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Il trasferimento dell’azienda nella composizione negoziata*

Giacomo D’Attorre, Ordinario di diritto commerciale nell'Università del Molise

5 Novembre 2021

*Lo scritto rappresenta il testo della Relazione tenuta al Convegno “I nuovi scenari per la soluzione della crisi d’impresa”, Reggio Emilia, 29 ottobre 2021. Si è volutamente mantenuta la forma discorsiva dell’intervento e l’assenza di note e riferimenti bibliografici.
Lo scritto offre un primo esame della norma in tema di autorizzazione del tribunale al trasferimento dell’azienda o di suoi rami nel corso della composizione negoziata, analizzandone il procedimento, i presupposti, il contenuto dell’autorizzazione, le modalità del trasferimento e gli effetti.
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1 . Premessa
Il tema della mia relazione ha ad oggetto l’esame di una disposizione di sicuro rilievo pratico e di ancora più rilevante impatto sistematico, che innova in modo significativo molti dei principi consolidati del nostro ordinamento. 
L’art. 10, comma 1, d.l. 24 agosto 2011, n. 118, convertito con modificazioni dalla l. 21 ottobre 2021, n. 147, dispone che “su richiesta dell’imprenditore il tribunale, verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, può: … d) autorizzare l’imprenditore a trasferire in qualunque forma l’azienda o uno o più suoi rami senza gli effetti di cui all’articolo 2560, secondo comma, del codice civile , dettando le misure ritenute opportune, tenuto conto delle istanze delle parti interessate al fine di tutelare gli interessi coinvolti; resta fermo l’articolo 2112 del codice civile”.
La finalità della norma è chiara. Anche nel corso delle trattative che si svolgono durante la composizione negoziata può manifestarsi la necessità o anche solo l’utilità di trasferire l’azienda o uno o più dei suoi rami a terzi, quale unica o comunque preferibile soluzione alla crisi. A fronte di queste esigenze, imporre di attendere la conclusione della composizione negoziata e l’eventuale avvio di un diverso strumento di regolazione della crisi prima di procedere al trasferimento potrebbe risolversi in un pregiudizio per i creditori e per la stessa continuità aziendale. Da ciò la possibilità di procedere anche durante lo svolgimento della composizione negoziata, ma con la doverosa osservanza di specifiche cautele.
Rientrando il trasferimento di azienda tra gli atti di straordinaria amministrazione, l’imprenditore potrebbe anche procedere autonomamente ai sensi dell’art. 9 d.l. 118/2021, senza richiedere l’autorizzazione del tribunale, ma solo informando preventivamente l’esperto. In tal caso, tuttavia, dei debiti anteriori risultanti dai libri contabili obbligatori ne risponderebbe in via solidale anche l’acquirente (nel caso di trasferimento di azienda commerciale, beninteso), ai sensi dell’art. 2560, comma 2, c.c., e non opererebbe nemmeno la conservazione degli effetti prevista dall’art. 12 d.l. 118/2021. Solo l’autorizzazione del tribunale consente, infatti, l’operare dell’effetto purgativo rispetto ai debiti anteriori e la conservazione degli effetti e, pertanto, è fin troppo facile prevedere che la strada della richiesta di autorizzazione al tribunale sarà l’unica ad essere concretamente percorsa laddove l’imprenditore intenda procedere al trasferimento dell’azienda o di suoi rami durante la composizione negoziata. 
Delineato il quadro fattuale, si può passare all’esame della norma. I problemi interpretativi sono numerosi e complessi, ma il tempo a mia disposizione è limitato; ciò mi impone di procedere sinteticamente per punti e, inevitabilmente, le domande che solleverò saranno maggiori rispetto alle possibili risposte che cercherò di offrire.
Per schematizzare l’esame, analizzerò, nell’ordine, il procedimento, i presupposti, il contenuto dell’autorizzazione, le modalità della vendita, gli effetti.
2 . Il procedimento
Il procedimento parte su richiesta dell’imprenditore. In mancanza di qualsivoglia spossessamento, pieno o attenuato, è l’imprenditore a decidere autonomamente se e quando presentare richiesta di autorizzazione al trasferimento. Ovviamente, la richiesta dell’imprenditore potrebbe anche essere sollecitata, o quantomeno segnalata, dall’esperto, ma si tratta comunque, si tratta di una legittimazione non surrogabile. 
Per quanto riguarda l’oggetto, con la richiesta si può chiedere l’autorizzazione a “trasferire in qualunque forma” l’azienda o suoi rami. Può, quindi, chiedersi l’autorizzazione tanto alla vendita, quanto ad altre forme di disposizione (es: conferimento) dell’azienda, oppure di suoi rami. 
Non pare, invece, possibile richiedere al tribunale l’autorizzazione all’affitto dell’azienda o di suoi rami. Questo non tanto perché l’affitto non rientrerebbe nella nozione di “trasferimento”; a ben vedere, infatti, la norma parla genericamente di “trasferimento”, non specificamente di “trasferimento di proprietà” e, quindi, potrebbe in astratto ricomprendere anche il mero “trasferimento del godimento” dell’azienda. L’argomento principale che orienta nel senso negativo è rappresentato dall’effetto principale dell’autorizzazione del tribunale, costituito dalla deroga all’art. 2560, comma 2, c.c., che in relazione all’affitto viene a perdere di significato, atteso che, già sulla base della disciplina di diritto comune, l’art. 2560 c.c. non trova applicazione all’affitto di azienda. Questo, come ovvio, non impedisce certo all’imprenditore di procedere eventualmente all’affitto dell’azienda o di suoi rami durante le trattative, ma la disciplina di riferimento è quella (diversa) sugli atti di straordinaria amministrazione ex art. 9 d.l. 118/2021.
La richiesta di autorizzazione va formulata al tribunale. Ai sensi del comma 3 dell’art. 10 d.l. 118/2021, il procedimento si svolge “innanzi al tribunale competente ai sensi dell'articolo 9 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, che, sentite le parti interessate e assunte le informazioni necessarie, provvedendo, ove occorre, ai sensi dell'articolo 68 del codice di procedura civile, decide in composizione monocratica. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento”.
Al riguardo, il punto problematico riguarda l’individuazione delle “parti interessate” che devono essere sentite dal tribunale. E’ ragionevole ritenere che parti interessate siano non solo l’esperto ed i principali creditori anteriori (anche se qui si pone la difficoltà di individuare un criterio per stabilire quali creditori sentire e quali non sentire, a meno di non voler considerare tutti i creditori come parti interessate da sentire), ma anche soggetti diversi che possono comunque vantare, a vario titolo, un interesse coinvolto nel trasferimento e del quale il tribunale deve assicurare la tutela. Il riferimento va, anzitutto, alle organizzazioni sindacali, ma forse, in relazione alle circostanze del caso concreto, anche alle amministrazioni locali ed alle associazioni di categoria. Per quanto riguarda le organizzazioni sindacali, peraltro, si deve conciliare l’art. 10 d.l. 118/2021 con la disposizione dell’art. 4, comma 8, d.l. 118/2021, che impone al datore di lavoro che occupa complessivamente più di quindici dipendenti la consultazione dei soggetti sindacali di cui all'articolo 47, comma 1, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, se nel corso della composizione negoziata sono assunte rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori. Per evitare duplicazioni e rallentamenti nei tempi del procedimento, si può ricondurre a sistema le norme, prevedendo che, prima di presentare l’istanza, l’imprenditore debba procedere alla consultazione sindacale. Il che, però, non impedisce al tribunale, ove ritenuto necessario, di procedere, con le modalità più opportune, a sentire eventualmente di nuovo le organizzazioni sindacali.
3 . I presupposti
Nel valutare se concedere o meno l’autorizzazione, il tribunale deve verificare la “funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori”. Due sono, pertanto, i presupposti per la concessione dell’autorizzazione: a) funzionalità rispetto alla continuità aziendale; b) funzionalità rispetto alla migliore soddisfazione dei creditori. L’uso della congiunzione “e” impone la congiunta ricorrenza di ambedue i presupposti, tra cui non è posto alcun criterio “gerarchico” o di prevalenza. E’ questo è un dato centrale sul quale si tornerà a breve.
4 . La competitività
Giungiamo adesso al punto più delicato, rappresentato dal contenuto dell’eventuale autorizzazione. 
Il tribunale, laddove ritenga accoglibile la richiesta, non deve limitarsi ad autorizzare, ma deve “dettare le misure ritenute opportune”. Quali siano le misure opportune non è specificato dalla legge e questo rappresenta il profilo più problematico nell’interpretazione della norma. 
Per ragioni di tempo, posso soltanto elencare solo alcune tra le principali domande che si pongono, abbozzando unicamente i tratti delle possibili risposte. 
La prima domanda riguarda l’esistenza ed il contenuto del principio di competitività in questa fase. Se l’istanza è presentata dall’imprenditore sulla base di un’offerta da parte di un soggetto individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore dell’azienda o di suoi rami, il tribunale può imporre che sia comunque aperta una procedura competitiva o che, quantomeno, sia preventivamente data idonea pubblicità al fine di acquisire offerte concorrenti?
Anche se di offerte concorrenti e di competitività non vi è traccia espressa nel dato normativo, ritengo che il tribunale, salvo casi eccezionali, debba comunque verificare l’esistenza di eventuali soluzioni migliori sul mercato, analogamente a quanto previsto nella liquidazione dei beni nel concordato semplificato ex art. 19 d.l. 118/2021. Le modalità attraverso le quali concretamente procedere all’apertura al mercato possono essere diverse, in ragione delle diverse circostanze del caso concreto, e certamente devono essere compatibili con le esigenze di urgenza che caratterizzano questa fase, ma ad ogni modo la ricerca di possibili soluzioni migliori sul mercato deve essere assicurata. L’apertura al mercato deve rappresentare, pertanto, la regola, derogabile solo in casi eccezionali, come, ad esempio, nell’ipotesi in cui si preveda semplicemente, per ragioni tecniche, il conferimento dell’azienda o di suoi rami in una newco interamente partecipata, ove la competitività potrà essere assicurata nel momento successivo dell’eventuale trasferimento delle quote di partecipazione nella newco.
L’affermazione dell’operare del principio di competitività anche nel trasferimento di azienda durante la composizione negoziata si impone in ragione dei due presupposti che sorreggono l’eventuale provvedimento di autorizzazione: continuità aziendale e migliore soddisfazione dei creditori. Proprio per garantire che la soluzione proposta dall’imprenditore sia la più idonea a tutelare questi due obiettivi, si dovrà verificare (salvo, lo ripeto, circostanze eccezionali) l’esistenza di eventuali soluzioni migliori sul mercato. 
Non appare decisiva, in senso contrario, la possibile obiezione che potrebbe essere mossa, basata sulla mancanza di spossessamento a carico durante le trattative a carico dell’imprenditore, che conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa. Se l’imprenditore vuole trasferire l’azienda o suoi rami senza apertura al mercato e senza competitività, può procedere autonomamente ai sensi dell’art. 9 d.l. 118/2021; se, invece, vuole che il trasferimento avvenga senza la responsabilità solidale dell’acquirente rispetto ai debiti anteriori e con salvezza degli effetti indipendentemente dall’esito della composizione negoziata, trova piena applicazione il principio della competitività, posto a tutela anzitutto dell’interesse dei creditori anteriori. La deroga alla disciplina del diritto comune che l’imprenditore invoca attraverso la richiesta di autorizzazione ex art. 10 d.l. non può essere unilaterale, ma deve accompagnarsi alle ordinarie tutele che solitamente governano queste deroghe.
5 . I criteri di selezione dell’acquirente
La seconda domanda è ancora più difficile (o, meglio, la domanda è semplice, ma la risposta è difficile). Limitiamo l’esame al caso più frequente in cui il trasferimento avvenga tramite una vendita: se il tribunale dispone, direttamente o all’esito di eventuali manifestazioni di interesse, che vi sia una procedura competitiva, quali saranno i parametri di selezione dell’acquirente? 
La risposta sembrerebbe fin troppo agevole: l’unico parametro di selezione è il corrispettivo offerto.
Ma questa risposta non è, a mio avviso, quella corretta. E cerco subito di spiegare le ragioni di questa mia affermazione, perché mi rendo conto che potrebbe essere considerata una soluzione quasi “eversiva” dei consolidati principi che governano il diritto della crisi e dell’insolvenza.
I riferimenti normativi dai quali partire sono quelli già richiamati. Il primo comma dell’art. 10 d.l. 118/2021, come detto, pone sullo stesso piano la continuità aziendale e la migliore soddisfazione dei creditori, senza individuare l’interesse e l’obiettivo prevalente, rispetto al quale l’altro interesse deve cedere per il caso di conflitto. E la mancanza di una scala valoriale netta e di un chiaro indice gerarchico, a differenza per esempio di quanto previsto dall’art. 4 CCII, che contiene il riferimento al “prioritario interesse dei creditori”, oppure di quanto previsto dall’art. 9 d.l. 118, che parla di “prevalente interesse dei creditori”, non può essere considerato un dato neutro da un punto di vista ermeneutico, ma testimonia della legittimità di previsioni che limitino la massima soddisfazione dei creditori per tenere conto anche dell’interesse alla continuità aziendale. D’altra parte, il legislatore impone di valutare la funzionalità dell’atto alla “migliore soddisfazione dei creditori” e non alla “massima soddisfazione dei creditori” e questo conferma che l’interesse dei creditori va certamente tutelato, ma che esso non può essere considerato assoluto, dovendo contemperarsi anche con altri interessi rilevanti.
La soluzione trova ulteriore conferma testuale nella disposizione, anch’essa già richiamata, per cui il tribunale autorizza “dettando le misure ritenute opportune, tenuto conto delle istanze delle parti interessate al fine di tutelare gli interessi coinvolti”. Vi è, da un lato, l’esplicito riconoscimento della necessità, non solo di considerare, ma anche di tutelare i diversi interessi coinvolti, che non possono essere unicamente quelli dei creditori. Dall’altro lato, vi è l’emersione della proiezione che la tutela di questi interessi pone sulle concrete modalità di gestione della procedura competitiva. Interessi che assurgono, così, a criteri giuridicamente rilevanti che devono concorrere a guidare la valutazione del tribunale nella formulazione delle misure opportune. 
Si assiste, in questo modo, al riconoscimento normativo espresso di quel principio di responsabilità sociale dell’impresa e di sostenibilità che probabilmente era già possibile enucleare in via interpretativa nel sistema concorsuale e che trova oggi emersione sul piano testuale nella composizione negoziata. 
Il principio generale si concreta nel riconoscimento che l’interesse dei creditori deve contemperarsi con altri interessi di pari rilevanza costituzionale e che, di conseguenza, le concrete modalità di trasferimento dell’azienda, per quanto tendenzialmente modellate sul fine del miglior soddisfacimento dei creditori, non possono sempre prescindere da una considerazione di questi interessi. La concomitante presenza di plurimi interessi rilevanti impone, quindi, la ricerca di un punto di equilibrio che non risolve i conflitti nella meccanica affermazione dell’uno e nella negazione dell’altro, ma nella doverosa ponderazione, attuata secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità, secondo una tecnica interpretativa da tempo utilizzata dalla nostra Corte Costituzionale.
Il riconoscimento di questo principio è coerente con quanto previsto nell’art. 41 Cost., che, nel riconoscere che “l’iniziativa economica privata è libera” (comma 1), dispone che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Altre conferme si traggono dalla Direttiva (Ue) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 2019 sulla ristrutturazione e sull’insolvenza. Nel considerando n. 2 si legge che i quadri di ristrutturazione “dovrebbero impedire la perdita di posti di lavoro nonché la perdita di conoscenze e competenze e massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione degli attivi della società o nel caso del migliore scenario alternativo possibile in mancanza di un piano, così come per i proprietari e per l'economia nel suo complesso”. In modo ancora più esplicito e con accenti che richiamano il giudizio di comparazione tra valori costituzionali di cui abbiamo parlato sopra, il considerando n. 3 prevede che “nei quadri di ristrutturazione i diritti di tutte le parti coinvolte, compresi i lavoratori, dovrebbero essere tutelati in modo equilibrato” ed il considerando n. 10 precisa che “tutte le operazioni di ristrutturazione, in particolare quelle di grandi dimensioni che generano un impatto significativo, dovrebbero basarsi su un dialogo con i portatori di interessi”. Anche l’articolato, e non solo i consideranda, reca traccia di questa rilevanza degli interessi degli stakeholders e questo anche in una delle “norme manifesto” della Direttiva. L’art. 4 prevede che “Gli Stati membri provvedono affinché, qualora sussista una probabilità di insolvenza, il debitore abbia accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva che gli consenta la ristrutturazione, al fine di impedire l’insolvenza e di assicurare la loro sostenibilità economica, fatte salve altre soluzioni volte a evitare l'insolvenza, così da tutelare i posti di lavoro e preservare l'attività imprenditoriale”. Al di là dell’effettivo valore interpretativo dei consideranda e del concreto contenuto precettivo degli articoli, è evidente che essi si inseriscono coerentemente in una linea di tendenza che abbandona la considerazione esclusiva e totalizzante dell’interesse dei creditori nella crisi d’impresa, in favore di una più equilibrata considerazione della dialettica fra l’interesse dei creditori e la contestualizzazione dell’ambiente economico nel quale la crisi è sorta e nel quale va gestita la sua definizione.
Per garantire la coerenza dell’approdo raggiunto con i vincoli costituzionali ed eurounitari posti in relazione alle possibili limitazioni al soddisfacimento del diritto di credito, in quanto ricompreso nel concetto di proprietà (art. 42 Cost.; art. 1 del Primo Protocollo della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo; art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), è necessario però individuare il contenuto minimo garantito del diritto dei creditori che non può essere intaccato dal perseguimento di interessi-altri, anche in questa fase. Pur nella inevitabile variabilità in concreto delle possibili soluzioni che possono derivare dalla ponderazione di interessi diversi secondo il canone della ragionevolezza, è possibile tracciare una linea di riferimento. Se il trasferimento dell’azienda o di suoi rami deve essere funzionale (anche) al migliore soddisfacimento dei creditori, esso deve complessivamente offrire ai creditori una soddisfazione almeno pari a quella che si sarebbe avuta in mancanza della stessa, perché, nel caso contrario, il trasferimento non sarebbe nell’interesse, ma contro l’interesse dei creditori. Il contenuto minimo garantito del diritto dei creditori, che non può essere sacrificato dal perseguimento di interessi diversi, si misura con il livello del presumibile soddisfacimento che i creditori collettivamente avrebbero potuto conseguire in mancanza del trasferimento.
Delineato fondamento, contenuto e limiti di questo principio di contemperamento tra interessi con riferimento alle modalità operative per la vendita dell’azienda o di suoi rami nella composizione negoziata, se ne possono tratteggiare le implicazioni operative. Esso legittima, nella predisposizione dei criteri di selezione dell’acquirente, l’inserimento anche di parametri diversi rispetto al prezzo (es: impegno ad adeguare la produzione secondo standard più rispettosi dell’ambiente; impegno alla prosecuzione attività per un periodo minimo di tempo; impegno alla conservazione dei livelli occupazionali; impegno a mantenere la sede operativa nel territorio italiano per un dato periodo di tempo), che consentano di limitare l’effetto negativo della prosecuzione dell’attività d’impresa sul contesto ambientale e sociale o, addirittura, di apportare un contributo positivo rispetto agli stessi. 
Per evitare che questi parametri ulteriori, o cd. “clausole sociali”, possano però mortificare l’interesse dei creditori, va ricercato un punto di equilibrio, che può essere rinvenuto nell’esigenza di assicurare il più ampio soddisfacimento dei creditori che sia consentito nel rispetto degli altri interessi e diritti rilevanti. Il che non significa trasformare l’interesse dei creditori in “tiranno” nei confronti delle altre posizioni giuridiche tutelate, ma avere consapevolezza che lo stesso può essere limitato solo nello stretto limite necessario per non arrecare un irragionevole pregiudizio agli altri interessi. Il sacrificio dell’interesse dei creditori deve servire ed essere indispensabile per la migliore realizzazione di un altro interesse rilevante, pena l’irragionevolezza della limitazione.
Gli eventuali parametri diversi dal prezzo devono, pertanto, essere funzionali al perseguimento di interessi di pari rango costituzionale, non pregiudicare la possibilità di effettiva comparazione tra le diverse offerte e non essere così gravosi da pregiudicare irragionevolmente il nucleo essenziale del diritto di credito, privando i creditori del contenuto minimo garantito.
Non sono ignote le difficoltà applicative derivanti dal possibile allargamento dei criteri di valutazione delle offerte nel caso di vendita di aziende o rami di azienda, con il conseguente rischio di incremento del contenzioso giudiziario, né tantomeno il rischio che, attribuendo al tribunale il compito di mediare nei conflitti tra l’interesse dei creditori e gli interessi-altri, si determini la sostanziale insindacabilità della sua scelta. Si tratta, però, di preoccupazioni che, per quanto legittime e fondate, non sembrano idonee a mettere in discussione i risultati raggiunti, in quanto, da un lato, vi sono altri esempi di procedure competitive svolte sulla base di criteri di aggiudicazione basati non solo sul prezzo (si pensi al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nei contratti pubblici, o al criterio di individuazione dell’affittuario d’azienda nel fallimento) e, dall’altro lato, la ponderazione, secondo valutazioni dinamiche e non predeterminate in astratto, tra interessi potenzialmente confliggenti è una caratteristica propria del giudizio di comparazione tra interessi costituzionalmente garantiti, da svolgersi secondo ragionevolezza.
Si tratta di un mutamento di paradigma consapevolmente attuato dal legislatore e che dovrà essere adeguatamente valorizzato da tutti gli attori del sistema del diritto della crisi e dell’insolvenza.
6 . Modalità ed effetti del trasferimento
Procedo velocemente, dati i limiti di tempo, agli ultimi due punti da affrontare. 
Per quanto riguarda le modalità del trasferimento, lo stesso, anche se autorizzato dal tribunale, avviene con atto stipulato dall’imprenditore, non essendo previsto un decreto di trasferimento del tribunale, fermo restando comunque l’applicazione dell’art. 2560 c.c., con l’effetto purgativo sui debiti anteriori. 
Si pone, allora, il tema della stabilità degli effetti del trasferimento autorizzato. La risposta si rinviene nell’art. 12 d.l. 118/2021, a norma del quale “gli atti autorizzati dal tribunale ai sensi dell'articolo 10 conservano i propri effetti se successivamente intervengono un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, un concordato preventivo omologato, il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa, l'amministrazione straordinaria o il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all'articolo 18”. Pertanto, indipendentemente dall’esito della composizione negoziata, restano fermi sia l’effetto traslativo, sia l’effetto purgativo rispetto ai debiti anteriori, e questa stabilità rappresenta, all’evidenza, conditio sine qua non perché possa esservi un effettivo interesse di terzi a rilevare l’azienda nella composizione negoziata. 
Ribadita la stabilità degli effetti, vi sono, però, tre limiti o cautele posti a tutela dei creditori anteriori.
Il primo limite è rappresentato dall’espressa previsione per cui “resta fermo l’articolo 2112 del codice civile” (art. 10, comma 1, lett. d, d.l. 118/2021). Sono conservate, pertanto, tutte le tutele legali dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento dell’azienda. 
Il secondo limite – o meglio – cautela, è posto dall’art. 13, comma 4. d.l. 118/2021, in forza del quale “resta ferma la responsabilità dell'imprenditore per gli atti compiuti”. Nell’ipotesi – per vero improbabile – in cui si dimostri che l’imprenditore abbia chiesto e ottenuto l’autorizzazione sulla base di informazioni inesatte o incomplete, i creditori anteriori eventualmente pregiudicati dall’effetto purgativo possono far valere la responsabilità dell’imprenditore.
Un terzo limite, non testualmente posto dalla norma, ma ricavabile dal sistema, è quello per cui l’autorizzazione del tribunale consente di derogare al solo art. 2560, comma 2, c.c., ma non ad altre norme che concorrono a definire il regime dei debiti anteriori. E’ nota l’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di cessione di azienda, il regime fissato dall’art. 2560, comma 2, c.c., con riferimento ai debiti relativi all'azienda ceduta, si applica ai debiti in sé soli considerati, e non anche quando, viceversa, questi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente art. 2558 c.c.; in quest’ultimo caso, la responsabilità del cessionario si inserisce nell’ambito della più generale sorte del contratto non già del tutto esaurito. Applicando tale orientamento alla fattispecie in esame, ne consegue che, anche laddove vi sia l’autorizzazione del tribunale, il cessionario o conferitario risponderà comunque dei debiti che si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario o conferitario sia subentrato a norma del precedente art. 2558 c.c.

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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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