Saggio
Crisi, Insolvenza, Insolvenza Prospettica, Allerta: nuovi confini della diligenza del debitore, obblighi di segnalazione e sistema sanzionatorio nel quadro delle misure di prevenzione e risoluzione*
Bruno Inzitari, Professore nell’Università Bocconi e già Professore ordinario nell’Università Milano-Bicocca
18 Marzo 2021
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La crisi, oltre ad acquisire una propria identità semantica, diviene il perno attorno al quale viene costruito il nuovo Codice della crisi, il cui obiettivo è prevenire ed evitare l’insolvenza e, solo secondariamente, disciplinarla.
Al fine di rendere tale obiettivo possibile, il Codice introduce nuovi strumenti volti a far emergere tempestivamente la crisi di impresa e a ricercare le misure più idonee alla sua composizione, quali le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi.
Viene così estesa la misura della diligenza richiesta all’imprenditore e agli altri soggetti che partecipano alla regolazione della crisi, imponendo al primo nuovi obblighi organizzativi e ai soggetti qualificati obblighi di segnalazione degli indizi di crisi, accompagnati da uno specifico impianto sanzionatorio volto a rendere efficaci i nuovi strumenti previsti dal Codice.
Sommario:
1 . Insolvenza, fallimento, liquidazione giudiziale
2 . La crisi quale fattispecie ordinante del c.c.i.i.
3 . Crisi, insolvenza ed insolvenza prospettica
4 . La rilevazione della crisi nella gestione dell’impresa
6 . Obblighi di segnalazione degli organi di controllo e dei creditori pubblici qualificati
7 . L’obbligo di comunicazione delle banche e valutazione del merito di credito
Il carattere coevo e unitario della disciplina del codice civile e della legge fallimentare (al punto che quest’ultima potrebbe essere considerata al pari di un settimo libro del codice civile), con- sente di applicare la categoria dell’insolvenza secondo il medesimo contenuto e con la medesima portata in tutti i rapporti obbligatori sia di fonte legale (artt. 384, 562, 753, 755, 760) che contrattuale (artt. 1186, 1267, 1274, 1313, 1626, 1715, 1764, 1833, 1868, 1910, 1943, 1239, 1947, 1953, 1954, 1959, 2220, 2221, 2255, 2325, 2462, 2545 terdecies, 2615 c.c.). Il manifestarsi dell’insolvenza comporta rilevanti effetti e modificazioni nei diversi rapporti obbligatori, quali tra i più rilevanti: la decadenza dal beneficio del termine, art. 1186, e nei rapporti contrattuali, la sospensione della esecuzione per effetto del mutamento delle condizioni patrimoniali dei contraenti, art. 1461 c.c., nonché diverse cause di recesso.
Il mantenimento della capienza patrimoniale costituisce infatti la premessa dell’operatività e dell’efficiente esecuzione dei rapporti obbligatori e contrattuali, in quanto sulla capacità reddituale, finanziaria e patrimoniale si alimentano le aspettative del creditore e si fonda la concreta capacità di adempiere l’obbligazione e di dare esecuzione alle prestazioni contrattuali.
Il presentarsi dell’insolvenza lacera le attese di soddisfazione ed innesca un processo di immediata esigibilità delle obbligazioni contrattuali o legali, che travolge il tessuto dei rapporti negoziali istaurati dall’autonomia privata.
L’incapacità di adempiere regolarmente le obbligazioni, individuata dall’art. 5 della legge fallimentare come manifestazione dell’insolvenza, è del tutto coerente con la nozione di insolvenza che troviamo nel codice civile: essa risulta espressione di una inadeguatezza delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto alle obbligazioni assunte e alla capacità di adempierle regolarmente.
Il successivo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, c.c.i.i. nel dare una definizione dell’insolvenza, sul piano lessicale non ha portato significative innovazioni e, almeno sotto questo profilo, si è mosso in continuità rispetto alla precedente disciplina fallimentare. Il c.c.i.i. ha infatti definito l’insolvenza, art. 2, primo comma lett. b), come stato del debitore che si manifesta in inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali rivelano che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Le scelte definitorie e lessicali introdotte con il c.c.i.i. hanno peraltro comportato il venir meno del tradizionale collegamento del concetto insolvenza con l’espressione fallimento. Nella redazione del codice della crisi e dell’insolvenza il termine “fallimento” è stato sostituito con la espressione “liquidazione giudiziale”, come chiarito nei Principi generali della Delega al governo per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza, L.19 ottobre 2017, n. 15, all’art. 2, comma 1, lett. a). Ciò nella convinzione che, come affermato nella Relazione illustrativa del 10 gennaio 2019, un diverso approccio lessicale può meglio esprimere una nuova cultura del superamento dell’insolvenza, vista come evenienza fisiologica nel ciclo vitale di un'impresa da prevenire ed eventualmente da regolare meglio”.
Il diverso approccio lessicale ha comportato, almeno per quanto riguarda la disciplina di quella che si chiamava liquidazione fallimentare ed ora della liquidazione giudiziale, una metamorfosi meramente meccanica.
Ne è chiara testimonianza l’intervento solo nominale effettuato nella disciplina penalistica. Questa è rimasta completamente immutata nei contenuti e addirittura nella testuale formulazione delle norme in attuazione del principio di continuità delle fattispecie criminose, espressamente stabilito dall’art. 2, comma 1, lett. a) della legge delega n. 155/2017 [1].
L’adeguamento ha riguardato la sostituzione in ogni articolo, che nella legge fallimentare conteneva il lemma fallimento, con liquidazione giudiziale. Tale aggiornamento “lessicale” è stato uniformemente attuato ma ha presentato qualche “smagliatura”, forse conseguente più che alle difficoltà di sostituire e superare la locuzione fallimento, alla criticità che nel nuovo codice può assumere la categoria dell’insolvenza.
È significativo che nel riprodurre la disciplina della bancarotta fraudolenta societaria (art. 329, comma 2, lett. b) del c.c.i.i., corrispondente all’art. 223, comma 2, n. 1, L. fall.), il termine fallimento non è stato sostituito con il termine liquidazione giudiziale ma è stato fatto ricorso alla nuova categoria del dissesto. Quest’ultimo è previsto nella diversa disciplina bancaria quale categoria ordinante della crisi delle banche [2] mentre non è contenuta nelle definizioni che all’art. 2 c.c.i.i. introducono e delimitano le categorie del codice della crisi. Considerato che nella fattispecie del dissesto sono ricomprese, situazioni non ancora caratterizzate dall’insolvenza, si potrebbe rilevare un profilo di eccesso di delega (art. 76 Costituzione), che la giurisprudenza potrebbe superare ritenendo che il riferimento sarebbe pur sempre al fallimento in senso sostanziale, intendendo il dissesto come sub- strato economico patrimoniale dell’insolvenza [3].
Ulteriori questioni problematiche emergono dalla applicazione, secondo l’ultimo comma dell’art. 341 del nuovo art. 329 c.c.i.i., dei reati fallimentari di bancarotta anche agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa ed alle convenzioni di moratoria, procedimenti questi non necessariamente contrassegnati dall’insolvenza, ma piuttosto da una fase di crisi che può risultare ancora distante da manifestazioni di insolvenza, con conseguenti profili di eccesso di delega anche sotto il profilo del carattere eterogeneo delle situazioni prese in considerazione.
L’inserimento nella legge fallimentare della crisi è stato recente. Esso ha coinciso significativamente con l’espulsione dalla legge fallimentare della temporanea difficoltà e con essa della amministrazione controllata [4].L’introduzione della crisi, avvenuta di pari passo con il diffondersi del ricorso al linguaggio economico per la definizione delle categorie giuridiche, si è accompagnata all’inserimento nella legge fallimentare di nuovi istituti, come il piano attestato, gli accordi di ristrutturazione e la rinnovata disciplina del concordato preventivo, procedure cui il debitore può accedere per evitare o risolvere diversamente l’insolvenza.
La sostituzione avvenuta nel 2005 [5]al primo comma dell’art. 160 L. fall. della locuzione “imprenditore in stato di insolvenza” con “in stato dicrisi”, è così coincisa con il riconoscimento a quest’ultimo di un ampio spazio per riorganizzare l’esposizione debitoria al di fuori dell’insolvenza.
Nello stesso tempo la mancanza di una adeguata definizione giuridica della espressione crisi ha richiesto al legislatore di intervenire per calibrarne il contenuto e la portata. È stato chiarito che per crisi deve intendersi una categoria molto ampia che ricomprende l’insolvenza, come fase più grave della crisi [6]. All’art. 160 L. fall. è stato così aggiunto un terzo comma, di natura interpretativa ove, al fine di poter continuare a consentire all’imprenditore insolvente il ricorso alla procedura di concordato, è stato precisato che per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza.
Con il c.c.i.i. la crisi è ora definita non più attraverso espressioni economico-giuridiche descrittive ma piuttosto è presa in considerazione quale categoria contrassegnata da un significato e contenuto tecnico determinato. Nell’art. 2, primo comma, lett. a) del c.c.i.i., la crisi è definita come stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore. Con riferimento alle imprese, essa è ulteriormente specificata come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate.
La crisi con il c.c.i.i. assume quindi un carattere ordinante, in diretto confronto dialettico con l’insolvenza, di cui costituisce l’anticipazione e dunque il campo di elezione per la prevenzione e la più ordinata ed efficiente risoluzione dell’insolvenza.
L’innovazione di contenuto e di sistema apportata dal codice della crisi non è di poco momento in quanto il baricentro dell’intera disciplina è stato spostato dalla insolvenza alla crisi. Quest’ultima, per la prima volta adeguatamente definita, piuttosto che riferirsi ad eventi già verificatisi e riconducibili a specifiche fattispecie giuridiche, quali l’inadempimento o altri fatti equi- valenti, è volta ad intercettare, attraverso l’applicazione di un metodo tipizzato ed oggettivo fondato su indici predittivi di derivazione economica, il verificarsi di circostanze di carattere economico- giuridico, suscettibili di evolversi negativamente in una futura e prossima insolvenza [7].
La legge fallimentare prendeva in considerazione l’insolvenza per disciplinarne le conseguenze. Il c.c.i.i. prende in considerazione l’insolvenza per il pregiudizio che essa determina e, al fine di fronteggiare o mitigare tale pregiudizio, detta un insieme di regole e misure per contrastare o risolvere il pericolo dell’insolvenza.
Secondo questa rinnovata prospettiva, non è sufficiente disciplinare, come fino ad ora è avvenuto, le conseguenze pregiudizievoli dell’insolvenza sul debitore, sui creditori, sugli atti pregiudizievoli, ecc. ma piuttosto è prioritario disciplinare gli strumenti per l’emersione tempestiva della crisi.
L’ottica con cui viene considerata l’insolvenza è dunque sensibilmente mutata: mentre in passato essa era considerata rilevante se attuale, con il c.c.i.i. è già rilevante anche se solo potenziale e prospettica.
Questo apre ad una del tutto nuova, più avanzata ed incisiva chiave di valutazione dell’insolvenza.
Anche in assenza di una situazione di inadempimento delle obbligazioni in corso ma in presenza di un deterioramento della situazione patrimoniale e reddituale, sintomatica di una seria difficoltà a far fronte nel prossimo futuro alle obbligazioni assunte, la negligenza del debitore nella attivazione delle misure previste dal c.c.i.i. per la prevenzione e soluzione della crisi, può essere indizio dell’avveramento di una situazione di insolvenza secondo un rapporto causale, calcolabile, in tempi prospetticamente vicini.
Analogamente in un quadro di deterioramento possono costituire elementi rivelatori del venir meno della continuità aziendale e prospetticamente dell’insolvenza, l’alienazione per “fare cassa” di beni strumentali essenziali per la continuazione dell’attività caratteristica (quali l’alienazione dell’albergo per la società alberghiera, delle navi per la marittima, dei brevetti per la farmaceutica, ecc.).
Il debitore che in presenza dei descritti sintomi di deterioramento e di crisi non esegue alcuna delle diverse prestazioni dovute per la tutela della garanzia patrimoniale e di prevenzione del dissesto e, al contrario, rimane inerte, è suscettibile di essere considerato in stato di insolvenza prospettica.
In realtà, la prospettiva dell’insolvenza non è fattispecie sconosciuta nella nostra disciplina del diritto delle obbligazioni e dei contratti. Il profilarsi dell’inadeguatezza della garanzia patrimoniale offerta dal debitore innesca l’esigibilità delle prestazioni sino a comportare la risoluzione dei rapporti negoziali. Inoltre il palesarsi del rischio di insolvenza è alla base dell’ampio sistema della revocatoria ordinaria e fallimentare (ed in taluni casi della responsabilità civile), che può travolgere atti solutori o negoziali già sorti. Allo stesso modo nei rapporti societari, allorquando si manifesta una situazione di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, è prevista la misura della postergazione dei finanziamenti dei soci con la quale viene dato luogo ad una sorta di concorso potenziale tra tutti i creditori. La possibilità che si possa verificare l’insolvenza della società impone di tutelare anticipatamente i creditori affinché venga escluso il pericolo che il rischio d’impresa piuttosto che ricadere sui soci, venga trasferito sui terzi ed appunto sui creditori.
Con il cambiamento di prospettiva ora sancito dal c.c.i.i., il primario obiettivo perseguito dalla disciplina delle procedure concorsuali non è quello di rimediare ex post al pregiudizio causato da una insolvenza conclamata e risalente, ma di favorire l’emersione tempestiva della crisi per evitare che essa si verifichi o per ridurne l’impatto ed il conseguente pregiudizio per i creditori. L’insolvenza prospettica quindi può manifestarsi quando la crisi dell’impresa è intrinseca e, pur non emergendo all’esterno con inadempimenti o altri fatti esteriori, si sostanzia nella previsione della non sostenibilità della regolarità nella soddisfazione dei crediti d’impresa, in misura tale da compromettere la continuità aziendale [8].
In tal senso è ora stabilito che la probabilità del verificarsi dell’insolvenza possa essere misurata attraverso la valutazione dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni pianificate ai sensi dell’art. 2, lett. a), c.c.i.i. e sulla base di indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi, art. 13 c.c.i.i.. Si potrà fare riferimento al flusso di cassa operativo (FCFO) e/o al c.d. DSCR, Debt Service Coverage Ratio, che consente di valutare la sostenibilità dell’indebitamento in ottica prospettica rapportando il cash flow prodotto dall’impresa, con gli impegni finanziari assunti in termini di quota capitale ed interessi, oggetto di rimborso nell’orizzonte temporale considerato. Attraverso appropriate tipologie di indici viene così scrutinato il verificarsi in un lasso di tempo (ad es. sei mesi, come indicato dall’art. 2, comma primo, lett. a, e dall’art 13 primo comma, c.c.i.i.), di eventi che possono concorrere al verificarsi dell’insolvenza sulla base di un non controvertibile rapporto di causalità [9].
L’intero Titolo II, Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi prevede poi un articolato complesso di: strumenti (artt. 12-15), organizzazione (artt. 16-18) e procedimenti (artt. 19- 23), diretti alla rilevazione tempestiva della crisi ed alla attivazione delle misure per la efficiente risoluzione della stessa o comunque per contenere il pregiudizio del dissesto e consentire la ordinata liquidazione.
L’adozione di queste misure del tutto nuove quali, tra le altre, l’obbligo di segnalazione degli organi di controllo societari (art.14), l’obbligo di segnalazione di creditori pubblici qualificati (art. 15), come pure l’istituzione dell’OCRI e l’accresciuto potere di intervento del pubblico ministero (art. 22), confermano il cambiamento di prospettiva dell’intera disciplina.
Se quindi da un lato la definizione di insolvenza del c.c.i.i. è identica a quella della legge fallimentare (art. 2, comma 2, lett. a)c.c.i.i. e art. 5 L. fall.) e sembra basarsi sull’avvenuto inadempimento, dall’altro lato l’angolo di visuale del codice della crisi è radicalmente mutato ed è piuttosto imperniato sulla rilevazione della crisi e della prevenzione dell’insolvenza anche prospettica per la cui risoluzione sono previste misure di intervento atte a contenerne gli effetti pregiudizievoli. A queste potranno essere affiancate quelle di protezione del patrimonio, cautelari e protettive di cui agli artt. 54 e 55 c.c.i.i..
Più problematica potrebbe apparire l’apertura di una procedura di liquidazione giudiziale in un caso di insolvenza prospettica, ove le misure sopra descritte si rivelassero inattuabili o inefficienti [10], in quanto ciò presupporrebbe la sostanziale simmetria tra insolvenza attuale ed insolvenza prospettica. Si tratta di una ricostruzione interpretativa nuova e sfidante che consentirebbe da un lato di arrestare l’allargamento del passivo e la dispersione dei beni e dall’altro di conservare il valore dell’azienda (se possibile anche funzionante) e quindi complessivamente di tutelare l’integrità patrimoniale e limitare il pregiudizio per i creditori e per il mercato.
I Principi generali del Capo II che introducono il codice della crisi ne scandiscono l’intera finalità e “filosofia” attraverso specifiche previsioni normative di carattere concreto ed operativo, mentre il Capo I, composto da due articoli, ha una funzione unicamente definitoria.
Il Capo II all’art. 3 reca la rubrica Doveri del debitore ed introduce a carico di questo pregnanti obblighi di comportamento: l’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte; l’imprenditore collettivo deve adottare un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell’articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative.
A questa generale definizione dei doveri del debitore contenuta negli articoli d’apertura, fa poi seguito e soprattutto è strettamente collegata, una ulteriore previsione altrettanto generale e confermativa nel contenuto, inserita nel testo dell’art. 2086 del codice civile.
Quest’ultima norma ha assunto, sulla base delle modifiche apportate, un significato ed un ruolo del tutto nuovo. La rubrica Direzione e gerarchia dell’impresa è stata sostituita con la più moderna e comprensiva Gestione dell’impresa. Dopo il primo comma, rimasto immutato (che ripete la definizione dell’imprenditore come capo dell’impresa gerarchicamente sovraordinato [11]), è stato aggiunto un secondo comma nel quale vengono stabiliti i doveri che si accompagnano alla gestione dell’impresa: l'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.
Nella sostanza la medesima previsione contenuta all’art. 3 c.c.i.i., articolata secondo un generale riferimento al debitore quale imprenditore individuale e imprenditore collettivo, viene poi, con una formulazione ancora più ampia, inserita nei principi generali della disciplina dell’impresa all’art. 2086, nel quale le regole tecniche che scandiscono il comportamento del debitore sono assunte quali regole della gestione della impresa.
I doveri del debitore introdotti all’art. 3 vengono ulteriormente ripresi nella Parte seconda, Modifiche al codice civile del c.c.i.i., il quale prescrive gli assetti organizzativi dell’impresa all’art. 375, attraverso la modifica dell’art. 2086, attuata con la previsione di un secondo comma, e allo stesso modo prescrive gli assetti organizzativi societari all’art. 377, con la modifica degli artt. 2257, 2380 bis, 2409 decies, 2475 c.c..
Il codice civile assorbe così i nuovi criteri, le regole di comportamento e organizzative che l’imprenditore deve seguire nella gestione dell’impresa individuale o societaria, secondo un unitario modello.
Questi comportamenti sono connessi all’adempimento ma si collocano all’esterno di esso. Essi non riguardano il modo in cui deve essere eseguita l’obbligazione ma piuttosto: a) le condizioni per evitare che la capacità di adempiere all’obbligazione venga compromessa; b) nel caso in cui questo si verifichi, gli strumenti cui il debitore deve ricorrere affinché gli effetti pregiudizievoli di tale evento vengano neutralizzati o perlomeno arginati o comunque limitati.
Il codice della crisi ha profondamente innovato nel contenuto la cosiddetta prestazione-comportamento cui è tenuto il soggetto imprenditore individuale o collettivo nei riguardi dei creditori (e più in generale, si può dire, della stessa collettività). È questa una modifica che investe direttamente il criterio o meglio il contenuto della diligenza del debitore imprenditore.
Come noto, il dovere di diligenza previsto nel codice civile, costituisce il criterio per valutare se il comportamento del debitore nell'eseguire la prestazione dovuta è stato omogeneo e conforme a quello richiesto per l'adempimento dell’obbligazione.
La regola della diligenza costituisce un flessibile strumento regolatore dell'adempimento di qualsiasi obbligazione, in quanto al modello generale della diligenza del buon padre di famiglia, vale a dire dell'uomo medio, viene accompagnato quello più specifico della diligenza del professionista. Al criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia stabilita al primo comma dell'articolo 1176 c.c., si aggiunge, nell'esercizio dell'attività professionale, la diligenza richiesta dalla natura dell'attività esercitata [12].
La peculiarità di questo principio risiede non certo nell'individuare la figura del buon professionista, come figura parallela a quella del buon padre di famiglia. Sarebbe del tutto vano ed infruttuoso valutare la prestazione con riferimento al professionista medio (medico medio, ingegnere me- dio, architetto medio, avvocato medio), mentre piuttosto è necessario verificare se il professionista, nell’eseguire la prestazione, ha seguito ed applicato le regole che sovrintendono quella specifica attività professionale ed in particolare la prestazione specialistica svolta.
Infatti, qualunque sia il campo in cui opera il professionista, la valutazione dell'avvenuta osservanza della diligenza può essere effettuata verificando se, nell’esecuzione della prestazione, siano state osservate le regole tecniche che sono proprie del settore in cui esso opera, secondo lo sviluppo che le stesse hanno in quel momento storico, in quell'area geografica, in quel contesto.
Il modello della diligenza professionale è stato costruito con riferimento alle prestazioni riconducibili alla prestazione di fare e quindi ad una specifica e concreta attività, la cui esecuzione deve conformarsi e rispettare i principi, criteri e le prassi applicati nel settore.
Diversamente le prestazioni che vengono prese in considerazione nell'ambito delle procedure concorsuali e, in generale, nel processo esecutivo sono prevalentemente, sin dal loro sorgere o quale prestazione risarcitoria, obbligazioni pecuniarie.
Anche alle obbligazioni pecuniarie invero si applica la regola della diligenza, in quanto le modalità con cui il debitore esegue la prestazione pecuniaria richiedono diligenza con riferimento all'esattezza e alla tempestività dell'adempimento ma la valutazione del comportamento richiesto per eseguire l'obbligazione pecuniaria non risulta, almeno direttamente, scrutinabile sulla base di regole tecniche riconducibili ad una attività professionale.
Con la previsione all’art. 3 c.c.i.i. di specifici doveri del debitore, l'assunzione e poi l'adempimento dell'obbligazione vengono arricchiti di nuovi contenuti consistenti nell’adozione di un comportamento proattivo. Tali doveri costituiscono le regole tecniche attraverso le quali il debitore deve rendere effettiva la responsabilità patrimoniale, con la quale garantisce la soddisfazione dei creditori, come prescritto dall’art. 2740 c.c..
Il codice della crisi ha quindi introdotto una del tutto nuova prospettiva di operatività del principio della responsabilità patrimoniale del debitore. Essa non può essere più concepita come semplice soggezione all’azione dei creditori. Al debitore viene infatti addossato ora l’onere di salvaguardare sul piano funzionale la garanzia patrimoniale offerta ai creditori. Questo si realizza attraverso l’attuazione dei doveri di rilevazione della crisi ed adozione degli strumenti idonei a evitare o circoscrivere il pregiudizio che dalla insufficienza patrimoniale può derivare ai creditori.
Nell’adempimento dell’obbligazione la diligenza richiesta al debitore deve oggi essere valutata in relazione alla avvenuta osservanza degli accennati doveri di comportamento. Questi svolgono la funzione di indirizzo gestorio dell’imprenditore e si può affermare che costituiscono le regole tecniche alla cui applicazione è tenuto il debitore imprenditore individuale o collettivo nell’assumere, gestire ed adempiere il rapporto obbligatorio o la serie di rapporti obbligatori sorti nello svolgimento dell’attività economica. I doveri cui è tenuto il debitore imprenditore individuale o collettivo si sostanziano quindi in un articolato, ma strettamente collegato, insieme di misure e impegni volti a salvaguardare l’efficacia e l’efficienza della garanzia patrimoniale.
Secondo questo del tutto nuovo collegamento la diligenza dovuta dal debitore si realizza an- che nel rispetto di regole tecniche volte a far si che il debitore, piuttosto che essere limitato ad una posizione di mera soggezione, sia obbligato a svolgere un ruolo attivo ed efficiente nell’esecuzione dell’obbligazione affinché la garanzia patrimoniale possa effettivamente soddisfare i creditori.
Il nuovo c.c.i.i. ha così effettuato un significativo aggiornamento delle funzioni della obbligazione pecuniaria. Il dovere del debitore pecuniario di dare la somma di danaro, ormai più correttamente ricondotta al dovere di realizzare l’attribuzione di unità monetarie nel patrimonio del creditore [13], si arricchisce del dovere di osservare ulteriori comportamenti volti al mantenimento delle condizioni affinché i crediti possano trovare effettivamente soddisfazione integrale, e se questo non dovesse risultare possibile, affinché venga limitato il danno per i creditori nell’ambito di soluzioni il più possibile trasparenti ed ordinate [14].
Questi nuovi caratteri della diligenza informano complessivamente tutto il sistema e si estendono con gli opportuni adattamenti anche al debitore civile. Un’altra delle rilevanti novità del c.c.i.i. è infatti la regolazione della crisi e dell’insolvenza del debitore civile, articolata secondo diverse procedure che, nella sostanza, riprendono quelle dell’impresa in crisi o insolvente.
Anche in questo caso il debitore civile viene preso in considerazione al cospetto dei nodi della responsabilità patrimoniale, la quale costituisce anzi l’elemento assorbente dell’intera disciplina, non configurandosi in questo caso un’attività economica di produzione o di scambio.
Il debitore civile ha il dovere di mantenere una ragionevole proporzione tra l’obbligazione assunta e il reddito disponibile, in modo tale da assolvere all’obbligo di salvaguardare la garanzia patrimoniale nell’interesse sia del debitore stesso, che del creditore.
La diligenza del debitore nella assunzione della obbligazione viene valutata attraverso lo scrutinio delle cause e modalità che hanno caratterizzato l’esposizione debitoria, come pure delle ragioni dell’incapacità ad adempiere alle obbligazioni assunte. A questa risulta collegata e complementare la diligenza osservata dal soggetto finanziatore nell’aver tenuto conto del merito creditizio del debitore sovvenuto nella erogazione del credito [15]. Si tratta di una valutazione tecnica che deve prendere in considerazione il reddito disponibile del debitore, dedotto l’importo necessario per mantenere un dignitoso tenore di vita [16].
A presidio della effettiva prevenzione e risoluzione della crisi sono state poste le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, introdotte agli art. 12 e segg., le quali suppliscono alla mancata tempestiva iniziativa dell’organo amministrativo della società e costituiscono il motore propulsivo con cui viene assicurata l’emersione della crisi, anche in presenza di un negligente comportamento del debitore. A tal fine il codice della crisi identifica i soggetti obbligati ad esercitare il controllo e attribuisce agli stessi compiti nuovi, da attuare mediante il ricorso a diversi strumenti tra i quali assume rilevanza la segnalazione, cui ricorrere per esercitare un richiamo del debitore e, se necessario, per costringerlo a rispettare l’obbligo di prevenire e risolvere la crisi.
La segnalazione svolge, nello stesso tempo, una funzione di deterrenza per il debitore e di supplenza della mancata iniziativa di quest’ultimo. L’attivazione spetta agli organi di controllo societari (art. 14) ed ai creditori pubblici qualificati (art. 15).
I creditori pubblici qualificati (Agenzia delle Entrate, Inps, agente della riscossione), sono tenuti all’obbligo di segnalazione quando si verifichi il superamento di specifiche soglie di indebitamento fiscale e/o previdenziale. Tale intervento perviene solitamente, quando l’esposizione debitoria ha già raggiunto livelli rilevanti, l’equilibrio economico è compromesso e la crisi dell’impresa, con tutta probabilità, è avanzata. Si tratta di situazioni nelle quali risultano più limitati gli spazi per misure negoziali preventive ed il ventaglio delle possibili soluzioni non potrà che risultare prevedibilmente più limitato o comunque più complesso ed oneroso.
L’intervento degli organi di controllo (sindaci, revisore contabile e società di revisione) al contrario può risultare più precoce. Su di essi ricade infatti l’obbligo di verificare nel continuo, assumendo le idonee iniziative, se l’organo amministrativo si sia dotato di un assetto organizzativo, se questo sia adeguato, se sussista l’equilibrio economico finanziario e quale sia il prevedibile andamento della gestione. Essi debbono, se del caso, segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi di crisi e nel caso di omessa o inadeguata risposta da parte di questo, procedere ad una formale e motivata comunicazione informativa all’OCRI (art. 14 c.c.i.i.).
Va osservato che con il codice della crisi le regole relative alle funzioni ed ai compiti dei sindaci, sono oggi contenute in due diverse fonti [17]. Da un lato quella del codice civile, di vigilanza sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento, art. 2403, c.c., e dall’altro quella del codice della crisi che, accanto ai doveri di verifica dell’adeguatezza dell'assetto organizzativo, ha specificato quelli sulla sussistenza dell’equilibrio economico finanziario, sul prevedibile andamento della gestione, nonché di immediata segna- lazione all'organo amministrativo dell’esistenza di fondati indizi di crisi, accompagnati questi ultimi da incisive sanzioni in caso d’inerzia.
Si noti che mentre l’introduzione dei doveri dell’organo amministrativo è stata assorbita nel tessuto dei principi generali sull’impresa di cui all’art. 2086 c.c. dei nuovi Doveri del debitore previsti all’art. 3 c.c.i.i. l’integrazione dei doveri dell’organo di controllo non è stata riprodotta o traslata nel codice civile.
Le ragioni di questa diversa scelta possono derivare dal fatto che l’introduzione dei Doveri del debitore ha prodotto un effettivo e definitivo rinnovamento degli obblighi di comportamento nell’adempimento delle obbligazioni che ha reso necessario, anche sul piano sistematico, l’adegua- mento delle norme che regolano i principi generali e definitori della disciplina dell’impresa.
L’introduzione degli obblighi di segnalazione a carico degli organi di controllo societari, ha comportato che questi siano destinatari del compito di attivare la procedura di allerta nel caso di inerzia del debitore. L’intervento richiesto, intende soddisfare l’esigenza che la crisi, una volta che si manifesta, debba essere risolta tempestivamente su predeterminati binari di controllo ed intervento. È una disciplina nuova e per questo in qualche misura sperimentale.
È possibile ipotizzare che queste previsioni vengano in futuro assorbite o riprese anche nel codice civile quali principi caratterizzanti i compiti e le funzioni dei sindaci, come pure che esse vengano integrate e completate da sistemi di raccolta di dati e di automatismi di allarme ulteriormente consolidati che possano essere di ausilio per l'esercizio del controllo da parte dei sindaci e per l’informazione per lo stesso mercato.
Analoghe considerazioni possono essere svolte anche a proposito dei compiti ora assegnati al revisore contabile e alle società di revisione anche se con le dovute differenziazioni.
Questa informativa consente all’organo di controllo di completare il quadro informativo già acquisito all’interno della società con quello esterno, relativo alla capacità del debitore di acquisire o mantenere linee di credito. Tale previsione amplia significativamente il compendio di elementi che debbono essere presi in considerazione dagli organi di controllo nella costante valutazione dell’andamento della società.
In particolare, le comunicazioni delle variazioni o revisioni o revoche dei rapporti creditizi costituiscono il primo strumento per riscontrare la qualità del merito creditizio assegnato al debitore da parte del ceto bancario. Di questa circostanza le banche sono o comunque debbono essere consapevoli. Il rapporto creditizio bancario svolge, infatti, la funzione di indicatore sintomatico della capacità di solvenza prospettica dell’impresa e le vicende modificative che nel corso della sua durata investono il contratto bancario, si proiettano ben oltre le parti contraenti sino a costituire evidenza del livello di valutazione dell’affidabilità del debitore.
Dall’insieme di questi elementi di conoscenza gli organi di controllo possono anticipatamente valutare la sostenibilità degli impegni assunti e delle iniziative intraprese dalla società, come pure il livello di fiducia da parte del ceto bancario, e acquisire chiavi di lettura del deterioramento del quadro di disponibilità finanziaria. La previsione di un obbligo continuato per le banche di comunicare agli organi di controllo le modificazioni man mano occorse nel rapporto di credito con il debitore, lungi dal costituire un inutile orpello, fornisce a questi un ulteriore indicatore segnaletico, che va oltre la meccanica verifica di sostenibilità ottenuta mediante gli indici di cui all’art. 13, ma misura la disponibilità del sistema creditizio a sovvenire e assistere l’attività, costituendo in questo modo la principale sfera di valutazione esterna all’impresa[18].
Nello stesso tempo, allorquando la crisi si è manifestata, eventuali comportamenti abusivi delle banche, che contrastano con il dovere di valutazione del merito creditizio del sovvenuto e che si sostanziano nell’ingiustificata erogazione o mantenimento di linee di credito al di fuori dei presupposti del corretto esercizio del credito, non potranno essere ignorati dagli organi di controllo, che dovranno intervenire con le opportune segnalazioni all’organo amministrativo, anche in considerazione del rischio di concorrere con gli amministratori e con la banca nella responsabilità per il pregiudizio conseguente alla mancata prevenzione dell’insolvenza [19].
Sotto altro profilo si potrebbe ritenere che profili di criticità possano riferirsi ai finanziamenti erogati e autorizzati prima della omologazione del concordato preventivo o di accordi di ristruttura- zione dei debiti per i quali il beneficio della prededucibilità o dell'esenzione della revocatoria per i pagamenti o gli atti in esecuzione di un piano attestato, in presenza di gravi circostanze, può rivelarsi controvertibile. L’art. 99, sesto comma c.c.i.i., esclude il beneficio della prededuzione quando con- giuntamente il ricorso o l'attestazione contengano dati falsi ovvero omettano informazioni rilevanti o comunque il debitore abbia commesso atti in frode per ottenere l’autorizzazione e il curatore dimostri che il soggetto finanziatore fosse a conoscenza di tali circostanze al momento dell’erogazione; analogamente, l’art. 166, comma terzo lett. d) esclude l’esenzione dalla revocatoria se il finanziatore al momento dell’atto suscettibile di revocatoria fosse stato a conoscenza del dolo o colpa grave dell'attestatore o del debitore.
Il ruolo del soggetto finanziatore è riconosciuto poi dal c.c.i.i. anche in relazione al debitore consumatore nell’ambito della ristrutturazione dei suoi debiti. L’art. 68 c.c.i.i., stabilisce infatti che l’OCC nel redigere la sua relazione debba indicare se il soggetto finanziatore, ai fini della concessione del finanziamento, abbia tenuto conto del merito creditizio del debitore [20]. Una analoga previsione è contenuta anche all’art. 76, terzo comma, c.c.i.i. in relazione al concordato minore, applicabile al professionista, all’imprenditore minore, all’imprenditore agricolo, e alle start- up innovative ex art. 74 e art. 2, comma 1, lett. c).
Per gli amministratori gli obblighi di cui all’art. 3 c.c.i.i. e 2086 secondo comma, c.c. di tempestiva rilevazione della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, come pure della adozione degli strumenti previsti per il superamento della crisi, rispondono all’esigenza di non pro- trarre ingiustificatamente l’attività sociale, quando pregiudizievole per la società e per i creditori.
Il rispetto di tali obblighi è presidiato dalle novellate disposizioni degli artt. 2476, 2477, 2486, le quali provvedono non solo ad articolare più diffusamente la responsabilità verso i creditori sociali ma, al fine di rendere più agevole, certa e soprattutto prevedibile, la determinazione del debito risarcitorio cui sono obbligati gli amministratori ed i sindaci, provvedono a quantificare il danno risarcibile per il pregiudizio conseguente alla ingiustificata protrazione dell’attività sociale, attraverso il ricorso a criteri tipici e presuntivi [21].
Per sanzionare l’inadempimento agli obblighi di prevenzione della crisi e aggravamento dell’insolvenza sono state introdotte significative deroghe ai generali principi di diritto comune del risarcimento del danno contrattuale ed extra contrattuale.
I criteri della perdita subita e del mancato guadagno di cui all’art. 1223 c.c., come risulta anche dalla non sempre agevole e univoca giurisprudenza in materia, non riescono a fornire soluzioni certe e ragionevolmente definitive sulla quantificazione di un danno così peculiare quale quello derivante dalla ingiustificata protrazione dell’attività sociale. Il danno emergente ed il lucro cessante sono strumenti dal sapore “micro” che la tradizione giuridica ha sviluppato ed applicato per compensare le conseguenze dirette ed immediate dell’inadempimento dell’obbligazione contrattuale o da illecito. Ben diverso carattere “macro” si rinviene nella responsabilità degli amministratori per la mancata conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale successivamente al verificarsi di una causa di scioglimento.
I generali criteri del danno contrattuale ed extracontrattuale dell’art. 1223 c.c., infatti non senza difficoltà ed esitazioni possono essere applicati a fattispecie in cui il danno che viene fatto valere è la indiretta conseguenza sul patrimonio sociale e sulla garanzia patrimoniale offerta ai creditori della ingiustificata protrazione dell’attività.
Con azione di responsabilità il curatore fa valere il danno subito per la mancata soddisfazione dei creditori sociali per l’avvenuta insolvenza della società, la cui imputabilità agli amministratori necessita di una specifica prova in quanto l’insolvenza può risalire a cause non necessariamente imputabili agli amministratori. L’aggravamento del dissesto imputabile agli amministratori per inosservanza dell’obbligo di conservazione del patrimonio sociale dopo il verificarsi di una causa di sciogli- mento della società, determina un danno tutt’altro che agevolmente determinabile attraverso la valutazione della perdita subita e del mancato guadagno.
Secondo i generali principi di cui all’art. 1223 c.c. possono essere agevolmente liquidati i danni derivanti da comportamenti attivi o omissivi contrari ai doveri di diligente e corretta amministrazione, lesivi del patrimonio della società. Maggiori difficoltà ha sempre presentato l’applicazione degli stessi principi all’azione di responsabilità, allorquando viene fatto valere il danno che i creditori della società subiscono per incapacità della società a far fronte alle obbligazioni assunte verso terzi. Non sempre infatti l’incapienza del patrimonio della società è individuabile con riferimento a specifici comportamenti, ma piuttosto si sostanzia nella mancata osservanza dei doveri conseguenti al verificarsi di una causa di scioglimento, doveri oggi incrementati dall’obbligo di prevenire e risolvere la crisi di cui all’art. 3 c.c.i.i. e 2086 c.c..
Il codice della crisi muovendo dalla necessità di prevedere conseguenze sanzionatorie il più possibile certe e prevedibili per il pregiudizio conseguente all’ingiustificata continuazione da parte degli amministratori dell’attività sociale in presenza di una causa di scioglimento, è ricorso per la liquidazione del danno a parametri predeterminati strettamente ancorati agli stessi dati contabili offerti dalla società. Il criterio adottato si basa su un metodo uniforme di confronto dei dati contabili dei netti patrimoniali, pari appunto alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale alla data di apertura di tale procedura, e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’art. 2484 c.c..
La modificazione apportata è dunque diretta espressione dell’esigenza di accompagnare e sostenere l’intero nuovo sistema di prevenzione della crisi e dell’allerta con un rinnovato tessuto di valutazione del comportamento dannoso, univocamente individuato nella abusiva protrazione dell’attività sociale e nella quantificazione del danno secondo parametri fissi e rigidi, tali da consentirne la prevedibilità e la deterrenza.
Il nuovo sistema è poi completato con l’introduzione di una specifica previsione in caso di mancanza, irregolarità, inidoneità o inattendibilità delle scritture contabili.
La gravità della violazione per assenza di idonea contabilità e l’impossibilità di applicare il criterio della differenza dei netti patrimoniali, comporta il ricorso ad un criterio del tutto alternativo, secondo cui il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura [22].
Si tratta della prima o comunque più significativa ed esplicita applicazione del principio del danno punitivo nel nostro ordinamento. La quantificazione infatti prescinde totalmente dalla valutazione del comportamento del soggetto responsabile e dalla considerazione del rapporto di causalità e addossa l’onere risarcitorio in misura del tutto forfettaria, sulla base di elementi che possano risultare del tutto estranei alla fattispecie causativa dell’insolvenza. È quindi una disposizione squisitamente sanzionatoria che, con una forte deterrenza, punisce l’organo amministrativo per l’integrale e frontale violazione degli obblighi di ordinata amministrazione della società.
È significativo che il riconoscimento del danno punitivo sia avvenuto con riferimento alla responsabilità degli amministratori. Le sezioni unite della Cassazione con la sentenza n. 9100 del 2015 affrontando questa tormentata materia già misero in luce che la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno non è più incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento, come una volta si riteneva, giacché negli ultimi decenni sono state qua e là introdotte disposizioni volte a dare un connotato lato sanzionatorio al risarcimento. L’ingresso dei danni punitivi nel nostro ordinamento è avvenuto successivamente con la nota pronuncia delle Sezioni Unite che ha escluso la contrarietà all’ordine pubblico della sentenza statunitense comminatoria di un risarcimento punitivo Cass. Sez. Un. 5luglio 2017, n. 16601. In questa pronuncia la Suprema Corte ha in particolare (ri)affermato che alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e questa sanzionatoria del responsabile civile [23].
Il meccanismo sanzionatorio introdotto nell’ultima parte del terzo comma dell’art. 2486- danno liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura, realizza deterrenza e sanzione. Nello stesso tempo l'intero terzo comma assolve alla funzione di garantire in siffatte fattispecie risarcitorie così complesse e controvertibili, la tipicità delle ipotesi di condanna e di determinazione del danno, affinché possa essere prevedibile la valutazione del comportamento e più certe le conseguenze risarcitorie.
Per gli organi di controllo interno la garanzia dell’esercizio dei compiti di verifica e di segnalazione è invece affidata ad una disposizione premiale sul piano della responsabilità: la previsione del terzo comma del citato art. 14 c.c.i.i., che solleva i sindaci dal rischio e dall’onere della responsabilità solidale con gli amministratori, a condizione che i primi abbiano assolto all’ obbligo di tempe- stiva segnalazione all’organo amministrativo di cui al comma 1 dell’art. 14 c.c.i.i. ed abbiano effettuato la tempestiva segnalazione all’OCRI di cui al secondo periodo del comma 2.
Queste misure, che possiamo definire “compensative”, non solo incidono sul tenore della responsabilità degli organi di controllo ma fanno assumere ad essi il ruolo di garanti ex lege del comportamento degli amministratori.
Questi sono infatti chiamati a supplire alla mancata osservanza da parte degli amministratori dell’obbligo di rilevazione e prevenzione della crisi, provvedendo, oltre che a verificarne l’adempimento, a rilevare essi stessi gli indizi di crisi e porre in essere la segnalazione all’OCRI, in caso di inerzia o di inadeguate reazioni da parte dell’imprenditore.
La violazione del dovere di controllo dell’esistenza e dell’efficiente funzionamento dell’assetto organizzativo adeguato a riconoscere e prevenire la crisi, comporta il diretto concorso con la scorretta e pregiudizievole condotta degli amministratori, aprendo la via alla condivisione di tutte le responsabilità conseguenti alla mancata rilevazione e prevenzione della crisi.
Sotto altro profilo, la garanzia dell’esercizio del controllo da parte dei creditori pubblici qualificati dei compiti di segnalazione di cui all’art. 15 c.c.i.i. è basata sulla previsione stabilita al primo comma dello stesso articolo della pena di inefficacia del titolo di prelazione spettante sui crediti di cui sono titolari.
La misura introdotta è assolutamente nuova sotto diversi e rilevanti profili. I creditori pubblici qualificati chiamati ad esercitare il controllo sono del tutto esterni alla sfera organizzativa del debitore e del tutto esterni alla società. A differenza che per l’organo di controllo interno ai creditori pubblici non è richiesto di adempiere ad alcun dovere informativo sulle condizioni patrimoniali o sull’andamento della gestione del debitore. A questi non viene richiesto di valutare la correttezza o normalità della gestione, né potrebbero farlo, considerata la natura esclusivamente legale del credito fiscale, la cui fonte risiede in rigidi presupposti patrimoniali o reddituali.
Sui creditori pubblici qualificati ricade l’obbligo di dare al debitore un duplice avviso: che l’esposizione debitoria ha superato l’importo rilevante di cui al comma 2 dell’art. 15 c.c.i.i., e che se entro novanta giorni il debitore non avrà estinto o altrimenti regolarizzato per intero il proprio debito o, in ultima ipotesi, non avrà fatto ricorso al procedimento di composizione assistito della crisi oppure domanda di accesso ad una procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza, essi ne faranno segnalazione all’OCRI.
L’osservanza di quest’obbligo di segnalazione è presidiato, come già si è accennato, a pena di inefficacia del titolo di prelazione spettante sui crediti dei quali sono titolari, e per l’agente della riscossione a pena dell’inopponibilità del credito per spese ed oneri di riscossione.
Ci troviamo di fronte ad una tipologia di sanzione, i cui caratteri e portata sono del tutto inediti rispetto al sistema della responsabilità contrattuale o extra contrattuale. Essa non si riferisce alla inosservanza di un comportamento dovuto verso un creditore, vale a dire all’inadempimento di una prestazione che il debitore ha mancato di eseguire, né d’altra parte il contenuto della sanzione può essere ricondotto ad una prestazione risarcitoria secondo i principi dell’art. 1223 c.c.. Il presupposto risiede nella istituzione a carico dei predetti creditori pubblici qualificati di un obbligo di carattere pubblicistico di segnalazione progressivamente gradato: prima indirizzato al debitore e, in caso di inerzia di quest’ultimo, all’OCRI.
Esso presenta profili certamente impegnativi ed onerosi, in quanto comporta una costante verifica ed aggiornamento dei dati dell’esposizione debitoria dei contribuenti e, anche per questo motivo, per presidiarne l’applicazione, necessita di un meccanismo sanzionatorio, che il codice della crisi ha previsto in forme particolarmente incisive.
La sanzione introdotta a presidio dell’osservanza dell’obbligo di segnalazione risulta straordinaria nel lessico, nel contenuto e nella portata. Nella formulazione della norma piuttosto che alla responsabilità si fa riferimento alla pena, sanzione questa che non incide sulla responsabilità patrimoniale ma piuttosto sullo stesso diritto del creditore.
L’estinzione del diritto di credito per un effetto di comportamenti omissivi è presente nella nostra esperienza con la decadenza o la prescrizione ma sono queste fattispecie del tutto diverse, nelle quali l’inattività dell’avente diritto rileva in relazione al decorso del tempo.
La sanzione che colpisce i creditori pubblici qualificati è la conseguenza dell’inosservanza del comando attivo, di segnalare tempestivamente. Essa non comporta l’estinzione del diritto di credito che persiste integro, ma piuttosto la perdita delle possibilità che questo trovi soddisfazione privilegiata nel concorso.
La novità si manifesta almeno sotto due profili: a) la pena dell’inefficacia del titolo di prelazione si distingue per il carattere sostanzialmente ablatorio, in quanto comporta il venir meno della componente prelatizia del credito; b) i creditori pubblici qualificati, attraverso il degrado in chirografo, vengono destinati, quale contrapassum, a subire le perdite derivanti dal concorso al pari della massa dei chirografari.
Al fine di comprenderne la portata deve essere considerato che la formazione di una esposi- zione debitoria incagliata di carattere tributario di rilevante importo costituisce, nel procedimento di allerta, l’indizio più esplicito dello stato ormai grave della crisi. Presumibilmente nel momento in cui interviene la segnalazione dei creditori pubblici qualificati non solo il debitore ha mancato ai doveri di rilevazione e prevenzione ma anche l’organo di controllo ha fallito nel compito di avvertire i sintomi della crisi e di porre in essere le misure cui è tenuto.
L’obbligo di segnalazione dei creditori pubblici qualificati costituisce pertanto una disposizione di chiusura del sistema dell’allerta, con la quale a soggetti pubblici, quali i creditori pubblici qualificati, viene prescritto di controllare e segnalare una delle circostanze ritenute più gravi e significative affinché la crisi del debitore possa essere trattata nella procedura di allerta.
La segnalazione della sofferenza debitoria fiscale e/o previdenziale non realizza ma piuttosto si interseca con la richiesta di adempimento del credito scaduto, da parte dei creditori pubblici, restando l’esazione del credito attività distinta, alla quale, secondo modalità proprie, deve attendere l’Agenzia delle entrate, l’Istituto nazionale della previdenza sociale e l’agente dalla riscossione.
In tal senso profonde e significative sono state le modificazioni prodotte nel sistema del diritto civile delle obbligazioni e dei contratti, nei compiti degli amministratori e dell’organo di controllo, delle banche, e addirittura dello Stato, quale creditore per contributi fiscali e previdenziali.
Sono stati assegnati nuovi importanti ruoli: al debitore il compito di garantire l’idoneità della propria capacità di adempiere alle obbligazioni assunte e di agire con tempestività per prevenire la crisi; all’imprenditore ed agli amministratori l'ulteriore compito di approntare un assetto organizzativo adeguato alla realizzare di tali obiettivi; alle banche di fornire anche agli organi di controllo i dati significativi sulla evoluzione dei rapporti di credito; agli organi di controllo di vigilare nel continuo sull'idoneità dell'assetto organizzativo e sulla presenza di segnali di crisi; agli stessi organi di controllo ed ai creditori pubblici qualificati di supplire all’inerzia o insufficienza del debitore attraverso i diversi doveri di segnalazione.
In questa fase di avvio va rilevato che gli spazi anche temporali entro i quali questi protagonisti dovranno dare efficiente ed efficace attuazione ai loro nuovi compiti potranno risultare tutt'altro che agevoli.
Criticità potranno manifestarsi in relazione alla compatibilità delle misure di prevenzione da intraprendere ed i tempi che la nuova disciplina prevede come disponibili. Va osservato che l’eventuale difetto di tempestività nella rilevazione e prevenzione della crisi non può essere facilmente recuperato attraverso il ricorso a misure protettive, quali quelle che nella legge fallimentare offriva l’art.168 L. fall., con il ricorso al concordato con riserva e poi all’accordo di ristrutturazione o al concordato.
L’articolo 8 c.c.i.i. infatti stabilisce ora una regola di carattere generale, come è stato osservato davvero di portata dirompente [24], disponendo che “la durata complessiva delle misure protettive non può superare il periodo, anche non continuativo, di dodici mesi, inclusi eventuali rinnovi o proroghe”. Ciò in conformità dell’art. 6, par. 7, della Direttiva europea del 17 dicembre 2018 che, nel consentire al debitore di beneficiare della sospensione delle azioni esecutive individuali in modo da favorire lo svolgimento delle trattative nelle procedure di ristrutturazione, indica, nel par. 4, la durata massima di quattro mesi della sospensione delle azioni esecutive individuali, precisando nel par. 7 che “la durata totale della sospensione delle azioni esecutive individuali, incluse le proroghe e i rinnovi, non supera i dodici mesi” [25].
In particolare gli strumenti di allerta esterna, da parte dei creditori pubblici qualificati o interna, da parte degli organi di controllo, pur costituendo uno strumento di intervento robustamente strutturato, devono confrontarsi con il tenore e la tempistica dei dati da valutare.
I primi, creditori pubblici qualificati, segnalano in modo sostanzialmente meccanico un grave inadempimento di fatto già registrato, rispetto al quale il debitore è chiamato entro novanta giorni a indicare le modalità di estinzione o regolarizzazione del debito, anche attraverso le procedure di risoluzione della crisi. In difetto si avrà la segnalazione all’OCRI e agli organi di controllo della società.
I secondi, organi di controllo, acquisiscono dati secondo un processo strutturato che necessita di appropriati tempi tecnici. Essi devono infatti raccogliere informazioni sia su eventi già verificatisi, quali la diminuzione del fatturato o la perdita di clientela, la sopravvenuta inesigibilità di crediti, il manifestarsi di perdite o di sopravvenienze negative, ma anche assumere, attraverso indici predittivi, proiezioni sulla sostenibilità del debito nei sei mesi successivi rispetto ai flussi di cassa attesi. Essi ricevono inoltre informazioni dalle banche e dagli stessi creditori pubblici qualificati. A seguito di tale complesso processo acquisitivo e valutativo avviene la segnalazione all’organo amministrativo ed, in difetto di adeguata risposta ed iniziativa da parte di questo, all’OCRI.
È nella nuova fase del necessario confronto interno tra organo amministrativo e di controllo che, ad avviso di chi scrive, si misura la possibilità di addivenire nei tempi previsti dalla normativa alla soluzione della crisi. Infatti l’assenza di una adeguata risposta, pur essendo assistita dall'intervento dell’OCRI, può denunciare l'impossibilità di una strategia che più difficilmente può essere costruita ab ovo nel rispetto dei tempi contingentati per le misure di protezione.
In assenza di un piano già elaborato dal debitore, i tempi necessari per la lavorazione del caso da parte dell’OCRI, possono comportare inevitabilmente il rischio di un ulteriore aggravamento della crisi o comunque un impoverimento delle soluzioni disponibili sino a ridursi nel worst-case scenario alla liquidazione concordataria o giudiziale.
In definitiva solo l'individuazione tempestiva delle misure adeguate potrà risolvere la crisi con modalità diverse da quelle liquidatorie, altrimenti la costruzione in tempi utili dell’alternativa all'in- solvenza appare incerta e non priva di difficoltà.
Note: