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Saggio

La fiscalità nella nuova regolazione della crisi. Novità e criticità irrisolte*

Claudio Ceradini, Dottore commercialista in Verona

22 Novembre 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
*Lo scritto è destinato, con eventuali variazioni, allo Speciale di Diritto della crisi, di prossima pubblicazione, dal titolo “Studi sull’avvio del Codice della crisi” a cura di Laura De Simone, Massimo Fabiani e Salvo Leuzzi.
L’entrata in vigore del nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza impone una verifica di allineamento con le disposizioni tributarie che, variamente, disciplinano gli effetti della adozione dei diversi strumenti disponibili, e che sono state solo minimamente interessate dal nuovo assetto normativo. La sensazione è che ora come nel passato la fiscalità insegua. La circostanza non è nuova ed è forse indefettibile. Il punto è che il ritardo nella rincorsa genera incertezze che rallentano, perlomeno, la consapevole adozione soprattutto dei nuovi, e per certi aspetti addirittura inaspettati, strumenti. Cerchiamo di seguito di fornire un quadro onesto e chiaro, sia di quanto ci trasciniamo dal passato, sia delle nuove criticità.
Riproduzione riservata
1 . Premessa
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (Serie Generale n. 152 del primo luglio 2022) del Decreto Legislativo n. 83 del 17 giugno 2022 ha preso definitivamente forma il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, entrato in vigore poco dopo, lo scorso 15 luglio. Dopo una estenuante serie di rinvii che si sono rincorsi dal gennaio del 2019 il Decreto legislativo n. 14/2019 sostituisce il glorioso R.D. 16 marzo 1942 n. 267, meglio noto come Legge Fallimentare, che per ottant’anni ha disciplinato la gestione dell’insolvenza e nel tempo anche della crisi, delle imprese cosiddette “sopra soglia” e quindi fallibili, e la più recente Legge n. 3/2012 che nell’ultimo decennio ha invece regolato la soluzione delle difficoltà finanziarie dei soggetti che fossero nel contempo sovraindebitati e non fallibili.
Le novità sono molte[1], in termini sia di rinnovata disciplina di strumenti e procedure già noti ed utilizzati, sia di introduzione di vere e proprie novità, che arricchiscono il portafoglio delle opzioni tecniche a disposizione per affrontare e risolvere la crisi.
Uno dei temi che si pone a chi nella realtà debba confrontarsi con gli strumenti, nuovi o rinnovati, ed elaborare un piano di risanamento è la gestione dei rapporti con l’amministrazione finanziaria, sotto diversi e numerosi punti di vista, tra cui
- la determinazione e gestione nel piano dell’eventuale carico fiscale derivante dalla manovra finanziaria individuata per risolvere la crisi,
- la verifica degli effetti delle misure di premialità che il Codice della crisi introduce recependole di fatto dalla disciplina della composizione negoziata in vigore dal novembre dello scorso anno,
- l’impostazione dei rapporti con l’amministrazione finanziaria per la gestione dell’indebitamento pregresso rispetto all’accesso ad uno degli strumenti di soluzione della crisi.
Il punto è che storicamente la disciplina tributaria ha inseguito faticosamente lo sviluppo, nemmeno poi fulmineo, della disciplina della crisi, intervenendo in modifica o integrazione del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR)[2] e non solo per regolare fattispecie del tutto anomale rispetto all’andamento ordinario dell’attività, con il dichiarato intento di agevolare la soluzione della crisi[3], ma anche al fine di disciplinarne le conseguenze sul versante dei creditori, più o meno dolorosamente incisi dalle difficoltà del loro debitore. Analoga riflessione valga anche in tema di Imposta sul Valore Aggiunto, dove peraltro il legislatore ha prima lanciato il sasso e poi nascosto la mano, disponendo e subito rettificando senza che potesse nemmeno entrare in vigore la previsione di una più agevole e tempestiva emissione della nota di accredito per la parte di credito falcidiata, per poi poco più di un anno fa introdurre[4] il comma 3 bis all’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 con un effettivo beneficio per il creditore danneggiato.
Il timore è che la storia si ripeta, perlomeno con riferimento ad alcuni aspetti degli strumenti nuovi. Il Codice della crisi ne provvede la disciplina, ma il TUIR e la disciplina fiscale in genere non ne hanno notizia, o perlomeno non del tutto. Cercheremo di capire pur in sintesi dove le criticità appaiano più preoccupanti, per carenza delle regole o per la loro età.
Per procedere con ordine, articoliamo l’esame con riferimento alle fattispecie reddituali tipiche delle manovre finanziarie di risanamento, e quindi le sopravvenienze attive originate dalla falcidia del debito, e le plusvalenze (quando ci sono) sulla cessione degli asset del debitore.
2 . Sopravvenienza attiva
La situazione in cui si è innestato il Codice della crisi era già di per sé perfettibile. Il comma 4 ter dell’articolo 88 del TUIR prevedeva, e prevede tutt’ora, che non si considerano sopravvenienze attive le riduzioni dei debiti dell'impresa che intervengano per effetto di
1. concordato fallimentare o preventivo liquidatorio, 
2. procedure estere equivalenti, previste in Stati o territori con i quali esiste un adeguato scambio di informazioni,
3. concordato “di risanamento“,
4. di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182 bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero
5. di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del citato regio decreto n. 267 del 1942, pubblicato nel registro delle imprese[5], o
6. di procedure estere a queste equivalenti.
Per i casi da 3 a 6 la riduzione dei debiti dell'impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all'articolo 84 TUIR, senza considerare il limite dell'ottanta per cento, la deduzione di periodo per aiuti di stato[6] e gli interessi passivi di cui all'articolo 96 TUIR. Per i casi 1 e 2 invece la franchigia non riassorbe le perdite pregresse, che rimangono intonse. A complicare il quadro è intervenuta recentemente l’Agenzia delle Entrate che con risposta ad interpello n. 201/2022 assume una posizione estremamente rigida in tema di ampiezza della sopravvenienza esclusa da tassazione, ammettendovi in sostanza solo la quota desumibile alla data di omologa del concordato o dell’accordo di ristrutturazione, e non a quanto emergesse nel corso della esecuzione del piano, con buona pace del ruolo del liquidatore e della natura previsionale insita anche solo nel termine (il “piano”) che qualifica il documento da cui origina la proposta ai creditori. Le ulteriori riduzioni di debito che intervenissero in forza di accordi successivi all’omologa costituirebbero componenti di reddito estranei ed ulteriori, e pertanto tassabili[7].
Nulla inoltre si prevede in tema di sovraindebitamento, e di assegnazione della medesima franchigia a chi affronti e porti a soluzione il proprio stato di crisi attraverso uno degli strumenti previsti dalla Legge n. 3/2012. In tal caso il tema è in realtà anche più ampio, perché include non soltanto i titolari di reddito di impresa, ed in quanto tali soggetti all’articolo 88 TUIR, ma anche professionisti, individuali o riuniti in associazione, ed imprenditori agricoli, che invece determinano il proprio reddito secondo regole riverse. In tali casi quindi sin dall’origine la normativa appariva per così dire migliorabile, ma in realtà gravemente lacunosa. Nemmeno l’ultimo intervento operato dal legislatore sul testo del comma 4 ter dell’articolo 88 TUIR[8], che ha provveduto ad includere nel computo della misura della franchigia gli aiuti di stato di cui al D.L. n. 201/2011, ha potuto nulla. Le lacune sono rimaste tali, e francamente non sembra si ridimensionino nemmeno con l’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi.
L’articolo 25 bis del Codice della crisi prevede espressamente che l’esenzione da imposizione della sopravvenienza attiva da falcidia sia riconosciuta anche ai contratti e agli accordi conclusi con i creditori al termine delle trattative instauratesi con la nuova composizione negoziata, e previsti dall’articolo 23, primo comma, lettere a) e c). Il riferimento è genericamente al comma 4-ter dell’articolo 88 TUIR, ma è ragionevole ritenere che le regole da applicare siano quelle del secondo periodo, riservate al concordato in continuità (che il TUIR definisce “di risanamento”). Alla riduzione dei debiti che consegua da accordi e contratti che chiudono la composizione negoziata si applica quindi l’esenzione da tassazione, per l’importo che residua al netto dell’utilizzo delle perdite, senza considerare il limite dell’ottanta percento, gli aiuti di stato e gli interessi passivi di cui all’articolo 96 TUIR. L’articolo 25 bis si preoccupa, forse pleonasticamente, di ricordare che l’articolo 88 TUIR si applica anche agli accordi previsti dal secondo comma dell’articolo 23 del Codice della crisi, e quindi ai già noti accordi di ristrutturazione del debito, che trovano nuova disciplina agli articoli 57, 60 e 61. Fatta salva l’esigenza di allineamento lessicale su cui torneremo tra poco, l’indicazione è quasi superflua, mentre sarebbe stato apprezzabile un intervento specifico di inquadramento degli effetti fiscali anche per gli strumenti sprovvisti di regole, e per i quali, a rigore, l’impatto tributario della riduzione del debito potrebbe avere, in ragione della disciplina di volta in volta applicabile, un impatto, che dovrebbe essere previsto nel piano. Al momento, quindi, la situazione non pare essere cambiata per chi debba ricorrere alle soluzioni previste dalla Legge n. 3/2012, ed oggi riscritte e collocate al Capo II del Titolo IV del Codice della crisi. Unico riferimento fiscale specifico, ma probabilmente residuale, a tali soluzioni rimane quello del comma 5 bis dell’articolo 14 del Decreto Legislativo n. 472 del 1997[9], che esclude l’applicazione della disciplina della responsabilità solidale del cessionario di azienda per il pagamento dei debiti tributari del cedente nel caso di trasferimenti che siano intervenuti in forza, oltre che di procedura concorsuale, di accordo di ristrutturazione dei debiti, di piano attestato, anche di un procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio.
L’entrata in vigore del Codice della crisi pone poi una questione, forse minore ma non irrilevante, di carattere lessicale. I riferimenti inclusi nel comma 4 ter dell’art. 88 TUIR sono estremamente precisi, riportano gli estremi normativi degli strumenti che accedono alla franchigia. Se è senz’altro vero che perlomeno per alcuni di essi la terminologia non è cambiata, sono certamente nuovi i riferimenti di legge. Per il fallimento l’articolo 349 del Codice della crisi risolve, prevedendo che nelle disposizioni normative vigenti, e quindi anche quelle di carattere tributario, i termini «fallimento», «procedura fallimentare», «fallito» nonché le espressioni derivate devono intendersi sostituite, rispettivamente, con le espressioni «liquidazione giudiziale», «procedura di liquidazione giudiziale» e «debitore assoggettato a liquidazione giudiziale». In questi limiti l’articolo 183 del TUIR risulterebbe già allineato, fatto salvo lo specifico, ed a questo punto anacronistico, riferimento al R.D. n. 267/1942. Per gli altri strumenti il Codice della crisi non contiene una disciplina di allineamento, cosicché sarebbe opportuno un intervento perlomeno di riordino, se non di integrazione delle lacune.
Senza tale intervento alle lacune pregresse rischiano di aggiungersene di nuove, posto che il nuovo Codice della crisi aggiunge opzioni tecniche di soluzione della crisi rispetto a quelle precedenti. La composizione negoziata ha beneficiato di un inquadramento, e ne abbiamo riferito, ma non altrettanto le nuove soluzioni che il codice introduce. Ne è un esempio il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione disciplinato dall’articolo 64 bis, probabilmente una delle novità più dirompenti prodotta dal recepimento della Direttiva Insolvency. La sua disciplina e la collocazione al Capo I bis del Titolo IV del Codice della crisi non consente di assimilarlo con sufficiente tranquillità né al concordato preventivo, né tantomeno all’accordo di ristrutturazione del debito, cosicchè non è per nulla chiaro se possa o meno accedere alla franchigia fiscale sulla sopravvenienza da falcidia, perlomeno per come oggi è regolata. Non sembra consentire una conclusione più ottimistica la previsione, contenuta nell’articolo 64 quater, che consente la conversione della domanda in concordato preventivo su iniziativa del debitore, anche al di fuori dei casi, di cui al primo comma, di mancata approvazione della proposta da parte di tutte le classi o di eccezione di convenienza formulata da un creditore. Al contrario, forse, la possibilità aperta di conversione sembra sancire la distanza tra il nuovo strumento e il concordato, cosicché al momento le porte della franchigia apparirebbero sbarrate. 
Meno scoscesa la via per l’ammissione alla franchigia fiscale per il concordato semplificato, che costituisce una delle possibili soluzioni della composizione negoziata che abbia sortito esiti positivi. Quando la negoziazione non individua una soluzione alla crisi concordata con i creditori, il debitore può presentare una proposta di concordato con cessione dei beni, che il tribunale omologa una volta verificati la regolarità del contraddittorio informativo e del procedimento, senza che sia richiesta l’espressione del voto dei creditori. Il carattere concordato della procedura, pur in assenza di voto, è probabilmente rinvenibile nella possibilità concessa ai creditori di proporre opposizione nel termine dei dieci giorni precedenti l’udienza fissata per l’omologa, cosicchè la struttura tecnica dello strumento appare sufficientemente vicina a quella del concordato preventivo per ammetterne l’accesso alla franchigia, anche in assenza di specifico richiamo, al momento, nell’art. 88 del TUIR.  
Ragioni vecchie e nuove quindi suggeriscono, caldamente, che al testo dell’articolo 88 del TUIR si metta mano urgentemente, per rendere univoca e completa la disciplina degli effetti della riduzione del debito che consegua alla soluzione della crisi. In assenza, il pericolo è che i piani debbano, prudentemente, prevederne l’impatto ove non sia esplicitamente escluso, con buona pace della convenienza delle nuove soluzioni rispetto a quelle che il codice semplicemente eredita dalla Legge Fallimentare.
3 . Plusvalenza
La disciplina della esenzione da tassazione delle plusvalenze che emergono (potenzialmente) dalla cessione dei beni nel risanamento è regolata dall’articolo 86, comma quinto, del TUIR. È una regolamentazione molto datata, che ammette al beneficio solo le plusvalenze maturate in concordato preventivo. La formulazione, che include “quelle (le plusvalenze) relative alle rimanenze e il valore di avviamento”, è di per sé infelice. Se l’intenzione fosse stata quella di delineare la cessione di azienda o suo ramo, sarebbe stato più semplice ed immediato esprimersi in tal senso. Se così non è, la precisazione parrebbe inutile o perlomeno decontestualizzata, posto che la cessione delle rimanenze genera ricavi e non risultati economici differenziali, e l’avviamento da solo non è vendibile. Superando l’incertezza lessicale, e le faticose e successive interpretazioni giurisprudenziali, anche di legittimità[10], l’esenzione trova oggi applicazione nei limiti delle plusvalenze conseguenti a cessioni, di singoli beni o unitariamente di aziende e rami, realizzate in sede di concordato preventivo liquidatorio. L’agenzia delle Entrate con risposta ad istanza di interpello n. 462 del 31 ottobre 2019 ha infatti chiarito che la franchigia non compete ai plusvalori realizzati in esecuzione di piani concordatari in continuità. Condizione necessaria per l’ammissione sarebbe infatti l’insussistenza, dopo il concordato, di esercizio di impresa[11].
Il contesto normativo è rimasto intonso con l’arrivo del Codice della crisi. Le plusvalenze generate in esecuzione del piano di risanamento, e rinvenienti dalla cessione di beni o aziende rimangono quindi pienamente imponibili, fatto salvo il caso del concordato preventivo liquidatorio, cui forse può essere assimilato quello semplificato, che non può avere altre finalità. La composizione negoziata non vi accede, e del resto parrebbe una concessione eccessiva per uno strumento che è stato concepito per la gestione della difficoltà finanziaria in fase assolutamente precoce, che necessiterebbe sicuramente di misure premiali più efficaci di quelle che il codice trascina dalla primordiale versione della composizione assistita, ma non di un sostegno tributario di entità così marcata. Restano fuori ancora gli accordi di ristrutturazione, in tutte le loro forme, i piani attestati di risanamento di cui all’articolo 56 ed anche il nuovo piano di ristrutturazione omologato. La medesima questione è più delicata per le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, che in quanto tali non hanno accesso all’esenzione, potendo però interessare debitori titolari di redditi di natura professionale o fondiaria, e non di impresa. Per il caso specifico è nella disciplina ordinaria, posto che per agricoltori e professionisti non esistono fattispecie agevolative specifiche, che andrà collocata la fattispecie, e dedotta la eventuale tassazione. E molto spesso la soluzione non è per nulla piana.
4 . La posizione dei creditori
Spostando la visuale dal lato del creditore, l’analisi è simile a quella proposta con riferimento all’esenzione da tassazione della sopravvenienza da falcidia. L’articoli 101, comma 5, del TUIR dispone che le perdite su crediti siano deducibili in ogni caso se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o un piano attestato di cui rispettivamente all'articolo 182 bis e 67, comma 3, lettera d) della legge fallimentare. Al di là delle già citate esigenze di allineamento lessicale, è ragionevolmente presumibile che la norma riferisca ora a liquidazione giudiziale, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione del debito (artt. 57, 60 e 61), e piani attestati (art. 56). Accedono alla disciplina anche i contratti e gli accordi conclusi all’esito della composizione negoziata (art. 23, primo comma, lettere a) e c)), per espressa indicazione inclusa nell’articolo 25 bis, comma quinto del Codice della crisi, e restano invece esclusi sia il nuovo piano di ristrutturazione omologato che gli strumenti di regolazione della crisi da sovraindebitamento.
Considerazione analoga valga anche in tema di imposta sul valore aggiunto. L’articolo 26, comma 3 bis, del D.P.R. n. 633/1972 consente al creditore falcidiato di emettere nota di accredito per l’importo della riduzione subita a fronte dei medesimi strumenti previsti dall’articolo 101, comma 5, del TUIR. Ne consegue anche in questo caso l’esigenza di allineamento lessicale, e ne deriva l’inaccessibilità per i creditori dei sovraindebitati o per chi utilizzi il piano di ristrutturazione omologato.
5 . Conclusione
In sintesi è piuttosto agevole dedurre che come spesso accade la norma tributaria dovrà inseguire gli eventi. Solo per il caso della composizione negoziata la norma dispone anche in tema di fiscalità, mutuando il testo dal D.L. n.118/2021. Per il resto le novità intervenute non sono state accompagnate da una revisione della norma tributaria, con la conseguenza che i piani di risanamento a servizio dei nuovi strumenti al momento non godono, in molti casi, delle pur non solidissime certezze assegnate agli strumenti più consolidati, anche se revisionati. L’ora è (o sarebbe meglio dire sarebbe) giunta per una revisione sostanziale, nell’occasione dell’allineamento lessicale, della disciplina, che includa ogni fattispecie, nuova e vecchia.

Note:

[1] 
Per un primo commento al quadro complessivo delle novità intervenute si veda V. Zanichelli, Commento a prima lettura del decreto legislativo 17 giugno 2022 n. 83 pubblicato in G.U. il 1 luglio 2022, in Dirittodellacrisi.it.
[2] 
D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917.
[3] 
Si veda tra le altre, Corte di Cassazione, 18 luglio 1995 n. 7800. 
[4] 
La modifica in oggetto è intervenuta per effetto del disposto dell’art. 18 del D.L. 25 maggio 2021 n. 73, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 luglio 2021 n. 106.
[5] 
Si vedano a tal proposito le risposte ad interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 302/2022 e n. 303/2022, che chiarisce l’ambito soggettivo di applicazione, l’applicabilità dell’esenzione alle fattispecie valutative (nel caso specifico IFRS 9) che conducano alla iscrizione di componente positivo di reddito a seguito della rinegoziazione del debito finanziario, e corrispondentemente la indeducibilità della eventuale perdita che originasse dalla determinazione di nuove condizioni sfavorevoli rispetto a quelle di mercato.
[6] 
Si veda l’articolo 1, quarto comma, del D.L. n. 201/2011.
[7] 
Si veda anche G. Andreani - A. Tubelli, Residuo attivo tassabile anche nel concordato, in Il Sole 24 Ore, 21 aprile 2022.
[8] 
La modifica in commento è intervenuta per effetto dell’articolo 1, comma 549, lett. b), della L. n. 232/2016.
[9] 
L’inserimento del comma 5 bis intervenne per effetto dell'art. 16, comma 1, lett. g) del D.Lgs. 24 settembre 2015 n. 158, con effetto dal 1 gennaio 2016.
[10] 
Si vedano tra le altre, Corte di Cassazione, Sentenze nn. 11699/2007, 22168/2006, 7661/2005.
[11] 
Si veda a tal proposito anche la risposta ad interpello dell’Agenzia delle Entrate del 1 marzo 2004 n. 29.

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