1. L’ordinanza del Tribunale di Brescia, che qui brevemente si annota, è pienamente condivisibile in relazione ad alcune affermazioni “operative”, che rispecchiano, a mio avviso fedelmente, le previsioni degli artt. 6 e 7 d.l. n. 118/2021, conv., con modificazioni, dalla l. n. 147/2021.
Queste norme prevedono che l’istanza con la quale si chiede la nomina dell’esperto e la contestuale applicazione delle misure protettive è “scissa” in una modalità amministrativa, alla quale deve fare seguito, pressocché contestualmente, una fase giurisdizionale: entrambe sono necessarie ed ineludibili[1].
Il tribunale bresciano rammenta che l’imprenditore deve chiedere l’applicazione delle misure protettive già con l’istanza di nomina dell’esperto (che dà ingresso alla procedura di composizione negoziata della crisi), ovvero con successiva istanza presentata con le medesime modalità, tutte da depositarsi presso la camera di commercio competente.
Tale istanza non è soggetta ad alcuna valutazione di merito da parte dei funzionari della camera di commercio, ma soltanto a controlli di tipo formale, aventi ad oggetto il rispetto dei requisiti previsti dall’art. 5 del d.l. e l’avvenuto deposito, da parte dell’imprenditore, nella piattaforma telematica, unitamente all’istanza, della dichiarazione relativa all’esistenza di misure esecutive o cautelari disposte nei suoi confronti, nonché alla pendenza di ricorsi per la dichiarazione di fallimento o per l’accertamento dello stato di insolvenza, nonché di una dichiarazione con la quale si attesta di non avere depositato ricorsi di concordato preventivo, anche con riserva, ovvero di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti.
La camera di commercio, verificata in questi termini la regolarità formale dell’istanza, provvede senza indugio alla nomina dell’esperto e, una volta intervenuta l’accettazione di quest’ultimo, alla pubblicazione nel registro delle imprese, assegnando una data ed un numero di protocollo; da quel momento le misure protettive acquistano automatica efficacia. È necessario che, contestualmente, sia pubblicata anche l’accettazione dell’esperto, in quanto di per sé attestante la pendenza di una procedura di composizione negoziata della crisi.
Alla modalità amministrativa deve fare immediato seguito l’apertura della fase giurisdizionale: l’art. 7, comma 1, stabilisce che, “lo stesso giorno della pubblicazione dell’istanza e dell’accettazione dell’esperto”[2], il debitore deve depositare presso il tribunale competente un ricorso contenente la richiesta di conferma o modifica delle misure protettive, ovvero di adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative.
In pratica, l’imprenditore procede, dapprima, al deposito dell’istanza alla camera di commercio, e, subito dopo avere ottenuto la ricevuta telematica dell’avvenuto deposito (corredata dell’accettazione dell’esperto), procede (nel medesimo giorno) all’iscrizione a ruolo del ricorso presso il tribunale competente.
Correttamente il giudice bresciano rileva che “l’intervento di stabilizzazione riservato al giudice, non a caso destinato ad essere veicolato entro un modulo procedimentale improntato a celerità e deformalizzazione, presuppone logicamente che un qualche effetto protettivo si sia già concretamente sprigionato, non ricorrendo alcunché, diversamente, né da confermare né da modificare. Ma, affinché questo accada, è necessario che l’istanza di applicazione delle misure, unitamente all’accettazione dell’esperto, sia pubblicata nel registro delle imprese”.
Ed in effetti, “il percorso di composizione negoziata, il cui regolare dipanarsi dovrebbe essere garantito dalle misure protettive di cui si discute, può dirsi effettivamente avviato soltanto con l’accettazione dell’esperto, che di detto percorso costituisce il motore”.
Poiché, nella fattispecie disaminata dal tribunale, l’imprenditore aveva allegato (e comprovato) di avere chiesto la nomina dell’esperto, ma senza dimostrare che quest’ultima fosse intervenuta (cosa, all’evidenza, impossibile, non essendo stati ancora implementati gli elenchi degli esperti, in attesa del completamento del relativo percorso formativo), a tanto non poteva che conseguire la declaratoria d’inammissibilità del ricorso ex art. 7, d.l. n. 118.
Con la duplice, assai opportuna, precisazione che gli effetti protettivi non si erano, nella specie, ancora prodotti, ma che (se e quando intervenisse l’accettazione dell’esperto) il ricorrente avrà facoltà di presentare una nuova domanda.
Con buona pace di tutti, l’ordinanza avrebbe potuto arrestarsi a questo punto, data l’assorbenza processuale della declaratoria d’inammissibilità per assenza dell’esperto. E forse ciò sarebbe stato opportuno, se, come pare a chi scrive, nelle decisioni giudiziali si dovrebbe avere sempre riguardo al noto insegnamento di Occam, secondo il quale entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem.
Il giudice bresciano ha, inteso, tuttavia, spingersi oltre, introducendo – quasi a modo di “monito” per quanti intendessero, di qui a poco, approcciarsi alla soluzione negoziata della crisi – una seconda ed anche una terza ratio decidendi (ovvero, se più piace, obiter dicta) in ordine alle quali pare utile spendere, proprio in ragione della loro valenza “proattiva”, qualche breve riflessione.