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Saggio

Il principio di adeguatezza organizzativa ex art. 2086 c.c. e l’impresa in liquidazione giudiziale*

Antonio Maria Leozappa, Aggregato di diritto commerciale nell’Università Niccolò Cusano

15 Luglio 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’A. affronta la questione dei termini di applicabilità della disciplina sugli assetti organizzativi ex art. 2086 c.c. all'impresa in liquidazione, focalizzando i doveri in materia del curatore ex art. 136 CCII. 
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1 . La questione
Nell’ambito della riflessione sulla disciplina degli assetti organizzativi ex art. 2086 c.c. può considerarsi ancora aperta la questione della sua applicabilità all’impresa gestita dal curatore nell’ambito della liquidazione giudiziale ex art. 211 CCII. 
L’indirizzo favorevole ne individua la ragione nell’esigenza di assicurare la rilevazione degli scostamenti rispetto agli obiettivi programmati al fine di provvedere, se del caso, alla tempestiva interruzione dell’impresa divenuta pregiudizievole[1]. Tale lettura è riconducibile all’impostazione che ritiene che con l’art. 2086, comma 2, c.c. abbia trovato riconoscimento con specifico riferimento all’impresa il principio di adeguatezza organizzativa[2], già desumibile dalla disciplina di diritto societario[3] e dalla legislazione speciale[4], dovendo, pertanto, predicarsi la sua operatività ogni qualvolta si registra l’esercizio di una attività imprenditoriale[5]. 
Sotto altra prospettiva, si ritiene che la disciplina ex art. 2086 c.c. costituisca, comunque, il paradigma di riferimento per l’adempimento dei doveri d’ufficio del curatore in quanto tenuto ai sensi dell’art. 136 CCII, a dotarsi di una struttura adeguata a creare le condizioni per una efficiente conduzione della procedura[6i].   
La rilevanza della questione emerge, a tutta evidenza, laddove si consideri che è destinata a incidere non solo sulle modalità di esercizio dell’impresa da parte del curatore, ma sugli stessi presupposti per la sua autorizzazione da parte degli organi giurisdizionali competenti. 
Nell’escludere che l’accesso alla liquidazione giudiziale abbia un effetto disgregativo dell’impresa del debitore, l’art. 211 CCII stabilisce le condizioni per la sua prosecuzione[7] e l’arresto in funzione dell’interesse dei creditori[8]. È solo in carenza di un pregiudizio per la categoria che la sentenza dichiarativa della liquidazione giudiziale può autorizzare la gestione curatoriale (comma 2)[9]. Laddove nulla sia disposto al riguardo dal tribunale, tale presupposto opera anche ai fini della riattivazione dell’attività imprenditoriale da parte del giudice delegato, che può disporla su proposta del curatore e previo parere favorevole del comitato dei creditori (comma 3). Le valutazioni di quest’ultimo risultano, pertanto, decisive e tali lo sono anche successivamente, avendo la prerogativa di pronunziarsi sulla “opportunità di continuare l’esercizio” (comma 4) e sulla cessazione, tanto da vincolare la determinazione del giudice delegato (comma 5). 
In quest’ottica, risolvendosi l’interesse dei creditori in quello al miglior soddisfacimento delle aspettative economiche[10], è evidente che il giudizio di convenienza può essere condizionato dagli oneri che l’istituzione di assetti organizzativi ai sensi dell’art. 2086 c.c. comporta. La questione è avvertita anche avendo riguardo all’impresa in bonis[11], ritenendosi che possa costituire la ragione per la mancata (espressa) inclusione nell’ambito applicativo della disciplina di quella esercitata in forma individuale[12]. Non può, peraltro, essere trascurato che nell’impresa in liquidazione giudiziale i costi possono risultare altamente onerosi, segnatamente laddove lo stato di dissesto trovi ragione proprio in carenze del sistema organizzativo o tali carenze ne siano una concausa[13]. E quando ne risulti difficile la sostenibilità economica a venire in discussione è la stessa possibilità che la prosecuzione dell’impresa del debitore rappresenti una risorsa e strumento per la realizzazione delle finalità della procedura. 
Su tale premessa vale procedere all’inquadramento della disciplina ex art. 2086 c.c. al fine di definirne le condizioni d’uso per, poi, interrogarsi sui termini di applicabilità all’impresa in liquidazione giudiziale.
2 . Il principio di adeguatezza organizzativa
L’art. 2086, comma 2, c.c. stabilisce che l’imprenditore, che opera in forma societaria o collettiva, è tenuto a istituire “un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa”. Introducendo la prescrizione, il Legislatore delegato la funzionalizza alla rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale in modo da consentire l’attivazione degli strumenti di regolazione. Trattandosi, comunque, di una finalizzazione non esclusiva, il vincolo deve intendersi strumentale anche agli altri scopi, “di ampio respiro, miranti al persistente successo dell’impresa”[14]. In quest’ottica, ben si comprende l’esigenza di verificare la riconducibilità dell’impresa esercitata dal curatore all’ambito applicativo dell’art. 2086 c.c.[15]. 
L’orientamento favorevole è riconducibile all’impostazione che, come anticipato, tende a ritenere la previsione dell’art. 2086 c.c. espressione di un più generale principio di adeguatezza organizzativa, che troverebbe, ora, espresso riconoscimento anche avendo riguardo all’impresa. Tale opzione ricostruttiva merita, tuttavia, di essere presa in considerazione tenendo conto che il dettato normativo, facendo riferimento all’imprenditore che opera in forma societaria e collettiva, non sembra riguardare gli enti come le fondazioni prive di base associativa[16] e l’imprenditore individuale, la cui esenzione trova, peraltro, riscontro nei lavori preparatori al Codice della crisi[17]. 
In effetti, anche nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, la posizione giuridica dell’imprenditore individuale risulta differenziata da quello collettivo[18]: ai sensi dell’art. 3 è solo quest’ultimo a essere chiamato a istituire assetti organizzativi ex art. 2086 c.c. in funzione della tempestiva rilevazione e superamento dello stato di crisi nonché del recupero della continuità aziendale (comma 2), mentre il primo è tenuto ad assumere, esclusivamente, “misure idonee” per “farvi fronte” (comma 1)[19]. 
Su questo piano si comprende come ci si sia interrogati sulla possibilità di estendere l’esonero alle società di persone e, più in generale, a quelle che presentino dimensioni minimali[20]. Il punto è che una tale lettura, pur avendo il merito di raccordare il quadro ricostruttivo, risulta incompatibile con il dettato normativo dell’art. 2086 c.c. che parla, espressamente, di esercizio in forma societaria[21]. La soluzione potrebbe quella di ritenere che, stante il principio di proporzionalità[22], le imprese societarie e collettive di dimensioni minimali siano tenute ad assetti semplificati, sostanzialmente riconducibili alle misure previste per l’imprenditore individuale ex art. 3, comma 1, CCII[23].   
Da questo quadro emergono tre utili indicazioni. 
In primo luogo, va rilevato che risultando intrinseca all’impresa la componente organizzativa (art. 2082 c.c.) quest’ultima postula, di per sé, l’adozione di idonei processi e sistemi, come peraltro emerge anche dalla nozione di azienda, quale complesso di beni “organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (art. 2555 c.c.), e dal principio di gerarchia ex art. 2086, comma 1, c.c.[24]. In secondo luogo, deve osservarsi che i criteri della natura e della dimensione presiedono i vincoli organizzativi con stretto riferimento all’imprenditore collettivo e societario (art. 2096, comma 2, c.c.) e questo ancorché la finalità di rilevazione e reazione allo stato di crisi connoti anche le misure alla cui adozione è tenuto l’imprenditore individuale (art. 3, comma 1, CCII). Infine, tenuto conto che la rilevanza dimensionale non può essere decisiva né, ove minimale, per esonerare gli enti collettivi e societaria dalla disciplina ex art. 2086 c.c. né per assoggettarvi, laddove consistente, l’imprenditore individuale, è il diretto coinvolgimento nell’organizzazione a venire in evidenza quale possibile ragione dello specifico trattamento normativo a quest’ultimo riservato[25].            
Si avrà, nel prosieguo, occasione di verificare in che termini dette indicazioni possano concorrere a definire la questione circa la applicabilità della disciplina ex art. 2086 c.c. alla gestione dell’impresa da parte del curatore; qui, vale continuare ad approfondirne la portata sotto il profilo oggettivo. 
Il dato da cui muovere è che la normativa, limitandosi a prescrivere che gli assetti siano adeguati alla natura e della dimensione dell’impresa, “palesa una disciplina per clausole generali o comunque per ‘concetti indeterminati’”[26]. In prima approssimazione, può convenirsi che gli assetti organizzativi riguardano: le competenze e responsabilità nelle quali si declina la struttura di governo dell’impresa; quelli amministrativi: le funzioni di monitoraggio e controllo sulle dinamiche funzionali e la loro operatività; gli assetti contabili: quelle relative alla rappresentazione e rendicontazione, anche intermedia, del fenomeno. 
In quest’ottica, l’art. 2086 c.c. richiede che l’iniziativa imprenditoriale sia oggetto di progettazione[27] e procedimentalizzata[28] mediante la definizione di organigrammi appropriati, compiuti programmi annuali e pluriennali, processi efficienti nonché un attendibile sistema di monitoraggio e controllo della loro effettiva operatività[29]. Il punto è che, in carenza di un preciso paradigma di riferimento, le possibili coordinate devono essere cercate nelle best practice elaborate degli organismi di categoria e, più in generale, negli indirizzi maturati nell’ambito della letteratura economico-aziendalistica[30], che, comunque, definiscono modelli astratti a fronte dei quali il singolo imprenditore è chiamato a una opera di calibratura sulla base della propria realtà[31].   
E’ in questo ordine di idee che vale soffermarsi sulla prospettiva con la quale è stato sostenuto l’assoggettamento alla disciplina ex art. 2086 c.c. del curatore, segnatamente là dove si ritiene che sia chiamato a dotarsi di assetti rispondenti “allo scopo di consentire di rilevare e intervenire con tempismo in caso di disallineamento rispetto all’intervento programmatico o di eccessiva lievitazione degli oneri prededucibili maturati nel corso dell’esercizio dell’impresa” in modo da procedere con l’interruzione dell’impresa risultata pregiudizievole[32]. Si tratta di una prospettiva condivisibile, ma che richiede una precisazione. 
Si noti che l’esigenza di monitoraggio e verifica informa, certamente, l’organizzazione dell’esercizio imprenditoriale da parte del curatore, ma, di per sé, non è in grado di contrassegnarne il grado o la misura. Se è vero che, nell’art. 2086 c.c., il criterio della adeguatezza è parametrato alla “natura” dell’impresa, la tendenza interpretativa è a ritenere che tale criterio, in linea con la riflessione maturata in ordine all’art. 2381 c.c.[33], venga a specificarsi con riferimento all’art. 2195 c.c.: con il termine natura si intende, dunque, l’oggetto dell’attività esercitata[34]. Ne discende che l’assoggettamento dell’impresa in liquidazione giudiziale alla disciplina ex art. 2086 c.c. implicherebbe l’esigenza di conformarsi a quanto richiesto dalla relativa natura e dimensioni, non sussistendo margini per operare distinguo in ordine alla ragione o finalità in funzione delle quali risulta attivato l’esercizio imprenditoriale. 
Una considerazione, questa, che non può essere trascurata tanto più che, nell’impianto civilistico, l’obbligo ex art. 2086 c.c. è destinato ad assumere rilevanza ai fini della responsabilità del gestore dell’impresa. 
2.1 . Il regime della responsabilità
Che l’obbligo ex art. 2086 c.c. sia destinato ad assumere rilevanza sotto il profilo della responsabilità del gestore dell’impresa nei confronti della società, dei creditori sociali nonché dei soci e terzi può essere ritenuto pacifico[35]. Nella disciplina ordinaria, la sua inottemperanza può costituire presupposto anche per la denuncia al tribunale (art. 2409 c.c.) o al collegio sindacale (art. 2408 c.c.), così come giusta causa di revoca dell’organo amministrativo (artt. 2383, 2456 c.c.)[36]. Posto che tali disposizioni risultano, evidentemente, inapplicabili al curatore, vale focalizzarsi sul profilo della responsabilità patrimoniale, che, giova ricordare, ne comporta - anche ai fini della azionabilità in via giudiziaria - la revoca ex art. 136, comma 3, CCII[37].    
Su questo piano, nella normativa civilistica, risulta rilevante non solo la mancata adozione o l’inadeguatezza degli assetti, ma anche la carente conformazione in sede operativa[38]. In merito, si confrontano due orientamenti di fondo, che si contraddistinguono in ragione della configurazione della prescrizione quale obbligo specifico dell’imprenditore ovvero della sua riconduzione alla sfera delle relative scelte gestionali. A seconda della prospettiva di inquadramento, le implicazioni sono affatto radicali. 
Nella prima opzione, i termini di adempimento risultano soggetti al sindacato del giudice anche nel merito, rilevando la loro idoneità a soddisfare il precetto normativo[39]. Nella seconda, per converso, la latitudine di tale sindacato risulterebbe circoscritta alla palese irragionevolezza della condotta dell’imprenditore alla luce delle informazioni, al tempo, conosciute e conoscibili, trovando applicazione la business judgment rule[40]. Nell’ambito di tale impostazione, è stato sostenuto che tale regola sarebbe operativa solo laddove non si constati la omissione o la palese inadeguatezza degli assetti adottati, dovendo in tal caso ritenersi la piena responsabilità dell’imprenditore per i danni che ne derivano[41].  
E’ in questo orizzonte che si verrebbe a definire, laddove si ritenga l’applicabilità della disciplina ex art. 2086 c.c. all’impresa in liquidazione giudiziale, la responsabilità del curatore. Quest’ultimo, ai sensi dell’art. 136 CCII. è chiamato a svolgere i doveri dell’ufficio, imposti dalla legge e derivanti dal programma di liquidazione, “con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico” e, perciò, il parametro valutativo è il medesimo di quello stabilito dall’art. 2392 c.c. per gli amministratori di società per azioni[42]. Ai fini, qui, di interesse vale ricordare che, nei primi commenti, non si dubita che tra i doveri del curatore rientri quello di dotarsi di una struttura idonea a creare le condizioni per una efficace gestione della procedura in linea con quanto previsto dall’art. 2086 c.c.[43].  
Vi è, infine, da sottolineare la latitudine della responsabilità che, in questo senso, potrebbe venire a sostanziarsi in capo al curatore. A proposito dell’art. 2086 c.c., nella riflessione giuslavoristica è stato prospettato che l’imprenditore possa essere chiamato a rispondere anche nei confronti delle categorie di stakeholder interessati all’adeguatezza degli assetti organi organizzativi, come i lavoratori dipendenti[44]. La tesi è discussa[45], ma non può essere trascurato che, comunque, gli interpreti convengano nel ritenere che, oltre per responsabilità contrattuale nei confronti dei creditori, il curatore risponda secondo le regole comuni nei confronti dei terzi ai quali, nell’esercizio delle proprie funzioni, abbia arrecato un danno ingiusto[46]. 
3 . Sull’applicabilità dell’art. 2086 c.c. all’impresa in liquidazione giudiziale
Alla luce della ricostruzione sin qui svolta, l’interrogarsi sui termini di operatività del principio di adeguatezza organizzativa all’impresa in liquidazione giudiziale si traduce nell’esigenza di prendere posizione circa la riconducibilità di quest’ultima all’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 2086 c.c., a cui conseguirebbe l’obbligo di adottare gli assetti richiesti dalla natura e dimensioni dell’impresa, non risultando le condizioni di dissesto di quest’ultima o le finalità della procedura concorsuali indici idonei a giustificare, sul piano normativo, una graduazione degli interventi da porre in essere. 
Il dato da cui muovere è che, nell’art. 2086 c.c., l’ambito soggettivo di applicazione assume a termine di riferimento l’imprenditore e, segnatamente, quello che opera in forma collettiva o societaria e tale non è il curatore. In merito, possono essere svolte due ordini di considerazioni.   
In primo luogo, vale osservare che dalla prosecuzione dell’impresa del debitore non consegue il riconoscimento della qualità di imprenditore in capo al curatore. Nel Codice della crisi non si rinvengano indici per mettere in discussione la conclusione cui era pervenuta la riflessione maturata sotto la previgente normativa[47] sull’assunto che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, il curatore “nell’espletamento della sua pubblica funzione, non si pone come successore o come sostituto necessario del datore di lavoro-fallito”[48], che almeno formalmente continua a essere l’imprenditore. 
Al contempo, non può essere trascurato che il curatore svolge le funzioni di “capo dell’impresa” (art. 2086, comma 1 c.c.) e dunque, sul piano sostanziale, potrebbe essere considerato alla stregua di un imprenditore. Rimane, tuttavia, che le modalità di esercizio dell’attività non esprimono né danno origine a una organizzazione imprenditoriale in forma collettiva o societaria. 
Il Codice della crisi ha mantenuto la prospettiva patrimoniale, che contraddistingueva la legge fallimentare[49], prevedendo che lo spossessamento ex art. 142 CCII operi nei confronti “dell’amministrazione e della disponibilità (…) dei beni” del debitore[50]. Ancorché si convenga pacificamente che, a seguito di disposizioni come quella dell’art. 264 CCII nella nuova disciplina sia da considerarsi superato il principio di neutralità organizzativa[51], è tuttavia altrettanto oggettivo che, nell’esercizio dell’impresa, il curatore operi in autonomia, risultando terzo rispetto al debitore e, laddove quest’ultimo abbia una struttura di tipo corporativo, ai relativi organi di governo, che peraltro rimangono in carica in pendenza della procedura, risultando anche legittimati ad intraprendere una nuova impresa[52]. Dunque, nel caso in cui il debitore si connoti per una organizzazione a carattere collettivo o societario, è da escludere che la prosecuzione dell’impresa da parte del curatore possa, come tale, sostanziare i requisiti soggettivi richiesti ai fini dell’applicazione della disciplina ex art. 2086 c.c.. La sua posizione è, piuttosto, assimilabile a quella dell’imprenditore individuale, stante il diretto coinvolgimento nell’organizzazione dell’impresa. 
Ciò posto, è evidente che anche tali rilievi risultano superabili laddove si aderisca all’impostazione che ritiene che la disciplina ex art. 2086 c.c. sia espressione di un generale principio di adeguatezza organizzativa, destinato a operare con riferimento a tutte le fattispecie di esercizio dell’impresa, compresa quella condotta a titolo individuale.   
A tale riguardo, è comunque possibile svolgere alcune notazioni, con ciò venendo al secondo ordine di considerazioni, che attengono al piano sistematico. 
Nella dottrina giuscommercialistica, il principio di adeguatezza organizzativa viene considerato espressione e conferma della tendenza, progressivamente affermatasi a livello di sistema, a riconoscere la impresa quale “organizzazione funzionale alla realizzazione di un fine predeterminato”: tale fine sarebbe individuabile “in primo luogo” nella remunerazione del capitale investito. In questa prospettiva, l’art. 2086, comma 2, c.c. avrebbe la funzione di “far sì che l’impresa possa stare in modo efficiente nel mercato”[53]. 
Si tratta di una indicazione che trova compimento nella riflessione che, nell’ambito della letteratura aziendalistica, ha sottolineato come l’introduzione della disciplina sia stata associata alla rettifica del titolo dell’art. 2086 da “Direzione e gerarchia dell’impresa” in “Gestione dell’impresa”, una rettifica che non avrebbe un valore solo nominalistico: “posto che è la gestione continuativa dell’impresa l’oggetto di interesse e di tutela, in quanto aperta ai rischi appare quindi coerente, dal punto di vista aziendalistico, la previsione normativa di un dovere di salvaguardarla, ricorrendo ai fondamentali supporti organizzativi e informativi, che secondo la triplice articolazione degli Studi Aziendali, tradizionalmente sostengono in maniera sinergica la gestione stessa e che da essa ritraggono le specificità per la loro propria configurazione”[54].   
Così ragionando, non può essere trascurata la diversa condizione che contraddistingue il fenomeno imprenditoriale nell’ambito della liquidazione giudiziale. 
Nella disciplina ex art. art. 211 CCII la conservazione dell’impresa non rappresenta un valore in sé, risultando piuttosto strumentale al miglior soddisfacimento dell’interesse dei creditori[55], potendo considerarsi anche una programmazione in perdita laddove, comunque, in grado di assicurare un maggior introito dalla vendita[56]. 
Su questo piano la prosecuzione viene, tipicamente, in considerazione in funzione dell’allocazione dell’azienda sul mercato, anche se non appare del tutto convincente l’assunto secondo il quale, alla luce della disciplina dettata dall’art. 214 CCII sulla vendita, “il legislatore ha preso atto che i creditori sono meglio soddisfatti, anche nella liquidazione giudiziale, da una cessione unitaria del complesso aziendale anziché da una vendita frazionata dei beni: e ciò non soltanto perché la prima assicura un maggiore ricavato rispetto alla seconda, ma anche perché implica la permanenza sul mercato di un complesso produttivo”[57]. In realtà, nell’art. 214 CCII non è dato registrare alcuna scelta preferenziale tra la cessione unitaria e la liquidazione atomistica dei beni, essendo piuttosto prescritta la comparazione di convenienza nell’ottica della maggiore soddisfazione dei creditori. 
Dunque, la cessione in blocco dell’azienda va considerata quale esito probabile ma non vincolante della gestione curatoriale, non potendosi, ad esempio, escludere che possa risultare economicamente più conveniente procedere alla dimissione dei singoli beni. D’altra parte, la finalizzazione dell’impresa alla cessione sul mercato è, espressamente, contemplata solo nell’art. 212 CCII a proposito dell’affitto di azienda (comma 1)[58] ed è solo nell’ambito di detta disciplina che tra i criteri selettivi di aggiudicazione è prevista l’attendibilità del piano di prosecuzione dell’attività imprenditoriale (comma 2), nulla risultando al riguardo in quella sulla vendita. In questo ordine di idee, a ben vedere, la gestione curatoriale può trovare giustificazione anche nell’esigenza di evitare il depauperamento delle risorse produttive, sia con riferimento alla consistenza materiale e giuridica, come per la merce immagazzinata o le licenze, che alla capacità di produrre attivo, come a seguito del completamento del ciclo produttivo o della distribuzione[59]. 
Si comprende allora, già sulla base di questi rilievi, la difficoltà di intendere le dinamiche dell’impresa in liquidazione giudiziale mediante i paradigmi dell’interesse alla gestione continuativa nonché di quello alla sua efficace permanenza sul mercato che, secondo la sopracitata dottrina, trovano tutela nella prescrizione di adeguati assetti organizzativi ex art. 2086 c.c.. Nella disciplina sulla liquidazione giudiziale, detti interessi non hanno riconoscimento in quanto tali, ma nella misura in cui risultano strumentali alla finalità satisfattiva che contraddistingue la procedura. 
Per convincersi di ciò vale ricordare che la sede elettiva per la pianificazione della prosecuzione dell’attività del debitore è il programma di liquidazione e che la gestione da parte del curatore ha il suo quadro normativo di riferimento in quello di ordine generale dettato per conduzione della procedura: il comma 8 si limita a stabilire la prosecuzione dei “contratti pendenti”, salvo che il curatore intenda sospenderli o scioglierli in quanto non funzionali alla continuità[60]. Ciò, indubbiamente, implica la possibilità di avvalersi di strumenti, come la moratoria nel pagamento dei debiti anteriori e il recesso dai contratti in corso, che non sono disponibili all’impresa ordinaria[61], ma, per converso, si registra l’interdizione ex art. 211, comma 10, alla partecipazione da parte dell’impresa in liquidazione giudiziale alle procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori, forniture e servizi e di esserne affidataria in subappalto[62]. E, più in generale, è agevole constatare come l’impianto della procedura sia carente di disposizioni preordinate a favorire la continuità dell’impresa come, ad esempio, quelle degli artt. 94 bis e 100 CCII che, nell’ambito del concordato preventivo, interdicono le clausole c.d. ipso facto e consentono di pagare i crediti anteriori essenziali alla prosecuzione dell’attività.  
Con tali limitazioni si vuole evitare di esporre oltremodo la gestione al rischio di impresa, anche in ragione della prededuzione che genera[63], ma sembra chiaro che l’attività risulta assoggettata a vincoli talmente rigorosi - non ultimo il regime tutorio che presiede gli atti del curatore ex art. 132 CCII [64]– che appare incongrua una sua assimilazione a quella esercitata dall’imprenditore in bonis.  
Il punto è che le ragioni e le finalità dell’esercizio dell’attività di impresa nell’ambito della procedura di liquidazione giudiziale rispondono a logiche affatto differenti rispetto a quelle che connotano il fenomeno nella sua ordinarietà. C’è, perciò, da dubitare che l’assoggettamento al principio di adeguatezza organizzativa possa trovare giustificazione nella ratio della disciplina ex art. 2086 c.c.
In questi termini, le riserve sopra espresse in ordine alla riconducibilità del curatore nell’ambito soggettivo della disciplina, non rivestendo la qualità di imprenditore e, comunque, non essendo il suo un esercizio in forma societaria o collettiva, meritano di essere riconsiderate. Nel momento in cui l’esigenza di conformare gli assetti dell’impresa in liquidazione giudiziale non sembra trovare un chiaro fondamento a livello esegetico e sistematico non può essere ignorato che gli oneri e le tempistiche richieste per dare attuazione al dispositivo ex art. 2086 c.c. sono in grado di incidere negativamente sulla valutazione di convenienza a cui è subordinata l’autorizzazione ex art. 211 CCII e, in ultima analisi, sulla stessa possibilità di avvalersi dell’impresa del debitore quale risorsa e strumento per la realizzazione delle finalità proprie della liquidazione giudiziale. Significativo è che anche con riferimento alla impresa in bonis in dottrina si dubiti che i costi richiesti per l’attuazione del disposto ex art. 2086 c.c. possano pregiudicare gli atti di gestione[65]. 
Al contempo, è indubbio che la adozione di una adeguata organizzazione rappresenta “un indispensabile sostegno per l’impresa, nel senso che la predispone e la prepara agli eventuali colpi avversi della sorte, alle situazioni congiunturali più varie”[66]. Una esigenza, questa, che si ripropone e risulta ancora più impellente nella gestione della impresa in liquidazione giudiziale stante lo stato di dissesto nel quale versa. Ed è, dunque, anche in quest’ottica che va sottolineato che l’inapplicabilità dell’art. 2086 c.c. non può comportare l’esonero del curatore dall’obbligo di organizzare la gestione dell’impresa con modalità (misure, processi, sistemi) rispondenti alle esigenze che il perseguimento della finalità della procedura impone. 
La componente organizzativa che contraddistingue l’impresa, in quanto tale, impone un seppur minimo livello di procedimentalizzazione dell’attività[67] e l’istituzione di una struttura adeguata a creare le condizioni per una efficiente gestione delle attività, nelle quali si articola la procedura concorsuale, risponde al criterio di diligenza a cui il curatore è tenuto a conformare l’espletamento delle proprie funzioni ai sensi dell’art. 136 CCII, risultando, peraltro, normativamente previsto che possa avvalersi di delegati e coadiutori (art. 129 CCII).    
In questo ordine di idee, è dato prospettare che il curatore sia tenuto ad adottare le misure necessarie ad assicurare non tanto una efficiente presenza sul mercato dell’impresa o la continuità della relativa gestione, quanto il soddisfacimento delle aspettative dei creditori per come definite in sede di autorizzazione della prosecuzione[68]. Se in ragione dell’art. 2086 c.c. nell’impresa in bonis, come è stato osservato, risulta centrale “l’efficienza organizzativa”, dipendendone la “efficienza economica”, [69]  con la conseguenza che la “corretta organizzazione” si pone sullo stesso piano della “corretta gestione”[70], a seguito dell’accesso alla liquidazione giudiziale il loro rapporto va inteso in senso strumentale, richiedendosi la prima nella misura in cui necessitata dalla seconda, a sua volta da definirsi secondo gli obiettivi stabiliti in sede di autorizzazione ex art. 211 c.c.[71]. Con il che i criteri della natura e delle dimensioni dell’impresa vanno intesi quali paradigmi (non già vincolati, ma) di riferimento. 
Ed è in questi termini e limiti che il curatore sarà chiamato a rispondere della sua condotta, commissiva e omissiva, dovendosi, peraltro, sottolineare che la revoca può essere disposta anche in carenza di danni ai sensi dell’art. 122, comma 1, CCII, che la contempla “per giustificati motivi”: nozione, questa, più ampia di quella di giusta causa, comprendendo le mere ragioni di opportunità[72].    
4 . Conclusioni
Alla luce delle considerazioni sopra svolte può, dunque, prospettarsi l’esonero del curatore, autorizzato ai sensi dell’art. 211 CCII alla prosecuzione dell’impresa del debitore, dall’obbligo di adottare adeguati assetti organizzativi ex art. 2086 c.c. nei termini in cui, sotto il profilo formale, non è riconducibile all’ambito soggettivo di applicazione della disciplina, che indica come destinatario l’imprenditore che esercita in forma collettiva e societaria. Tale esonero, a livello sistematico, trova riscontro nel quadro regolatorio che contraddistingue l’esercizio dell’impresa in liquidazione giudiziale, ove l’interesse al massimo soddisfo dei creditori risulta premiante rispetto a quello alla continuità della gestione e alla efficace presenza sul mercato tutelati dal principio di adeguatezza organizzativa.
A fronte di tale esonero, è al contempo da ritenersi che, stante la componente organizzativa che connota il fenomeno imprenditoriale (art. 2082 c.c.) e l’azienda (art. 2555 c.c.), il curatore sia tenuto dal dovere di diligenza che ne presiede l’esercizio delle funzioni, ai sensi dell’art. 136 CCII, a programmare e condurre la propria gestione con modalità (misure, processi, sistemi) adeguate a creare le condizioni per l’efficace perseguimento degli obiettivi stabiliti in sede di autorizzazione ex art. 211 CCII. 

Note:

[1] 
Cfr. A. Pezzano-M, Ratti, L’esercizio dell’impresa nella liquidazione giudiziale e nella liquidazione controllata, in Il Fall., 2024, p. 312. 
[2] 
Cfr. M. Libertini, Principio di adeguatezza organizzativa e disciplina dell’organizzazione delle società a controllo pubblico, in Giur. comm., 2021, I, p. 6; V. Di Cataldo-D. Arcidiacono, Decisioni organizzative, dimensioni dell’impresa e business judgment rule, in Giur. comm., 2021, I, p. 72: G. Scognamiglio, Genesi e fondamento dell’art. 2086, comma 2, c.c., in Gli assetti organizzativi dell’impresa - Quaderno nr. 18 della Scuola Superiore della Magistratura, a cura di L. Calcagno-F. Di Marzio, Roma, 2022, p. 67; F. Macario, La riforma dell’art. 2086 c.c. nel contesto del codice della crisi e dell’insolvenza e i suoi riflessi sul sistema della responsabilità degli organi sociali (26 maggio 2022), in Dirittodellacrisi.it, p. 3. 
[3] 
Il riferimento è alle disposizioni sulla società per azioni che attribuiscono all’organo amministrativo il compito di valutare l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile (art. 2381 c.c.) e la vigilanza al collegio sindacale (art. 2403 c.c.). In tal senso, si veda, per tutti, V. Buonocore, Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto, del Codice civile, in Giur. comm., 2006, I, p. 5.
[4] 
Sui “molti precursori dell’odierna disposizione” - dal Testo unico bancario a quello della finanza, dalla disciplina della responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche alla normativa sul riciclaggio e sulla prevenzione degli infortuni da lavoro, solo per citarne alcuni - si veda L. Nazzicone, L’art. 2086 c.c.: uno sguardo d’insieme, in Gli assetti organizzativi dell’impresa - Quaderno nr. 18 della Scuola Superiore della Magistratura, a cura di L. Calcagno-F. Di Marzio, Roma, 2022, p. 22.  
[5] 
Cfr. G. Scognamiglio, op. cit., p. 66; M. Onza, Gli “adeguati” assetti organizzativi: tra impresa, azienda e società (Appunti per uno studio), in Riv. dir. comm., 2022, I, p. 22. 
[6] 
In tema, si veda D. Spagnulo, sub art. 136, in Il Codice della crisi, a cura di P. Valensise-G. Di Cecco-D. Spagnuolo. Torino, 2024, p. 801. 
[7] 
È da ritenersi pacifico che la disciplina ex art. 211 c.c. postuli l’esistenza di una realtà imprenditoriale in capo al debitore, dovendosi escludere che il curatore possa intraprendere una attività ex novo valorizzando il patrimonio appreso con l’apertura della liquidazione giudiziale, cfr. S. Leuzzi, L’esercizio dell’impresa del debitore (16 marzo 2023), in Dirittodellacrisi.it, p. 4; M. Greggio, L’esercizio provvisorio nella liquidazione giudiziale, in Il Fall., 2023, p. 1253. 
[8] 
In tal senso, cfr. S. Ambrosini, La gestione dell’impresa “in perdita” tra vecchia e nuova sistematica concorsuale (21 marzo 2023), in ristrutturazioniaziendali.ilcaso.it, p. 13. 
[9] 
Tuttavia, per una lettura lata del presupposto della carenza di pregiudizio “che tenga conto dell’eventuale maggior realizzo prognosticamente ricavabile all’esito dell’attuata continuazione dell’attività” si veda S. Leuzzi, op. cit., p. 5. Nella stessa direzione, cfr. M. Greggio, op. cit., p. 1253. 
[10] 
Cfr. A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2023, p. 278; M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, s.d. (2023), (Piacenza), p. 443; S. Leuzzi, op. cit., p. 7. 
[11] 
Cfr. A. Rossi, Dagli assetti organizzativi alla responsabilità degli organi sociali nel Codice della crisi (Appunti per una lezione) (13 giugno 2023) in Dirittodellacrisi.it, p. 10: “l’istituzione degli assetti, poi, ha un costo-opportunità che non può essere trascurato: un euro investito in un sistema informatico o in una persona addetta allo stesso non potrà essere investito altrove, ad esempio nell’implementazione della rete commerciale o nel dipartimento ricerca e sviluppo: la migliore organizzazione interna dell’impresa, dunque, potrebbe incidere negativamente sulla sua redditività”, Contra, si veda G. Scognamiglio, op. cit., p. 69: “se si applicano correttamente i suddetti parametri, tenendo conto in maniera analitica delle peculiarità dei singoli casi concreti, difficilmente ne risulterà integrato il rischio che taluni paventano: la complessità e la ‘pesantezza’ degli assetti organizzativi sarà proporzionale alle suddette caratteristiche qualitative e dimensionali dell’impresa, pere cui dalle imprese piccole o micro si potrà esigere l’istituzione di assetti organizzativi più leggeri e snelli di quelli che saranno richiesti alle imprese di maggiori dimensioni”. 
[12] 
Cfr. V. Di Cataldo-D. Arcidiacono, op. cit., p. 77. 
[13] 
Nella letteratura aziendalistica è stato evidenziato come sulla incapacità a far fronte, regolarmente, alle obbligazioni possano influire criticità soggettive, come quelle generate dalla inadeguatezza del management, nonché fattori oggettivi, quali l’inefficienza e la sovracapacità/rigidità, la carenza di pianificazione e innovazione, tutti riconducibili al profilo degli assetti imprenditoriali. In tema, di recente, si veda A. Dell’Atti, La gestione delle crisi aziendali: cause, strategie e piani di risanamento, Torino, 2023, p. 14. 
[14] 
Così A. Rossi, op. cit., p. 5. Cfr., altresì, L. Nazzicone, op. cit., p. 17. 
[15] 
Sempre in questa prospettiva si comprende la ragione per la quale il discorso sia focalizzato sulla disciplina civilistica: l’esigenza di dotarsi di adeguati assetti organizzativi ai sensi dell’art. 2086 c.c. è prevista anche dall’art. 3 CCII ma, qui, l’obbligo è, strettamente, funzionalizzato alla tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative. 
[16] 
Cfr. A. Mirone, L’organizzazione dell’impresa societaria alla prova del codice della crisi: assetti interni, indicatori e procedura di allerta, in Rivista Orizzonti di dir. comm., 2020, p. 23. Per la generale esclusione si veda V. Di Cataldo-D. Arcidiacono, op. cit., p. 72. 
[17] 
Cfr. V. Di Cataldo-D. Arcidiacono, op. cit., p. 73; M. S. Spolidoro, Note critiche sulla “gestione dell’impresa” nel nuovo art. 2086 c.c. (con una postilla sul ruolo dei soci), in Riv. soc., 2019, p. 261; F. Macario, op. cit., p. 3.  
[18] 
Da parte di A. Mirone, Assetti organizzativi, riparti di competenze e modelli di amministrazione: appunti alla luce del «decreto correttivo» al Codice della crisi e dell’insolvenza, in Gli assetti organizzativi dell’impresa - Quaderno nr. 18 della Scuola Superiore della Magistratura, a cura di L. Calcagno-F. Di Marzio, Roma, 2022, p. 133 è stato rilevato come l’opzione ex art. 3, comma 1, CCII di adottare a parametro l’imprenditore individuale, e già non l’impresa minore, dimostri che le norme societarie in materia di assetti organizzativi non siano riconducibili, esclusivamente, alla disciplina dell’impresa “essendo norme che intervengono in via tipica solo nel caso in cui possa essere configurata (in via tipica o eventuale, come nelle società di persone) un’alterità tra i responsabili degli assetti da un lato, e i titolari dell’iniziativa imprenditoriale e destinatari dei risultati dall’altro”.   
[19] 
In tal senso, si veda V. Di Cataldo-D. Arcidiacono, op. cit., p. 73. In tema, cfr. L. Abete, Gli “assetti adeguati” nell’impresa individuale e nelle società di persone, in Gli assetti organizzativi dell’impresa - Quaderno nr. 18 della Scuola Superiore della Magistratura, a cura di L. Calcagno-F. Di Marzio, Roma, 2022, p. 291, che sottolinea come, emblematicamente, le “misure” ex art. 3, comma 1, CCII non siano definite come organizzative stante il coinvolgimento diretto nella gestione dell’imprenditore individuale. Si veda, altresì, M. S. Spolidoro, op. cit., 253. Contra, per l’indirizzo che ritiene assimilabili le due prescrizioni ex commi 1 e 2 dell’art. 3 CCII si veda G. Scognamiglio, op. cit., p. 66 che riconosce che tale lettura “comporta, è innegabile, una lieve forzatura del tenore testuale dell’art. 2086, comma 2, c.c. (nonché dell’art. 3 CCII)”.  Si veda, altresì, L. Nazzicone, op. cit., p. 37.
[20] 
In senso favorevole, cfr. L. Nazzicone, op. cit., p. 37; A. Mirone, L’organizzazione, cit., p. 23.  
[21] 
Cfr. V. Di Cataldo-D. Arcidiacono, op. cit., p. 80. In tale direzione si veda, altresì, R. Rordof, Gli assetti organizzativi dell’impresa ed i doveri degli amministratori di società delineati dal novellato art. 2086, comma 2, c.c., in Gli assetti organizzativi dell’impresa - Quaderno nr. 18 della Scuola Superiore della Magistratura, a cura di L. Calcagno-F. Di Marzio, Roma, 2022, p. 53. 
[22] 
Sul principio di proporzionalità, cfr. O. Cagnasso, Le misure idonee, gli assetti adeguati e l’organizzazione dell’attività di impresa, in Il Nuovo Diritto delle società, 2021, p. 1597. 
[23] 
Con riferimento alla società unipersonale, cfr. G. Ferri jr.-M. Rossi, Prime osservazioni in tema di gestione dell’impresa organizzata in forma societaria, in Nuova giur. civ., 2019, p. 1093; L. Nazzicone, op. cit., p. 37. 
[24] 
In questa prospettiva, si veda, per tutti, A. Mirone, Assetti, cit., p. 133. 
[25] 
Cfr. L. Abete, op. cit., p. 291. Tale profilo è sottolineato anche da V. Di Cataldo-D. Arcidiacono, op. cit., p. 76. 
[26] 
Così L. Nazzicone, op. cit., p. 20. In tema, cfr. M. Libertini, Clausole generali, concetti interminati e articolo 2086 c.c., in Gli assetti organizzativi dell’impresa - Quaderno nr. 18 della Scuola Superiore della Magistratura, a cura di L. Calcagno-F. Di Marzio, Roma, 2022, p. 80.  Si noti che, nella letteratura aziendalistica, è stato rilevato come non solo i parametri della natura e della dimensione non possono essere intesi in maniera esaustiva, ma che “possiedono anch’essi dei confini indefiniti e vaghi”, così P. Bastia, Assetti organizzativi e scienza aziendale: principi di organizzazione, principi contabili, indici di rilevazione, in Gli assetti organizzativi dell’impresa - Quaderno nr. 18 della Scuola Superiore della Magistratura, a cura di L. Calcagno-F. Di Marzio, Roma, 2022, p. 303 che sottolinea come i parametri dimensionali di micro, piccola e media impresa introdotti dalla Raccomandazione Comunitaria 2003/361/CE e dal decreto del Ministero delle Attività produttive 18 aprile 2005 abbiano, prettamente, finalità di politica economica (cfr. Commissione Europea, Guida dell’utente alla definizione di PMI, Unione Europea, 2020).   
[27] 
In tema, cfr. A. Bastia, op. cit., p. 306. 
[28] 
In tema, cfr. G. Scognamiglio, op. cit., p. 71. 
[29] 
Cfr. M. Libertini, Principio, cit., p. 7. 
[30] 
In tal senso si veda, per tutti, L. Nazzicone, op. cit., p. 14. 
[31] 
“Non esiste (quanto meno per l’impresa in generale;…) un ‘manuale delle istruzioni’ nel quale gli assetti organizzativi (personale, sistemi informatici, assetto contabile, segregazione e flussi informativi, programmazione e chi ne ha più ne metta) siano specificamente individuati in relazione alla attività e alle dimensioni di ogni impresa” (A. Rossi, op. cit., p. 9. Corsivo dell’A.). Sotto il profilo operativo, utili indicazioni in materia di imprese non quotate possono essere tratte da AA.VV., Assetti organizzativi, amministrativi e contabili: profili civilistici e aziendalistici, documento di ricerca del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili-Fondazione Nazionale dei Commercialisti (7 luglio 2023) in fondazionenazionalecommercialisti.it, p. 7;  AA.VV., Assetti organizzativi, amministrativi e contabili: check-list operative, documento di ricerca del Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti ed Esperti Contabili-Fondazione Nazionale di Ricerca dei Commercialisti (25 luglio 2023), in fondazionenezionalecommercialisti.it.    
[32] 
Così A. Pezzano-M, Ratti, op. cit., p. 312. 
[33] 
Cfr. V. Buonocore, op. cit., p. 13. 
[34] 
Cfr., per tutti, L. Nazzicone, op. cit., p. 35; G. Scognamiglio, op. cit., p. 69.  
[35] 
Cfr., per tutti, R. Rordof, op. cit., p. 59. 
[36] 
Sulla rilevanza ex art. 2409 c.c. si veda, in particolare, Trib. Milano, 18 ottobre 2019, in Giur. it., 2020, p. 363; Trib. Roma, 24 settembre 2020, in Foro it., 2020, I, 3965; Trib. Roma 8 aprile 2020, Giur. it., 2020, I, 2171. In dottrina, cfr. in G. Di Salvo, L’art. 2409 c.c. e gli assetti organizzativi dell’impresa, in Gli assetti organizzativi dell’impresa - Quaderno nr. 18 della Scuola Superiore della Magistratura, a cura di L. Calcagno-F. Di Marzio, Roma, 2022, p. 209; R. Bernabai, Gli assetti organizzativi adeguati in una prospettiva storica, in Gli assetti organizzativi dell’impresa - Quaderno nr. 18 della Scuola Superiore della Magistratura, a cura di L. Calcagno-F. Di Marzio, Roma, 2022, p. 111. 
[37] 
In tema, cfr. A. Nigro-D. Vattermoli, op. cit., p. 163. 
[38] 
Cfr. L. Nazzicone, op. cit., p. 33. 
[39] 
Cfr. P. Montalenti, Diritto della impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, in Giur. comm., 2018, I, p. 76; M. Libertini, Principi, cit., p. 7, in particolare, nota 6; R. Rordof, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, in Soc., 2013, p. 671; C. Amatucci, Adeguatezza degli assetti, responsabilità degli amministratori e Business Judgment Rule, in Giur. comm., 2016, I, p. 666; R. Bernabai, op. cit., p. 111. 
[40] 
Cfr. Trib. Roma, 19 settembre 2000, in giurisprudenzadelleimprese.it. In dottrina, cfr. N. Abriani-A. Rossi, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazione del codice civile: prime letture, in Soc., 2019, 393 ss., a p. 396; V. Calandra Buonaura, Amministratori e gestione dell’impresa nel Codice della crisi, in Giur. comm., 2020, I, 12; A. Rossi, op. cit., p. 9; F. Macario, op. cit., p. 7; M. Onza, op. cit., p. 10. Sul presupposto del danno patrimoniale e i profili probatori si veda M. Binelli, Gli adeguati assetti e la responsabilità degli amministratori in caso di Liquidazione Giudiziale (23 agosto 2022), in Dirittodellacrisi.it.; L. Nazzicone, op. cit., p. 32; M. Bianca, Le norme positive ed i concetti in tema di assetti organizzativi dell’impresa prima della riforma dell’art. 2086 c.c., in Gli assetti organizzativi dell’impresa - Quaderno nr. 18 della Scuola Superiore della Magistratura, a cura di L. Calcagno-F. Di Marzio, Roma, 2022, p. 91. 
[41] 
Cfr. L. Nazzicone, op. cit., p. 35; G. Di Salvo, op. cit., p. 226.  
[42] 
Cfr. A. Nigro-D. Vattermoli, op. cit., p. 163. La disposizione dell’art. 136 CCII riproduce testualmente il dettato dell’art. 38 L. fall.. e, dunque, è dato fare riferimento anche alla riflessione maturata sotto la previgente normativa. Per una rassegna degli indirizzi in tema si veda L. Bottai, Il Curatore, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di A. Jorio, 1, 2016, p. 1043. Sulla diligenza ex art. 2392 c.c. si veda, di recente, A. De Angelis, La responsabilità degli amministratori non esecutivi e degli organi di controllo con riguardo agli assetti societari, in Gli assetti organizzativi dell’impresa - Quaderno nr. 18 della Scuola Superiore della Magistratura, a cura di L. Calcagno-F. Di Marzio, Roma, 2022, p. 151. 
[43] 
In tema, si veda. per tutti, D. Spagnuolo, op. cit., p. 800. 
[44] 
In tema, cfr. I. Alvino, Continuità aziendale, trasferimento d’azienda e tutela dell’occupazione nel nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, in Riv. it. dir. lav., 2019, I, p. 431; P. Tullini, Assetti organizzativi dell’impresa e poteri datoriali – La riforma dell’art. 2086 c.c.: prima lettura, in Riv. it., dir. lav., 2020, I, p. 135. 
[45] 
Cfr. G. Scognamiglio, op. cit., p. 74 secondo la quale “è una tesi suggestiva, anche, ad un primo esame, mi pare alquanto fantasiosa”. 
[46] 
Cfr. A. Nigro-D. Vattermoli, op. cit., 163; M. Fabiani, op. cit., 300.  
[47] 
Cfr., per tutti, G. Rivolta, L’esercizio provvisorio dell’impresa nel fallimento, Milano, 1969, p. 338. 
[48] 
Così Cass., 14 settembre 1991, in Mass. Giust. Civ., 1991. 
[49] 
In tema, cfr. F. Di Marzio, Diritto dell’insolvenza, Milano, 2023, p. 257. 
[50] 
Notoriamente, la nozione di bene è da intendersi nella accezione più ampia, comprensiva fatte salve le tipologie indicate all’art. 146) di qualunque elemento suscettibile di valutazione economica come i rapporti giuridici e le situazioni soggettive attive. In tema, cfr. A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2023, p. 174. 
[51] 
L’art. 264 CCII attribuisce al curatore il potere di compiere “gli atti e le operazioni riguardanti l’organizzazione e la struttura finanziaria della società previsti nel programma di liquidazione” (comma 1), compreso l’esercizio dei “poteri dell’assemblea dei soci” (comma 2). Gli interpreti convengono, dunque, nel ritenere che il principio di neutralità organizzativa, che contraddistingueva la normativa del fallimento rispetto a quella del concordato preventivo, non informa più la disciplina della liquidazione giudiziale. Per un quadro del confronto dottrinale alla luce del Codice della crisi si veda P.P. Ferraro, Il governo delle società in liquidazione concorsuale, Milano, 2020, p. 10. 
[52] 
Non registrandosi nel Codice della crisi una disposizione che privi il debitore della capacità di agire non sussistono indici per mettere in discussione l’indirizzo della Corte costituzionale che, su tale premessa, aveva riconosciuto al fallito la possibilità di esercitare una nuova impresa nel corso della stessa procedura concorsuale (cfr. Corte Cost. 6 dicembre 2000, n. 549, in Dir. fall., 2001, II, 329). In tema, mi permetto di rinviare a A. M. Leozappa, La governance delle società di capitali durante e a chiusura delle procedure concorsuali, in Trattato delle società, diretto da V. Donativi, I, Torino, 2022, p. 569.   
[53] 
Così M. Libertini, Principio, cit., 6. In tale direzione, si veda anche L. Nazzicone, op. cit., p. 17; R. Bernabai, op. cit., p. 111.  
[54] 
Così P. Bastia, op. cit., p. 301 (corsivo dell’A.). Si veda, altresì, M. Onza, op. cit., p. 6; A. Panizza, Adeguati assetti organizzativi, amministrativi, contabili e codice della crisi: aspetti (teorici ed) operativi, in (a cura di S. Ambrosini) Assetti aziendali, crisi d’impresa e responsabilità della banca, Pisa, 2023, p. 33.   
[55] 
Cfr. A. Nigro-D. Vattermoli, op. cit., p. 278; M. Fabiani, op. cit., p. 443; S. Leuzzi, op. cit., p. 7. 
[56] 
In tal senso, cfr. M. Fabiani, op. cit., p. 443. 
[57] 
Così S. Pacchi, Liquidazione giudiziale, in S. Pacchi-S. Ambrosini, Diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2023, p. 293. Si veda, altresì, A. Guiotto, Il trasferimento d’azienda nelle procedure concorsuali, in Il Fall., 2023, p. 1201; S. Patti, L’affitto d’azienda nella liquidazione giudiziale, in Il Fall., 2023, p. 1213; M. Greggio, op. cit., p. 1251; A. Nigro-D. Vattermoli, op. cit., p. 276; M. Fabiani, op. cit., p. 441; C. Fiengo-E. Locascio Aliberti, Sub art. 214, in Il Codice della crisi, a cura di P. Valensise-G. Di Cecco-D. Spagnuolo, Torino, 2024, p. 1193; PD. Beltrami, Le novità in tema di programma di liquidazione nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Dir., fall., 2023, I, p. 525.  
[58] 
Contra, per la focalizzazione della gestione nell’ottica della dismissione si veda S. Pacchi, op. cit., p. 295; S. Leuzzi, op. cit., p. 4; S. Patti, op. cit., p. 1213; M. Greggio, op. cit., p. 1255, M. Fabiani, op. cit., p. 443; A. Nigro-D. Vattermoli, op. cit., p. 276; F. Di Marzio, op. cit., p. 716; P.P. Ferraro, op. cit., p. 308. 
[59] 
In questa direzione, si veda Trib. Milano, 22 marzo 2023, in Il Fall., 2023, p. 806. 
[60] 
Con tale previsione risulta, dunque, invertita la prospettiva che contraddistingue la disciplina di ordine generale sui “rapporti pendenti” di cui è, in via di principio, prevista, ai sensi dell’art. 172, la sospensione. Cfr. A. Nigro-D. Vattermoli, op, cit., p. 252 che rilevano come cambi la regola generale, ma non la disciplina specifica. In tema, cfr. M. Greggio, op. cit., p. 1258; A. Nigro-D. Vattermoli, op. cit., p. 253; S. Leuzzi, op. cit., p. 12.   
[61] 
Per tale notazione, anche con riferimento al vantaggio competitivo che ne deriva sul mercato, si veda M. Libertini, Crisi d’impresa e diritto della concorrenza, in Mercato concorrenza e regole, 2021, p. 23. 
[62] 
L’interdizione è contemplata anche nel D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (“Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’art. 1 della legge 21 giugno 202, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici”) che, all’art 124, estromette, in via di principio, l’impresa dalle gare e solo qualora la aggiudicazione sia intervenuta prima della apertura della procedura consente al curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, di stipulare il contratto ed eseguire quelli già sottoscritti dall’impresa assoggettata alla procedura (comma 4). Ai sensi dell’art. 226, comma 2, la disciplina dell’art. 124 trova applicazione ai procedimenti attivati a far data dal I aprile 2023, risultando quelli precedenti regolati, in modo sostanzialmente analogo, dall’art. 110 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (“Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”), norma richiamata dall’art. 211, comma 8, CCII In tema, si veda, tuttavia, A. Pezzano-M. Ratti, op. cit., p. 313 secondo i quali la normativa sui contratti pubblici sarebbe indirizzata allo “spirito di valorizzazione dell’impresa”.
[63] 
Cfr., per tutti, M. Fabiani, op. cit., p. 442. 
[64] 
Si veda M. Fabiani, op. cit., p. 444. Contra, cfr. S. Leuzzi, op. cit., p. 11 che ritiene sufficiente l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività da parte degli organi giurisdizionali. 
[65] 
Cfr. N. Abriani-A. Rossi, op. cit., p. 396. 
[66] 
Così G. Scognamiglio, op. cit., p. 70. In tale direzione, si veda, altresì, R. Rordof, Gli assetti, cit., p. 55. 
[67] 
Cfr. Irrera, La collocazione degli assetti organizzativi e l’intestazione del relativo obbligo (tra codice della crisi e bozza di decreto correttivo), in Nuovo diritto delle società, 2020, p. 115.  
[68] 
Si noti che l’inquadramento qui prospettato, nell’assumere la specificità delle misure organizzative dell’impresa in liquidazione giudiziale, risulta in linea con previsione all’art. 5.bis CCII che, ai fini della redazione dei piani di risanamento, riconosce l’esigenza di introdurre speciali standard di riferimento per le micro, piccole e medie imprese prescrivendo la definizione di una lista di controllo particolareggiata. La materia è, attualmente, regolata dal decreto del Ministero della Giustizia 21 marzo 2023 (“Composizione negoziata della crisi d’impresa – verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento - Recepimento dell’aggiornamento del documento predisposto nell’ambito dei lavori della Commissione di studio istituita con decreto 22 aprile 2021”) che prevede i “minimi requisiti organizzativi” che devono essere adottati da dette tipologie di imprese per accedere allo strumento (§ 1). Sulla portata circoscritta del decreto si veda C. Cincotti, Gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili nella composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa 8anche a proposito del “decreto dirigenziale”), in Dir. fall., 2022, p. 582.         
[69] 
Così A. Bastia, op. cit., p. 304. 
[70] 
Così G. Scognamiglio, op. cit., p. 67. 
[71] 
Tale indicazione merita, comunque, di essere considerata tenendo conto dei vincoli di legge, come ad esempio quello ex art. 2214, comma 2, c.c. che prescrive l’adozione delle scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa.  
[72] 
Sui giustificati motivi rilevanti ai sensi dell’art. 122 CCII si veda M. Fabiani, op. cit., p. 299. 

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Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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