… l’esperto non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nell’esercizio delle sue funzioni, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità” [6].
Sotto il terzo profilo (“opportunità della conseguibilità – sia pure a determinate condizioni – di “effetti speciali”), si deve segnalare come attraverso la conduzione della “trattativa agevolata”, consentita dall’accesso alla “Composizione negoziata” della crisi d’impresa, si possano conseguire – come vedremo – “effetti speciali” – sia pure condizionati a determinati presupposti –, che con l’avvio di una “trattativa stragiudiziale” tradizionale non potrebbero essere conseguiti mai, neppure attraverso la realizzazione degli identici presupposti; ovvero per semplice inammissibilità del tentativo di conseguirli.
La prima parte del comma 1 era peraltro rimasta immutata e recitava: “Nel corso delle trattative l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa”: e lo stesso deve dirsi per il sopravvenuto art. 21, comma 1, CCII.
Come vedremo, l’autonomia privata, così confermata in termini illimitati, registra talora dei “controlli” ed è accompagnata talvolta da “integrazioni”: ma in nessun caso con l’effetto di condizionare la validità giuridica ovvero la opponibilità ai terzi dell’atto interessato.
L’atto compiuto dall’imprenditore (abbia esso natura “ordinaria”; natura “straordinaria”; o finanche “preferenziale”[7]) è sempre e comunque valido ed opponibile [8].
Esso non è meno valido ed opponibile di quanto lo sarebbe nel contesto di una “trattativa stragiudiziale” tradizionale, dovendosi continuare a fare applicazione del principio dettato dall’art. 2086 c.c. [9].
E per converso esso non è necessariamente “più” valido di quanto non sarebbe se posto in essere nel contesto di una “trattativa stragiudiziale”, sotto il profilo della applicabilità dell’art. 2486 c.c. [10].
Per tale ragione si può affermare la regola secondo la quale la procedura di Composizione negoziata della crisi d’impresa è improntata al principio della autonomia privata illimitata dell’imprenditore.
Ferma restando la regola sopra affermata, si deve se mai aggiungere che la circostanza rappresentata dalla pendenza di una “trattativa agevolata” introduce alcune possibili varianti – escluse nella ipotesi di perseguimento del superamento della situazione di “crisi” attraverso una “trattativa stragiudiziale” tradizionale –, che incidono anche sull’ampiezza e sulla portata della autonomia privata esercitata dall’imprenditore: tutto ciò – peraltro – sempre nella prospettiva di mantenere i già ricordati vantaggi conseguibili con la “trattativa agevolata” – e non conseguibili, invece, con la “trattativa stragiudiziale” tradizionale –,ovvero – addirittura – di conseguire ulteriori e particolari “effetti speciali”.
Sotto il primo profilo, se l’imprenditore vuole assicurarsi l’ordinata prosecuzione delle trattative ed evitare il pericolo che l’esperto si formi una opinione negativa sul possibile esito delle trattative e suggerisca l’archiviazione della “procedura”, dovrà:
a) in caso di ricorrenza di un attuale “stato di crisi”, improntare la gestione dell’impresa alla salvaguardia della “sostenibilità economico-finanziaria dell’attività” (art. 21, comma 1, prima parte, CCII);
b) nell’ipotesi in cui “nel corso della composizione negoziata risulti che l’imprenditore è insolvente” (ma sussistono concrete prospettive di risanamento), fare in modo che la gestione dell’impresa persegua il prevalente interesse dei creditori (art. 21, comma 1, seconda parte);
c) in caso di compimento di atti di straordinaria amministrazione o di effettuazione di pagamenti, osservare il procedimento delineato dall’art. 21, commi 2-4, CCII, che prevede: una informazione preventiva scritta all’esperto; l’attesa della risposta scritta dello stesso; la immediata comunicazione all’esperto, in caso di manifestazione di dissenso da parte dello stesso, di voler porre ugualmente in essere l’atto di straordinaria amministrazione o il pagamento;
d) allo scopo di conseguire l’effetto della “esimente” penale per i comportamenti costituenti, da un punto di vista oggettivo, fatti rilevanti per la configurazione dei reati di bancarotta semplice e di bancarotta fraudolenta (art. 24, comma 5, CCII), dovrà assicurare la coerenza degli atti posti in essere “con l’andamento delle trattative e della prospettiva di risanamento dell’impresa”: tale “esimente”, nell’ambito della “trattativa stragiudiziale”, non potrebbe mai essere “garantita”, neppure in presenza della rappresentata coerenza;
Ciò – si ripete – ferma restando la validità e la opponibilità dell’atto (quale che ne sia la natura), anche nell’ipotesi di violazione di questa forma di gestione definibile “autonomia privata controllata”, cioè anche in mancanza di ottemperamento alle disposizioni sopra riportate.
Sotto il secondo profilo, allorquando l’imprenditore intenda conseguire dalla trattativa avviata con i creditori “effetti speciali”, che come tali ne agevolino il successo, dovrà conseguire la integrazione della propria autonomia gestionale con fattori supplementari, il cui intervento è giudicato dalla disciplina della “composizione negoziata” come idoneo a giustificare misure agevolative altrimenti inapplicabili.
In questa prospettiva:
a) al fine di produrre gli effetti conseguenti all’applicazione delle “misure protettive” di cui all’art. 18, comma 1, CCII, l’imprenditore dovrà aggiungere alla assunzione dell’iniziativa della richiesta di nomina dell’esperto, anche la pubblicazione nel Registro delle Imprese dello stesso e della conseguente accettazione, così rinunciando alla “riservatezza” delle trattative nei confronti del “pubblico”. In tal modo, l’imprenditore sarà in condizione di ottenere “effetti protettivi” immediati e di portata e “qualità” altrimenti mai conseguibili [11];
b) al fine di mantenere gli effetti conseguenti alla attuazione delle “misure protettive”, l’imprenditore dovrà integrare quanto già posto in essere con il conseguimento dell’autorizzazione del Tribunale (art. 19);
c) al fine di assicurare ai crediti derivanti da finanziamenti ricevuti da terzi, da soci (senza il limite dell’80% imposto per il Concordato preventivo e per gli Accordi di Ristrutturazione dall’art. 102 CCII), da società del “gruppo” (sempre senza alcun limite percentuale), l’effetto della collocabilità in prededuzione, l’imprenditore dovrà integrare la conclusione del contratto di finanziamento (con il consenso dell’esperto, ovvero la mancata pubblicizzazione dell’eventuale dissenso [12], allorché il finanziamento presenti i caratteri dell’atto di straordinaria amministrazione [13], nonché e comunque) con l’autorizzazione del Tribunale (art. 22, comma 1). Anche in questa ipotesi non rileva la circostanza che l’effetto de quo sia condizionato alla preventiva autorizzazione del Tribunale: rileva piuttosto la circostanza che nella “trattativa stragiudiziale” tradizionale tale effetto non potrebbe essere conseguito mai, a nessuna condizione;
d) al fine di assicurare al cessionario dell’azienda, o di uno o più rami di essa, la esenzione da responsabilità per le passività pregresse inerenti all’esercizio dell’impresa risultanti dai libri contabili obbligatori (salvo i debiti di lavoro), l’imprenditore dovrà integrare il contratto di cessione – di per sé comunque liberamente perfezionabile [14] – con la autorizzazione del Tribunale (art. 22, comma 1, lett. d).
Anche tale “incentivo” [15] non potrebbe essere messo a disposizione del potenziale acquirente in alcun modo, se l’operazione fosse posta in essere nel contesto di una “trattativa stragiudiziale” tradizionale;
e) al fine di conseguire la “equa rideterminazione” del contenuto dei contratti pendenti, allorché la prestazione a carico dell’imprenditore sia divenuta “eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2” (art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021) [16], l’imprenditore dovrà conseguire l’autorizzazione del Tribunale (art. 10, comma 2). Non rileva la circostanza che tale risultato sia condizionato ad un provvedimento del Tribunale: rileva piuttosto la circostanza che tale risultato non potrebbe essere conseguito mai nel contesto di una “trattativa stragiudiziale” tradizionale, o comunque – questo è certo – con la stessa efficacia assicurata dalla “trattativa
agevolata” [17];
f) al fine di potere dar vita ad un Piano Attestato di Ristrutturazione senza dovere depositare la Relazione Attestativa di cui all’art. 166, comma 3, lett. d), CCII, l’imprenditore dovrà conseguire la condivisione dell’esperto (art. 23, comma 1, lett. c);
g) al fine di potere concludere un Accordo di Ristrutturazione “ad efficacia estesa” attraverso il conseguimento di una maggioranza di adesioni “attenuata” (dal 75% al 60%), dovrà ottenere che il raggiungimento dell’Accordo risulti dalla Relazione finale dell’esperto (art. 23, comma 2);
h) al fine di conseguire la “esenzione” degli atti posti in essere nel corso delle trattative dalla assoggettabilità all’azione revocatoria fallimentare disciplinata dall’art. 166, comma 2, CCII, dovrà:
i) quanto agli atti di ordinaria amministrazione, integrare il compimento degli stessi con la prova della loro coerenza con l’andamento delle trattative e le prospettive di risanamento (art.24, comma 2); e
ii) quanto agli atti di straordinaria amministrazione ed i pagamenti, integrare il compimento degli stessi con il consenso dell’esperto, ovvero la dimostrazione della mancata pubblicizzazione dell’eventuale dissenso nel Registro delle Imprese. Anche in questo caso, non rileva che la “esenzione” sia condizionata alla “coerenza” dell’atto con l’andamento delle trattative e le prospettive di risanamento (nonché, per gli atti di straordinaria amministrazione ed i pagamenti,
al consenso dell’esperto od alla mancata pubblicizzazione dell’eventuale dissenso)[18]: rileva invece la circostanza che tale opportunità non potrebbe essere colta, nel contesto di una “trattativa stragiudiziale” tradizionale, ad alcuna condizione;
i) al fine di potere conseguire l’effetto della esclusione della postergazione per i finanziamenti “infra-gruppo” (art. 25, comma 8), l’imprenditore dovrà osservare il procedimento previsto per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione: laddove, fuori di questa “procedura”, la postergazione non potrebbe mai essere evitata.
“In mancanza di accordo”, aggiunge la norma, “il tribunale, acquisito il parere dell’esperto … può rideterminare equamente le condizioni del contratto… come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale”.
In tale contesto, il ruolo dell’esperto avrebbe potuto assumere almeno due caratterizzazioni.
La prima era rappresentata dalle situazioni nelle quali una rideterminazione delle condizioni dei contratti cc.dd. “di durata” appariva opportuna per il superamento della condizione di difficoltà dell’imprenditore, ma non “indispensabile”.
In tali fattispecie il ricorso all’intervento “coattivo” del Tribunale sarebbe stato precluso, ma rimaneva ugualmente affidato al compito dell’esperto il tentativo di indurre le parti a riequilibrare le condizioni del contratto [20].
Le modalità erano suggerite dal decreto dirigenziale 28 settembre 2021, secondo il quale “l’esperto convoca uno o più incontri nei quali le parti possano sviluppare opzioni diverse e discutere delle possibili ipotesi di soluzione, cercando, per quanto possibile, di evitare il ricorso al tribunale, avendo altresì cura di richiedere alle parti se, nel caso di insuccesso della rinegoziazione, acconsentono a che l’esito delle trattative e le motivazioni del mancato accoglimento delle proposte vengano riferiti al tribunale. È opportuno che tale richiesta venga formulata sin nel primo incontro e che degli incontri venga redatto un sintetico verbale come precisato al punto 8,5”.
Nella fattispecie nella quale l’intervento sui contratti di durata “pendenti” – essendo questi i rapporti interessati dalla norma [21] – si fosse rivelato “indispensabile” – o comunque tale fosse stato giudicato dall’imprenditore –, l’attivazione dell’esperto avrebbe potuto rappresentare un presupposto necessario per il successivo coinvolgimento del Tribunale: nel senso della possibile inammissibilità del ricorso alla autorità giudiziaria, in mancanza della dimostrazione dell’insuccesso del tentativo posto in essere dall’esperto [22].
Una volta che la rideterminazione del contenuto del contratto non avesse potuto essere conseguita attraverso le trattative agevolate dall’esperto e l’imprenditore si fosse rivolto al Tribunale, era disposto che questi ne acquisisse comunque il parere.
Secondo il decreto dirigenziale 28 settembre 2021 il parere dell’esperto doveva contenere, “come elementi minimi”, le seguenti indicazioni:
“– sul fatto che la misura richiesta nel ricorso dell’imprenditore consenta effettivamente di assicurare la continuità aziendale;
– sul tempo minimo necessario perché questo avvenga.
Solo nel caso in cui le parti vi abbiano acconsentito, il parere potrà contenere anche indicazioni circa le ragioni del fallimento delle trattative, se ciò sia utile al fine della valutazione del tribunale sulla richiesta dell’imprenditore. Quando sentito dal tribunale, l’esperto potrà, ove richiesto e nei limiti in cui i principi in punto di riservatezza lo consentano, esprimersi sulle ragioni dei soggetti incisi dal provvedimento”.
Sotto questo profilo occorre tuttavia osservare che l’art. 4, comma 3, D.L. n. 118/2021 prevedeva come unica eccezione all’obbligo di riservatezza dell’esperto l’ipotesi della sua audizione da parte del Tribunale per la decisione sulla conferma o sulla modificazione delle “misure protettive” attivate (e richieste) dall’imprenditore, non già (anche) l’occasione della richiesta della sua Relazione nell’ipotesi di intervento del Tribunale sulla “equa rideterminazione” dei contratti.
Ciò precisato, occorre aggiungere che fermo il “minimo sindacale” prescritto dal decreto dirigenziale 28 settembre 2021, doveva ritenersi opportuno che la Relazione dell’esperto prendesse anche in considerazione i temi rappresentati da:
a) sussistenza dei “presupposti oggettivi” di intervento del Tribunale (l’effettiva corrispondenza dei contratti interessati dalla richiesta di intervento alle figure dei “contratti di durata” precisati nella norma);
b) la riconducibilità della causa della eccessiva onerosità sopravvenuta alla “pandemia da SARS-CoV-2” [23];
c) la ritenuta “indispensabilità” dell’intervento e le ragioni sottese a tale valutazione [24];
d) l’ammissibilità dell’invocato intervento giudiziale, tenuto conto delle inevitabili ricadute sul versante della concorrenza tra imprese [25].
A tale proposito era stata espressa l’opinione [26] secondo la quale “la rideterminazione giudiziale del contenuto dei contratti dovrebbe essere esercitata soltanto verso le controparti: (i) che operino in una situazione di monopolio e (ii) che si avvantaggino ingiustamente della situazione di dipendenza economica del debitore”. Si è osservato, a tale proposito che “la soluzione più efficiente per il sistema, conforme ai principi di equa rideterminazione delle condizioni del contratto e di equilibrio tra le prestazioni di cui all’art. 10, comma 2, è dunque quella di limitare la modifica coattiva dei contratti ai casi eccezionali in cui il funzionamento del libero mercato si inceppa. Ciò può determinarsi per contratti stipulati con fornitori in situazione monopolistica (o quasi-monopolistica), cioè nei casi in cui l’imprenditore in crisi non può sciogliersi dal contratto sbilanciato, non disponendo di fornitori alternativi a cui rivolgersi per l’acquisto di beni e servizi essenziali alla prosecuzione dell’attività. Non basta: la rideterminazione dovrebbe operare unicamente quando il monopolista si stia avvantaggiando ingiustamente della dipendenza economica del debitore per lucrare extra-profitti, poiché essa (la rideterminazione) non può avere il mero fine di trasferire l’eccessiva onerosità determinata dalla pandemia ad un soggetto incolpevole. Esula dalla portata della norma, ad esempio, il monopolista che si limiti a ribaltare sull’imprenditore in crisi l’aumento di prezzo delle materie prime che egli abbia subito, senza applicare alcun mark-up”.
In tale prospettiva i “casi positivi” che avrebbero potuto essere citati come possibile campo di intervento del Tribunale, in funzione della “equa rideterminazione” del contenuto dei contratti “di durata” pendenti – divenuti eccessivamente onerosi per l’imprenditore, impegnato nella procedura di “composizione negoziata”, a causa della crisi pandemica –, avrebbero dovuto essere identificati con i cc.dd. “situational monopolies” [27].
II. La disciplina della possibile “rideterminazione” del contenuto dei contratti “ad esecuzione continuata o periodica ovvero differita” si atteggia però, nella disciplina sopravvenuta a seguito della entrata in vigore dl CCII (art. 17, comma 5), in modo diverso da come era originariamente declinata nel D.L. n. 118/2021, convertito nella legge n. 147/2021 (art. 10, comma 2).
In primo luogo, il CCII prevede soltanto l’iniziativa dell’Esperto, e non prevede - di per sé - il possibile intervento del Tribunale [28].
In secondo luogo, il presupposto del possibile intervento (dell’Esperto) è rappresentato dalla condizione che “la prestazione [sia] divenuta eccessivamente onerosa o che [sia] alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute”, laddove il presupposto dell’applicabilità della corrispondente disciplina del D.L. n. 118/20221 era rappresentato (ed è rappresentato, per quanto si dirà, allorché entri in scena l’intervento del Tribunale) dalla condizione che “la prestazione [fosse] divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2”.
In argomento occorre preliminarmente precisare che le disposizioni sopra richiamate sono tuttora applicabili entrambe: l’art. 17, comma 5, CCII, perché fa parte della disciplina della CNC in vigore dal 15 luglio 2022; e l’art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021, perché mai abrogato [29].
Ciò precisato, occorre anche avvertire che alla previsione del possibile “intervento” dell’Esperto, funzionale ad “invitare” le parti a rideterminare il contenuto dei contratti divenuti eccessivamente onerosi per l’imprenditore ammesso alla CNC, non può essere attribuito un peso specifico particolare. Si tratta, come precisa la norma, di un (semplice) “invito”, e come tale deve essere valutato: una delle tante manifestazioni che può assumere la funzione di “facilitazione” che è attribuita all’Esperto (non così diversa dall’ipotesi della proposta a valutare una proroga della scadenza del credito verso l’imprenditore in crisi; uno stralcio della
pretesa vantata nei suoi confronti; eccetera).
In tale contesto, non molto rileva la circostanza che a mente di quanto previsto dall’art. 10, comma 2, prima parte, D.L. n. 118/2021, lo “invito” in commento fosse (e sia tuttora, per ciò che concerne il possibile ntervento del Tribunale) collegato ad una eccessiva onerosità sopravvenuta “per effetto della pandemia da SARS-CoV-2”[30]: mentre a mente di quanto previsto dall’art. 17, comma 5, seconda parte, CCII, detto “invito” è collegato ad una eccessiva onerosità sopravvenuta (ovvero ad una
alterazione dell’equilibrio del rapporto contrattuale)” in ragione di circostanze sopravvenute” [31].
Se mai, ci si può domandare se abbia (avuto) senso mantenere in vigore una disposizione collegata ad una fattispecie particolare (la pandemia da “SARS-CoV-2”) che sarebbe rientrata (e rientrerebbe) nel genus di carattere generale (la “circostanza sopravvenuta”)[32] già disciplinato nell’identico modo. Tanto più quando si consideri come “quest’ultima locuzione” [quella contenuta nell’art. 17, comma 5, CCII] copra “una più vasta area di ipotesi, comprendente non solo quelle in cui lo squilibrio dipende dall’eccessiva onerosità sopravvenuta di una prestazione, ma, certamente, anche quelle in cui l’alterazione del rapporto discende dallo svilirsi del valore della controprestazione” [33].
Nello stesso modo, valutando il senso e la portata dell’art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021, sino a quando si considera la disciplina del possibile intervento dell’Esperto per “invitare” le parti a valutare l’opportunità di riequilibrare le prestazioni di un contratto ad esecuzione continuata, divenute eccessivamente onerose per l’imprenditore ammesso alla CNC, poco rileva la circostanza che la norma facesse riferimento all’ipotesi nella quale il fenomeno considerato si fosse prodotto “per l’effetto della pandemia da SARS- CoV-2”, piuttosto che per effetto di un altro evento ugualmente drammatico ed imprevisto (un esempio per tutti: il conflitto bellico prodottosi tra Ucraina e Russia): non ci sarebbe stata ragione di escludere, infatti, la possibilità di un intervento dell’Esperto ad invitare le parti a riequilibrare le prestazioni del contratto pendente anche laddove lo squilibrio sopravvenuto fosse stato causato da un evento (diverso dalla crisi pandemica, e tuttavia) egualmente sconvolgente. Anzi si può ritenere che tale tentativo avrebbe dovuto rientrare tra i doveri dell’Esperto, investito della funzione di “facilitare” la creazione delle
condizioni per il risanamento dell’impresa, a prescindere dalla fattispecie particolare (cioè “pandemica”) considerata dalla norma.
In tutt’altri termini la questione si pone invece – ad avviso di chi scrive – allorché si consideri la funzione della legittimazione dell’autorità giudiziaria, su istanza dell’imprenditore ammesso alla CNC[34], a “rideterminare equamente le condizioni del contratto” pendente, divenute eccessivamente onerose: a farlo – intendo dire – “d’autorità”.
In primo luogo è necessario chiarire che tale intervento è ammesso – allo stato degli atti – esclusivamente nell’ipotesi nella quale la alterazione sopravvenuta (in danno dell’imprenditore ammesso alla CNC) dell’originario equilibrio del contratto pendente possa dirsi intervenuta “per effetto della pandemia da SARS-CoV-2”: a tale evento, infatti, l’art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021 ricollega la legittimazione del tribunale a provvedere sulla richiesta di “riequilibrio”, laddove la portata più generale della disposizione contenuta nell’art. 17, comma 5, CCII non ha rilevanza, non prevedendo – e dunque non consentendo – tale norma – la quale, come detto, ha una portata più vasta – l’intervento dell’autorità giudiziaria sul contratto pendente divenuto eccessivamente oneroso [35].
La sopravvivenza della norma alla trasfusione della disciplina della CNC nel codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, nel luglio 2022, può sorprendere [36]: tanto più laddove si consideri che nel momento di confermare la legittimazione della autorità giudiziaria ad intervenire nei contenuti dei singoli negozi giuridici pendenti tra contraenti (uno dei quali ammesso alla CNC), per modificarne il contenuto d’imperio, avrebbe potuto essere opportuno non collegare più (ovvero non collegare soltanto) tale funzione all’ipotesi di una alterazione (ormai) abbastanza improbabile (quella provocata dalla crisi pandemica da SARS-CoV-2) – ovvero, in ogni caso, “in estinzione” -: quanto piuttosto (ovvero anche), se mai, ad ipotesi più attuali e più credibili (prima tra tutte l’effetto del perdurante conflitto bellico che ha investito tutta l’Europa; la conseguente crisi energetica che ha reso insostenibile la regolare esecuzione dei contratti di fornitura di prodotti energetici da parte delle imprese cc.dd. “energivore” – si pensi soltanto alle imprese ceramiche -; e così via)[37].
Ciò precisato, occorre ancora segnalare come nonostante l’espressione adottata (“la prestazione è diventata eccessivamente onerosa”) equivalga a quella utilizzata dall’art. 1467 c.c. per descrivere le ipotesi di risolvibilità del contratto ad esecuzione continuata o periodica a causa della eccessiva onerosità sopravvenuta, il suo perimetro di applicabilità è ritenuto tuttavia più ampio, non essendo contemplata la riserva – contenuta invece nel secondo comma del richiamato art. 1467 c.c. – della ricomprensibilità “nell’alea normale del contratto”[38]. Per converso la norma potrebbe non poter trovare applicazione nei contratti aleatori cc.dd. tipici [39]: il ché ne comporterebbe la inapplicabilità, per esempio, ai contratti assicurativi.
Si deve infine ritenere che l’intervento dell’autorità giudiziaria evocato dall’imprenditore ammesso alla CNC, ai sensi dell’art. 10, comma 2, seconda parte, D.L. n. 118/2021, non potrebbe essere eluso dalla banca attraverso l’inserimento nel contratto di finanziamento di una clausola contrattuale “impeditiva” dell’adozione di tale iniziativa, ritenendosi[40]che la norma in esame (come anche l’art. 17, comma 5, CCII, ma con portata tutt’affatto diversa, non contemplando – come detto – la legittimazione dell’autorità giudiziaria ad intervenire, sia pure a seguito di una istanza - che dovrebbe essere dichiarata semplicemente inammissibile – dell’imprenditore ammesso alla CNC) tuteli un interesse di ordine pubblico economico, come tale non eludibile dalla volontà delle parti private[41].
Per concludere si può allora osservare che sino a quando l’ammissibilità dell’intervento dell’autorità giudiziaria in funzione del “riequilibrio” di un contratto pendente, divenuto eccessivamente oneroso per l’imprenditore ammesso alla CNC, sarà limitato – come oggi è limitato – all’ipotesi che l’eccessiva onerosità sopravvenuta sia stata causata dalla “pandemia da SARS-CoV-2”, l’effetto della disposizione sul successo del tentativo di risanamento intrapreso dall’impresa deve ritenersi assai ridotto (e destinato ad una probabilmente rapida estinzione)[42].
Quanto al presumibile ambito di applicazione della perdurante legittimazione dell’autorità giudiziaria a riequilibrare i contratti divenuti eccessivamente onerosi per l’imprenditore ammesso alla CNC, si deve ritenere che esso riguarda principalmente i contratti di scambio ovvero di fornitura. Per ciò che concerne i contratti di natura finanziaria. la norma potrebbe essere applicata alla esecuzione (differita) dell’obbligo di rimborso di un finanziamento bullet erogato in valuta straniera, allorché fossero cessate le vendite nel relativo Paese; fossero venuti meno gli afflussi della valuta straniera; ed avesse preso corpo un rischio di cambio prima insussistente (perché il rimborso del finanziamento in valuta straniera sarebbe stato effettuato utilizzando l’identica valuta affluita grazie alle esportazioni): rischio annullabile con la modificazione della clausola contrattuale di specificazione della valuta di rimborso del finanziamento (e, probabilmente, del relativo tasso di interesse), sostituendo la valuta straniera con la valuta “nazionale” dell’imprenditore.
Ancora si potrebbero ipotizzare “interventi correttivi” sui profili di carattere economico dei contratti bancari di credito – quali: il tasso di interessi; la “commissione di messa a disposizione fondi” -; ovvero sui profili concernenti l’equilibrio tra rischio e garanzia – quali la introduzione di un obbligo di restrizione della garanzia reale costituita originariamente in favore della banca, in corrispondenza della progressiva diminuzione del debito residuo -.
Non dovrebbero ritenersi ammissibili, invece, per la impossibilità di configurare ipotesi di “obbligo alla concessione di credito”[43], modificazioni contrattuali incidenti sulla variazione (in aumento) dell’affidamento “accordato”, tanto in via diretta - aumento
dell’affidamento in termini assoluti -; quanto in via indiretta – aumento della percentuale contrattualmente determinata della anticipazione ottenibile a seguito della presentazione di portafoglio commerciale “allo sconto”, rispetto al valore nominale dei crediti anticipati -.
La ratio della norma appare quella di ricostruire l’originario equilibrio – o, comunque, l’originario rapporto – tra le prestazioni dedotte nel contratto pendente, nelle ipotesi nelle quali esso sia risultato alterato, in danno dell’imprenditore impegnato in una “Composizione Negoziata”, a causa degli effetti della crisi pandemica. In tale contesto, è difficile individuare quali fattispecie potrebbero giustificare la alterazione delle condizioni contrattuali originali in materia di ammontare (in termini assoluti) del finanziamento concesso; o di rapporto (in termini relativi) tra finanziamento disponibile e valore della relativa garanzia, che si potessero giudicare compromesse in conseguenza della emergenza sanitaria (ove si ritenessero risultanti nell’ambito di applicazione individuato dal non abrogato art. 10, comma 2, D.L. n. 118/2021).
Tutt’altra conclusione dovrebbe formularsi, invece, nell’ipotesi nella quale – semplicemente – i presupposti della legittimità (della invocazione) dell’intervento giudiziale fossero (nuovamente) accomunati ai presupposti del possibile “invito” dell’Esperto a che le parti ridetermino il contenuto dei contratti (ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita), in tutte le ipotesi nelle quali “la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa” ovvero “è alterato equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute”, a prescindere da quali cause tali fenomeni siano stati prodotti. In tale ipotesi, infatti, la legittimazione dell’autorità giudiziaria ad “intervenire” per riequilibrare i contenuti economici dei contratti pendenti avrebbe una ben maggiore rilevanza.
Laddove un prossimo intervento normativo volesse prendere in considerazione questa ipotesi, è auspicabile che colga l’occasione per chiarire (i) a quali contratti la disciplina in esame sarebbe applicabile (anche ai contratti assicurativi?; anche al contratto di società?); e (ii) quali effetti produca la “rinegoziazione” sulle garanzie (ad es. fideiussione) che assistono la prestazione dell’imprenditore ammesso alla CNC, che sarebbe investita dalla rinegoziazione coatta.
L’art. 12, comma 1, lett d) CCII riproduce la disposizione testè esaminata, integrandola con la previsione finale secondo la quale “Il tribunale verifica altresì il rispetto del principio di competittività nella selezione dell’acquirente”.[44]
È pacifico che l’autorizzazione de qua sia necessaria nella sola ipotesi nella quale l’imprenditore voglia esonerare il cessionario dalla responsabilità solidale per le passività pregresse (risultanti dai libri contabili obbligatori), che altrimenti discenderebbe dalla necessaria applicazione dell’art. 2560, comma 2, c.c.: giacché, in caso contrario, l’imprenditore sarebbe libero di trasferire l’azienda, ovvero uno o più dei suoi rami, senza necessità di autorizzazione alcuna [45].
È altresì pacifico che, nella maggior parte dei casi (se non sempre), l’operazione de qua assuma il carattere di atto di straordinaria amministrazione, come tale soggetto al procedimento di “condivisione” con l’esperto, di cui all’art. 21, commi 2-4, CCII (preventiva informazione scritta dell’intenzione di porlo in essere; ricezione del parere scritto dell’esperto; necessaria comunicazione scritta della intenzione di volere porre in essere l’atto nonostante la eventuale manifestazione di dissenso): procedimento – peraltro – che, se pure concluso con esito negativo, eventualmente integrato dalla pubblicizzazione del contrasto tra imprenditore ed esperto attraverso la iscrizione del dissenso nel Registro delle Imprese, non determina la invalidità o la inopponibilità della cessione, bensì non ne consente – più semplicemente – la sottrazione all’azione revocatoria fallimentare di cui si verificassero i presupposti nell’eventuale fallimento “consecutivo” [46].
Egualmente condivisibile è l’affermazione secondo la quale la disciplina in commento deve ritenersi applicabile anche alle operazioni produttive di effetti equivalenti (conferimento d’azienda, anche a favore di una newco) [47].
Ciò precisato, il ruolo dell’esperto nella operazione in questione è diverso, secondo che la cessione avvenga – per l’appunto – su iniziativa esclusiva dell’imprenditore, con la inevitabile applicazione al cessionario del principio dettato dall’art. 2560, comma 2, c.c.; oppure se la cessione venga impostata prevedendo la richiesta di autorizzazione al Tribunale a procedere al trasferimento esonerando il cessionario dalla responsabilità prevista da tale norma.
Per la prima ipotesi il decreto dirigenziale del Dipartimento per gli Affari di Giustizia 28 settembre 2021 prevedeva: “quando ritiene che per assicurare la continuità aziendale e il miglior soddisfacimento dei creditori sia prospettabile unicamente la cessione dell’azienda o di rami di essa, l’esperto ricorda alle parti la possibilità di derogare agli effetti dell’articolo 2560, secondo comma, previa autorizzazione del giudice. Si ricorda che, in mancanza di offerte vincolanti ad importo predefinito, è opportuno che l’imprenditore, nel formulare le proposte ai creditori, preveda clausole di salvaguardia (ad esempio, clausole di earn-in, regole di waterfall, clausole infallibilità o pactum de non petendo) per fronteggiare il rischio che i valori effettivamente realizzati siano inferiori a quelli attesi. Per la cessione dell’azienda o di rami di azienda è preferibile dare corso a procedure competitive, anche attraverso il ricorso ad appositi strumenti (ad esempio data room virtuale e raccolta delle offerte su sezione secretata) previsti dalla Piattaforma Telematica”. Oltre a ciò, il decreto dirigenziale prevedeva altresì che “1. Qualora si intenda procedere alla cessione dell’azienda o di suoi rami, l’esperto avrà cura di far presente all’imprenditore l’utilità e l’opportunità del ricorso a procedure competitive per la selezione dell’acquirente (o in ogni caso prima di escludere possibilità diverse), in modo da sgombrare il campo dal timore di scelte in danno ai creditori.
2. All’esperto potrà essere richiesto di:
– individuare il perimetro dell’azienda o di rami di essa ritenuto idoneo per il miglior realizzo;
– fornire indicazioni all’imprenditore per organizzare data room informativa da utilizzare [per] la raccolta delle manifestazioni di interesse (a tal fine potrà essere utilizzata la Piattaforma);
– dare corso, o far dare corso, alla selezione dei soggetti potenzialmente interessati, anche attraverso procedure competitive, raccogliendo le relative manifestazioni di interesse e le eventuali offerte vincolanti (a tal fine potrà essere utilizzata la Piattaforma);
– se richiesto, esprimere il proprio parere sulle manifestazioni di interesse e le offerte ricevute.
L’esperto avrà cura di ricordare all’imprenditore l’opportunità che le offerte siano quanto più possibile a contenuto determinato, vincolanti, sottoscritte ed accompagnate da garanzie”.
Il decreto dirigenziale dell’analogo Dipartimento emanato in data 21 marzo 2023, Recepimento dell’aggiornamento del documento predisposto nell’ambito del lavoro della Commissione di studio istituita con decreto del 22 aprile 2021, non ha portato innovazioni, salvo omettere la indicazione secondo la quale “per la cessione dell’azienda o di rami d’azienda è preferibile dar corso a procedure competitive, anche attraverso il ricorso ad appositi strumenti (ad esempio, data room virtuale e raccolta delle offerte su sezione secretata) previsti dalla Piattaforma Telematica)”.
Per la ipotesi di ricorso alla autorizzazione speciale del Tribunale la legge non prevede (cui prevedeva) la audizione dell’esperto da parte del Tribunale (né, tanto meno, la predisposizione di una Relazione del primo in favore del secondo): ma in linea di principio si è d’accordo nel ritenere che ciò sia senz’altro possibile – e probabilmente opportuno – [48].
Secondo il ricordato decreto dirigenziale 28 settembre 2021(ripreso in termini pressoché identici dall’aggiornamento del 21 maggio 2023), “l’esperto, se sentito dal tribunale nel procedimento autorizzativo ai fini della deroga dell’articolo 2560, secondo comma, del codice civile, potrà essere chiamato ad esprimersi sulle modalità con cui si è arrivati all’individuazione dell’acquirente, sulla congruità del prezzo e su ogni altro elemento ritenuto utile dal tribunale. Egli è chiamato ad informare il tribunale se l’acquirente dell’azienda o di rami di essa sia una parte correlata dell’imprenditore e a riferire sulle attività di cui al presente paragrafo”.
Oltre a quanto precisato dal decreto dirigenziale, l’esperto potrà (rectius: dovrà) esprimere al Tribunale la propria valutazione su:
a) funzionalità della cessione alla “continuità aziendale”: presumibilmente con riferimento alla continuità c.d. “indiretta”, intendendo che il presupposto della “procedura” della composizione negoziata, rappresentato dal “risanamento dell’impresa” (art. 12, comma 1; art. 21, comma 1), prescinda dal corrispondente risanamento (anche) del soggetto-imprenditore;
b) “migliore soddisfazione dei creditori”, rispetto all’ipotesi di non procedere alla operazione di cessione; ovvero di procedervi, ma senza la liberazione del cessionario dalla responsabilità solidale disposta dall’art. 2560, comma 2, c.c.
Sotto questo profilo si è affermato [49] che “la previsione dell’esenzione dai debiti pregressi altro non è che un incentivo ad ottenere migliori condizioni di vendita, nella consapevolezza che il risultato della vendita non potrà mai penalizzare i creditori per la semplice ragione che l’autorizzazione è retta dal 1° comma dell’art. 10 D.L. n. 118/2021, là dove è stabilito che il giudice deve valutare il miglior interesse dei creditori. In questo caso, la clausola si giustifica perché c’è uno scenario comparativo: non già tra composizione negoziata e liquidazione, ma tra vendita con il peso dei debiti e vendita al netto dei debiti”.
La sopra rappresentata conclusione è certamente condivisibile: non altrettanto evidente è, peraltro, la possibile convenienza di un acquisto “al netto dei debiti” in luogo di un acquisto “con il peso dei debiti” (per quanto ciò possa apparire contraddittorio).
L’acquisto “al netto dei debiti” – espressione con la quale si dovrebbe volere intendere “acquisto senza il peso dei debiti”, in contrapposizione a quello definito “con il peso dei debiti” – significa acquisto delle sole attività. Il vantaggio di una simile operazione potrebbe essere individuato, in prima battuta, nel risparmio del costo della due diligence dell’impresa acquistata, non dovendocisi preoccupare delle sue passività. Tuttavia, a ben vedere, una due diligence dovrebbe comunque essere posta in essere – ed il conseguente costo sopportato – per una valutazione della congruità delle stime concernenti le attività ricevute in cessione (che ben potrebbero essere sopravvalutate nei bilanci dell’impresa oggetto della cessione).
Ciò precisato, l’acquisto delle attività senza l’accollo del “peso dei debiti” comporta la necessità del pagamento “in contanti” – o comunque del pagamento del valore “lordo” – delle attività trasferite: e non è facile individuare la vantaggiosità di tale profilo.
Al contrario, l’acquisto delle attività integrate dal “peso dei debiti” accollati, comporta la necessità del pagamento c.d. “in contanti” del solo valore del netto patrimoniale: inevitabilmente molto inferiore al valore delle attività di per sé considerate (valore c.d. “lordo”), tanto più nell’occasione dell’acquisto di una impresa “in crisi” (più o meno accentuata che la crisi sia).
Il regolamento delle attività acquistate mediante l’accollo delle passività inerenti all’azienda (con il limite di quelle risultanti dai libri contabili obbligatori) rappresenta un vantaggio finanziario formidabile: e non si vede per quale ragione l’aspirante cessionario dovrebbe trovare vantaggioso procedere – invece – all’acquisto delle sole attività (“senza il peso del debito”), pagando “in contanti” – e comunque in termini di valori “di mercato” – l’intero loro valore lordo.
Nella liquidazione giudiziale e nel concordato preventivo il principio della cessione dell’azienda al lordo delle passività inerenti alla stessa, non si spiega – a parere di chi scrive – con la maggiore appetibilità di tale modalità di realizzo (è vero il contrario, come si è sopra dimostrato): bensì con la considerazione che l’acquisto delle attività “con il peso del debito” comporta l’effetto che i creditori accollati trovano soddisfacimento integrale delle loro pretese in quanto (poi) regolate dal cessionario, con preferenza rispetto ai creditori non accollati (perché estranei all’azienda o al ramo d’azienda ceduti), passibili di essere soddisfatti nei limiti del riparto consentito dalla distribuzione degli (eventuali) attivi residui, ovvero – nel caso di cessione dell’intera azienda – nei limiti del riparto del (magro, perché al netto delle passività accollate) prezzo conseguito dall’operazione di cessione.
È per tale ragione che le operazioni di “cessione aggregata”, ovvero di “cessione di attività e passività”, poste in essere, nel passato, nel contesto delle operazioni di liquidazione (coatta amministrativa) delle imprese bancarie – sottratte al principio della assicurazione della par condicio creditorum – hanno avuto un così largo successo, sino a quando suscettibili di essere poste in essere [50].
Lo scenario presentato dalla procedura di liquidazione giudiziale e di concordato preventivo non può essere tenuto presente nella “procedura” di Composizione Negoziata, perché detto scenario non consente il confronto tra cessione dell’impresa con o senza passività ad essa inerenti, ammettendo esclusivamente la cessione delle attività senza l’accollo delle relative passività, al fine di distribuirne il prezzo “lordo”, così conseguito, tra tutti i creditori – inerenti o non inerenti all’azienda ceduta –, in base alla graduazione tra le relative pretese.
Non fosse necessario impedire che si creino i presupposti perché i creditori inerenti all’azienda siano soddisfatti integralmente (ad opera del cessionario-accollante), in mancanza della garanzia di analogo trattamento tra i creditori non inerenti all’azienda (e quindi non accollati), l’operazione di cessione “con il peso del debito” sarebbe sempre più conveniente, per l’acquirente – disponibile pertanto a valutare l’impresa qualcosa di più –, che l’operazione di cessione “al netto dei debiti”.
Come detto, l’art. 22, comma 1, lett d) CCII. si differenzia dalla corrispondente disposizione – art. 10, comma 1, lett d) – del D.L. n. 118/2021 soltanto per la integrazione rappresentata dalla disposizione secondo la quale “Il tribunale verifica altresì il rispetto del principio di competitività nella selezione dell’acquirente”. Si è osservato come ciò non significhi attribuire al Tribunale il potere di dettare specifiche modalità della procedura competitiva[51], anche se è possibile che ciò avvenga in fatto.
Note:
Il Tribunale, sentite le parti interessate e assunte le informazioni necessarie, provvede, ove occorra, ai sensi dell'art. 68 c.p.c., decidendo in composizione monocratica. Si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 ss. c.p.c. Il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.