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Saggio

Il Decreto correttivo 13 settembre 2024, n. 136: una guida alla lettura

Ilaria Pagni, Ordinario di diritto processuale civile nell’Università di Firenze

1 Ottobre 2024

Una glossa ragionata al Decreto correttivo, una bussola di orientamento fra le regole riscritte.
Riproduzione riservata
1 . Il sistema del Codice e le scelte del D.Lgs. n. 136/2024
1. Guardando al testo risultato dall’intervento del D.Lgs. n. 83/2022, di attuazione della Direttiva Insolvency, credo si possa riconoscere che, pur con tutte le difficoltà di lettura e nella comprensibile differente visione circa i valori che ha voluto privilegiare, il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha il pregio di aver disegnato il percorso che conduce al risanamento o alla liquidazione, e gli strumenti di regolazione previsti nell’un caso e nell’altro, come un abito su misura, a seconda delle caratteristiche che ha la crisi che ha colpito l’impresa, del valore che essa esprime e della tipologia di creditori. 
Anche il procedimento unitario è stato costruito, almeno nelle norme, come un binario che permette al giudice, e non soltanto in fase di impugnazione, uno sguardo d’insieme sulle diverse strade che vengono percorse o dell’alternativa della liquidazione giudiziale. È questa la ratio che spiega i commi 9 e 10 dell’art. 40 e la modifica apportata dal decreto correttivo all’art. 53, comma 5, dove si chiarisce definitivamente che la domanda di apertura della liquidazione giudiziale su cui la Corte d’appello deve pronunciare in caso di revoca dell’omologazione di uno degli strumenti è solo quella già proposta in primo grado. 

2. Non ci sono strade obbligate. Non c’è più una norma, quale era l’art. 5 L. fall., che prevede che l’imprenditore che si trova in stato di insolvenza sia dichiarato fallito, perché anche per l’impresa insolvente occorre prima verificare che non siano possibili percorsi di risanamento o comunque strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale o controllata (così l’art. 7, comma 2, CCII). 
La domanda di liquidazione giudiziale non è preclusiva né della composizione negoziata (lo si doveva leggere già nell’art. 25 quinquies, ma oggi il decreto correttivo lo ha definitivamente chiarito), né della possibilità di prorogare il termine previsto dall’art. 44, comma 1, lett. a). A rovescio, la pronuncia della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale può essere inibita come effetto della richiesta di applicazione di misure protettive sia nella composizione negoziata che nel procedimento unitario, ove non è impedito che il procedimento di apertura della liquidazione giudiziale comunque si svolga, conduca eventualmente al rigetto della domanda, e, nel corso dell’istruttoria, vengano domandate misure cautelari da parte di chi abbia richiesto la liquidazione giudiziale. Il raccordo tra queste misure e la protezione del patrimonio chiesta dal debitore è regolato dall’art. 54, comma 1. 

3. Crisi e insolvenza stanno dunque, nel Codice, in posizione equivalente. Sono trattate pressoché ovunque con la medesima disciplina, fatta eccezione per la gestione dell’impresa in pendenza di trattative nella composizione negoziata (art. 21, comma 1). Viceversa, nell’art. 4, comma 2, lett. c), in pendenza del procedimento per la regolazione giudiziale della crisi il patrimonio e l’impresa vanno sempre gestiti nell’interesse prioritario dei creditori. 

4. In questa cornice, si inserisce l’intervento annunciato del decreto correttivo. 
La correzione del Codice è avvenuta in virtù di due leggi: la legge n. 20 del 2019, da una parte, e, dall’altra, la legge di delegazione europea n. 53 del 2021. 
L’art. 1 della legge n. 20 del 2019 rinvia ai principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega n. 155 del 2017, dalla quale è scaturito il Codice. Ne discende che, per gli interventi correttivi basati su quella disposizione, il decreto correttivo ha dovuto tenere conto della legge del 2017 e delle modalità attraverso le quali la stessa è stata attuata: modalità che hanno consentito, pertanto, di modificare disposizioni attuative introdotte dal legislatore del 2019 ma non di introdurre disposizioni che attuassero principi di delega rimasti inattuati (sui quali non sussisteva più un potere legislativo delegato). 
Quanto alla legge di delegazione europea, in questo caso il decreto interviene per chiarire la portata delle modifiche apportate con l’attuazione della direttiva Insolvency e correggere difetti di coordinamento emersi rispetto agli istituti non armonizzati, con l’obiettivo di migliorare la coerenza sistematica tra tutti gli istituti disciplinati dal Codice e renderli così più efficienti rispetto agli obiettivi perseguiti dal legislatore eurounitario. 
L’intervento correttivo si iscrive anche nel quadro degli impegni assunti col PNRR, e deve rivolgersi perciò anche a migliorare l’impatto della riforma in materia di insolvenza in termini di potenziale efficienza. 
Poiché il comma 3 dell’art. 1 della legge delega del 2017 consentiva di prorogare il termine per l'esercizio della delega di sessanta giorni quando, come nel nostro caso, il termine per l'espressione del parere delle Commissioni parlamentari fosse scaduto nei trenta giorni antecedenti la scadenza del termine di cui al comma 1 oppure successivamente, si è avuto un differimento per la firma del Presidente della Repubblica. La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale è avvenuta il 27 settembre e il decreto è entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione. 

5. L’intervento del decreto correttivo ha avuto come primo obiettivo quello di oliare i meccanismi laddove gli stessi avevano mostrato di incepparsi. Un decreto correttivo ha spazi di manovra assai ristretti, ma può intervenire almeno su alcuni dei passaggi critici che hanno attirato l’attenzione degli operatori, facendola convergere su questioni anche di dettaglio, e talora distogliendola dalla necessità di uno sguardo più generale ai principi che oggi devono governare la materia. 
Il decreto correttivo ha cercato poi di armonizzare disposizioni scritte in momenti storici diversi: quelle frutto della legge delega n. 155/2017, che aveva anche trasformato in norme alcuni orientamenti della giurisprudenza emersi sino a quel momento rispetto alla legge fallimentare, e quelle frutto della Direttiva Insolvency, con le quali, oltre a ripensare il concordato preventivo in continuità e ad addolcire alcune rigidità originarie del concordato liquidatorio, sono state riviste le previsioni di apertura del Codice della crisi con una sottolineatura particolare del momento che precede il tradizionale ingresso nelle procedure di regolazione giudiziale della crisi o dell’insolvenza e una speciale attenzione alla fase delle trattative. 

6. Nel Codice le trattative non caratterizzano soltanto il preaccordo, com’era nella legge fallimentare, o la composizione negoziata, ma si ritrovano anche nella domanda prenotativa (grazie al richiamo, nell’art. 92, comma 3, al ruolo del commissario giudiziale nel caso di concordato in continuità aziendale), e possono proseguire anche in una fase successiva alla presentazione della proposta e del piano, tant’è vero che il decreto correttivo spinge il compito del commissario giudiziale nell’affiancamento a debitore e creditori anche dopo, per eventuali modifiche al piano e alla proposta anteriormente all’approvazione da parte dei creditori. È bene ricordarlo perché l’art. 16, comma 5, che con riferimento alle banche, ma anche ai cessionari dei crediti, impone un dovere particolare nella composizione negoziata (ossia la partecipazione alle trattative in modo attivo e informato), opera anche al di fuori di essa come specificazione del più generale art. 4, che al comma 1 e al comma 4 prevede doveri di buona fede e correttezza, di leale collaborazione e di riservatezza anche negli strumenti: doveri, rispetto ai quali ci si chiede se possano, ove violati, dare titolo anche a forme di intervento giudiziario preventivo o soltanto successivo: per meglio dire, a forme di tutela specifica attraverso le misure protettive atipiche, ove possibili, o le misure cautelari contenenti ordini di facere, oppure soltanto a una tutela risarcitoria, quando i comportamenti ostruzionistici nelle trattative, in qualunque momento esse si svolgano, abbiano fatto naufragare il tentativo di sistemazione della crisi o dell’insolvenza. 

7. La lettura del Codice dev’essere necessariamente condotta muovendo dalla centralità dei titoli I e II, data da un ordine logico, e non soltanto di norme, nell’impostazione voluta dal legislatore nell’invitare il debitore innanzitutto a istituire assetti organizzativi adeguati  a rilevare tempestivamente la possibilità di emersione della crisi o dell’insolvenza (si noti, sul punto, che il decreto correttivo ha chiarito definitivamente, al comma 4 dell’art. 3, che i segnali di allarme non sono necessariamente indicatori di una crisi già in atto, perché servono ad agevolarne la previsione “anche prima dell’emersione della crisi e dell’insolvenza”); poi a considerare tra i propri doveri (art. 4, comma 2, lett. b) quello di assumere tempestivamente tutte le iniziative idonee a regolare la crisi e l’insolvenza che, nonostante ciò, si siano manifestate; e, infine, a utilizzare la via della composizione negoziata, a preferenza di quella della domanda prenotativa, per costruire un progetto di ristrutturazione che non sia semplicemente un modo per evitare la liquidazione giudiziale. 

8. La centralità del titolo I e del titolo II ha suggerito al legislatore del decreto correttivo di tornare di nuovo sulle previsioni che vi sono contenute, e ripartire da lì, dopo due anni di messa alla prova delle norme (quasi tre anni, per la composizione negoziata), per un intervento di manutenzione del tragitto che si snoda prima e dopo l’ingresso nel procedimento unitario.  
2 . Gli interventi del decreto correttivo: il sovraindebitamento, il trattamento dei crediti fiscali e contributivi, le disposizioni lavoristiche
1. I principali interventi del decreto correttivo hanno riguardato la disciplina del sovraindebitamento e conseguentemente anche del concordato minore, aperto al debitore sovraindebitato diverso dal consumatore. 
Era necessario rivedere le previsioni della L. n. 3/2012 per correggerne le principali criticità, e armonizzare meglio le disposizioni con l’impianto generale delle norme in cui le previsioni sul sovraindebitamento si inseriscono, soprattutto considerando l’impatto che esse hanno dal punto di vista quantitativo, riguardando, il sovraindebitamento (lett. c) dell’art. 2), oltre al consumatore, il professionista, le imprese minori, le imprese agricole e le start up innovative (solo per queste ultime, quando diverse dalle imprese minori, il decreto correttivo, all’art. 37, consente che l’impresa possa richiedere, con domanda proposta esclusivamente dal debitore, l’accesso agli altri strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti dal codice nonché l’apertura della liquidazione giudiziale). 

2. Colgo l’occasione per ricordare che accanto all’impresa minore il Codice contempla anche: 
i) l’“impresa sotto-soglia”, categoria conservata nella composizione negoziata per consentire anche all’impresa agricola, come già aveva fatto il D.L. n. 118/2021, di passare dagli artt. 17 ss. o dall’art. 25 quater a seconda dei requisiti che presenti (cosa che non sarebbe stata possibile se si fosse utilizzata l’espressione “impresa minore” della lett. d) dell’art. 2, che non è l’impresa agricola sotto-soglia, ma l’impresa commerciale) 
e, col decreto correttivo: 
ii) nell’art. 85 e nell’art. 112 la “piccola impresa”, individuata secondo la definizione che ne dà la normativa europea, non riportata tra le definizioni dell’art. 2 perché compare soltanto in due disposizioni e perché l’opzione del correttivo è stata comunque quella di non allungare ulteriormente un elenco già lungo (questo secondo motivo ha guidato anche la scelta di non inserire nell’art. 2 la definizione di “valore di liquidazione”, che si ritrova nell’art. 87, lett. c), richiamato da numerose disposizioni). 

3. Oltre che sul sovraindebitamento e sulla esdebitazione, gli interventi si sono concentrati su alcune discipline “speciali”: 
iii) gli artt. 189 e 190, con la riscrittura dell’art. 189 per riequilibrare, sempre nel rispetto delle esigenze economiche dei dipendenti, la sospensione dei rapporti di lavoro, le dimissioni, il recesso o il subentro del curatore, raccordandoli meglio con l’ipotesi di prosecuzione dell’attività mediante esercizio provvisorio o trasferimento d’azienda, e con l’opportuna previsione, all’art. 190, per cui i termini per la presentazione della domanda di NASpI (art. 6 D.Lgs. n. 22/2015) decorrono dalla comunicazione della cessazione da parte del curatore o delle dimissioni del lavoratore, e 
iv) il trattamento dei crediti fiscali e contributivi, oggi presente in tutti gli strumenti, con una disciplina che ha avuto una genesi tormentata, in parte condizionata anche da una normativa fiscale recente, già in vigore, che ha impedito la formulazione di norme di maggiore comprensibilità. 
E ciò sia detto senza entrare neppure nel merito delle percentuali previste ai commi 4 e 5 dell’art. 63, prima alzate, poi abbassate, ma comunque rimaste elevate per effetto della presa di posizione dei Ministeri competenti. 

4. Una questione che è stata risolta nell’art. 63 è quella, tutta processuale, del raccordo tra domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione (che apre il procedimento unitario, ex art. 40) e intervento dell’assenso (o adesione) del creditore pubblico sulla proposta avanzata dal debitore nell’ambito delle trattative che precedono la stipulazione degli accordi di ristrutturazione di cui agli artt. 57, 60 e 61 (adesione che, in base al comma 2 dell’art. 63, deve intervenire entro novanta giorni – aumentati nel caso di modifiche alla proposta di transazione - dal deposito della proposta di transazione). 
Quanto al concordato, si è definitivamente chiarito che l’art. 88 si riferisce, seppure con regole diverse, tanto al concordato liquidatorio quanto a quello in continuità aziendale, ma che, con riferimento a quest’ultimo, ai fini della ristrutturazione trasversale la classe dei creditori da considerare ai fini di cui alla lett. d) dell’art. 112 non può essere quella dei creditori pubblici se la loro adesione non è stata espressa. 
Nella composizione negoziata è stato previsto – stante l’assenza di qualsiasi regolamentazione del rapporto debiti-crediti che non sia quella frutto dell’autonomia negoziale - un accordo transattivo vero e proprio, che prevede il pagamento parziale o dilazionato del debito fiscale (non di quello contributivo, per volontà del Ministero competente), senza che fosse possibile “forzare” la volontà del creditore pubblico attraverso il confronto con l’alternativa liquidatoria in assenza di una regolazione del concorso. Fermo il fatto che niente impedisce di preparare intanto il contenuto della soluzione pattizia con i creditori non pubblici passando attraverso la composizione negoziata, per poi entrare nella regolazione giudiziale col ricorso ex art. 40, e nel contempo anticipando i tempi degli adempimenti previsti dalle norme sul trattamento dei crediti fiscali e contributivi che è stato agganciato dal Codice agli strumenti di regolazione. 
3 . Segue. Gli ulteriori interventi: alcune notazioni
1. Gli interventi del decreto correttivo hanno inoltre riguardato: 

i) le definizioni, in parte riformulate per superare dubbi interpretativi che si erano posti, con particolare riferimento al significato di “strumento di regolazione della crisi” e alle misure protettive e cautelari. Viceversa, gli interventi sulle lett. n) e o) sono stati resi necessari dalla sostituzione dell’albo con un elenco e dai chiarimenti sulla figura del professionista indipendente nell’art. 356, come soggetto che deve essere iscritto nell’elenco anche se non è incaricato dall’autorità giudiziaria ma dal debitore, e deve avere i requisiti previsti all’art. 358 

ii) l’art. 6 sulla prededuzione, sia, alla lett. d), nel senso di ampliarla ai compensi professionali di coloro che, su incarico del debitore e non di un organo della procedura, abbiano svolto attività successivamente alla domanda di accesso allo strumento (nella sostanza, quelli che, nella legge fallimentare, erano i compensi “in occasione”), sia nel senso di chiarire meglio cosa significasse il comma 2 nella sua versione originaria (“la prededucibilità permane anche nell’ambito delle procedure esecutive e concorsuali”): a quest’ultimo proposito, si è precisato che la prededucibilità non “permane” in caso di apertura del concorso, ma “opera” in caso di apertura del concorso, e “permane” anche quando si susseguono più procedure (sia esecutive che concorsuali, non c’è bisogno di sottolinearlo, poiché in entrambe vi è concorso), indipendentemente dalla consecuzione delle procedure. Ciò era quanto aveva voluto la Commissione Rordorf nello scrivere quella disposizione: per un errore nella relazione illustrativa alla versione del Codice del 2019, oggi corretto nella relazione al decreto correttivo, sembrava invece che la norma richiedesse la consecuzione 

iii) la disciplina della composizione negoziata, con riferimento alla quale il decreto correttivo, in particolare: 

a) interviene a chiarire che l’accesso alla composizione negoziata, nell’art. 12, non è previsto “solo” per l’impresa in stato di squilibrio, ma “anche” per quest’ultima (la sottolineatura dello stato di squilibrio era servita, nella prospettiva del D.L. n. 118/2021, a chiarire che l’intervento sulle regole del mercato (soprattutto la possibilità di cedere l’azienda senza l’applicazione dell’art. 2560, comma 2, e oggi anche dell’art. 14, comma 1, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che prevede la solidarietà fiscale, grazie alla norma contenuta nel D.Lgs. n. 87/2024) si giustificava soltanto in presenza di una condizione che rendesse probabile la crisi o l’insolvenza, 
b) precisa che in alcuni casi le trattative possono svolgersi senza l’esperto, ne chiarisce il ruolo nel rilascio dei pareri, e ne prevede una sorta di ultrattività al termine del percorso, 
c) spiega il rapporto tra l’art. 22 e l’art. 24, precisando (con il comma 1 ter dell’art. 22) che l’art. 24 non ha niente a che vedere col tema della prededuzione, come già si sarebbe dovuto comprendere, peraltro, dal fatto che quella norma fa riferimento a effetti che si siano già prodotti (per esempio, quelli collegati alla cessione d’azienda) e si debbano “conservare”, mentre la prededuzione si ha soltanto con l’apertura del concorso. In ogni caso, a scanso di equivoci, si precisa che la conservazione degli effetti, nell’art. 24, si ha “anche” (e non “solo”) nel caso in cui la composizione negoziata si concluda con una soluzione prevista al secondo comma dell’art. 23, in linea con quella che è la ratio della disposizione, ovvero incentivare le soluzioni interamente negoziali, 
d) riscrive l’art. 23, per superare la convinzione che le alternative del comma 2 rappresentino un insuccesso della composizione, come si poteva ritenere dall’originario incipit del comma (“se all’esito delle trattative non è individuata una soluzione tra quelle di cui al comma 1 ecc.”). Oggi il decreto recita: “Oltre ai contratti o agli accordi di cui al comma 1, l’imprenditore può anche, alternativamente ecc.”, per dare il senso della continuità tra composizione negoziata e sbocchi che, pur andando nella direzione della regolazione giudiziale della crisi e dell’insolvenza, si caratterizzano comunque per la rilevanza dell’elemento negoziale. Continuità che, del resto, è sottolineata anche dall’inserimento, nella lett. b) del comma 2, della previsione per cui la percentuale per gli accordi a efficacia estesa scende al 60% se la domanda di omologazione è proposta nei sessanta giorni successivi alla comunicazione della chiusura della composizione. A rigore, neppure il concordato semplificato può essere considerato un esito negativo della composizione: nell’art. 25-sexies è stato cancellato, infatti, il passaggio in cui si prevedeva “quando l’esperto nella relazione dichiara che le trattative (…) non hanno avuto esito positivo”, per sottolineare come anche in quel caso le trattative siano alla base della soluzione della crisi prescelta, e, anzi, suppliscano alla mancanza della approvazione del concordato da parte dei creditori. Ovviamente, le trattative si devono essere svolte in buona fede (e non al solo fine di guadagnare la possibilità del concordato semplificato), e devono aver portato a escludere altre possibili soluzioni 

iv) alcuni snodi particolarmente delicati, come il raccordo tra l’art. 44 e l’art. 46, chiarito nel comma 1 bis, cui si correla la previsione tutta nuova del comma 1 quater, che permette di avvalersi degli effetti dello strumento nel caso in cui fin dall’inizio il ricorrente scelga la direzione avuta di mira. A questo proposito si noti anche la modifica apportata all’art. 54, comma 4, fatta per chiarire che la domanda prenotativa è, come la domanda piena, domanda di accesso ex art. 40, e che perciò il procedimento unitario è già pendente anche quando l’attore si riserva di depositare la documentazione nei termini fissati dal tribunale: il deposito della documentazione successiva, infatti, non richiede mai un nuovo ricorso, ma soltanto una integrazione dell’oggetto, e talora neppure quella, quando il debitore si avvale della possibilità oggi offerta dal comma 1 quater. L’intervento sull’art. 44 si ritrova poi nell’art. 97, con riferimento agli spazi di manovra sui contratti pendenti, nella distinzione tra scioglimento (possibile solo in caso di domanda piena) e sospensione (la cui durata è diversa a seconda che sia richiesta ai sensi del comma 1-quater con la domanda prenotativa, oppure una volta depositata la documentazione integrativa) 

v) alcuni punti tuttora critici della disciplina processuale: 

a) il contenuto “tipico” delle misure protettive, allineato in tutti gli ambiti nei quali le misure protettive operano, 
b) l’applicazione delle misure protettive e cautelari al concordato semplificato, chiarita con le modifiche all’art. 54, 
c) la possibilità di proporre domanda prenotativa anche quando l’obiettivo è il concordato semplificato (purché la proposta di concordato sia comunque presentata “nel rispetto” del termine di sessanta giorni dalla comunicazione da parte dell’esperto della relazione finale: il che significa che entro i sessanta giorni dev’essere integrato il ricorso con la documentazione completa, senza possibilità di ulteriori proroghe, e non già che nel termine è sufficiente proporre la domanda prenotativa; quel che può dare più tempo è solo, dunque, lo spazio occupato dall’esperto per predisporre la relazione), 
d) la possibilità di chiedere le misure cautelari “in pendenza del procedimento per l’accesso agli strumenti di regolazione” e perciò anche quando il procedimento sia aperto con domanda prenotativa o con domanda finalizzata a ottenere l’omologazione di un concordato semplificato, e non soltanto, come nel testo originario, “nel corso della procedura di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione o del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione”, previsione, questa, che intendeva soltanto escludere la possibilità di richiedere misure cautelari ante causam 
e) il significato dell’espressione “ritualità”, ripresa dal concordato fallimentare e utilizzata, oltre che nel concordato nella liquidazione giudiziale, nel concordato semplificato e nel giudizio di apertura del concordato in continuità (oltre che nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione), 
f) l’ambito di applicazione dell’art. 53, a chiarire che la norma non disciplina solo gli esiti altalenanti tra un grado e l’altro dell’accoglimento o del rigetto dell’unica domanda, ma anche l’altalena degli effetti tra liquidazione giudiziale e strumenti, di qualunque tipo essi siano, 
g) il passaggio di consegne tra Corte d’appello e tribunale, quando si revoca la liquidazione giudiziale e si omologa lo strumento, e viceversa, oggi meglio disciplinato dall’art. 51, comma 12, 
h) gli spazi, dopo la riscrittura dell’art. 53, comma 5, per la domanda di apertura della liquidazione giudiziale una volta che penda il procedimento unitario per l’omologazione di uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, 
i) la possibilità per il tribunale di gestire non solo l’altalena degli effetti tra revoca dello strumento e apertura della liquidazione giudiziale (comma 5 dell’art. 53, già in precedenza richiamato dal comma 6), ma anche, a rovescio, il caso della revoca della liquidazione e omologa dello strumento (comma 1 dell’art. 53, richiamato anch’esso nell’ultima versione del decreto correttivo), seppure rimanga scoperta l’ipotesi in cui le impugnazioni dello stato passivo siano già state proposte e occorra sospenderle, 

e, infine, 

j) il modo in cui si arriva alla fissazione dell’udienza di omologazione del concordato quando il debitore chiede la ristrutturazione trasversale in difetto di approvazione della proposta e del piano (art. 111) 

vi) il classamento, il trattamento dei chirografari, il contenuto del piano di concordato (con la precisazione di come si misuri il valore di liquidazione e con la specificazione della necessità che nell’apposito fondo rischi costituito quando i finanziamenti siano garantiti da misure di sostegno pubblico siano indicate le risorse necessarie a far fronte al debito che da chirografario diviene privilegiato quando la garanzia venga escussa), le modalità per scegliere tra più proposte concorrenti incomparabili ma tutte quante approvate (art. 109, comma 5 bis), e l’omologazione del concordato in continuità aziendale. Quanto a quest’ultima, è importante segnalare che la disciplina è stata chiarita:  

a) con l’inserimento nel comma 6 dell’art. 84 della frase “ai fini del giudizio di omologazione”, che serve a precisare che la corretta destinazione del valore eccedente quello di liquidazione non dev’essere valutata in fase di apertura, ma è oggetto esclusivo del giudizio di omologazione, non potendo essere giudicata prima che si verifichino i presupposti perché eventualmente operi la ristrutturazione trasversale, 
b) con la riscrittura della lett. d) dell’art. 112, comma 2, per precisare quale sia la classe che consente l’omologazione anche in caso di mancata approvazione a maggioranza: non la classe dei creditori “maltrattati”, ma la classe composta da creditori interessati (perché ad essi è offerto un importo non integrale del credito) che in caso di applicazione della regola della priorità assoluta avrebbero ricevuto comunque un pagamento. In sostanza, la classe può essere anche beneficiata, e non maltrattata o svantaggiata, perché quel che si esclude è solo la rilevanza dell’approvazione ad opera della classe che in caso di applicazione della regola della priorità assoluta anche sul valore eccedente quello di liquidazione non riceverebbe alcunché 

vii) le forme per la reclamabilità dei decreti del giudice delegato e del tribunale, nonché degli atti e delle omissioni del commissario o del liquidatore giudiziale (art. 93 bis, che colma un vuoto in precedenza rimesso all’interprete) 

viii) le operazioni straordinarie previste dallo strumento di regolazione della crisi, la cui disciplina è stata rivista con: 

a) la confluenza di tutte le opposizioni (anche di quelle dei creditori delle società partecipanti all’operazione, diverse dalla debitrice) nel giudizio di omologazione, 
b) uno spatium temporis tra la pubblicità dell’operazione e l’udienza di almeno 45 giorni, dovuto alla necessità di considerare la complessità della preparazione dell’opposizione, 
c) la regolamentazione della sorte dell’operazione in pendenza del giudizio di omologa di primo grado, 
d) l’impossibilità, una volta che l’omologazione sia intervenuta, di pronunciare l’invalidità delle deliberazioni previste dal piano di concordato, salvo il risarcimento del danno con credito prededucibile, 
e) l’estensione della irreversibilità degli effetti delle operazioni, già prevista in caso di annullamento o risoluzione del concordato, al caso della revoca, 
f) la non necessità che la società debitrice assuma deliberazioni per le operazioni straordinarie, essendo sufficiente, in sostituzione, la sentenza di omologazione (sicché le delibere di cui l’invalidità non può essere pronunciata sono quelle delle società diverse dalla debitrice) 

ix) la disciplina dell’esecuzione del concordato preventivo, portata tutta al di fuori dell’art. 84, e riscritta sia per precisare che il concordato liquidatorio sta in rapporto di genere a specie con quello con cessione dei beni (artt. 84, comma 1, e 114), sia per chiarire gli spazi in cui opera il liquidatore, anche nel concordato in continuità (artt. 114 bis e 115), sia per armonizzare le previsioni degli artt. 116, 118, commi 5 e 6, e 120 quinquies (distinguendo tra il caso in cui occorra dare materiale esecuzione alla proposta omologata, nel qual caso può intervenire, in caso di inerzia, la nomina di un amministratore giudiziario, e il caso in cui, con riferimento alle operazioni societarie, la sentenza di omologazione già determina qualsiasi modificazione dello statuto prevista dal piano e l’intervento degli amministratori o dell’amministratore giudiziario per l’adozione degli atti esecutivi è considerata solo eventuale) 

x) la possibilità di apportare modifiche al concordato in continuità aziendale dopo l’omologazione (senza passaggio da una nuova approvazione ma direttamente, con la possibilità dell’opposizione all’omologazione proposta con ricorso): modifiche che, nell’ultima versione del decreto correttivo, successiva rispetto al testo che era stato approvato dal Consiglio dei Ministri nel mese di giugno, si è precisato essere solo quelle relative al piano e non anche alla proposta. La norma riprende la previsione dell’art. 58, comma 2, riferita agli accordi di ristrutturazione 

xi) il chiarimento, frutto della sostituzione della sezione VI bis con il capo III bis, che le norme degli artt. 120 bis ss., dove non contengono previsioni speciali per il concordato, si riferiscono anche agli altri strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società 

xii) il concordato nella liquidazione giudiziale, dove, tra le altre cose, è stato riscritto il giudizio di omologazione (art. 245, particolarmente nel suo comma 3, col chiarimento dei rapporti tra richiesta di omologazione e opposizione, anche qui, come nel concordato preventivo, pensata come difesa) ed è stata risistemata la disciplina dell’efficacia del decreto di omologazione (art. 246, nel quale è stato eliminato il riferimento all’efficacia della proposta, sostituita dall’efficacia del decreto che la omologa). Un’efficacia che si produce fin dalla pubblicazione, indipendentemente dalle opposizioni proposte, e che perciò non deve attendere la definitività del decreto, cui sono subordinati, invece, gli effetti, diversi, della chiusura della procedura di liquidazione giudiziale e della interruzione dei giudizi di impugnazione dello stato passivo. Dunque, è possibile procedere a dare esecuzione alla proposta di concordato prima che il decreto di omologazione diventi definitivo: occorrerà pertanto ragionare sulle conseguenze, in questo caso, della revoca del concordato a opera della Corte d’appello in sede di reclamo o della Corte di cassazione in sede di giudizio di legittimità 

xiii) la materia dei gruppi, rivista solo in parte 

xiv) la liquidazione giudiziale (in alcuni punti su cui non è possibile soffermarsi) 

xv) la riscrittura delle previsioni dell’albo dei gestori della crisi, sostituito con un elenco per accedere al quale sono state riviste le prescrizioni iniziali, introdotta la possibilità di scegliere la funzione che si vuole svolgere e la scelta fuori circondario, senza che occorra una specifica motivazione, nonché corrette alcune storture, come quella relativa al tirocinio, e mantenute le prerogative degli Ordini professionali. 

Sono tutti interventi che richiederebbero ciascuno un approfondimento non possibile in questa sede, ma la cui ratio e il cui significato ho cercato di chiarire per offrire un quadro d’insieme delle modifiche apportate dal decreto correttivo.

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